Hellsign

È possibile lanciare sul mercato un videogioco utilizzando degli asset base? Un videogioco che miscela trama horror, investigazione e azione in un composto forse troppo confusionario. Il paranormale è una bella attrattiva, così come il sistema di investigazione, semplicistico ma ben realizzato, al contrario di quanto avviene con le dinamiche di combattimento.
Hellsign, un esperimento di Ballistic Interactive, risulta un po’ troppo confusionario su diversi fronti: partendo dai comandi, molto macchinosi e poco precisi, fino ad arrivare alla gestione dei menù e sottomenù annessi per lo sviluppo del personaggio e la raccolta dati.

Perché Hellsign

A causa di una voglia sulla pelle, il nostro personaggio sarà destinato a divenire un “Hunter”, notizia che sembra non preoccupare minimamente il nostro alter-ego (come se fosse normale essere dei predestinati) ma, mancanza di pathos a parte, la strada è lunga e tortuosa prima di poter accedere ai privilegi di essere un vero cacciatore. Inizieremo il percorso facendo da “scout” a un team di Hunter professionisti ed è proprio da qui, che parte l’avventura di Hellsign. Dopo un brevissimo tutorial, vieni abbandonato a te stesso senza alcuna cognizione di causa: non avrai un “questlog“, né un riassunto dei compiti da svolgere durante le missioni (il ché è già abbastanza frustrante di suo) in più, anche nelle missioni che richiedono il “ranking” più basso, si affrontano nemici difficili da eliminare; tutti elementi questi, non fanno altro che portare a frustrazione, portandoci non  riprovare mai più l’incarico.

Il Gameplay

Le meccaniche di combattimento sono semplici, si spara e si schiva, ma il sistema di puntamento impreciso e scomodo, va a discapito della giocabilità in un’opera con visuale isometrica. Capiterà spesso e volentieri di far fuoco in un punto piuttosto che in quello desiderato. In Hellsign sono previsti diversi tipi di missioni o “contratti”, accessibili comodamente da una mappa riassuntiva della città, capaci di indurci a esplorare in cerca di indizi o cacciare a seconda dell’incarico, spesso in abitazioni abbandonate e infestate da entità sovrannaturali delle peggiori specie. Abitazioni che però, sin da subito, daranno l’impressione di essere identiche le une alle altre, il ché rende il tutto monotono e ripetitivo.
È presente anche un albero delle abilità da poter sviluppare per riuscire meglio nelle nostre imprese: è da notificare però, la difficoltà eccessiva per riuscire ad acquisire “skill point” adatti ai nostri scopi.

Tecnicamente parlando

Il comparto grafico di Hellsign è interessante, ma non va oltre. Una grafica pulita che con i giusti giochi di luce e ombra si colloca benissimo nella scena horror in cui vuole posizionarsi il gioco. Le animazioni invece, sembrano esser state utilizzate senza lavori di ottimizzazione: praticamente semplici asset, davvero basilari e scialbi.
Durante i nostri incarichi saremo accompagnati da un tappeto musicale composto di sonorità “ambient and noise”, accompagnato a sua volta, da “magistraliFX come il suono dei nostri passi completamente aritmici e buttati lì a casaccio.

Concludendo

Hellsign sarebbe un ottimo free-to-play, ma purtroppo non lo è. Su Steam si trova a 14,99 euro, tanto quanto Fallout 4 di Bethesda sulla stessa piattaforma per intenderci –mi pare sia abbastanza ovvio l’impossibile paragone no? –. Purtroppo è un tentativo fallito di proporre qualcosa di nuovo: pur carina e originale l’idea di base, rimane il fatto che sia stata completamente corrosa da una cattivissima gestione dei contenuti del gioco.




Robbotto

Ultimamente mi sono dato alla macchia con i tripla A, per dedicarmi anima e corpo a quella tonnellata di titoli indie tra i quali, a volte, è possibile anche trovare delle perle di non poco interesse. Oggi è la volta di Robbotto, sviluppato da JMJ interactive; è un simpatico – e allo stesso tempo odioso – arcade-platform chiaramente ispirato a quel vecchio gioco arcade dei due draghetti sparabolle, chi di voi lo ricorda? Infatti personalmente, definirei Robbotto quasi la versione “Dark Souls” di Bubble Bobble: ovviamente non mi riferisco al genere “souls” in sé, bensì al fatto che sia davvero impegnativo riuscire a proseguire oltre un certo livello.
Dopo questa piccola premessa, andiamo a vedere più da vicino di cosa si tratta.

Cos’è Robbotto?

Partiamo dal fatto che il titolo del gioco, nasce semplicemente dall’unione dei nomi dei due robot che possiamo utilizzare: Robb e Otto – … già, non ditelo a me –.
Robbotto è, come già scritto, un arcade-platform con grafica in stile 8-bit con livelli procedurali, sempre più complessi andando avanti nel gioco. È possibile giocarlo in singolo o in coppia in modalità co-operativa (online o locale).
I comandi sono molto semplici: in definitiva c’è un tasto per saltare, uno per sparare un dardo elettrico e un’altro per spruzzare acqua una volta elettrizzato il nemico, in maniera da metterlo completamente fuori gioco. Attraverso i 100 livelli di gioco, si incontreranno venti diversi nemici da affrontare, ognuno con le proprie caratteristiche, offensive e non. Robbotto è uno di quei giochi che lascia illudere i propri avventori: diciamo che i primi dieci livelli alimenteranno semplicemente la vostra autostima come arcade player, i successivi faranno un po’ vacillare la vostra autostima da pro-player, per poi arrivare a maledire il giorno in cui avete deciso di iniziare a videogiocare! Oltretutto questo, è un gioco che spinge l’utente a continuare a oltranza la propria partita, anche una volta perse le tre vite a disposizione: infatti al “gameover“, si potrà continuare perdendo solo il punteggio accumulato e i progressi dell’ultimo livello in corso; in pratica senza rendervene conto potreste giocare e rigiocare lo stesso livello anche per venti, quindi, “chapeau” agli sviluppatori per la vincente strategia applicata.
Al decimo livello e poi per ogni suo multiplo, si affronterà una boss-fight, più o meno semplice (personalmente ho spesso trovato più difficoltosi i livelli di intermezzo che non le boss-fight).

Oldstyle in tutto e per tutto

Che dire, uno stile retrò, mantenuto e rispettato in ogni suo canone: la colonna sonora, peraltro acquistabile anche separatamente su Steam, è composta da suoni sintetizzati, che accompagnano perfettamente il ritmo di gioco che, con i suoi colori sgargianti e quello stile 8-bit, in qualche modo, esplicitano ulteriormente la natura “arcade” di Robbotto.

In definitiva, ritengo che il titolo proposto da JMJ Interactive, sia un ottimo arcade, divertente, immediato e che può dare il meglio in co-op locale, ma credo anche che possa esserci un “gap” tra il prodotto offerto e il prezzo suggerito, forse troppo alto. Robbotto viene venduto a circa 10 euro sull’eshop di Nintendo Switch8 euro su Steam.




Monster Prom

Direttamente dalla Spagna, più precisamente dalla software house catalana Beautiful Glitch, arriva Monster Prom: una simpatica visual novel in cui ci ritroveremo nei panni di liceali che dovranno prepararsi al ballo di fine anno!

Chi scelgo?

Già il nome, Monster Prom, lascia poco spazio all’immaginazione, i protagonisti del gioco sono tratti dai mostri più comuni: vampiri, fantasmi, zombie, lupi mannari e simil-Frankenstein e qualche altra aberrazione di contorno. Il gioco ci mette sin dall’inizio davanti alla scelta del nostro personaggio, selezionabile tra 4 dei giovani mostri a disposizione.

Monster Prom metterà alla prova le nostre abilità seduttive per portare a compimento l’obiettivo del gioco, ossia riuscire a convincere uno dei compagni di liceo a venire con noi al ballo di fine anno… niente di più difficile! Ambientato interamente all’interno di un liceo stereotipale, con mensa, teatro, aule e tutto il contorno, Monster Prom è un gioco basato sulla scelta multipla, che ovviamente alla fine influirà sull’esito della partita. Partendo dal presupposto che è possibile iniziarlo e finirlo in un’unica sessione, il gioco propone, a ogni modo, 2 versioni: breve o lunga (ovviamente la breve è quella che si apprezza di più, perché volendo si potrebbero fare più tentativi, ma scoprirete che proprio per la sua scarsa longevità, molto spesso potrebbe rivelarsi difficile portare a casa la vittoria.)

È tutta una questione di dialettica

Il gioco è suddiviso in giorni, gli stessi che ci dividono dalla data del ballo. Il tempo viene scandito tramite lo svolgimento di una singola azione, ogni giorno, al termine della quale si passerà al giorno successivo e così via, senza alcuna possibilità di riavviare, o ripetere gli eventi già trascorsi, fino al termine della sessione in atto. Come abbiamo detto precedentemente, Monster Prom è completamente ambientato in un liceo, ogni giorno, si potrà scegliere dove voler passare la giornata: libreria, auditorium, classe, giardino, palestra o bagni.

Per riuscire nel nostro difficile intento, dovremo ricorrere alle nostre strategie migliori, scegliere sempre le opzioni giuste che ci porteranno punti a favore dalla persona che desideriamo portare al ballo: prendere le sue difese, appoggiarla nelle discussioni importanti o semplicemente essere buffi o divertenti. La nostra personalità viene ricavata da un paio di domande che ci verranno poste prima che il gioco inizi, e caratterizzerà il nostro main character per quella sessione, determinando anche il personaggio al quale dovremmo indirizzare la nostra attenzione. Una volta definito il profilo del nostro protagonista, ci verranno dati dei punteggi per ognuna di 6 diverse caratteristiche, che aumenteranno o diminuiranno, in base all’andamento dei nostri dialoghi.

La nostra abilità, dovrà essere quella di fare sempre le scelte giuste, che a loro volta genereranno punti caratteristica e/o punti “cuore”, a favore di quel preciso personaggio, in modo da poter assicurarci una compagna, o compagno, per il tanto ambito ballo di fine anno.

Il gioco fornisce anche la possibilità di giocare in multiplayer localmente, o tramite connessione internet creando una partita e generando un ID da comunicare agli altri giocatori con cui desiderate condividere la partita. Purtroppo nulla di interattivo: infatti la modalità “online”, prevede le stesse funzioni di quella locale, quindi semplicemente che da 2 a 4 giocatori, partecipino a una stessa sessione di gioco mediante i turni.

Grafica e Audio

Non c’è che dire, la caratterizzazione dei personaggi è eccezionale; inoltre volerli proporre in questo stile anime/ultimicartonidisneychenonsembranoaffattodisney, risultano molto piacevoli alla vista, un’ottima scelta cromatica per questo horror cartoonesco, con colori che si sposano bene con l’ideologia del teenage-horror movie. Musicalmente il gioco è accompagnato da una melodia allegra che però, rimane sempre la stessa, risultando alla lunga monotona.

Concludendo

Non sono un grandissimo fan delle visual novel, non riesco mai ad appassionarmi a questo stile di gioco ma, d’altro canto, devo anche ammettere che, vuoi per la leggerezza dei temi trattati o dell’ebbrezza nello sfidare il mio ego, ormai sopito da teenager, Monster Prom è stata una delle poche visual novel che non mi hanno costretto al “rage-quit” (aka Alt+F4) dalla partita a causa magari di quei dialoghi interminabili di cui solitamente giochi del genere sono farciti.




Mini Metro

Perché sviluppare l’ennesimo tedioso gestionale ferroviario, quando, con lo stesso concept, si può ideare qualcosa di veramente innovativo e divertente? Sarà questo che si saranno chiesti i ragazzi di Dinosaur Polo Club durante la fase di sviluppo?

Non un gestionale, non un puzzle-game

Mini Metro è qualcosa che non si era mai visto in precedenza, innovativo e fuori dagli schemi. A primo acchito potrebbe sembrare anche banale, solo qualche linea colorata, su sfondo bianco, minimalista, troppo potrebbe pensare qualcuno, basta unire i punti e il gioco è fatto. Mini Metro è in realtà ben altra roba, uno sposalizio perfetto tra ingegno e divertimento, strategia e rompicapo, pensato per un pubblico un po’ più spassionato e alla ricerca di un buon passatempo, magari da giocare in metro, perché no.
Abbiamo avuto modo di provare la versione per Nintendo Switch, non cambia molto dalle altre versioni a parte la comodissima “tattilità” ovviamente.

Piano! Piano! Non spingete!

Lo scopo del gioco è quello di riuscire a creare una fitta rete di interconnessione per riuscire a trasportare più passeggeri possibile evitando il sovraffollamento delle stazioni. Questo almeno vale per la modalità di gioco “normale“, nella quale si dovrà appunto mantenere un basso livello di affollamento nelle stazioni, per evitare di veder terminare la nostra sessione di gioco prematuramente.
Mini Metro propone al momento ben 20 località differenti, di cui 3 (Londra, Parigi e New York) ambientate anche tra gli anni ’40 e ’70. Ogni location ha una diversa conformazione geologica, con corsi d’acqua più o meno invadenti che ci costringeranno a utilizzare ponti o tunnel per i nostri collegamenti. Per sbloccare le location successive, bisognerà riuscire a portare a casa un discreto risultato nelle precedenti e non sempre sarà cosa facile.
Inizieremo ogni partita a Mini Metro con sole 3 stazioni da connettere sul campo, che aumenteranno con il trascorrere del tempo e verranno posizionate in luoghi casuali della mappa. Noi avremo a disposizione 3 diverse linee ferroviarie, riconoscibili per il diverso colore e un certo numero di motrici o locomotive e ponti o tunnel, che variano in base alla location che stiamo affrontando. La partita viene scandita dal tempo, suddiviso in giorni della settimana, al termine di ognuna delle quali, al fine di sviluppare una più complessa ed efficiente rete di collegamenti, verremo premiati con una serie di bonus: una nuova motrice/locomotiva e, a scelta, una nuova linea, un vagone aggiuntivo oppure dei ponti/tunnel.
Se desiderate rilassarvi invece, c’è a vostra disposizione la modalità “illimitata“, nella quale le stazioni non si sovraffolleranno, si giocherà in maniera completamente libera e i bonus verranno dati mediante un moltiplicatore che conteggia il numero di passeggeri trasportati.
Nella modalità “estrema” giocheremo come in quella “normale” ma la differenza sostanziale sta nel fatto che i collegamenti creati saranno permanenti, quindi, una volta fissata una linea ferroviaria, non potremo più muoverla o modificarla in alcun modo.
Per finire potremo cimentarci nella consueta sfida “giornaliera“: in una mappa casuale dovremo impegnarci al massimo per scalare la classifica mondiale (sfida interessante ma fine a se stessa).

Minimale è bello!

Minimalismo, questo è il leitmotiv di Mini Metro. Tutto è ridotto all’osso in questo piccolo, grande gioco. Grafica piatta ma che cattura, forse proprio per la sua semplicità e pulizia. Il suo scorrere fluido e interminabile di elementi capta l’attenzione, quasi a volervi ipnotizzare con i suoi movimenti. Minimale anche l’audio, giusto qualche fx casuale qua e là, quasi come fossero riprodotti dai metro stessi a creare una colonna sonora, flebilmente udibile.




Overcooked 2

Sono trascorsi esattamente due anni dal lancio su PC del primo capitolo di Overcooked, adrenalinico party-game culinario sviluppato da  Team17 e Ghost Town Games. Oggi, visto l’enorme successo raccolto dal predecessore su tutte le piattaforme, esce OverCooked 2, riproponendo un invariato stile di gioco accompagnato da nuovissimi livelli e con una veste grafica leggermente più curata sotto certi aspetti.

Master Chef

Nel primo Overcooked abbiamo dovuto cimentarci in una folle corsa contro il tempo e in un durissimo allenamento per poter arrivare all’ultimo stage e batterci con il terribile appetito del final boss per salvare il mondo, passando attraverso coloratissimi livelli fuori di testa del Regno delle Cipolle. Sicuramente Overcooked è stato – ed è tutt’ora – uno di quei giochi dell’universo indipendente che ha lasciato a bocca aperta per la sua unicità, per una riuscitissima meccanica di gioco e per le tantissime ore di divertimento che è in grado di regalare. È possibile giocarlo da soli nella modalità campagna o in compagnia di uno o più giocatori, dividendo il joypad o la tastiera metà per uno o utilizzando una periferica per ognuno. In Overcooked 2 conosceremo tanti nuovi e bizzarri chef che si aggiungeranno a quelli già conosciuti nel primo capitolo, con piatti nuovi ed elaboratissimi che metteranno a dura prova le nostre doti culinarie!
Ogni livello nasconde nuove insidie e piatti sempre più elaborati che renderanno difficile la preparazione delle nostre ordinazioni. Lo scopo dei giocatori per ogni livello, sarà quello di completare più piatti possibili in un tempo limite senza troppi errori, in modo da poter guadagnare più stelle possibile – massimo 3 stelle per livello che serviranno per lo sblocco degli stage successivi.
Overcooked 2 è a tutti gli effetti il sequel del primo capitolo, o dovremmo forse dire, la continuazione?
Sì perché a conti fatti, anche i primi livelli di questo nuovo capitolo, potrebbero sembrare un po’ ostici per chi non abbia avuto la fortuna di potersi infarinare con le meccaniche di gioco del primo, quasi come se gli sviluppatori diano per scontato che l’utente debba conoscere il gioco. La complessità di alcuni livelli spesso impedisce di prendere al primo tentativo le agognate 3 stelle, costringendo anche i giocatori che hanno già approcciato al primo capitolo a dover ritentare per sperare in un risultato migliore. Sin dall’inizio vengono richiesti una forte dose di manualità con i comandi base del gioco e un altissimo spirito di squadra, in una eventuale modalità cooperativa, per poter completare i vari stage.

Il Co-Op: la morte sua

Chi abbia giocato al primo Overcooked e ai suoi DLC potrà notare facilmente le doti richieste da questo secondo capitolo. Per il primo, come per il secondo, la modalità “giocatore singolo” a volte potrebbe risultare troppo macchinosa e complessa, tra lo switch dei 2 personaggi e l’organizzazione delle pietanze ci si confonde con molta facilità. In definitiva, la modalità vincente è sicuramente quella cooperativa: completare la campagna in multiplayer, non ha prezzo. Anche per il nuovissimo Overcooked 2, che abbiamo giocato su PC, con joypad per uno e tastiera per l’altro giocatore, la massima espressione risiede nella modalità multi-giocatore. Giocando in compagnia le ore trascorreranno talmente veloci tra urla, spintoni e risate, che non vorrete più staccarvi dalla TV. C’è da dire che è un gioco studiato per l’utilizzo di joypad, ragion per cui la tastiera è altamente sconsigliata, devo ammettere di aver avuto non poche difficoltà nel controllare il mio personaggio.

Cosa puzza di bruciato?

Nonostante io adori questo gioco in tutte le forme, c’è da dire che forse qualcosa non è proprio come dovrebbe essere. Partiamo dalla mappa, che con la sua nuova veste grafica è tanto bella quanto confusionaria, uno zoom troppo vicino impedisce di trovare subito i nuovi livelli sbloccati, che seguono una curiosa numerazione che avanza per multipli (1-2, 1-4, 1-6, 2-3, 2-6). Non è chiaro il motivo di questa scelta considerato che nel primo Overcooked erano numerati normalmente. In secondo luogo, come già detto, il livello di difficoltà si mostra sin da subito eccessivo, diventando ancora più impegnativo avanzando nel gioco, caratteristica questa che potrebbe far desistere chi si affacci per la prima volta alle meccaniche di Overcooked – fuoco sul pavimento che impedisce il movimento, automobili che investono il giocatore e tantissime altre insidie che non fanno ben sperare già dai primissimi livelli.

Tecnicamente

Il comparto tecnico è ineccepibile, il gameplay è rimasto invariato e altrettanto ben congegnato, molto fluido e semplice. Graficamente le migliorie sono visibili nei piccoli dettagli, shader più elaborati e texture più definite, soprattutto nella mappa di selezione dei livelli che vede un nuovo tabellone sviluppato su più livelli, per il resto il gioco non sembra aver subito significativi cambiamenti in questo versante. La colonna sonora cavalcante, chiaramente ereditata dal primo capitolo, è azzeccatissima e accompagna il gioco col giusto ritmo incalzante, rendendolo ancor più adrenalinico di quanto già non sia.

Tirando le somme

In definitiva questo nuovissimo Overcooked 2, a differenza del primo, non è un gioco proprio per tutti. Perché questa scelta? Selezione naturale? Mi rendo conto solo a posteriori che, se non avessi giocato il primo capitolo, con molta probabilità non avrei potuto apprezzare davvero il lavoro svolto da Team17 in questo secondo OverCooked. A ogni modo, se vi piacciono i party-game in locale e un alto livello di sfida che nei suoi picchi massimi potrebbe rasentare la frustrazione, sento di potervene consigliare caldamente l’acquisto, perché credo che, nonostante le sue imperfezioni, al momento la serie Overcooked, per la sua extra-dose di divertimento, detenga il titolo di “Re dei party-game” su ogni piattaforma.

Update After Launch: E luce fù!

Ed è come l’arcobaleno dopo la tempesta che Overcooked dopo la release ufficiale al day one, da bruco si fa farfalla e spicca il volo come prima era stato capace di fare il suo predecessore. La versione inviataci prima del rilascio sul mercato deludeva sotto vari aspetti.
Andando sullo specifico, dopo la data di uscita sono stati inseriti diversi elementi, uno su tutti diverse possibilità di gioco in multiplayer, organizzando partite pubbliche o private; All’inizio del gioco in modalità “storia” è stata aggiunta una clip iniziale che funge da breve premessa agli avvenimenti che spingeranno i nostri mini-chef, a intraprendere quest’avventura.
Il più importante cambiamento lo vediamo sulla mappa, in cui adesso l’avanzamento dei livelli avviene in modalità naturale, seguendo l’ordine numerico 1-1, 1-2, 1-3 e così via. Un’ altra delle mancanze sottolineate nella versione inviataci, è stata fortunatamente colmata e anche qui, come nel primo capitolo di Overcooked, dopo ogni stage completato avremo un percorso da poter seguire con il nostro furgoncino – senza perderci, come capitava spesso nell’anteprima – fino al prossimo livello appena sbloccato.
Insomma, a guardarlo adesso Overcooked 2 è quasi un altro gioco, degno erede di quello che prima di lui conquistò secondo noi il titolo di party game definitivo.
Non è la prima volta che videogame a rilascio sia sostanzialmente diverso rispetto all’anteprima: un altro chiaro segno della necessità Per ogni professionista di settore di rivedere un gioco più volte – al netto Dunque di patch e aggiornamenti – prima di poter emettere un verdetto definitivo.




Captain Bone

L’universo dei giochi indie è immenso, con moltissimi titoli sviluppati da piccole software house sparse per il mondo. Una si trova a circa 50 Km da Agrigento, in quella Licata dove lo chef Pino Cuttaia è riuscito a portare due stelle Michelin facendo gridare al miracolo. E un piccolo miracolo – o una sanissima follia – sembra quella di sviluppare videogame in un angolo sperduto di una regione che non si distingue per avanzamento tecnologico e industriale.
Ma il team di sviluppo Orange Team non pare essersi scoraggiato e ha deciso di provarci, sviluppando dal 2016 a oggi quanto basta per produrre la pre-Alpha di Captain Bone che ci consente di completare una singola missione e di visitare un piccolo villaggio.

Captain Bone si presenta come un action-adventure in single player, che ambienta la sua storia nelle isole dei Caraibi durante il XVII secolo, più precisamente nell’isola di Nassau. Il protagonista è un buffo pirata scheletrico rimasto in mutande dopo il suo ultimo sbarco: la prima unica missione di questa versione è quella di recuperare dei vestiti per procedere con la sua avventura.
Dopo esserci ritrovati sul pontile ci avvieremo verso la cittadina. La prima sensazione è di leggero spaesamento: sin dai primi minuti si soffre un po’ la mancanza di indicazioni atte a indirizzare verso il completamento delle quest, che potrebbero essere implementati in futuro con una mappa o qualche espediente che eviti al giocatore di perdersi per ore a girovagare per il borgo in mutande.
Sono presenti pochi NPC con cui poter interagire e allo stato attuale non tutti forniscono indizi grandemente rilevanti. Se dei tre elementi in quest’unica quest da trovare il cappello risulta abbastanza agevole, lo stesso non può dirsi per il giubbotto e per i pantaloni: chi scrive ha dovuto chiedere indicazioni direttamente agli sviluppatori. La risoluzione in effetti non era ardua, ma alcuni asset di gioco (banalmente quello che permette di accedere allo strumento per recuperare i pantaloni) andrebbe forse maggiormente messo in evidenza nell’environment: la cittadina ha una sua ampiezza, è ricca di elementi, e si potrebbe girare molto prima di notare il punto giusto in cui guardare, a scapito della fluidità di gioco. Qualche bug attualmente presente potrebbe inoltre mettere i bastoni fra le ruote o addirittura impedire il completamento della quest: un personaggio molto importante a un certo punto è letteralmente sparito e abbiamo dovuto iniziare nuovamente la partita per dargli modo di riprendere il suo moto e ritrovarlo.
Se le interazioni in termini di indizi sono migliorabili, i dialoghi risultano invece parecchio divertenti e ben studiati, con riferimenti chiaramente lucasiani (se l’ambientazione piratesca non bastasse a richiamare la saga di Monkey Island, i fan più attenti troveranno conferma nella presenza del simbolo ™ al termine di alcune parole) che seguono un algoritmo random: ogni volta che parleremo con loro la conversazione non sarà la stessa, ma con frasi generate in modo casuale, così da  conferire molta varietà ai dialoghi.
Un limite attuale in questa pre-alpha di Captain Bone è l’impossibilità di saltare i dialoghi: bisogna aspettare diversi secondi per potere leggere la battuta successiva, elemento che rischia di appesantire l’esperienza  e che verrà probabilmente corretto permettendo di poter andare avanti premendo un tasto, come ci si aspetta venga implementata nella prossima release l’interfaccia dei dialoghi, al momento abbastanza spoglia e minimale, testo bianco su sfondo nero, che non rende giustizia a dei dialoghi in realtà molto divertenti.

Le animazioni sono fluide e già ben curate, con alcuni movimenti del protagonista da migliorare, come quando, dopo una corsa, ci si ferma e si vede il personaggio scivolare per un po’ prima di fermarsi del tutto.
L’AI, che è sempre un problema non da poco, vede ancora dei margini di miglioramento, con NPC che si lanciano dalle alture o finiscono incastrati tra le varie case, oppure che se colpiti da un gancio del protagonista finiscono per rincorrerlo per tutta la città, non lasciandogli tregua. La vita del capitano non è molta e si perde facilmente, anche solamente saltando da una parte all’altra di una scala o discesa, causando danno. In tal senso, sembra un po’ eccessivo che Captain Bone possa morire a seguito di un semplice salto che ci costringerà a ricominciare da capo.
Come detto, è possibile colpire i personaggi non giocati: ci si aspetta dunque un combat system che in questa fase non è possibile valutare.
Il motore grafico utilizzato da Captain Bone è l’Unreal Engine 4, che riesce a gestire in maniera ottimale luci e ombre di giorno, mentre la luminosità scarseggia dopo il tramonto, presentando qualche piccolo inestetismo nelle lanterne sparse per tutta la città; le luci delle lanterne, molte volte risultano scarse o assenti, lasciando il giocatore quasi completamente al buio.
I modelli tridimensionali dei personaggi hanno una loro personalità: niente spigoli o visi squadrati, ma volti e corpo molto arrotondati che sembrano modellati a mano, creando un effetto simile alla plastilina.
Il comparto sonoro presenta un buon ventaglio di suoni che possono ancora vedere qualche revisione in termini di utilizzo durante la run. La soundtrack, infatti, è molto orecchiabile, in pieno tema piratesco, con un jingle che rimangono facilmente impressi, ma alcuni elementi sono decontestualizzati, come il sound del mare, che si continua a sentire, in maniera abbastanza marcata, anche all’interno della città.
Dei piccoli errori e bug attualmente presenti possono essere risolti senza difficoltà, come delle piccole implementazioni, quali l’uso del tasto Esc per uscire dai vari menù o il caricamento automatico del salvataggio dopo essere andati Game Over, potrebbero essere comunque di peso.
Tirando le somme, possiamo comunque dire con certezza che i ragazzi di Orange Team stiano facendo un bel lavoro con Captain Bone: i difetti riportati sopra sono abbastanza normali in questa fase e c’è di certo ancora non poco da migliorare. Ma la base del gioco c’è tutta, implementando delle buone quest, continuando con dei dialoghi divertenti e dal buon ritmo, e innestando la parte action in maniera equilibrata può venir fuori un prodotto di tutto rispetto.
Restiamo dunque in attesa di sviluppi, e non vediamo l’ora di vedere il resto del gioco.