Come l’online ha rivoluzionato il mondo dei videogame

Per anni giocare ai videogame ha significato confrontarsi con il proprio PC o la propria console, di fronte al monitor e alla TV di casa, magari organizzando di tanto in tanto piccoli tornei tra amici per creare sfide più avvincenti e divertenti. Con l’avvento di internet però, tutto questo ha subito una rivoluzione, grazie all’abbattimento dei confini geografici e alla possibilità di avere sempre a portata di mano i propri giochi preferiti, anche fuori casa. Vediamo dunque cosa è realmente cambiato in poco più di 10 anni grazie alle nuove tecnologie.

Semplicità ed entusiasmo: i primi videogiochi

La nascita dei videogiochi risale al 1975, anno in cui Atari immette sul mercato la prima versione di Pong, un gioco semplicissimo in cui bisognava far rimbalzare una pallina tra due barre in movimento, come in una sorta di tennis molto elementare. Inizialmente disponibile solo nelle sale gioco, negli anni successivi Pong viene tradotto anche in versione domestica, aprendo dunque all’introduzione dei videogames anche all’interno delle nostre case. Dalla fine degli anni ’70 in poi, la crescita del settore inizia a essere esponenziale, grazie all’introduzione di nuovi titoli come Asteroids, Space Invaders e il mitico Pac-Man, tutti giochi dagli schemi molto semplici ma in grado di appassionare e di incollare allo schermo migliaia di utenti.
È così che inizia a diffondersi la febbre da videogame, alimentata dalla produzione di console dalle tecnologie sempre nuove: Atari, in primis, ma anche Nintendo, SEGA, Commodore e Spectrum, sono solo alcune delle piattaforme utilizzate per giocare in casa tra gli anni ’80 e ’90. Parallelamente all’ammodernamento delle console, vengono introdotti sul mercato giochi via via più complessi, come quelli di sport o i giochi cosiddetti “a piattaforme”, con personaggi in movimento, quadri da superare e obiettivi da raggiungere — basti pensare all’immarcescibile Super Mario Bros.
Dalla metà degli anni ’90, poi, con l’arrivo sul mercato di PlayStation, un nuovo tabù viene superato e dalle classiche cartucce si passa ai giochi su CD-Rom, più capienti e dunque in grado di contenere dati più complessi.

Anni 2000: i videogames sfidano la realtà

Col passare degli anni, i videogiochi si avvicinano sempre più alla realtà, sia dal punto di vista grafico che nelle animazioni. Il livello di complessità dei giochi cresce anno dopo anno e l’esperienza vivibile sia su console che su PC si arricchisce di nuovi elementi. Non solo, dal 2000 in poi arrivano nelle case le prime connessioni Internet e diventa possibile effettuare le prime sfide on-line. Il fenomeno per il momento resta piuttosto limitato, anche a causa delle linee ancora troppo lente e di una diffusione non così capillare come oggi, ma apre a un mondo del tutto nuovo che esploderà di lì a poco.

Realtà virtuale e giochi mobile: la rivoluzione degli ultimi anni

Gli ultimi dieci anni hanno rappresentano l’ennesima rivoluzione per il mondo dei videogame: le tecnologie sviluppate nel giro di così poco tempo hanno infatti portato all’introduzione di sistemi di gioco completamente diversi rispetto al passato e alla possibilità di vivere in maniera sempre più piena lo scenario proposto.
Un primo passo in tal senso avviene con la Nintendo Wii, in cui il joypad viene sostituito da controller che seguono il movimento delle mani e che rendono dunque la fase di gioco più dinamica. In buona sostanza, ora il giocatore si muove esattamente come farebbe se fosse lui all’interno dello schermo, guidando così in maniera diretta il suo personaggio. Con la realtà virtuale invece, si riesce a entrare quasi fisicamente nel gioco, prendendo parte alla scena anziché controllarla solo tramite un joypad: lo schermo difatti scompare e diventa possibile, attraverso un apposito visore, immergersi nella realtà alternativa per raggiungere gli obiettivi richiesti dal videogioco.

L’altra rivoluzione di questi anni è invece la diffusione dei giochi on-line, in particolare quella connessa alla diffusione dei dispositivi mobili. Se già a metà degli anni 2000 le connessioni veloci avevano iniziato ad aprire alla possibilità di partecipare a giochi sul web in contemporanea con altre centinaia di utenti collegati da ogni parte del mondo, è proprio negli ultimi 10 anni che il fenomeno ha raggiunto livelli esponenziali. Un titolo come League of Legends, per esempio, è riuscito a totalizzare numeri incredibili, con 27 milioni di giocatori connessi quotidianamente e 67 milioni di giocatori mensili. Proprio LoL rappresenta da questo punto di vista il simbolo dell’esplosione dell’on-line gaming, un fenomeno che ha portato a competizioni in streaming di livello globale.

Oltre che dai più tradizionali dispositivi fissi, Internet ha permesso anche la rapida diffusione dei mobile game, grazie anche all’introduzione sul mercato di smartphone e tablet sempre più avanzati e a offerte di traffico dati ormai quasi illimitate. L’avvento di portali specializzati e app specifiche per giocare on-line ha creato vere e proprie community intorno ai titoli più in voga del momento e ha dato la possibilità di organizzare sfide in tempo reale, tanto nell’ambito dei giochi sportivi o di carte quanto in quelli fantasy o di sopravvivenza, settore quest’ultimo in cui titoli come Fortnite hanno letteralmente sbancato arrivando a milioni di dollari di fatturato.
I mobile device rappresentano forse da questo punto di vista la novità più interessante, oltre che il settore più stuzzicante sul quale puntare per il prossimo futuro: l’arrivo di connessioni sempre più veloce, come il 5G per smartphone, apre infatti a scenari ancora più caldi, con la possibilità di accrescere le potenzialità dell’intero comparto e di creare interconnessioni ancora più solide. Un’opportunità che i maggiori operatori del gaming difficilmente si lasceranno scappare.




PG National Vigorsol Beats

Lo scorso 7 Aprile, al Teatro Ciak di Milano si è disputata una delle serie più emozionanti dell’ultimo split del National Predator, campionato nazionale di League of Legends, la sfida finale che ha visto contrapporsi due team formati recentemente,  i Campus Party Sparks e i Samsung Morning Stars. Il match ha animato il pubblico fisico e “virtuale” con colpi di scena e momento mozzafiato, registrando più di un migliaio di spettatori fisici e oltre 5000 su Twitch.

Organizzata su una “Best of 5”, la partita ha visto uno scatto iniziale dei Morning Stars, vicini alla vittoria con un 2-0 sugli avversari. Tuttavia, l’ampia capacità d’adattamento e di “mind-reset” degli Sparks e, qualche errore anche dal lato dei Samsung, hanno garantito il recupero e la vittoria degli primi in classifica, concludendo con un 3-2 ottenuto dopo una partita da brividi. Durante lo Spring Split l’andamento del team vincitore è stato per lo più dominante, con sole 2 sconfitte durante la prima e terza settimana della competizione e ben 12 vittorie in totale. Essendo entrambe new entry della scena italiana, i team hanno sorpreso tutti, riuscendo a scavalcare team veterani e non.

Per la prima volta vediamo come title sponsor della competizione Vigorsol, famosissima società di chewing-gum che ha deciso d’investire nella scena italiana, altro segno dell’importanza degli eSport e di League of Legends sempre crescente negli anni. Basti pensare come siano aumentate anche le poste in palio: il premio delle competizioni mondiali è passato dai 50.000 dollari della prima season a un picco di 2.680.000 dollari nella sesta season. Aumentano gli investimenti, arrivando a cifre come i 20 milioni di dollari di Tej Kholi incassati dai Vitalty.

Insomma, l’eSport sta crescendo a dismisura e letteralmente chiunque sta cercando di accaparrarsi una “fetta” di mercato approfittando del boom del momento.

A Berlino ieri si sono disputate le finali dei Twitch Rivals, dove l’Italia di Paolocannone ha battuto la Spagna per 2-1. Infine, oggi, 15 Aprile inizieranno gli European Masters ove i Campus Party Sparks potranno mostrare il loro valore portando avanti la bandiera tricolore.




L’incredibile crescita degli eSport

Il 2018 ha visto continuare la marcia inarrestabile degli eSport, sotto ogni punto di vista: se sul lato commerciale risaltano i grandi numeri ottenuti dalla prima edizione della Overwatch League, con quasi undici milioni di spettatori dichiarati da Blizzard per la finale del campionato e 126 milioni di visualizzazioni in totale sul proprio canale Twitch, non sorprendono nemmeno le cifre da capogiro dichiarate sul lato finanziario: l’industria del videogioco professionistico ha guadagnato quasi un miliardo di dollari in quest’anno, con una previsione di crescita del 18,6% per il 2023, che porterebbe l’intero settore a un guadagno di ben 2.17 miliardi!

Ma non è tutto rose e fiori: recentemente, il CIO, lo stesso Comitato Olimpico Internazionale che precedentemente si era espresso a favore degli eSport come disciplina olimpica da testare nei giochi asiatici del 2022, ha frenato esprimendo il proprio dissenso verso i cosiddetti killer games. A tal proposito, il presidente Thomas Bach ha dichiarato:

«Non possiamo avere nel programma olimpico dei giochi che promuovono violenza e discriminazione. Dal nostro punto di vista rappresentano una contraddizione dei valori olimpici e non possono essere accettati»

Una dichiarazione che chiude le porte ai vari League of Legends, Dota 2 e Fortnite, ma vi è invece, uno spiraglio aperto per giochi più “pacifici” come FIFA, Rocket League o Street Fighter. E anche per uno sport che cerca di entrare nel carrozzone olimpico da molti anni, come la Formula Uno: recentemente Sean Bratches, direttore commerciale del brand motoristico, ha espresso il proprio interesse per includere lo sport, anche se in forma virtuale. Vi è già un campionato di eSport, la Formula One eSport series che, nella stagione inaugurale del 2017 ha richiamato 63.000 appassionati che hanno seguito nove delle dieci scuderie presenti nel campionato motoristico (unica e grandissima assente l’italiana Ferrari).

Anche in Europa si sta muovendo qualcosa: se già Francia (prossima partecipante alla Overwatch League con la squadra di Parigi), Spagna e Russia (dove spopolano titoli come DOTA 2 e Counter Strike: Global Offensive) possono contare su un settore già pronto, come si pone il nostro paese nel mercato? In realtà, non molto bene, nonostante la creazione di alcuni eSport team dedicati a FIFA, come Sampdoria (primo club calcistico italiano a lanciarsi nel settore), Roma, Empoli e recentemente anche Cagliari, Perugia e Parma. Ma hanno destato interesse le recenti dichiarazioni al Corriere dello Sport del patron del Napoli e del Bari, Aurelio De Laurentiis, interessato a entrare nel settore degli sport virtuali. Per quanto possa sembrare strano l’interesse di un imprenditore così importante, soprattutto nel nostro paese, non sorprende vedere grosse aziende dietro una squadra di eSport: basti pensare al gruppo Kraft, proprietari dei New England Patriots, una delle più vincenti squadre di football americano della NFL e proprietari anche dei Boston Uprising della Overwatch League, oppure la Kroenke Sports & Entertainment, holding che controlla sia l’Arsenal, popolare squadra di calcio della Premier League, che i Los Angeles Gladiators, sempre della OW League.
Con questa potenza economica dietro, non sorprende vedere la crescita del settore, anno dopo anno. E chissà, magari entro il 2023, si creerà qualcosa di importante anche nel nostro paese: d’altronde, lo sport non è solamente prestanza fisica, ma anche una girandola di emozioni uniche, esattamente come i videogiochi.




Riot Games impara le buone maniere

La software house Riot Games, dopo le accuse di sessismo tra i dipendenti, ha ingaggiato l’ex vicepresidente senior di Uber, Frances Frei, per contribuire a migliorare la cultura sul posto di lavoro.
Frei fungerà da consulente senior per il Creator’s Culture Strike team di League of Legends, dopo aver trascorso una carriera aiutando aziende come Uber ad affrontare la loro cultura contorta promuovendo integrazione e lavoro di squadra.
Il ruolo assegnatogli è una risposta diretta di Riot alle recenti segnalazioni di sessismo e molestie sul posto di lavoro, con ex-dipendenti e attuali che hanno attaccato lo studio.
Riot Games ha pubblicato un piano in sette punti che spiega come intende affrontare il problema, chiedendo inoltre scusa alle persone colpite.
Frei crede che Riot stia facendo uno sforzo concentrato per redimersi e in merito dichiara:

«Dopo aver passato del tempo con la leadership di Riot e molti altri dipendenti in tutta la società mi sono accorto che Riot sta davvero impegnandosi a far evolvere la propria cultura. Durante le mie interazioni con i dipendenti, ho visto livelli straordinari di coinvolgimento su questi temi da parte di tutta l’azienda: ogni dipendente con cui ho parlato si è preoccupato veramente dell’iintegrazione, il che significa che è possibile un vero cambiamento. Infatti la software house non è interessata semplicemente a risolvere problemi superficiali, ha intenzione di essere un master del settore e di fornire un esempio da seguire. Condivido questa ambizione e sono desideroso di indirizzare Riot Games verso la giusta.»



Sessismo in casa Riot

Gli episodi di sessismo nel mondo del lavoro non sono purtroppo una novità, e nemmeno il nostro campo sembra salvarsi. Tempo fa abbiamo parlato della differenza dei salari medi tra uomini e donne all’interno delle software house, ma stavolta il caso è molto più specifico e intricato: la casa produttrice in questione è l’ormai ben nota Riot Games, che dietro la fama e i fatturati stellari nasconde un ambiente tutt’altro che favorevole per la crescita professionale del gentil sesso. Un’indagine condotta da Kotaku ha raccolto una serie di testimonianze da parte di 28 persone tra dipendenti ed ex dipendenti che dimostrano come la politica dell’azienda sia totalmente opposta alla sua “tolleranza zero su discriminazione, molestie e bullismo” e “celebrazione della diversità” che tanto afferma di rispettare.


Jinx, uno dei champion di League of Legends.

Le difficoltà per una donna che vuole entrare in Riot iniziano sin dal colloquio. Uno dei requisiti fondamentali per entrare è, manco a dirlo, quello di essere gamer, o meglio “core gamer“, anche per ruoli che non riguardano direttamente i videogiochi, come quello delle pubbliche relazioni o del marketing. Lo stesso co-fondatore Marc Merrill afferma che «assumere videogiocatori è un punto critico per il nostro successo». Ma le statistiche parlano chiaro: un’indagine statistica condotta da  Quantic Foundry su un campione di oltre 270.000 persone in tutto il mondo ha riportato che, tra gli assidui giocatori di MOBA, le ragazze costituiscono solo il 10%, addirittura il 7% se si parla di FPS. E se non ami questi generi, se non sei bravo, allora non sei un vero core gamer, o un “Rioter”, e le probabilità di essere assunto calano vertiginosamente, per quanto tu possa essere preparato o specializzato nel ruolo per cui ti stai applicando. Se oltre a questo porti anche la gonna, la situazione non può che peggiorare. Sarà per questo che l’80% del personale della software house è composto da maschi?
Una delle dipendenti che ha preso parte all’analisi di Kotaku ha raccontato di come, durante il suo colloquio, dopo aver esaustivamente risposto a tutte le domande, le fossero state chieste cose sempre più specifiche, come per cercare apposta qualcosa all’interno del suo profilo da giocatrice che non andasse bene. Nonostante fosse stata in seguito assunta, le fu detto che secondo il suo intervistatore lei non aveva la “grinta” per entrare in Riot e che non si sarebbe mai comportato in quel modo se al suo posto ci fosse stato un uomo. E anzi a lei andò bene; altre ragazze con un curriculum di tutto rispetto sono state scartate perché non erano “abbastanza gamer”.
In un altro caso, durante un colloquio telefonico con una ormai ex dipendente che aveva da sempre giocato agli RPG, le domandarono se avesse mai giocato a dei “veri videogiochi”, come Call of Duty.  Un’altra ex impiegata affermò di essere un’appassionata di giochi da tavolo, le venne detto che questo non la rendeva una gamer.
Un’altra ancora ha raccontato che quando si presentò per una posizione che non aveva a che fare con il lato gaming, non fu presa sul serio perché preferiva World of Warcraft a League of Legends.

«Ci sono tutti questi termini generici che vengono usati per trovare qualcosa di sbagliato nelle donne che però non sono specifici. Quando sento dire “lei è emotiva” direi “Okay, perché pensi che sia emotiva?” “Beh sembrava che si stesse emozionando troppo e che stesse sulla difensiva” “L’altro candidato ha fatto lo stesso e ti è piaciuto perché aveva grinta”. Perché è diverso? Forse perché questa persona è di sesso differente? Sento persone che confrontano due candidati di sessi diversi, ed entrambi possono essere dello stesso calibro e aver fatto lo stesso colloquio, ma descritti in modo differente»

Un’altra dipendente ha riferito via email a Kotaku  di aver sentito alcune candidate venire descritte come “aggressive” o “troppo ambizione”, mentre nulla è stato detto in merito alle loro effettive abilità. Per quando riguarda i colloqui con gli uomini, non ha mai sentito nulla del genere.


La sede di Riot Games a Santa Monica, California.

Ma le cose si fanno ancora più difficili per chi entra; dietro un ambiente ben curato dotato di palestra e caffetteria e con cibo gratis, si nasconde una realtà tutt’altro che serena, che rasenta il tossico. Anche col contratto ormai firmato, le Rioter dovranno fare i conti con altri episodi di sessismo e discriminazione: pochissime di loro riescono a essere promosse e ad avere una posizione di rilievo, e quando si preparano per fare il salto, nella maggior parte dei casi trovano quel posto magicamente già occupato da qualcun altro con cui sicuramente non condividono il bagno.
Sembra che non vengano neanche ascoltate, come racconta Lacy, una delle dipendenti che ha scelto di testimoniare, ma anche di lasciare la compagnia a causa di come veniva trattata. Un giorno provò a fare un esperimento, chiedendo a un suo collega di proporre un’idea di cui lei aveva già parlato durante una riunione, ma che non fu ascoltata, e proprio come immaginava, quella stessa idea venne accolta con incredibile entusiasmo.

«Qui la “Bro culture” è terribilmente reale. È come lavorare all’interno di una grande fratellanza»

Fortunatamente però, chi decide di restare non è totalmente solo. Soha El-Sabaawi, presente in azienda da più di due anni e mezzo e precedentemente a capo di un’organizzazione no-profit che aveva come scopo quello di aiutare e valorizzare le sviluppatrici di videogiochi, ha come obbiettivo quello si sensibilizzare a favore della diversità e dell’inclusione attraverso dei corsi, sia per i dipendenti che per gli intervistatori.

Le soluzioni dunque ci sono, le abbiamo davanti agli occhi, ma troppo spesso succede che anche chi crede davvero nel cambiamento quasi quasi perde le speranze nel vedere che dopo tutti gli anni e le parole spesi in favore dell’emancipazione e dell’uguaglianza ci si ritrova ancora in un mondo prevalentemente sessista, dove c’è ancora chi rischia di non potersi pienamente affermare nel lavoro o anche solo come persona, solo perché è nato con i genitali “sbagliati”. La storia del progresso umano è davvero curiosa: siamo riusciti a capire che siamo simili alle scimmie, ma non che tra di noi siamo tutti uguali.

Fonte: Kotaku




10 punti a favore della battle royale

La Battle Royale è, nel 2018, il genere dominante; con i suoi milioni di player è sicuramente la tipologia di videogame più giocata al momento grazie a titoli quali Fortnite e Playerunknown’s Battlegrounds, e ai numerosi epigoni che ne sono nati. Molti ne hanno fatto già oggetto di polemica, molti li vedono come il male, come materia di consumo, ma in realtà hanno apportato vari benefici e hanno molto da insegnare. Vi diamo dieci motivi per cui il genere fa bene a tutti, developer e non.

1. Puoi essere punito

Nessuno avrebbe pensato che un gioco dove 99 volte su 100 si perdono i progressi acquisiti sul campo avrebbe avuto successo: qui, dopo aver sudato sul farming, si può perdere tutto anche con un minimo sbaglio. I Battle Royale ci insegnano le conseguenze degli errori punitivi.
Negli ultimi anni, gli sviluppatori hanno tentato di allontanare i giocatori da qualsiasi fattore negativo: in Overwatch il kda (rapporto uccisioni/morti/assist) è sostituito da medaglie ricevute attraverso le azioni fatte dal giocatore.
Invece, titoli quali PUBG, ti sbattono in faccia il fallimento. Ma è proprio questo che riporta i giocatori a fare delle partite, la voglia d’imparare e di dominare sugli altri. Il fallimento, spinge i giocatori a migliorare le proprie abilità così da poter abbattere qualsiasi avversario. E non poi tanto diverso, sia sul mercato videoludico che nella vita, no?

2. Free to Play > gioco a pagamento

Uno dei fatti più importanti riguardanti il genere è la lotta per la ribalta tra due giochi che dominano la scena del genere: PlayerUnknown’s Battlegrounds, titolo di fascia di prezzo media che è stato surclassato sei mesi dopo dalla versione F2P (free to play) di Fortnite. Nonostante sia stato rilasciato dopo il titolo di Bluehole, il gioco di Epic domina oggi in termini di utenti.
Affiancato a molti fattori che hanno portato al successo di Fortnite, il più grande contributo al successo del gioco è stata la mancanza di un costo. Avendo visto questa dinamica in giochi famosissimi come League of Legends e Hearthstone, è ormai palese che il modello F2P rende di più, se ben utilizzato. Buon per gli utenti che possono giocare gratis, e bene per gli sviluppatori che imparano a farne tesoro.

3. La qualità è tutto

Vero, quel che è gratis si può fruire facilmente. Ma questo non vuol dire che non importi la qualità Un altro fattore dominante di Fortnite è come si è gestito dopo il lancio. Il titolo di Epic è stato costruito su basi più stabili, essendo appoggiato a un gioco già esistente. La software house è stata in grado di aggiornare il loro gioco con maggiore attenzione e frequenza a quel che volevano i giocatori: una maggiore varietà di gameplay e skin da poter acquistare. Nel frattempo, PUBG , d’altro canto, ha faticato per colpa del “peso” del titolo, i numerosi bug ecc ecc, lasciando la propria fanbase infastidita e col tempo meno propensa a giocare al loro gioco.
Visto che i giochi diventano sempre più qualcosa di routinario, l’ampliamento e la variazione dei contenuti permette un aumento di giocatori e il loro mantenimento all’interno del gioco, e gli sviluppatori lo sanno: un gioco che vuole lunga vita, deve avere un alto livello qualitativo.

4. SKIN SKIN SKIN

Tutti i F2P incassano i soldi tramite piccole transazioni estetiche, cappelli, magliette, animaletti ecc. Nel caso di Fortnite, il titolo ha portato a una vera è propria “skin mania”: dobbiamo ricordare che il titolo di Epic Games ha raggiunto il primo posto sull’App Store proprio in tema di transazioni.
L’ampia vendita di skin e oggetti vari è dovuta al fatto che i giocatori (specie i più costanti) vogliono differenziarsi gli uni dagli altri in combattimento. All’interno di Fortnite, le skin migliori si ottengono tramite il pass battaglia (che costa 10 euro). Ovviamente, anche qui la qualità è fondamentale: più le skin saranno belle, più bello sarà il gioco. Un vantaggio per i giocatori, che avranno elementi estetici più belli, e per i developer, che incasseranno di più.

5. Modder al lavoro!

All’inizio del decennio, sembrava che la scena indie sarebbe stata la fonte di una nuova aria di rinnovamento per l’ambiente videoludico grazie alle nuove esperienze e a nuove tipologie di giochi.
In pochissimo tempo la scena dei modder è diventata il fulcro di creazione di generi (ricordiamo la nascita dei MOBA). All’interno del settore vengono sperimentate molte idee, quindi se una mod attira pubblico arriveranno altri titoli dello stesso genere o spin-off, con l’idea che si modifica e migliora. La prima mod della Battle Royale è comparsa nel 2012 su Minecraft (Hunger Games), impiegando cinque anni per diventare ciò che conosciamo oggi attraverso una manciata di modder che hanno avuto un ruolo chiave. Qui è dove i giocatori si fanno sviluppatori. Che meraviglioso inno alla creatività.

6. L’evoluzione del genere è rapida

Una volta che un gioco è stato rilasciato e il predecessore è surclassato, c’è l’inevitabile reazione dello sviluppatore “indignato”, che farà di tutto per denigrare il nuovo titolo. Tuttavia, è facile perdere la cognizione di ciò che sta realmente accadendo: la rapida evoluzione di un genere.
Mentre la battle royale ha visto sei anni di perfezionamento dalla parte mod, solo negli ultimi mesi abbiamo visto la reale trasfigurazione del genere.
È in momenti come questi che dobbiamo ricordare che, quando i developer della metà degli anni novanta iniziarono a elaborare le meccaniche per quello che oggi conosciamo come sparatutto in prima persona, i loro lavori furono soprannominati inizialmente come “cloni di Doom“. E un genere nasceva, fino a diventare uno dei più importanti del mondo videoludico come lo conosciamo.

7. Crossplatform ovunque

L’utilizzo di più piattaforme di gioco è sicuramente un enorme vantaggio. Il successo di PUBG e di Fortnite ha portato questi titoli dal PC alle console sino al mobile con un successo impressionante.
I controlli virtuali dei telefono touchscreen sono sempre stati molto imprecisi e troppo “meccanici” ma, grazie al fatto di aver mutuato l’utilizzo dei controlli da titoli cinesi come Arena of Valor, sia Fortnite che PUBG sono riusciti ad avere versioni mobile abbastanza giocabili.
Inoltre, il crossplay di Fortnite consente ai giocatori di qualsiasi piattaforma di giocare con chiunque vogliano. Epic sta quindi guidando, simbolicamente, un’armata per poter distruggere il muro protettivo che divide le piattaforme di gioco, a vantaggio di tutti.

8. La Battle Royale fornisce aneddoti infiniti

Una delle caratteristiche uniche della battle royale è la possibilità di poter creare aneddoti infiniti: «sai, una volta in una partita di PUBG ho fatto un salto mortale con la moto uccidendo 2 persone».
Questo succede grazie all’inserimento di 100 giocatori all’interno di una partita, creando dunque milioni di possibili futuri. Si hanno delle interazioni intenzionali ma impreviste vista l’impossibilità di sapere come risponderà l’altro giocatore.
Paragonati ai Battle Royale, i MMORPG, sono completamente devoti a quello che i progettisti hanno creato per loro: l’esperienza di due giocatori che si scontrano in un raid è spesso simile. Invece, giochi come Fortnite si liberano dai percorsi “base” dando spazio ai giocatori, al fato e alla creatività di quest’ultimi.

9. Potere agli Esport

Con il genere Battle Royale è molto difficile creare qualche torneo su ampia scala ma, ricollegandoci a quanto detto nel punto 8, la grande variabilità di gameplay spinge i due re del genere alle prime posizioni di Twitch, battendo anche il colosso League of Legends.
Con un pubblico giornaliero medio di 15 milioni di utenti, Twitch è diventato una risorsa importante per i giocatori. Ed è proprio questa “pubblicità” gratuita che ha permesso a titoli come Fortnite di crescere così rapidamente. Infatti, Epic stessa ha scritto una grande lettera agli streamer e ha offerto loro una competizione con un montepremi da 100 milioni di dollari. La crescita degli Esport è importante per il mondo dei videogame, che può usufruire oggi anche del riconoscimento del Comitato Olimpico. Non poco per la dignità del settore.

10. Il gioco è ora la cultura pop

Da Drake su Twitch ai calciatori inglesi, il successo di Fortnite ci ha dimostrato che ormai i videogiochi sono un riflesso della cultura pop. Durante la “Pac-Mania” degli anni ’80 e la breve iconicità di Lara Croft negli anni ’90, sembrava che i giochi fossero qualcosa di passeggero. Oggi pare che i media più diffusi vogliano affrontare temi videoludici allo stesso modo della musica, del cinema, della TV o della stampa. Con ogni anno che passa, i videogiochi diventano sempre più mainstream all’interno della cultura generale.
Oggigiorno i videogiochi non sono la più fruiti soltanto da una piccola parte del mondo: ormai sono usati per intrattenere e sono posti allo stesso livello dei film o della musica. I videogiochi sono adesso cultura pop!




Nahar Comics & Games 2018

Il 5 agosto 2018 si è svolta la seconda edizione di Nahar Comics & Games presso il Palazzo Malfitano di Naro, bene storico costruito durante il XV secolo, al quale gli organizzatori si sono ispirati per creare per la propria città un’originale versione a tema medievale della fiera del fumetto che si tiene da anni in molte altre città italiane.
Entrando dal portone sul lato ovest del palazzo, superando la biglietteria, si accedeva subito all’arena medievale del gruppo La Fianna, dove tra le ore 10:00 e le 20:00 era possibile sfidarsi in tornei di spade e in gare di tiro con l’arco, mentre accanto vi era un’area caffè allestita dalle Maidolls, Maid Cafè che mischia la cultura giapponese con lo stile vittoriano ormai molto in voga nelle fiere di settore.

Inoltrandosi nel castello si poteva accedere al primo piano per arrivare all’area gaming allestita dai Not Found ASD, dove molti hanno potuto giocare a noti esport come Overwatch, Fifa 2018, League of Legends e, dalle 16:00 in poi, hanno potuto sfidarsi in tornei di Tekken 7, Fortnite e Hearthstone.

Dall’altro lato dello stesso piano si trovava invece l’area conferenze, dove l’artista Daniele Procacci, forte di un’esperienza decennale in varie Accademie di Belle Arti, ha illustrato le sue tecniche di concept art per il cinema, e i migliori modi per dare vita a creature e mostri che possano ispirare un copione.

Restando invece nel corridoio e uscendo dalla porta a sinistra, si poteva accedere a un giardino con l’area espositiva allestita dal falconiere Gianfranco Guarino, dove era possibile osservare un falco pellegrino, un gufo e un barbagianni, addestrati per essere tenuti in mano o accarezzati.

Sotto il giardino vi era un’area palco, dove si è tenuta la conferenza con lo youtuber MrPoldoAkbar che ha spiegato come hanno avuto origine e come si sono diffuse le memes, e il cosplay contest.

Proseguendo oltre l’area palco vi era l’area illustratori, dove era possibile farsi fare dei disegni su misura, mentre nella stanza accanto, in un’area dedicata ai giochi da tavolo, allestita dalla fumetteria Kalòs Games & Comics, era possibile giocare a boardgame e cardgame come Callisto Uno, sfidarsi in un torneo di Yu-Gi-Oh! o comprare action figure e manga.

Proseguendo, nella stanza accanto vi erano vari stand, da quello dedicato alla vendita di gadget per nerd a uno a tema Harry Potter a uno dove si poteva acquistare il Bubble Tea e dei dolci confezionati giapponesi.

Nonostante alcuni problemi tecnici in area conferenze, e un temporale che ha causato l’interruzione della gara di cosplay, che è stata in seguito ripresa, e vinta da Martina Campo con la rappresentazione di Esmeralda de Il gobbo di Notre Dame, la fiera del fumetto narese è stata una bella esperienza e pensiamo che nelle prossime edizioni possa solo migliorare.




Fortnite “cannibalizza” utenti da altri titoli

Il successo di Fortnite è stato accolto bene anche da compagnie come EA, Activision Blizzard e Take-Two, le quali ritengono che il gioco attiri nuovi giocatori sul mercato videoludico invece che rubare i loro (giocatori).
Ma secondo una ricerca di Superdata ci sarebbero di indizi di «materiale cannibalizzazione dei migliori franchise» e che quindi il titolo di Epic Games stia in realtà danneggiando il successo di giochi del calibro di  League of Legends, Counter-Strike: Global Offensive, e Overwatch.
Superdata ha anche notato che il pubblico di questi giochi generalmente guarda anche altri giocatori in streaming su Twitch, in termini di visualizzazioni possiamo osservare che nei mesi di aprile, maggio e giugno c’è stato un incremento del 59% per Fortnite, paragonato al -19% di  League of Legends, al -51% di CS:GO e al -16% di Overwatch.
Inoltre  la ricerca ha messo in risalto che le vendite di titoli digitali  su console hanno subito un duro colpo a causa di Fortnite.
Le vendite digitali totali per console, in questa ricerca definite come un combinato di titoli premium e free to play per Playstation e Xbox, sono salite al 49% nel giro di un anno, rispetto al secondo trimestre del 2017 ,afferma Superdata, e le vendite di questo trimestre sono salite dall’1 al 7% per lo stesso periodo rispetto allo scorso anno. Non considerando gli incassi generati da Fortnite sul controllo il quadro cambia di molto. Senza Fortnite le vendite totali digitali per console nel secondo trimestre 2018 calano del 6% rispetto allo scorso anno.

 




Ritirarsi dagli eSport a 24 anni

Come citato da Engadget, dopo 11 anni di attività, Matthew “Burns” Potthoff si è ritirato da player professionista di Call of Duty ad appena 24 anni. Oggi, due anni dopo il ritiro, lavora dietro le scene per eUnited, una squadra di eSport con giocatori professionisti di Call of Duty, Counter-Strike: Global Offensive, Gears of War, Smite e Playerunknown’s Battleground.

Fa strano sentire di un player professionista che si ritira a questa giovane età: negli sport tradizionali, come il calcio, siamo abituati a sentire di ritiri dal professionismo dopo i 35, o 40 anni. Eppure negli eSport, settore nato da poco, ma in grandissima espansione, tanto da ricevere grossi investimenti e apprezzamenti da figure storiche del gaming, come John Romero, e addirittura da parte del CIO, il comitato olimpico internazionale, il ritiro di Potthoff fa notizia. Com’è possibile ritirarsi dalle competizioni in giovane età? Ce lo spiega proprio lui, raccontando la sua storia.

Gli inizi di Matthew sono umili: il padre lo accompagna al suo primo torneo nel 2005, in una piccola esibizione per giocatori di Halo e Call of Duty. Burns ha partecipato a entrambi i tornei, riuscendo a vincere pure un premio, ma di entità inferiore a quanto pubblicizzato, e quindi il genitore sentenziò che gli eSport erano una truffa.

Tredici anni fa, la situazione del professionismo videoludico era molto diversa rispetto a quella che conosciamo adesso: nonostante piccoli tornei già attivi sul suolo americano, mancava la scintilla che avrebbe acceso la miccia degli eSport. Ci toccherà attendere quattro anni per l’exploit mondiale di League of Legends, e addirittura sei anni per il primo torneo milionario di Dota 2. Sei anni che ci separano pure dalla nascita di Twitch, fattore fondamentale per la crescita di questo settore.

Ma Potthoff aveva fiutato il potenziale del pro gaming, e cominciò a partecipare sempre a più tornei possibili, fino a vincere un free-for-all nazionale di Modern Warfare 3, portando a casa ben 25.000 dollari.
A proposito del suo iniziale approccio al professionismo, Burns ha dichiarato:

«Penso che molti giocatori possano capirmi: ai tempi usavo i videogiochi come uno strumento per sfuggire dalla dura realtà. I miei genitori si erano appena separati, e vivevo tra la casa di mia madre e quella di mio padre, e l’unico modo che avevo per non perdere i contatti con i miei amici era quello di giocare online insieme. Dopo qualche anno ho notato che avevo del talento, e che a scuola parlavano tutti di quanto fossi forte. Ma nonostante la creazione di DeathWisH, il mio team, ho deciso che era meglio accantonare il mondo degli eSport e concentrarmi sul college: solamente dopo essermi laureato in economia dell’intrattenimento ho deciso di ritornare a tempo pieno nel campo del gaming professionistico.»

Anche qui, sembra che il destino abbia compiuto un cattivo scherzo al ragazzo: solamente nel 2014, due anni dopo aver preso la laurea, è stata introdotta la prima borsa di studio dedicata agli eSport, a cura della Robert Morris University. Solamente due anni dopo sarebbe nata la National Association of Collegiate eSports, un ente che riconosce e gestisce programmi di eSport in più di 60 college americani e che punta a diventare l’equivalente videoludico dell’NCAA, la lega collegiale americana di sport come basket e football.

«Cos’avrei fatto se la scena professionistica di allora fosse come quella odierna? Probabilmente avrei lasciato il college per dedicarmi agli eSport al 100%. Dico così perché allora i salari erano molto inferiori rispetto a quelli odierni: quando avevo 21 anni guadagnavo circa 500 dollari al mese ed ero costretto a vincere tornei per portare il cibo in tavola. Adesso ci sono ragazzi di 16 o 17 anni che guadagnano quanto guadagnavo a 21 anni, e hanno tutto il tempo per migliorare le loro abilità.»

La questione dei salari merita un approfondimento: l’industria degli eSport è in crescita e si sta stabilizzando, con giochi di prima fascia come League of Legends oppure Overwatch dove sono stati istituiti i salari minimi per i giocatori professionisti, rispettivamente a 75.000 dollari per il MOBA di Riot Games e 50.000 dollari per il titolo di Blizzard. Però non sono tutte rose e fiori, e anche un sistema in rapida crescita presenta delle discrepanze: infatti Call of Duty non garantisce un salario minimo e non ha le stesse regole dei due giochi citati in precedenza.

All’epoca anche la CWL Pro League, il campionato mondiale di Call of Duty, era strutturato in un modo diverso: veniva usato un sistema simile ai campionati calcistici europei, con promozioni e retrocessioni, dove la squadra con più punti partecipava ai mondiali, dove il premio consiste in 1,4 milioni di dollari. Era lo stesso sistema usato da League of Legends e Overwatch, almeno fino allo scorso anno, dove sono stati introdotti i salari minimi – come citato prima – ma soprattutto, il passaggio dai team a veri e propri franchise, adottando quindi un modello simile a quello che si vede sui parquet dell’NBA o negli stadi della NFL.
Anche a causa del sistema non al passo con i tempi della CWL, Potthoff, ha deciso di ritirarsi, dopo la sconfitta decisiva per 4-3 in un’entusiasmante duello tra gli H2K e il suo team, i Liquid.

«Vincere quella serie avrebbe rilanciato la mia carriera, oltre che aumentato il mio stipendio. Avrei potuto vivere tranquillamente per 8-9 mesi, ma è andata male, e non c’era un torneo da disputare per 4-5 mesi. Avevo pure smesso di giocare, perché la ferita era troppo profonda. Ho riprovato a tornare in carreggiata con un paio di tornei dove sono arrivato tra i primi 24 e i primi 16, ma lì ho capito che non c’era più niente da fare, e quindi ho appeso il pad al chiodo.»

Burns aveva deciso di mollare la vita da pro-player, ma non quella del mondo che ha amato per anni: a 26 anni, nel 2016, entra in eUnited prima come head coach e adesso ricopre la carica di general manager, dove si occupa dello sviluppo e del recruiting di molti giocatori giovani.
A proposito di quest’incarico, Potthoff dichiara:

«Abbiamo anche reclutato quattro giocatori minorenni, ma non metterò mai gli impegni del team prima dei loro obblighi, come scuola e famiglia. Ma ci stiamo impegnando per renderli dei veri professionisti: personalmente penso che siano già a un buon livello, e la loro giovane età li mette in un’ottima posizione, visto che sono gli unici giocatori minorenni della comunità professionista di Call of Duty, e vogliamo dare il giusto input per far partire la loro carriera da pro-players, così come loro vogliono mettercela tutta per riuscirci.»



Akracomics & Games 2018

È giunta al termine la 4a edizione di Akracomics 2018, la fiera dedicata a gamer, otaku, artisti, giocatori da tavolo, cosplayer, cantanti e ballerini, che durante questo evento hanno avuto la possibilità di mettere alla prova le proprie capacità e di incontrare persone con le proprie stesse passioni.
L’evento si è svolto ad Agrigento lo scorso 3 e 4 marzo, presso l’Hotel Tre Torri. Attraversando il corridoio principale era possibile accedere a un’area nella quale si poteva assistere a varie conferenze in una sala dedicata: il primo giorno si è aperto con lo youtuber Michael Righini che ha presentato il trailer di Fuga dalla morte 2 e, nonostante alcuni problemi tecnici abbiano impedito la visione a schermo intero, quel che si è visto prelude a un lungometraggio emozionante, curato e di cui non mancheremo di seguire gli sviluppi. Nella stessa sala, si sono susseguiti vari incontri interessanti, fra cui quello con i Nerd Attack, il Quizgame di Alberto Seminerio, una conferenza sul doppiaggio con Alberto Pagnotta e una su Social media e clickbait tenuta dagli admin della pagina Robe a caso da Wikipedia.
Il secondo giorno, hanno presentato i loro libri Gabriella Bertolino, Danza Macabra e Daniele Di Franco, Cryogenic Enterprise il quale presenta una novità interessante, con in ogni capitolo un QR Code circolare da scannerizzare con l’apposita app per visualizzare immagini 3D in realtà aumentata; le conferenze sono terminate alle 15:30 con i ragazzi di Robe a caso da Wikipedia e la loro conferenza su eSport e Cosplay.
Più avanti nello stesso corridoio si accedeva all’Area Espositori, dove era possibile acquistare gadget relativi a giochi, saghe di film e libri e serie tv rivendute dagli appassionati, o oggetti lavorati a mano da decoratori ed artigiani.

Nel cortile esterno si trovava un circuito per equitazione allestito dal Centro Ippico San Benedetto, dove i bambini potevano fare un giro sul pony, guidati dall’istruttrice Lisa Agozzino. A destra del palco vi era l’area medievale, dove ci si poteva sfidare a colpi di spade o bere dell’idromele ed altre bevande ispirate al tempo.
Sul palco, il primo giorno, dopo l’intrattenimento con Alberto Pagnotta, a turno si sono esibite le ragazze del Mero Mero Maid Cafè con un loro Dance Show, e la cosplayer Giovanna Fiaccabrino, in arte Fellesia, con danze a tema K-pop (l’ultima moda proveniente da Oriente in fatto di musica) e breakdance con il ballerino Ignazio di Raimondo. È stato dato anche spazio al pubblico con gare dilettantistiche di entrambi i generi. Nel primo pomeriggio si è assistito anche all’esibizione del Dojo Karate Kyokushinkai Agrigento, dove gli allievi, guidati dal Sensei Alessandro Caramanno, hanno eseguito kata, ovvero composizioni di tecniche anche dette combattimento immaginario che vengono studiate dagli atleti in quanto allenano ad avere il pieno controllo dell’equilibrio e dello spazio circostante; si sono sfidati in combattimenti a contatto pieno, e hanno mostrato tecniche di rottura spaccando bastoni di legno con il solo uso di calci e pugni. Verso sera, è salita sul palco Lua Alcatraz con il suo coinvolgente spettacolo di fuoco. La serata si è conclusa con lo show del Nerd Attack e quello degli youtuber Michael Righini e Francesco Merrino.
Il giorno dopo, la domenica, oltre che a una nuova esibizione di tutti i sopracitati. si è tenuto il Cosplay Contest, che è stato uno dei momenti centrali di questi due giorni.Spostandoci invece in Area gaming, a sinistra si trovavano computer da gaming  e tornei di League of Legends, Counter Strike:Global Offensive, Overwatch, Hearthstone, Devil May Cry e Rocket League, mentre nel tavolo isolato, sempre con un loro pc, accanto alla zona tornei era possibile provare il nuovo Oculus Rift. L’area centrale era destinata alle Playstation e alle Xbox, dove si sono svolti tornei di Fifa, Pes, Halo, Call Of Duty, Mortal Combat, Tekken TT2, Naruto, Super Smash Bros- e Mario Kart 8, e dove è stato possibile provare il nuovo Playstation VR. Per chi preferiva invece i giochi da tavolo c’era anche un’area dedicata dove si poteva giocare a grandi classici come Genda, Poker, Uno o anche a svariati giochi di carte moderni.C’era anche un area dedicata al contest di disegno, con tema il fumetto in tutte le sue forme: ai partecipanti venivano forniti fogli, matite, gomme e pennarelli per inchiostrazione. Sul lato sinistro della sala erano disposti vari stand dove era possibile farsi fare una foto e far dare un tocco artistico dai professionisti, o acquistare manga e fumetti, mentre uscendo all’esterno, vicino al bordo piscina c’era l’Area Zombie, obiettivo del gioco era prendere degli oggetti senza farsi catturare dagli zombie.

Lo staff di BoomBuy ci ha permesso di fare una prova del visore Oculus Rift, su un pc con le seguenti specifiche:

  • Processore: Intel Core i5-7400
  • Memoria RAM: 16GB
  • Scheda grafica: Nvidia GeForce GTX 1060 6GB
  • Dissipatore custom

Il gioco in questione era una demo della serie Roller Coaster, un simulatore di montagne russe: i sensori di movimento erano abbastanza sensibili ed efficienti e si percepiva anche il senso di vertigini andando in alto, ma lo scenario sembra quasi “spostato” rispetto alla posizione in cui si trova l’utente, e questo potrebbe derivare da un problema della demo in questione, dato che in altri titoli il dispositivo pare funzionare molto bene, nonostante a oggi risulti ancora molto oneroso.
Ma le avventure nella realtà virtuale non finivano lì: per gentile concessione di Nextgen, abbiamo testato il Playstation VR per PS4, giocando a Farpoint in combinazione con l’Aim Controller, fucile creato ad hoc per il titolo, ed è stata un’esperienza a dir poco unica. Dal momento in cui si indossa il visore è come se si entrasse in una nuova dimensione, con ambienti fatti su misura per il giocatore, abbastanza realistici: difatti qualsiasi emozione risulta particolarmente amplificata rispetto a un classico gioco davanti allo schermo. Il tracciamento del controller è particolarmente reattivo e preciso, le vibrazioni conferiscono realismo all’esplosione dei colpi, mentre i giroscopi integrati consentono di girare il fucile, con una grafica molto ben curata anche rispetto a molti altri titoli in VR. Si notano ovviamente anche dei difetti, come dei piccoli spazi vuoti tra gli angoli degli ambienti che si vedono spostandosi troppo verso una direzione, o il fatto che usando la mano sinistra per tenere il controller la si vede in alto invece che sotto l’impugnatura del fucile, e probabilmente, al netto di tutti i noti limiti attuali della tecnologia VR, sarebbe un bel passo avanti iniziare a pensare anche ai giocatori mancini. Farpoint del resto si può considerare un’evoluzione interessante del genere shooter on-rail, dove contano sia i riflessi che la mira, questa volta quella diretta, nonché una delle migliori esperienze al momento possibili in VR.
Per finire le esperienze nella realtà virtuale, era possibile sedersi sulla Playset Evolution per giocare a  Gran Turismo Sport, titolo che risulta abbastanza fluido, con i sensori di movimento che facevano a pieno il proprio dovere: le curve erano visibili in profondità (cosa impossibile usando normalmente un monitor) e si aveva il pieno controllo della rotazione della telecamera con la testa. Il realismo era buono, tranne per quanto riguarda le mani che non seguivano il movimento reale, per fare ciò sarebbe necessario sviluppare degli appositi guanti dotati di sensori, ma non sembra fondamentale trattandosi di un gioco di corse automobilistiche. Era possibile effettuare solo due giri di pista e solo contro un’altra autovettura, ma in compenso c’erano diversi modelli di macchine a disposizione e una vasta scelta di circuiti.
GameCompass, media partner dell’evento assieme a Teleacras, ha raccontato l’evento in Tv e tramite varie dirette facebook, e ne ha approfittato per organizzare contest con in palio giochi per PC, PS4 e PSVR vinti da più di 40 fortunati su oltre 200 partecipanti.
Akracomics & Games 2018 è un’esperienza che cresce sempre di più e, pur cominciando come un piccolo evento, si fa sempre più simile ai grandi Comics nazionali, dando agli appassionati del territorio siciliano un altro momento celebrativo per la cultura nerd.