Nvidia RTX: tutti i dettagli e i migliori monitor per sfruttarle

Poco tempo fa, è stata annunciata una nuova generazione di schede grafiche NVIDIA, marchio ormai garanzia per quanto riguarda il gaming ad alte prestazioni. Sono state presentate alla Gamescom, durante la quale l’amministratore delegato della società Jen-Hsun “Jensen” Huang ha rivelato la nuova serie di schede grafiche GeForce 20, con  principale caratteristica, l’implementazione in hardware del Ray Tracing. La sigla che segue il nome GeForce, GTX nelle famiglie precedenti, è stata cambiata in RTX, facendo riferimento proprio all’uso di questa tecnologia.
La più potente delle tre è la GeForce RTX 2080Ti, 4352 Cuda Core, 11 GB di memoria GDDR6 con ampiezza di banda di 616 GB/s. Ha bus memoria di 352-bit e la velocità di quest’ultima di 14 Gbps. La GPU ha valore di base 1350 MHz, ma raggiunge i 1635 Mhz in overclock. Per le “minori” , la GeForce RTX 2080 ha 23 Turing SM e 2944 CUDA core, mentre la RTX 2070 con 18 Turing SM e 2304 CUDA core.

Ma esattamente in cosa consiste il Ray Tracing? Questa tecnica, consente il rendering della grafica in tempo reale, finora risultata difficile a causa dell’insufficiente capacità di elaborazione dell’hardware in commercio.
Consiste nel proiettamento dei raggi di luce dal punto di osservazione agli oggetti, i quali poi, rimbalzando nuovamente dagli oggetti al resto della scena, danno vita a una relazione fonte di luce – oggetto molto realistica, tutto basato su un algoritmo che segue il percorso tracciato da ogni singolo raggio al fine di determinare il colore del pixel su cui è proiettato, fermandosi non appena la destinazione risulta essere definitiva; in caso contrario viene gestito l’effetto conseguente di riflessione o rifrazione.
Nella tradizionale tecnica di rasterizzazione, l’illuminazione nella scena virtuale veniva gestita a partire dalla fonte di illuminazione, invece il Ray Tracing parte dal punto di osservazione.
Viene risolto quindi un problema di ottimizzazione creatosi con il progredire della qualità grafica dei videogiochi con rasterizzazione, dipendente dell’aumento delle fonti di illuminazione; avendo motori grafici supportanti l’illuminazione globale, il numero di fonti di illuminazione non è più importante quanto piuttosto il singolo pixel della scena.

Queste nuove schede rappresentano a tutti gli effetti una rivoluzione nel campo della grafica ad alte prestazioni, ed è stata anche coniata una nuova unità di misura, Giga Rays, per poter misurare la capacità di una specifica configurazione hardware di gestire il Ray Tracing. Ad esempio, gli RT core dell’architettura Turing elaborano 10 Giga Rays/s; in particolare, Jensen ha dichiarato che la RTX 1080 Ti è in grado di gestire 1,21 Giga Rays/s.
La nuova architettura Turing, caratteristica fondamentale delle nuove schede, in breve funziona così: in un primo momento partono shader e Ray Tracing, poi le operazioni in FP e INT. Infine, entrano in campo i Tensor Core. In futuro questi ultimi, potranno innalzare esponenzialmente la risoluzione di immagini non dettagliate, ottimizzando di molto il lavoro delle risorse hardware.

Stando ai benchmark forniti da Nvidia, le nuove RTX hanno un potenziale del 50% superiore in fatto di prestazioni rispetto alle schede precedenti con architettura Pascal, per quanto riguarda la gestione del Ray Tracing.
Ovviamente, le schede sono state confrontate mediante videogiochi tra cui Wolfenstein II: The New ColossusFinal Fantasy XV e Shadow of the Tomb Raider e, dati alla mano, la RTX 2080 ha il 150% della potenza rispetto alla GTX 1080, constatato anche tra 2070 e 1070, e addirittura tra 2080 Ti e 1080 Ti.
E mentre Shadow of the Tomb Raider non supera i 1080p e 40 fps, Battlefield V gira a 1080p con 60 frame al secondo sulla RTX 2080 Ti con Ray Tracing.
Secondo NVIDIA, il Ray Tracing verrà impiegato sempre di più nei giochi di prossima generazione, che l’architettura Turing permetterà di gestire con prestazioni decisamente superiori.

Chi volesse lasciare l’architettura Pascal per acquistare una scheda video Turing, dovrà fare i conti però con un prezzo che al momento è praticamente doppio, ma soprattutto perché sfruttare le nuove risorse richiede una forte limitazione in termini di risoluzione e frame rate, in particolare per quanto riguarda le 2070 e 2080.
Pertanto, nonostante i monitor 4K siano l’ultima moda, se si vuole investire su una RTX per sfruttare il Ray Tracing, l’ideale sarebbe abbinarlo ad un televisore Full HD, ovvero composto da una griglia di pixel 1920 x 1080, detto anche 1080p, o a un Quad HD, con risoluzione 2560 x 1440.
A questo proposito, abbiamo stilato una lista dei migliori monitor per PC in Full HD e Quad HD.

HP 22W

Caratteristiche:

  • Pannello IPS da 21.5″
  • Risoluzione Full HD (1920 x 1080)
  • Refresh rate a 60 Hz
  • Entrate video HDMI VGA con cavo HDMI incluso
  • Non provvisto di audio integrato

Prezzo consigliato: 129.99€
Prezzo attuale su Amazon: 89€

Samsung C24F390

Caratteristiche:

  • Pannello VA da 23.5″ curvo
  • Risoluzione Full HD (1920 x 1080)
  • Refresh rate a 60 Hz
  • Entrate video HDMI e VGA con cavo HDMI incluso
  • Non provvisto di audio integrato

Prezzo consigliato: 219€
Prezzo attuale su Amazon: 128,80€

LG 25UM58

Caratteristiche:

  • Pannello IPS Ultra Wide da 25″
  • Risoluzione Full HD (2560 x 1080)
  • Refresh rate a 60 Hz
  • Entrate video 2x HDMI con cavo HDMI incluso
  • Non provvisto di audio integrato

Prezzo consigliato: 199€
Prezzo attuale su Amazon: 158,92€

AOC Q3279VWF

Caratteristiche:

  • Pannello MVA da 32″ con risoluzione Quad HD (2560 x 1440)
  • Refresh rate a 75 Hz
  • Entrate video HDMI, DisplayPort, DVI VGA con cavi VGA, DisplayPort e HDMI inclusi
  • Non provvisto di audio integrato

Prezzo consigliato: 299€
Prezzo attuale su Amazon: 204,99€

BenQ BL2420PT

  • Pannello IPS da 24″
  • Risoluzione Quad HD (2560 x 1440)
  • Refresh rate a 60 Hz
  • Entrate video HDMI, DisplayPort, DVI VGA con cavi VGA e DVI inclusi
  • Non provvisto di audio integrato

Prezzo consigliato: 409€
Prezzo attuale su Amazon: 253,89€

Lenovo L27q-10

Caratteristiche:

  • Pannello IPS da 27″
  • Risoluzione Quad HD(2560 x 1440)
  • Refresh rate a 75 Hz
  • Entrate video HDMI e DisplayPort con con cavo HDMI incluso
  • Non provvisto di audio integrato

Prezzo consigliato: 299€
Prezzo attuale su Amazon: 249€




Dusty Rooms: la triste storia del 3DO

Verso la metà degli anni ’90 i nomi che componevano la scena videoludica erano ben di più di delle semplici Microsoft, Sony e Nintendo (se è per questo la prima non c’era proprio). Al di là delle leggendarie Sega e Atari, di tanto in tanto entrava qualche nome che provava a sfondare nel mercato videoludico ma non sempre lasciava un’impronta decisiva: gli arrivi degli hardware Casio, Philips o Apple (eh sì… un giorno ne parleremo) fecero storcere il naso a molti giocatori – tanto è vero che come arrivavano dal nulla, svanivano nel nulla ­– ma nel 1993 una console ebbe la possibilità d’inserirsi nel mercato, piantare radici e, chissà, a oggi poter essere ancora presente. Tutto cominciò quando Trip Hawkins, fondatore di Electronic Arts, si incontrò nel 1989 con Dave Needle e R.J Mical, designer dei computer Amiga e Atari Lynx, per creare una console in grado di imporsi nel mercato, dettare gli standard per le generazioni a venire e che il pubblico, sempre più interessato alla grafica poligonale, avrebbe apprezzato. L’esperienza del fondatore di EA, trascorsa a produrre giochi per console e PC dell’epoca, unita all’abilità di due designer che portarono alla nascita di due potentissime macchine da gioco, avrebbe dovuto essere una garanzia per una console spettacolare; fu così che da un tovagliolo di un ristorante nacque il progetto del 3DO, macchina che di lì a poco sarebbe diventata realtà.

(Trip Hawkins)

Un modello rivoluzionario?

3DO Company, fondata principalmente per sviluppare l’hardware, presentò la nuova console nel Computer Electronics Show del 1992 richiamando non poca attenzione da parte di fan, critici e persino stampa nazionale essendo stato discusso nella sezioni business del New York Times e Chicago Tribune. La console, il cui supporto ottico erano i compact disc, aveva un processore a 32-bit che girava a 12.5 MHz, in grado di garantire ben 20.000 poligoni dotati di texture, un’ottima risoluzione di 640×480, supportato anche dal segnale S-Video proprietario, e un chip sonoro in grado di campionare le tracce audio a 44.1 KHz; il controller, che ricalcava lo stile e il design di quello del Sega Mega Drive, includeva 5 tasti, un jack per gli auricolari e la seconda porta per i giochi multiplayer (in grado da poter collegare un numero indefinito di controller alla console… altro che conga!). Trip Hawkins era ambizioso e perciò aveva offerto ai developer un accordo imbattibile, ovvero il pagamento di soli tre dollari di royalty a 3DO Company per ogni gioco venduto, molto più competitivo rispetto alla concorrenza Nintendo (15$) e Sega (13$). Più di trecento developer firmarono per produrre su questa nuova potentissima macchina, anche se non tutti rispettarono il loro accordo. Sul fronte hardware invece la compagnia avrebbe ceduto le specifiche tecniche a terze parti affinché queste, con i loro mezzi, producessero la loro versione del 3DO. Pertanto, Trip Hawkins si rivolse alle maggiori compagnie giapponesi sia per produrre una console con componenti di qualità, che per sfruttare l’ottima reputazione di quest’ultime. I suoi obiettivi principali erano Sony e Panasonic ma riuscì solamente a firmare con la seconda (in quando la prima stava già lavorando al progetto PlayStation) anche se in compenso riuscì anche a coinvolgere Sanyo e Goldstar (che sarebbe divenuta più tardi LG). Nell’Ottobre 1993 il primo modello di 3DO, il Panasonic FZ-1 (ed è per questo che spesso l’intera console è spesso attribuita a questa compagnia), fu rilasciato al pubblico in bundle con Crash ‘n Burn, il primo gioco di Crystal Dynamics, e stando alle previsioni di Trip Hawkins avrebbe dovuto stravolgere il landscape videoludico grazie alla sua spaventosa potenza; tuttavia i problemi cominciarono dal day one.

Badaboom!

Il 3DO fu promosso in televisione e nelle riviste con pubblicità competitive e “toste”, similarmente alla competizione nel mercato e pertanto, puntavano allo stesso target demografico di Super Nintendo e Sega Mega Drive. Tuttavia, sebbene la libreria di giochi fosse abbastanza valida, il prezzo di 699,99 dollari era ben fuori dalla loro portata. Il motivo di questo sovrapprezzo era dovuto principalmente al coinvolgimento delle compagnie produttrici di hardware: Panasonic, Sanyo e Goldstar non avrebbero ricevuto nulla dalla vendita dei giochi e perciò dovettero gonfiare il prezzo affinché potessero ottenere dei profitti da questo progetto. Ci furono inoltre problemi di reperibilità hardware e software: Crash ‘n Burn finì per essere l’unico gioco disponibile al lancio della console per via del fatto che l’hardware finale è stato cambiato fino all’ultimo momento e perciò, i developer che avevano promesso delle uscite per lancio, non poterono testare i loro titoli rimandando così l’uscita a data da destinarsi. Per via dei cambi all’ultimo minuto, inoltre, si potevano spiegare anche le poche unità presenti nelle maggiori catene di negozi di elettronica; vennero distribuite circa due unità per negozio alienando così quei già pochi che potevano permettersela. A tutto questo si dovette aggiungere anche l’annuncio di Sony PlayStation, Sega Saturn, Nintendo 64 e Atari Jaguar, che sarebbe uscita un mese dopo il 3DO; anche se nessuna di queste console sarebbe stata reperibile in tempi brevi, i giocatori già in possesso delle console 16-bit erano più propensi ad aspettare e, semplicemente, lasciar perdere questa nuova costosa macchina che ben presto si sarebbe rivelata obsoleta.
Già nel 1994 il 3DO era in pericolo e perciò dovevano essere presi dei provvedimenti: ispirato dalle compagnie già esistenti, Trip Hawkins decise di contrattare con Panasonic per vendere le console in perdita recuperando così con la vendita dei giochi. Il prezzo passò da 699 a 499 dollari e più tardi, sempre nel 1994, Goldstar vendette la sua versione del 3DO per 399, che era per altro il prezzo di lancio del Sega Saturn. Nonostante questi saggi cambiamenti e una libreria di giochi rispettabilissima, verso la fine del 1994 3DO Company rimaneva a galla per miracolo e le loro azioni in borsa crollarono da 37 a 23 dollari a Dicembre. Il 1995 si aprì abbastanza bene per 3DO Company in quanto riuscirono a registrare delle buone entrate (anche se ancora non bastavano per coprire tutti i costi finora sostenuti) e videro il rilascio di alcuni dei suoi migliori giochi ma il periodo di rinascita cessò ben presto: Sega annunciò e rilasciò il Saturn nel Maggio del 1995 per 399 dollari e più tardi, a Settembre, Sony rilasciò la PlayStation all’imbattibile prezzo di 299. Questo fatale 1-2 segnò praticamente la fine del 3DO, sia in termini di competitività hardware che software in quanto molte delle loro migliori uscite finirono poco dopo su PlayStation e Saturn. Electronic Arts, che era il developer di bandiera del sistema, decise di abbandonare il progetto di Trip Hawkins definitivamente e così, deluso dalla decisione della sua stessa azienda, la abbandonò fondando 3DO Studio per poter produrre nuovi giochi di qualità per la sua console e per quella successiva. Nel 1996 infatti, venne annunciato un successore del 3DO chiamato M2: la console sarebbe stata prodotta esclusivamente da Matstushita e fu proprio con l’annuncio del nuovo hardware che la 3DO Company registrò il suo primo profitto di 1.2 milioni di dollari. Tuttavia la competizione era spietata e PlayStation dominò per tutto il 1996; a questo punto, nel 1997, non rimase altro che chiudere la divisione hardware e concentrarsi esclusivamente come software house per le altre console, fino alla bancarotta di 3DO Company nel 2003. Trip Hawkins, nonostante avesse perso la partita, fondò Digital Chocolate, compagnia tuttora attiva sotto il dominio della RockYou, che ha prodotto diversi giochi per mobile e Facebook; abbandonata la presidenza nel 2012 a oggi è professore di pratica nel corso di “technology managment” dell’università di Santa Barbara in California.

L’impatto del 3DO

Cosa rimane oggi del 3DO? Fare una top ten dei migliori giochi di questa console, come abbiamo fatto per il precedente Dusty Rooms, è un po’ inutile in quanto molti di essi sono apparsi su altre console e le vere esclusive, non sono proprio fantastiche. Il 3DO è stata la casa di bellissimi porting da PC, come Alone in the Dark, Myst e Lemmings, alcuni arcade, come Samurai Showdown e il porting definitivo di Super Street Fighter II Turbo, e altri titoli originali che sono apparsi poi sulle altre console dell’epoca e PC come Return Fire, The Need for Speed e Killing Time. Su 3DO è possibile giocare ai primissimi giochi di Crystal Dynamics come il già citato Crash ‘n Burn, Total Eclipse e il fantastico Gex. Tuttavia, e questo può anche essere citato come uno dei motivi del fallimento della console, 3DO ha ospitato una marea di giochi FMV (full motion video) che a oggi risultano bizzarri, brutti… E semplicemente fantastici! Come non si possono amare titoli come Night Trap, Mad Dog McCree e The Daedalus Encounter con le loro recitazioni di basso livello e il gameplay tutt’altro che user-friendly? E che dire dell’orrendo Plumbers don’t Wear Ties? Se vi addentrerete in questo genere vi garantiamo risate a mai finire!
A ogni modo: quanto vale l’acquisto di un 3DO di seconda mano? La nostra risposta è: dipende. Il prezzo, a oggi, è certamente invitante in quanto potrete aggiudicarvelo per una frazione di quel che costava all’epoca; tuttavia la libreria di titoli è veramente particolare e non sono giochi che potrebbero piacere a tutti, specialmente perché alcuni di essi sono reperibili in altre console. Inoltre, il 3DO è una console molto fragile dunque, se ne considererete l’acquisto su internet, fate in modo che il venditore vi mostri la console funzionante (sempre se il viaggio non la danneggi). Se siete interessati ad avere questo hardware originale e magari siete appassionati della scena videoludica di nicchia a cavallo fra il ’93 e il ’96 allora il 3DO è la console che fa per voi.
La tecnologia del 3DO M2, prima della sua cancellazione, era stata ceduta per lo sviluppo e perciò esistono alcuni giochi arcade Konami, usciti regolarmente nelle sale giochi, che girano su quell’hardware: fanno parte di questa rosa Polystars, Total Vice, Battle Tryst, Evil Night e Heat of Eleven 98. Inoltre, ma questa è una chicca per i soli “Indiana Jones” del retrogaming, sono stati prodotti anche dei prototipi dell’M2 ed è possibile vederli funzionare su YouTube; tuttavia, trovarli su eBay sarà pressappoco impossibile.