Bloodstained: Ritual of the Night – Il ritorno del re

L’anno scorso abbiamo dedicato molto tempo per discutere di Bloodstained: Curse of the Moon, inaspettato primo nuovo titolo di questa nuova saga ispirata a quella di Castlevania, dello sviluppo del titolo principale, che abbiamo finalmente giocato, dei battibecchi fra Konami e il creatore Koji Igarashi, dello sviluppo della campagna Kickstarter (il più velocemente finanziato prima del lancio di Shenmue 3), ma anche di Castlevania: Symphony of the Night e dell’eredità che porta con sé. Il caro Iga ha saputo ascoltare i backer del suo progetto e così ha rimandato l’uscita di Bloodstained: Ritual of the Night dal tardo 2018 al primo 2019 per poi essere spostata un’ultima volta per l’estate dello stesso anno. Il titolo, il cui progetto fu lanciato nel marzo 2014, è uscito lo scorso 18 giugno per PlayStation 4, Xbox One e PC e una settimana dopo (25 giugno) per Nintendo Switch. Quest’ultima sarà la versione che prenderemo in considerazione e vedremo insieme un vero e proprio gioco d’autore, uno di quelli in grado di elevare il videogioco a pura arte e decisamente uno dei migliori di questo 2019.

La versione Switch…

Ebbene sì, se avete avete seguito le vicende di Bloodstained: Ritual of the Night allora saprete che la versione per Nintendo Switch sta risultando la peggiore delle versioni uscite. Cominciamo col ricordare che lo sviluppo di questa particolare versione era cominciato originariamente su Wii U, produrre un porting per Switch non è stato facile viste le brutte sorprese in ambito multipiattaforma come Rime o Doom, ma altre volte il risultato si è rivelato al pari delle altre console, come il caso di Mega Man 11. Bloodstained: Ritual of the Night,  non si schioda dai 30 FPS e soprattutto, al di là di piccoli dettagli grafici mancanti, assistiamo a tempi di caricamento inaspettati fra una stanza e l’altra ma soprattutto crash e glitch legati soprattutto alle interazioni con gli NPC non nemici; anche il riprendere a giocare dopo uno stand-by, sembra destabilizzare l’intero andamento del titolo. Un aggiornamento è stato lanciato il 2 Agosto e sembra che il gioco sia più stabile, anche se ancora sussistono alcuni dei problemi sopracitati. Ciononostante i controlli risultano ben reattivi e l’esperienza totale è ben lungi dall’essere ingiocabile.

Il sogno di Koji Igarashi

Dopo le critiche a Castlvania: Symphony of the Night, elogiato come uno dei giochi più belli di tutti i tempi, era normale aspettarsi nuovi sequel ma la verità è che a Koji Igarashi non vennero mai dati fondi e tool a sufficienza per poter produrre un gioco al pari del suo precedente per via delle sue vendite non stellari. Bloodstained: Ritual of the Night è dunque il  suo secondo metroidvania per console, il primo dopo 23 anni in cui Koji Igarashi si è trovato a lavorare senza le limitazioni dei portatili e con la libertà e tool degni del suo genio creativo. Nonostante non possa più continuare le avventure dei personaggi che ha creato, il suo particolare interesse verso l’occulto, la magia e il fantasy si rispecchia in tutto e per tutto in questo nuovo titolo ufficialmente targato ArtPlay e distribuito da 505 Games.

La storia si svolge durante la prima rivoluzione industriale, sono anni di fermento scientifico e culturale e pertanto le arti occulte cominciano a divenire obsolete. Fra le nubi dell’eruzione di Laki del 1783, vulcano sito in Islanda, arrivano in tutta l’Europa centinaia di migliaia di demoni ma il tutto risulta essere uno stratagemma segreto di una gilda di alchimisti per ricordare alla classe dominante la loro importanza e che la tecnologia è impotente di fronte a entità di questo tipo. Per fronteggiare questa minaccia gli alchimisti forgiano gli Shardbinder, dei ragazzi al cui loro interno vengono impiantati cristalli in grado di sintonizzarli con il potere dei demoni e dunque combatterli.
Dopo questo incipit, cominciamo dal Galeone Minerva (quinto livello del precedente Curse of the Moon), e le prime fasi di gioco serviranno a farci prendere confidenza coi controlli e le abilità di Miriam, la protagonista. Grazie all’assorbimento del degli Shardbinder, Miriam potrà utilizzare le abilità chiave dei suoi nemici, che constano di cinque tipi: Attivazione, classica arma secondaria di Castlevania, Direzionale, simile a quello a precedente ma direzionabile con lo stick sinistro, Effetto, Famiglio, che permette l’attivazione di uno Spirito combattente di supporto che ci accompagnerà dal momento della sua selezione (livellabile anche lui come Miriam), e infine Incantato (noi preferiamo “passivo”) che darà ulteriori abilità alla protagonista in background (come resistenza al fuoco, aumento fortuna, velocità dei movimenti, etc…). A questi si aggiungono anche i Cristalli Abilità che permetteranno a Miriam di compiere nuove azioni, come doppi salti e il nuoto, utili per esplorazione del castello. Le abilità dei cristalli potranno essere ulteriormente migliorate portando a Johannes diversi materiali, drop casuali dei vari nemici del castello e collezionando ulteriori cristalli dello stesso tipo. Inutile ricordare dunque che, come un RPG, il personaggio aumenta di livello accumulando EXP a ogni nemico ucciso.
Il gameplay di base non porta grandi innovazioni, ma per quanto classico è semplicemente squisito: la mappa di gioco, è indubbiamente la più grande mai presentata in uno dei suoi giochi precedentemente prodotti ed è composta in modo tale da favorire un backtracking dinamico e tarato per la crescita della protagonista, caratteristica fondamentale di questo genere. Percorrere un tratto a ritroso non risulterà mai tedioso e tornando in aree già visitate avremo modo di controllare se abbiamo collezionato tutto quanto nell’area provando ogni nostra nuova abilità per accedere a luoghi precedentemente inaccessibili; talvolta è incentivato anche il sequence breaking, ovvero la capacità di visitare luoghi alla quale non si potrebbe accedere senza una determinata abilità ma accessibili se utilizzeremo al meglio quelle già acquisite. In ogni caso il vero fulcro di questo gioco è certamente l’esplorazione e in Bloodstained: Ritual of the Night ci viene consegnato un ambiente veramente eccezionale, una mappa che incentiva la curiosità, l’esplorazione, il backtracking e lo spingersi a superare nemici e ostacoli a ogni costo.

Inoltre, per la prima volta, è stato implementato un sistema di slot per salvare un determinato equip e selezionarlo al momento del bisogno in base alla situazione. Potremo trovarci con una spada con un effetto di fuoco e pertanto a esso potremo equipaggiare vestiti, accessori e un cristallo passivo che ne incentivi i danni. L’arma principale di Miram non differisce molto da una spada e il suo raggio d’azione è veramente povero, tutto il contrario di quella vista nel precedente titolo in cui era permesso il tenere una certa distanza tra noi e i nemici.
Insieme alla campagna di Miriam e alla partita+, nonché alle diverse difficoltà proposte, possiamo sin da subito giocare alla modalità Boss Rush e Time Attack ma ben presto verranno rilasciati ben 13 DLC gratuiti che promettono modalità co-op, versus, una Classic Mode e altri due personaggi giocabili, primo dei quali l’ammazza-vampiri nipponico Zangetsu.

Déjà vu?

Coloro che hanno giocato e rigiocato Castlevania: Symphony of the Night non potranno fare a meno di non notare alcune similitudini che si riducono a un autocitazionismo tal volta fuori luogo e semplicemente poco ispirato. Così come per molti altri elementi, a partire soprattutto dai luoghi della mappa ricollegabili ai luoghi del castello di Dracula del celebre gioco per PlayStation, alla Cattedrale di Dian Cecht di Bloodstained: Ritual of the Night accosteremo immediatamente la Royal Chapel di Symphony of the Night, al Giardino del Silenzio la Marble Gallery, alla Livre Ex Machina la Long Library, e così per moltissimi altri luoghi del castello. Tuttavia, la autocitazione più fastidiosa è senz’altro l’abilità Invert che permetterà a Miriam di invertire la gravità e dunque capovolgere la schermata di gioco: per quanto il richiamo di tale abilità sia abbastanza intuitiva e regala al giocatore l’effetto desiderato, questo non è altro che uno stratagemma poco originale per invertire il castello, esattamente come succedeva in Castlevania: Symphony of the Night ma che qui poco regala alla dinamicità del gameplay. Citare le vecchie opere è indubbiamente interessante ma il problema è che Bloodstained: Ritual of the Night sembra voglia farsi carico dell’eredità di Castlevania anziché lanciarne una nuova.

Lost Paintings

Graficamente Bloodstained: Ritual of the Night non è certamente fra le più complessi ma di certo risulta abbastanza curato e intriso dello stile gotico, fuso con quello anime, di cui Iga è famoso. Durante i dialoghi vengono presentati modelli 3D ben dettagliati ma tutto sommato poco espressivi nonostante un buon doppiaggio: le espressioni facciali non rispecchiano necessariamente lo stato d’animo dei personaggi e pertanto avremo preferito, anche se in questo caso saremo ricaduti nell’ulteriore citazione, semplicemente degli artwork alla quale collegare il parlato come avveniva nei suoi titoli precedenti. Anche se il risultato non è fra i migliori, Iga ha voluto azzardare e, per quanto possibile, distaccarsi dalla saga madre. Gli effetti luce e la profondità dei background, rinnovati verso la fine dello sviluppo,sono ben resi anche in questa versione e tutto sommato Bloodstained: Ritual of the Night presenta uno stile grafico e un art style valido anche se non fra i più ispirati.
La colonna sonora invece è stata affidata a Michiru Yamane, storica compositrice della saga madre… e insomma, basterebbe solo questa frase per garantire la qualità della colonna sonora! Probabilmente, ed è un grosso tassello che mancava ai Castlevania: Lords of shadow, la musica è ciò che rende i titoli di Koji Igarashi grandi e semplicemente epici: le composizioni offrono quel ritmo e quelle sonorità in grado di dare la giusta atmosfera ai vari ambienti, sempre molto diversi fra loro. Luoghi come Cattedrale di Dian Cecht o i Laboratori di Stregoneria prediligono composizioni più classicheggianti, con organi a canne e tappeti di archi, mentre in luoghi come l’Ingresso del castello, il Giardino del Silenzio, la Torre dei Draghi Gemelli o la Caverna Infernale presentano composizioni più moderne con un set più da band e sfumature che aprono verso più generi musicali. A differenza di Castlevania: Symphony of the Night stavolta non sono stati commessi grossi errori sui dialoghi con decisamente un buon lavoro da parte dei doppiatori: alcune battute di dialogo sono troppo “spigliate” per il periodo storico preso in considerazione ma in fondo fanno parte di sezioni extra e inserite, chiaramente, a scopo umoristico. Nel cast figurano se non altro doppiatori di spicco come David Hayter, voce storica di Solid Snake qui impegnato nel prestare la voce a Zangetsu e alla narrazione iniziale, Ray Chase, anche lui impegnato in progetti come Final Fantasy XV e NieR: Automata qui impegnato per prestare la sua voce a Gebel, Erika Lindbeck, che presta la voce alla protagonista Miriam, ma soprattutto Robert Belgrade, voce storica di Alucard in Castlevania: Symphony of the Night qui impegnato a prestare la voce al bibliotecario Orlok Dracul, vampiro dalle sembianze molto vicine al suo vecchio personaggio.

… Vicino alla perfezione

I punti che abbiamo criticato in questo Bloodstained: Ritual of the Night non sono pochi e se non altro vive chiaramente dell’eredità della sua saga madre. C’è un autocitazionismo a tratti fastidioso accompagnati da tanti piccoli elementi, relativi principalmente alla versione Switch (laddove si trova il pubblico che più apprezza questo tipo di giochi), che potevano essere migliorati tranquillamente con pochi sforzi. Ciononostante è impossibile negare la grandezza di questo gioco e l’infuocatissimo gameplay che esso propone: non lodarne il gameplay è semplicemente impossibile e criminale! Narrativamente risulta interessante ma purtroppo contornato personaggi a tratti un po’ scialbi, delle ambientazioni meravigliose ma troppo legate al passato. Per un prossimo titolo andrebbe rivisto l’obiettivo di questa saga: vuole semplicemente colmare un sentimento nostalgico o mettere qualcosa di nuovo sul tavolo? Non c’è nessuna grande innovazione e dunque non si capisce se il gioco guardi avanti oppure indietro. Momentaneamente il risultato con questo Bloodstained: Ritual of the Night è più che soddisfacente e sembra davvero di avere in mano (finalmente) il degno erede di Castlevania: Symphony of the Night: un grande titolo e certamente uno dei migliori giochi di questo 2019.




Guacamelee 2

Al tempo della sua uscita, Guacamelee è stato acclamato come uno dei migliori metroidvania degli ultimi decenni. Le più grandi innovazione proposte da questo titolo, uscito ormai 6 anni fa, risiedevano senza dubbio nel sistema di combo e di prese, nel continuo passaggio fra due mondi e nella possibilità di giocare l’avventura in co-op locale fino a quattro giocatori, tutte caratteristiche mai implementate insieme in un genere definito come l’action-platformer e che finirono per dare un’insolita sfumatura arcade a un gameplay tipicamente casalingo. Guacamelee rimase ragionavolmente impresso nella memoria di milioni di giocatori nel mondo grazie al suo esilarante humor intriso di riferimenti ad altri videogiochi classici, meme e allo splendido art-style che rende la già particolarissima cultura messicana, nonché il vero e proprio culto dedicato alla lucha libre e ai luchador, ancora più frizzante e colorata – insomma, diciamo che dopo averlo completato viene voglia di visitare il Messico! Oggi Guacamelee 2, disponibile per PC, PlayStation 4, Xbox One e Nintendo Switch (la versione che prenderemo in considerazione), ci fa rivivere le stesse sensazioni e la stessa gioia che il primo titolo portò quasi cinque anni fa e si pone come un incredibile sequel di uno dei metroidvania più avvincenti degli ultimi anni. Vediamo insieme cosa Juan, Tostada e compagni hanno in serbo per noi in questo nuovo titolo DrinkBox Studios.

Nelle puntate precedenti

Esattamente come in Castlevania: Symphony of the Night, la primissima schermata di gioco è una rievocazione dell’ultima battaglia avvenuta in Guacamelee, con tanto di «what is a luchador? A miserable little pile of secrets», giusto per rendere il rimando al fantastico metroidvania Konami ancora più chiaro. Juan sconfigge il temibile Calaca, libera Lupita, la figlia del sindaco, e la maschera del coraggioso lucador si sgretola permettendo così ai due di vivere una vita tranquilla nei tranquillissimi campi di agave accanto alla tranquilla cittadina di Pueblucho… forse fin troppo tranquilla! Juan subisce i terribili effetti della vita da sposato, non è più in forma e possente come un luchador ma vive una vita felice insieme la sua bella moglie e i suoi adorabili figli. Quella che sembrava essere una normale giornata, in cui Lupita aveva chiesto a Juan di andare al mercato a comprare qualche avocado per fare una buona salsa guacamole, si è rivelata invece l’inizio di un disastro senza precedenti; Uay Chivo, l’iconico sciamano dello scorso titolo in grado di trasformarsi in una capra, spiega a Juan che in un’altra timeline, in cui Juan e Lupita venivano uccisi da Calaca, un luchador corrotto di nome Salvador, responsabile invece della fine di Calaca, si era messo alla ricerca della guacamole sacra per diventare l’essere più potente del mondo, ignaro del fatto che ciò avrebbe distrutto l’intero mexiverso. La guacamole sacra fu creata con meticolosa cura da Tiempochtli, dio del tempo, e siccome tutti la desideravano decise di nascondere la sua magica salsa nel Otromundo, accessibile solamente collezionando le tre reliquie sacre a forma di nachos, solitamente disposti a piramide (dunque triangoli… Tre triangoli… Due alla base e uno in alto… Dove li abbiamo già visti?). Dopo essere finiti in due timeline sbagliate, una sorta di purgatorio e una timeline “Nes-osa”, arriviamo alla timeline più oscura (si chiama proprio così!) dove ci riuniremo con la maschera e Tostada, la luchador che rappresenta lo spirito di quest’ultima, e ciò ci farà trasformare — esattamente come Sailor Moon con lo scettro magico — nel possente luchador di sei anni fa; da qui comincerà l’avventura vera e propria e sarà anche possibile far partecipare un secondo giocatore che prenderà il comando di Tostada (fino a un totale di quattro che potranno usare, all’inizio, Uay Chivos e X’tabay). Ci si renderà subito conto, anche nelle sezioni prologo, di come i comandi siano incredibilmente reattivi e, senza mezzi termini, perfetti per il sistema di combattimento e combo che Guacamelee 2 pone; per questo motivo, per quanto sia possibile giocare questo titolo in due giocatori con un set di Joy Con, raccomandiamo di giocare in multiplayer con un set per giocatore, in quanto la mappatura dei tasti in questa modalità rappresenta la migliore scelta di gioco (al giocatore servono immediatamente alla pressione 7 degli 8 tasti del controller, in modalità Joy Con singolo uno di questi sarà “L”, dunque alla sinistra o alla destra del vostro controller, dipende da quale avete. a disposizione Una vera tortura!). Se volete giocare con questo gioco in multiplayer allora vi converrà giocarci con un amico che come voi possiede Switch, altrimenti dovrete abituarvi a questa astrusa mappatura.

(La frenetica prima parte di Guacamelee 2!)

Well! Agilità fra i non agili qui!

Prenderemo presto dimestichezza coi controlli e presto cominceremo, come tipico di questi generi, a collezionare gradualmente le abilità che permetteranno a Juan di superare ostacoli e rompere barriere per accedere a zone precedentemente inaccessibili. Il fattore backtracking, fondamentale per il genere metroidvania, è tarato alla perfezione e ciò potrà permettere al giocatore di accedere ad aree segrete o semplicemente liberare un passaggio alla volta di creare una scorciatoia. Troveremo spesso, come succedeva nel precedente titolo, delle aree che metteranno alla prova, man mano, tutte le abilità che andremo acquisendo con dei percorsi a ostacoli veramente folli e alla fine verremo ricompensati con un baule contenente soldi, porta cuori, costumi alternativi o “porta abilità”, quest’ultimi necessari per eseguire le mosse speciali eseguibili col tasto “A”: ci toccherà fare montanti in aria (dai, a chi vogliamo prendere in giro? Sono degli Shoryuken!), fare doppi salti, wall-jump, sfruttare delle “catapulte volanti” (dopo vi spiegheremo) e soprattutto cambiare la polarità dell’ambiente, altra meccanica fondamentale di questo gioco. Esattamente come in Guacamelee, Juan ha il potere di spostarsi dal mondo dei vivi al mondo dei morti e viceversa (prima trovando degli appositi portali e poi, trovata la specifica abilità, comodamente premendo il tasto “L” o “ZL”) ed entrambi i mondi presentano spesso delle caratteristiche ambientali diverse (come ad esempio la presenza/assenza di un muro o nemici, nel mondo dei morti un geyser di lava diventa un pilastro nel mondo dei vivi, e così via). Guacamelee 2, così come il suo predecessore, chiede al giocatore di padroneggiare al meglio questa abilità senza la quale non si potranno superare gli ostacoli più astrusi del gioco; spesso e volentieri si finisce bloccati nello stesso punto, soprattutto il quelle aree extra in cui la ricompensa è un baule, ma questo titolo, in fondo, non fa che incarnare lo spirito dei titoli classici degli anni ‘80, ‘90 e un po’ anche 2000 in cui il trial & error era spesso la meccanica che permetteva a un gioco, spesso senza sistema di salvataggio, di essere più longevo possibile. A ogni modo, con la giusta pazienza, superare una di queste aree è solamente una questione di pratica, e ogni giocatore riuscirà, con più o meno tentativi, sempre a ottenere l’ambito premio di queste stanze.
Juan troverà le abilità di cui ha bisogno nelle varie aree del gioco (rigorosamente all’interno delle statue ChoozoVi dice niente?) ma potrà renderle ancora più efficienti grazie all’implementazione del nuovo albero delle abilità in uno dei menù di pausa: qui, con i soldi collezionati, potrete rendere ancora più potenti i vostri colpi singoli, abilità varie di schivate e combo, prese di wrestling, mosse speciali e mosse pollo (sì, per offrire un qualcosa di simile alla morfosfera di Samus, Juan e Tostada potranno trasformarsi in polli!). Parlando di abilità, Guacamelee 2 introduce le nuove catapulte volanti, simili a quelle presenti in Castlevania: Order of Ecclesia: queste sono come dei ganci sospesi in aria dalla quale Juan e Tostada potranno aggrapparsi e catapultarsi verso la direzione opposta premendo “X” (un po’ come fa Spider-Man con le ragnatele). Tuttavia l’implementazione non può considerarsi riuscita al 100%, e i veterani che hanno giocato all’appena citato capitolo di Castlevania se ne renderanno conto facilmente: Shanoa attivava una sorta di aura che le permetteva di gravitare verso “il gancio” per poi stabilire meglio la direzione caricandosi verso la direzione opposta desiderata con la croce direzionale. In Guacamelee 2 invece sarà tutto più immediato: la direzione verrà stabilità dall’angolo del salto con la quale ci lanciamo verso questi ganci e una volta premuto “X” non sarà più possibile correggere l’angolo. Tante volte l’angolo risulterà corretto come quante volte, per via della fretta, sbaglieremo il lancio, costringendoci a riprovare il salto da capo. Fortunatamente in Guacamelee 2 non ci sono vite e i checkpoint sono abbastanza vicini fra loro, perciò nonostante le difficoltà che questi ganci possono dare si può riprovare infinite volte una stessa sezione. Tuttavia, la cosa più importante da padroneggiare in Guacamelee 2 è senza dubbio il sistema di combo; imparare a combattere per ottenere la combo più alta, il che significa assestare tanti colpi e schivare gli attacchi come un ninja. Schivando gli attacchi si conserva la combo e più è alta più saranno i soldi che otterremo alla fine del combattimento; ma come gonfiamo una combo? Da qui si capisce quanto complesso, intricato ma soprattutto divertente sia il sistema di combo in Guacamelee 2: i colpi a nostra disposizione saranno una hit combo semplice con “Y”, le 5 mosse speciali con il tasto “A” e i lanci/prese con “X” (quest’ultime da sbloccare dall’albero delle abilità). Frequentando la scuola di Faccia di fuoco (che scopriremo qui essere il cugino di Grillby, il barista dell’omonima locanda in Undertale!) impareremo man mano degli esempi di combo ma nel campo di battaglia daremo sfogo alla nostra creatività concatenando questi attacchi principali come vorremo; cosa c’è di meglio di partire con un bel uppercut semplice, poi una combo di jab con “Y” in aria, super montante con “A+ su, altra combo di Jab, poi un pugno a siluro, altra combo e per finire un bel piledriver o una frog splash se il nemico è un gigante? Una di quelle situazioni in cui Dan Peterson, iconico cronista della WWF/E negli anni ‘80 e 2000, non potrebbe fare a meno di gridare: «mamma, butta la pasta!». Nuovi campi di battaglia significano nuove possibilità di combo e perciò, sotto questo aspetto, ogni sezione di combattimento necessità di nuove strategie e nuovi metodi per far fuori più nemici velocemente conservando nel processo la combo; Guacamelee 2 in questo offre un sistema di lotta mai stancante e divertente come pochi altri giochi del suo genere.

Lo llamaban Juan

Per coloro che non lo sapessero, il wrestling in Messico, rigorosamente chiamato lucha libre, si discosta totalmente dal suo omologo americano o giapponese (per il quale si trova un ottimo rappresentante videoludico in Fire Pro Wrestling World), sia per lo stile di lotta nei match, sia per l’importanza che questi eventi hanno a livello sociale. I luchador in Messico sono dei veri e propri eroi in carne e ossa, e un’avventura come Guacamelee 2 non fa che rappresentare quello che è l’immaginario collettivo messicano quando si parla di questi eroi fuori dal comune, trasfigurato con stravaganze e leggerezze qui e là. Pensate che tempo addietro, negli anni ‘40, ci fu un wrestler chiamato El Santo che venne venerato esattamente come un dio: di lui, oltre ai suoi spettacolari match nel quadrato, venivano venduti fumetti e film in cui lui interpretava se stesso e agiva esattamente come un eroe, soltanto che lui a differenza dei vari Batman e Spider-Man esisteva veramente! A testimonianza del suo status d’eroe El Santo si toglieva la maschera per pochissime occasioni (nessuna delle quali in pubblico) e, alla sua morte, fu sepolto con la sua preziosissima maschera. L’atmosfera e l’epicità della storia prova, anche spiritosamente, a rievocare le leggendarie imprese di questi personaggi mascherati, un misto fra storia e leggenda che viene tramandato con vivacità. Guacamelee 2 ci presenta un Messico policromo, con una moltitudine di colori inebriante, un luogo frizzante e pieno di vita grazie a un 2D splendido animato ad hoc, esattamente come nel primo capitolo. Ci sono in più giusto un paio di elementi in 3D nei background che reagiscono perfettamente alla luce e donano un filo di profondità in più rispetto al primo episodio. In poche parole, la grafica risulta sempre chiara al giocatore e anche la mappa in game, abbastanza diversa dalla disposizione a blocchi di molti altri metroidvania, risulta sempre chiara e mai astrusa; talvolta permette pure di capire dove sono le aree segrete!
Altro plauso va fatto ovviamente alla colonna sonora: come il primo capitolo, anche Guacamelee 2 non presenta alcuna linea di dialogo doppiata (giusto qualche lamento, sforzi, etc…) ma in compenso abbiamo dei bellissimi brani che ci accompagneranno in questa coloratissima avventura. Torna qualche tema familiare, come quello della città di Pueblucho (in chiave minore), ma ovviamente abbiamo tante belle musiche nuove. Le melodie attingono dalle più iconiche tradizioni musicali folkloristiche messicane, soprattutto quelle dei mariachi fatte di trombe squillanti e chitarre scanzonate che definiscono il ritmo, ma attingono molto da generi moderni come la musica elettronica e, essendo un gioco abbastanza “old school”, anche e soprattutto dalla chiptune. In realtà nulla che sia davvero degno di nota, ma neppure una colonna sonora da scartare.

Uno, due, tre, Vittoria!

Guacamelee 2, così come una bella terra come il Messico, è un gioco in grado di trasmetterti il più puro buon umore e l’allegria grazie alla sua coloratissima grafica, alla sua storia un po’ strampalata e ovviamente alle migliaia di citazioni ad altri giochi, cartoni animati, meme, cultura internettiana, film e quant’altro in giro per le città delle sue lande piene di vita. Il divertimento inoltre non si ferma solo con l’avventura principale: è possibile integrare con il contenuto aggiuntivo acquistabile Terreni di Prova, dove sarà possibile competere in nuove modalità e affrontare nuove sfide. Abbiamo certamente un sequel all’altezza delle aspettative, anche se, dispiace dirlo, un po’ inferiore al primo titolo; elementi come le nuove catapulte volanti non sono il massimo, come del resto alcune sfide poste nelle stanze extra, le quali, laddove si deve prendere un baule, risultano spesso un continuo trial and error dettato in parte dal caso. Si perde molto tempo nelle sezioni extra e meno nelle sezioni principali e ciò, per quanto possa incentivare la longevità, talvolta risulta un prolungamento affatto necessario.
Tuttavia, il gameplay di base, non è per nulla cambiato e Guacamelee 2, così come il suo predecessore, è un validissimo titolo in grado di regalare ore e ore di divertimento da soli o in compagnia (diremmo anche doppio, visto che, una volta completato verrà sbloccata la modalità difficile). Non ci si può aspettare di meglio da un titolo indie di prima categoria e il suo prezzo di lancio di 19,99€ è più che giustificato.

Botte, nachos e azione caliente… una volta terminato non potrete fare a meno di gridare: «Ay, caramba!». Non potevamo aspettarci di meglio da DrinkBox Studios.




Dead Cells

Sarebbe uno sbaglio definire Dead Cells come “l’ennesimo metroidvania con grafica retro 2D“. Il titolo dei francesi Motion Twin ha qualcosa di diverso dagli altri: Dead Cells è, infatti, il padre fondatore di un nuovo genere, che molte voci autorevoli del settore non hanno esitato a definire “roguevania”, un felice incontro tra uno dei generi più inflazionati degli ultimi anni (il metroidvania, appunto) e il roguelike (dinamico): dopo ogni morte del nostro personaggio, ricominceremo il gioco da capo conservando solamente le abilità che siamo riusciti a sbloccare nel corso delle nostre partite, ma perdendo ogni accessorio, arma o potenziamento trovati in giro per la mappa durante l’avventura, aspetto che personalmente non ho apprezzato affatto, probabilmente perché sono troppo legato alla modalità più classica, ma che effettivamente, per i giocatori più pazienti e caparbi, potrebbe diventare un espediente per non stancarsi di giocare.

Tutto inizia sempre dalla cellula

Come i primi esseri viventi immersi nel brodo primordiale, anche noi all’inizio del gioco saremo solo un ammasso di cellule, con la sottile differenza che le nostre saranno putride. Dopo una brevissimo intro in cui vedremo l’ammasso di cellule impossessarsi del povero cadavere di un soldato senza testa, saremo pronti per iniziare il nostro cammino e sbrogliare finalmente la matassa che cela il mistero della nostra esistenza: chi siamo, dove siamo e perché. La storia sarà una sorta di puzzle da comporre man mano, scopriremo andando qualche porzione, trovando pergamene o altri indizi qua e là nel corso del gioco. La narrativa non è da premio Pulitzer, ed è parecchio marginale: ma poco male, sarete più impegnati a godervi il gameplay che a seguire la storia.

Taglia lì, squarcia qui

Dopo la prima partita, che sarà quasi un tutorial, rinasceremo all’interno di una stanza (stanza che sarà differente ogni volta che ricominceremo la partita), gremita di strane ampolle e vasi pendenti; ogni volta che riusciremo a sbloccare una nuova abilità o arma, verrà inserita in uno di questi contenitori.
Lo scopo del gioco è quello di scoprire la nostra provenienza passando attraverso diversi livelli (13 in tutto, ma per completare il gioco non sarà necessario visitarli tutti). Non mancano le bossfight al termine delle quali potremmo ricevere importanti “drop” dal boss in questione, come armi rare o progetti per la creazione delle stesse. I boss non tantissimi, ma gli scontri sono congegnati in modo da regalare attimi di pura adrenalina, anche perché sappiamo già che essere sconfitti durante un combattimento segnerà la fine della partita in corso.
È interessante il sistema di livellamento delle abilità, acquisibili o potenziabili scambiando con uno strano essere chiamato “Il Collezionista” (che incontreremo in alcuni punti random della mappa) tutte le anime raccolte dai precedenti scontri con i mostri (sì, il discorso della raccolta di anime è un po’ un cliché, ma che volete farci?).
Per quanto riguarda le armi invece, più avanti nel gioco si sbloccherà anche il Fabbro, tramite il quale potremo migliorare quelle che abbiamo in dotazione ma non siate troppo entusiasti, perché non importa quale potentissima spada o arco abbiate trovato o creato: dopo la morte ogni vostra conquista andrà perduta e, volta per volta, quando ricominceremo il livello, potremo scegliere solo le armi base, costringendoci quindi a una sfrenata ricerca di armi più potenti in giro per il livello. Esiste un altro modo per trovare dell’ottimo equipaggiamento, ed è possibile grazie all’acquisto di armi o accessori presso i “mercanti”, presenti in punti sempre diversi della mappa: in questo caso lo scambio avviene tramite il denaro o le gemme preziose raccolte durante la partita. Può risultare frustrante a volte perdere denaro e anime dopo una morte inaspettata, quindi, una volta raggiunta una ingente quantità di materiali preziosi, grazie ai portali che man mano si andranno a sbloccare in giro per il livello, diventerà opportuno teletrasportarsi nei pressi di un mercante o di un “Collezionista”, in modo da poter investire quello che abbiamo faticosamente accumulato prima che sia troppo tardi.

Il Design è tutto

Per il titolo di Motion Twin non si parla di comparto grafico come qualcosa a sé stante, ma di qualcosa che risulta un tuttuno con game e level design.
L’utilizzo degli sprite, che rievoca uno stile retro molto in voga, sembra ormai esser diventato uno degli aspetti più comuni tra le etichette indipendenti, tanto che la medesima scelta è stata fatta anche per giochi come Slain! Back from Hell, Axiom Verge o ancora l’acclamato Bloodstained: Curse of the Moon.
La vera differenza del “moderno” modello retro di Dead Cells sta nelle animazioni degli sprite, fluide e ben dettagliate. I livelli sono molto caratteristici, e ognuno diverso dall’altro, e ci porteranno dalle fetide fogne a dungeon intricati e cupi. La grande varietà e quantità di elementi su schermo lascia intravedere un profondo studio e una cura del dettaglio da parte degli sviluppatori, caratteristica che fa ancor più apprezzare il lavoro svolto dagli sviluppatori.
Il comparto audio è globalmente buono, con una soundtrack abbastanza coinvolgente, anche se alla lunga potrebbe risultare leggermente ripetitiva in alcuni leitmotiv, SFX di armi effetti video ed esplosioni riprodotti in maniera eccezionale, che riescono a rendere bene l’idea della potenza sprigionata dalle azioni del nostro personaggio.

A conti fatti

Dead Cells è risultato essere uno dei migliori metroidvania/roguevania mai sviluppati, niente e nessuno dovrebbe impedirvi di far vostro questo piccolo grande capolavoro videoludico. Abbiamo testato questo titolo su PC (Steam), ma sono fermamente convinto che un gioco del genere veda un’ottima espressione del proprio potenziale su Nintendo Switch, console sulla quale è presente insieme a PS4 e Xbox One.




World to the West

Arriva su Nintendo Switch l’ultima impresa di Rain Games, la casa che ha prodotto il graziosissimo puzzle platformer Teslagrad (del quale trovate qui la nostra recensione); stiamo parlando di World to the West, un altrettanto curatissimo titolo, che serba una certa continuità narrativa con il titolo precedente, ponendosi però come titolo di avventura dagli elementi molto simili alla saga di The Legend of Zelda. Ci si allontana, dunque, dai puzzle di logica in favore di un gameplay più immediato, esplorativo e, tutto sommato, più approcciabile, anche se non esente da parti cervellotiche; tuttavia, il rimando a Zelda è comunque abbastanza vago in quanto, nonostante la grafica cartoonesca, la mappa divisa in quadranti e la visuale dall’alto, World to the West costringe il giocatore a un ritmo abbastanza diverso, con meccaniche “multi-personaggio” decisamente assente nella famosa saga Nintendo. Sebbene titoli come The Legend of Zelda: Four Sword, Four Sword Adventure e Tri Force Heroes abbiano dato alla saga di Link un’insolita veste multiplayer, World to the West dà al giocatore la possibilità di controllare ben quattro personaggi dalle abilità diverse, tutti in grado di compiere uno specifico compito per una specifica occasione; questa meccanica distanzia nettamente il titolo della Rain Games dalla nota saga Nintendo fra alti e bassi. Ma andiamo per gradi.

Lontano da casa

Il gioco comincia proprio a Teslagrad, dove prenderemo il controllo di Lumina, una teslamante che, spinta dalla curiosità, attiva per sbaglio un’antica macchina per il teletrasporto finendo per essere spedita anni avanti nel futuro. In questa strana terra, la macchina per il teletrasporto sembra sia inattiva da secoli, e ci sono ben poche speranze di ripararla; cominceremo dunque a muovere i nostri primi passi in questo nuovo mondo accorgendoci che la civiltà dei teslamanti è ormai perduta. Dopo essere caduta in un pozzo, la storia di Lumina verrà messa un attimo da parte per far spazio alle storie dei restanti protagonisti di questa storia. Conosceremo Knaus, un piccolo bambino orfano che si ritrova nel sottosuolo insieme ad altri bambini anch’essi orfani, che crede di trovarsi sulla Luna ma capisce di essere stato ingannato dopo aver trovato un alberello cresciuto grazie a uno spiraglio di luce proveniente dalla superficie; la storia punterà i riflettori in seguito su Miss Teri, un’esploratrice a caccia di tesori che verrà ingannata Lord Tychoon, un magnate senza scrupoli dell’alta società; infine conosceremo Lord Clonington, un fortissimo omone dalle nobili origini e, a detta sua, secondo solo a Lord Tychoon in quanto a ricchezza.
A questo punto, dopo che i quattro personaggi saranno tutti riuniti e capiranno di essere parte di un disegno ben più grande di loro, sarà da lì che partirà la vera e propria avventura; in pratica, dopo i primi capitoli che ci serviranno per imparare a conoscere i comandi dei personaggi semi-individualmente, avremo modo di comandare tutti e quattro a turni alterni. Per switchare da uno all’altro basterà raggiungere uno dei tanti totem, scolpiti in precedenza da un’anziana sciamana, sparsi in giro per il mondo. Attivato un nuovo totem sarà possibile cambiare personaggio o teletrasportarsi uno di quelli attivati in precedenza; questi checkpoint, che fra l’altro rappresentano anche i punti di salvataggio, dovranno essere attivati individualmente per ogni personaggio perciò, qualora sarà necessario che tutti si rechino nello stesso punto, il gruppo dovrà muoversi poco per volta, ripetendo la stessa strada per quattro volte, per far sì che tutti percorrano la stessa strada e attivino i totem necessari di conseguenza.
Gli amanti dei metroidvania, genere in cui il backtracking è una meccanica fondamentale, potrebbero decisamente trovare pane per i loro denti in World to the West; meno interessante però potrebbe esserlo per i giocatori un po’ più casual o, addirittura, per gli amanti della saga di The Legend of Zelda, più in particolare quelli che parallelamente potrebbero non trovare di loro gradimento titoli come Metroid, Castlevania, Shantae, Guacamelee o Axiom Verge.
Il movimento in gruppo non è implementato perfettamente o, per lo meno, come ci si aspetterebbe da un gioco che pone delle premesse simili; per quanto sia divertente scambiare i personaggi e percorrere strade diverse con ognuno di loro, non si crea alcuna complicità: ci si aspetterebbe che tutti e quattro collaborino fra loro, per aprire un cancello o per spostare un masso grazie alle abilità peculiari di ognuno, ma purtroppo in World to the West questa componente è sfruttata molto poco. Sono pochissime le volte in cui qualcuno dovrà mettere compiere azioni di cui gli altri personaggi possano beneficiare, ed è un vero peccato. Vengono sfruttati soltanto degli elementi ambientali adatti a pochi di loro, i cunicoli per Knaus o i campi energetici di Lumina (gli stessi visti in Teslagrad), senza dunque aiutarsi a vicenda. In pratica, ognuno va per la propria strada!

Lascia fare a me

I quattro personaggi hanno abilità diverse fra loro e ognuno può interagire con l’ambiente tramite i 3 comandi base, più o meno comuni a tutti: attacco, corsa e spostamento. Nonostante questo equilibrio nei controlli, i quattro personaggi soffrono di una certa disparità: è normale che in un gioco che pone delle premesse simili qualcuno debba compensare le mancanze di un altro, ma in World to the West le abilità sono distribuite in maniera abbastanza disomogenea. Lord Clonington e Lumina, ad esempio, sono i personaggi più piacevoli da usare in quanto sono in possesso di due o più attacchi, possono muoversi velocemente e possono risolvere con molta facilità molte delle difficoltà ambientali che gli si pongono davanti, come fossati o pareti da superare. L’abilità principale di Miss Teri, che ha comunque la corsa migliore dei personaggi, è il controllo mentale e, per quanto figo possa sembrare, questa caratteristica sarà poco utile senza che ci sia un nemico di cui possa prenderne il controllo; la sua sola sciarpa, che permette il controllo mentale stesso ma può essere usata anche come un rampino in certi punti, si rivela inefficiente dinanzi a un nemico impossibile da controllare come, ad esempio, un guardiano ancestrale; e questo è niente in confronto alle difficoltà di Knaus, la cui corsa funziona principalmente con i suoi pattini di ghiaccio, strumento che non funziona a dovere in assenza di acqua. Knaus può raggiungere i punti più alti solamente in presenza dei suoi specifici cunicoli ma soprattutto, e questo è il difetto più grave, non dispone di un vero sistema d’offesa; la sua pala, con la quale può scavare una buca per poi muoversi sottoterra (esattamente come faceva Bugs Bunny), può solamente stordire i nemici senza ucciderli effettivamente. L’unica cosa che può placare le orde nemiche è la sua sola dinamite che di per sé è molto potente ma, ovviamente, bisogna aspettare l’esplosione mentre il nemico, giustamente, si allontana.

Alti e bassi

Tutto sommato, anche se la disomogeneità di caratteristiche e la mancata cooperazione fra i personaggi minano la nostra esperienza videoludica, non sono elementi così gravi da creare al giocatore difficoltà nella godibilità del titolo; insomma, le abilità sono molto belle e la meccanica di gioco è di per sé validissima e stimolante. World to the West non è assolutamente un gioco frustrante, la difficoltà generale del gioco è ben equilibrata e il titolo risulta molto piacevole; ha una buona longevità, l’avventura continua anche dopo la quest principale alla volta delle batterie che serviranno ad alimentare una speciale zona nel sottosuolo che custodisce la verità sulla civiltà teslamante.
Stavolta, a differenza di Teslagrad, lo storytelling è molto più semplice e si affida ai dialoghi e ai testi come un qualsiasi altro gioco di questo genere. La grafica, dai toni molto accesi e cartoonesca, dà al titolo un bel caratterino frizzante e si adatta bene sia ai tratti umoristici dei dialoghi che alle fasi più cupe della storia; gli ambienti, anche se un po’ vuoti, sono ben caratterizzati, e perdersi è abbastanza difficile anche se alcune volte, nell’intento di proseguire la storia, si finisce per girare a vuoto per molto tempo. La mappa mostra sia tutto l’overworld che il mondo sotterraneo, al quale sono collegati anche i dungeon; tuttavia, anche se è possibile guardare le mappe più o meno contemporaneamente, la scarsa risoluzione non permette di capire dove siano i punti d’accesso per il sottosuolo o e quelli d’uscita per la superfice.
La colonna sonora di World to the West è nettamente superiore a quella di Teslagrad: i brani composti da Jørn Lavoll e Linn Kathrin Taklo toccano diverse sfere emotive grazie a tracce che spaziano dalla musica gitana e world music, alla classica sino a pezzi in stile ambient acustico e sperimentali. Anche il comparto degli effetti sonori è buono anche se è molto strano che Lumina, Knaus e Teri condividano quasi lo stesso mormorio quando saltano da una rupe.
Sfortunatamente,ì, però, come per il precedente titolo di Rain Games, World to the West non è esente da bug e alcuni di loro possono mandare in tilt il sistema di gioco e addirittura richiamare l’errore di sistema facendovi chiudere forzatamente l’applicazione; al di là di qualche piccolo bug fisico, molti degli errori di sistema sembra siano collegati al richiamo di alcuni menù e alla abilità di controllo mentale di Miss Teri. Durante il controllo mentale è impossibile per Miss Teri aprire i forzieri, né può farlo il nemico controllato, perciò sarà necessario abbandonare l’ipnosi, aprire la cesta e riprendere il controllo del nemico; a quanto pare il ripetuto collegamento-scollegamento mentale (con la probabile aggiunta di un’azione) fa crashare il gioco, costringendo a chiudere forzatamente l’applicazione e, dunque, riaprire il titolo dal menù.
Un altro terribile errore si potrebbe presentare alla fine della vostra avventura, un bug che potrebbe bloccare il vostro intero salvataggio compromettendo dunque ore e ore di gioco, perciò prendete queste parole come un vero e proprio avviso. Per scrivere questa recensione abbiamo controllato i comandi dei personaggi: l’abbiamo fatto durante lo scontro con il boss finale e, durante il filmato di chiusura, presi gli spunti necessari, siamo tornati al menù principale tramite il menù di pausa. Dovendo riaccendere la console, ci siamo accorti che il gioco cominciava dal filmato finale e, a metà di quest’ultimo, lo schermo si oscurava totalmente mentre la musica di sottofondo continuava senza che vi fosse seguito all’immagine nera: abbiamo così capito di aver compromesso il nostro file di salvataggio! Perciò, quando arriverete alla fine della vostra avventura, lasciate che il filmato finale proceda tranquillamente fino alla fine per evitare che il vostro file di salvataggio diventi praticamente inutilizzabile. Altri errori di sistema si sono presentati con l’apertura e la chiusura ripetuta di alcune finestre di dialogo e menù (specialmente quello degli animaletti di Miss Teri) e con il controllo mentale di un nemico in prossimità di un totem. Tutti questi bug non sono certamente segno di un gioco ben programmato e Rain Games dovrebbe prenderne nota.

Sulla strada giusta, malgrado tutto

Ad ogni modo, dopo un interessante ma acerbo Teslagrad, Rain Games ci consegna un gioco più definito, con più carattere, più accessibile e, tutto sommato, più divertente; è bene dire che questa volta lo studio norvegese ha fatto centro anche se con diverse penalità. La vera sfortuna di questo gioco è solamente quella di non presentare una buona relazione meccanica-ambiente, con un puzzle solving scialbo, talvolta inesistente; tutto questo, unito alla disparità dei personaggi, alla non chiarissima mappa e al backtracking ripetitivo (nonché tempi di caricamento invadenti nel passaggio da un quadrante all’altro), non fa di World to the West uno di quei indie game che sconvolgono lo scenario videoludico, ed è un vero peccato perché ci sono tanti ottimi spunti. Viene da pensare: come mai Rain Games, in un gioco in cui ci sono quattro personaggi che collaborano fra di loro, non abbia inserito nessuna componente multiplayer? Avrebbero potuto realizzare una modalità multigiocatore dividendo i quattro personaggi fra due o quattro giocatori… e invece niente!
Avere quattro personaggi, tutti con abilità diverse, è certamente il punto di forza di questo titolo ma i diversi difetti nell’esecuzione non regalano al giocatore un’esperienza memorabile. L’arrivo su Nintendo Switch, casa dei milioni di fan di The Legend of Zelda, è certamente un vantaggio per World to the West in quanto probabilmente ¾ degli utenti potrebbe prendere in esame l’acquisto di un simile titolo, il cui prezzo è comunque abbastanza accessibile; tuttavia, proprio il trovarsi nella casa della popolarissima saga Nintendo potrebbe rivelarsi un boomerang, in quanto un gioco come questo, che presenta persino parecchi difetti, potrebbe passare inosservato e venire praticamente eclissato dal più popolare Breath of the Wild.
World to the West, come Teslagrad, è certamente un esperienza per i più curiosi, per i giocatori alla ricerca di uno stravolgimento della formula classica. È un titolo un po’ migliore del suo predecessore e, se non fosse per i succitati bug (nulla che una buona patch non possa fixare) potrebbe meritare anche un 7.5 ma, allo stato dell’arte, non ce la sentiamo. Ad ogni modo, il titolo rimane molto valido e godibile e, se siete in grado di accettare la curiosissima meccanica multi-protagonista e i diversi bug presenti nel gioco allora procedete pure all’acquisto di questo titolo.




Teslagrad

Impugnate i joycon con dei guanti di gomma in modo da non prendere la scossa, arriva Teslagrad. Puzzle platformer veramente singolare, caratterizzato da un art style ben curato e molto delicato, è uscito originariamente per Steam nel 2013 e dopo essere apparso su Playstation 3, Playstation 4, Playstation Vita, Wii U, Xbox One, il titolo di Rain Games è approda anche su Nintendo Switch, una delle console che più sta valorizzando certi titoli indie e che sta dando grandi soddisfazioni agli indie developer e ai fan.

C’era una volta

Anche se quel “grad” nel titolo e gli omoni dalle uniformi rosse e i berretti in stile sovietico potrebbero farci pensare che il titolo possa essere ambientato in Russia durante la rivoluzione del 1917, Teslagrad ci propone un mondo fantastico con elementi, sì, propri dell’Europa, ma re-immaginati in una visione più libera e con sfumature steampunk. Vestiremo i panni di un ragazzino orfano che, in una notte buia e tempestosa, viene affidato ancora in fasce a una famiglia; il tempo passa, il ragazzo cresce, ma un giorno, in tutta sorpresa, la sua casa viene assediata dalle guardie reali. Sarà l’inizio di una fuga che ci porterà a una torre, un luogo misterioso nel quale si sveleranno di volta in volta tutti i retroscena di questo strano mondo in cui un potente re governa con pugno di ferro il suo regno.
Entrati nella torre, troveremo il primo oggetto che ci permetterà di risolvere i primi enigmi; capiremo presto che la meccanica principale di Teslagrad è basata su puzzle basati su polarità positivo/negativo, energie che potremo sfruttare per muovere blocchi caricandoli di una o dell’altra polarità e che ci permetteranno di compiere salti sfruttando l’attrazione o la repulsione e, col tempo, anche di controllare quasi totalmente le energie fino a dominare ciò che ci circonda; un concetto semplice ma molto interessante. Se si è un po’ pratici dei principi del magnetismo, si capiranno con molta facilità le meccaniche di questo titolo. Le nostre abilità ci porteranno sempre più in alto nella torre, collezionando man mano dei potenziamenti e scoprendo poco per volta i risvolti della lore di questo mondo, sia con i rotoli che andremo trovando progressivamente, sia con i siparietti con le marionette (delle vere e proprie “sale teatrino” in cui assisteremo a un piccolo spettacolo) e sia con i murales, i poster e le vetrate che svelano parti della trama; si può benissimo confermare che in Teslagrad nulla è espresso con le parole, lo storytelling è affidato interamente al comparto visivo che allieterà in tutto e per tutto i nostri occhi; lo stile grafico ricorda in qualche modo lo stile delle illustrazioni fiabesche europee, con colori cupi ma con qualche tonalità accesa che fa “vibrare” il disegno, e persino stampe di propaganda, ma tutto viene consegnato con una delicatezza tale da smorzare i temi malinconici della trama con dolcezza senza smontarne la serietà e restituendo, fiabescamente, una sorta di morale.

Due anime ma un identità povera

Il gioco si pone come un metroidvania ma, in realtà, al di là della mappa e del backtracking occasionale, ha ben poco in comune con i titoli più famosi del genere: la componente puzzle sovrasta quella action platformer: pochi, quasi nulli, i nemici durate le fasi d’esplorazione così come pochi sono i boss e sempre annientabili con una sorta di puzzle. Elemento inusuale per un metroidvania è il meccanismo “trial and error“, nonché l’assenza di barra della salute; questo sistema in Teslagrad è un po’ un’arma a doppio taglio in quanto permette, sì, un approccio progressivo al gameplay, totalmente personale e senza l’ausilio degli odiosi tutorial ma, in sede di boss fight, sarà solo motivo di fastidio, e ricominciare da capo una battaglia che richiede abilità anziché ingegno risulta veramente seccante, anche perché le sfide di fine livello sono parecchio lunghe.
La meccanica puzzle funziona, risulta vincente considerando il semplice e originale concetto di partenza, ma purtroppo serba in seno delle caratteristiche poco convincenti. Cominciamo dai controlli, un po’ “scivolosi”, “floaty” se vogliamo usare un termine anglofono forse più appropriato: il personaggio si aggrappa spesso ai bordi anche quando non serve, e controllarlo in fase di salto, specialmente quando una delle polarità è impiegata, è impresa tutt’altro che facile; per lo più, quando dobbiamo usare uno dei tasti d’azione, non sempre questi sembrano attivarsi alla nostra pressione. A volte certe azioni non vengono triggerate bene senza apparente motivo, tutto questo rovina l’esperienza di gioco frustrando il giocatore non perché il puzzle sia troppo difficile ma perché qualcosa non ha funzionato per via dei controlli. Il sistema di polarità, inoltre, per quanto possa sembrarci chiaro e semplice, non sempre funziona a dovere: spesso  la repulsione o l’attrazione dovute a una polarità convergente o opposta non hanno sempre la stessa “intensità”, dunque l’effetto che si crea non è sempre ciò che ci si aspetta e questo costringe talvolta a ripetere i puzzle (e, ahimè, le boss fight) più e più volte, a volte anche alla cieca perchè le nostre intuizioni a riguardo si esauriscono presto. Il gameplay si fa spesso frustrante, bisogna mettere insieme la pazienza necessaria per ricominciare e questo lede la rigiocabilità del titolo, che non gode, fra l’altro, di gran longevità: il vero finale di Teslagrad è fra l’altro accessibile collezionando tutti i rotoli presenti nella torre, e l’idea di tornare indietro alla ricerca degli oggetti mancanti non risulta piacevole per le considerazioni appena fatte. Inoltre, in osservanza al titolo del gioco (chiaro tributo al fisico Nikola Tesla), l’elemento fondante i puzzle, e dunque anche dell’azione platform, sono solo i giochi di polarità. Abbiamo già ribadito quanto la meccanica sia originale ma, tuttavia, duole notare come questo unico elemento di puzzle solving comporti una certa ripetitività; i giocatori che dunque sono alla ricerca di un gameplay vario e di più azione non troveranno certo pane per i loro denti. Abbiamo inoltre incontrato dei problemi spiacevoli per un gioco dei nostri tempi: è capitato più di una volta che in una delle stanze che l’intero sistema di visualizzazione venisse meno, che lo schermo del televisore si oscurasse completamente mentre di sottofondo restava il rumore dei passi e di altri movimenti; è il bug è risolvibile solamente tornando nel menù di Switch, che verrà visualizzato senza problemi, chiudendo e riavviando il software. Fortunatamente il gioco salva automaticamente a ogni stanza e perciò, anche se è un problema non da poco, almeno i progressi saranno al sicuro.
La colonna sonora è ben composta, le musiche non si impongono mai sulle scene e abbracciano totalmente lo stile grafico del gioco, anche se, tuttavia, nessuna delle melodie composte per il gioco spicca per bellezza, consegnando dunque una colonna sonora certamente bella ma in fondo piatta e canonica.

Un’esperienza non perfetta ma godibile

Teslagrad è certamente un bel gioco, con visual spettacolari e una meccanica di gioco semplice ma intrigante anche se purtroppo parecchi aspetti del gioco rovinano l’esperienza generale. L’idea di base è molto buona ma è lesa da peccati d’esecuzione; come dicevamo, troviamo qui un buon mashup di elementi da metroidvania e da puzzle game. Purtroppo entrambe le componenti non sono realmente definite: è come se il gioco restasse sospeso nel mezzo, non riuscendo a decidersi se essere un metroidvania o un puzzle game, se essere un esperienza lunga e macchinosa o una breve ma intensa,  e non sfornando un ibrido solido. Un vero peccato visto che la grafica del gioco, le cui animazioni sono state realizzate a mano, conferisce al titolo un’anima forte e decisa. Non è affatto un gioco da buttare in quanto i giocatori alla ricerca di un’esperienza diversa troveranno in Teslagrad un’avventura affascinante, dalle meccaniche semplici ma originali; il prezzo nello store non è tale da rappresentare un investimento oneroso e dunque chi è intenzionato a provare questo titolo potrà farlo senza spendere una cifra rilevante. Tuttavia Teslagrad non è un esperienza per tutti e probabilmente, per apprezzarlo veramente, bisognerà accettare la ripetitività dei puzzle nonché i controlli scivolosi e mal programmati. Nulla vi vieta di provarlo, e tirando le somme, ci sentiamo di consigliarne la prova.




Steamworld Dig 2

Non esordirò con una triste battuta sulla miniera o sul duro lavoro, pur avendone a disposizione, ehm, una miniera. Piuttosto parlerò di oggetti di valore, preziosi, gioielli e questa vi prego concedetemela visto che mi viene servita su un piatto d’argento, o meglio d’oro. E di oro, topazi, rubini ma anche tanti altri minerali e ben più strambi è costellato il sottosuolo di El Machino, mondo di gioco disegnato a regola d’arte nel quale letteralmente sprofonderemo e dentro al quale trascorreremo le tante ore che ci porteranno a completare al 100% la nostra missione, ottenendo la tanto agognata Prova di completamento.
Fughiamo subito ogni dubbio: cosa è cambiato rispetto al primo capitolo? Tutto e niente: la base è la stessa ma non ci sono più le mappe generate proceduralmente e  abbiamo di fronte una versione migliorata, sotto tutti gli aspetti, di Steamworld Dig. Scendiamo più a fondo e scopriamo perché (d’accordo, la smetto con le battute scontate).

Image & Form, team svedese tornato alla ribalta nel 2013 dapprima su Nintendo 3DS e in seguito su tutte le altre piattaforme, ci aveva già narrato le vicende del piccolo robot Rusty, in un videogame in stile metroidvania dall’ambientazione steampunk-western. Parliamoci chiaro: forse l’unico vero difetto – se così si può chiamare – di questo capitolo è proprio la mancanza di quel fattore originalità che scaturisce, come è naturale che sia, proprio dal fatto di essere il secondo – terzo se si considera lo spinoff Steamworld Heist – episodio di una saga. In tutto il resto invece il gioco è riuscito a migliorare la propria formula e sotto ogni punto di vista: questa volta guideremo Doroty, che alla ricerca di Rusty partirà per la sua piccola grande avventura in compagnia del suo fidato piccone per ripulire le miniere sotto la città di El Machino. Fra gioielli, denaro, manufatti, ingranaggi e congegni trovati sottoterra, ci ritroveremo incastrati in una bellissima meccanica di progressione che ci farà venir voglia di utilizzare tutti i nuovi strumenti e i potenziamenti ottenuti per raggiungere aree fino a poco tempo prima inaccessibili o per sconfiggere più facilmente i nemici. A ciò si aggiunge un sistema di perk che grazie agli ingranaggi – che si possono riassegnare in ogni momento ai vari slot – ci dà la possibilità di attivare ulteriori abilità relative all’equipaggiamento.

Dalla raffinatezza del game design alla cura di ogni particolare grafico e sonoro Steamworld Dig 2 è l’esempio di come un team relativamente piccolo possa realizzare un lavoro ispirato e profondo, senza ripetersi e anzi migliorando notevolmente la propria IP. Ogni aspetto del gioco è perfettamente equilibrato, a partire dalle meccaniche vere e proprie per arrivare al livello di difficoltà, che ci dà la possibilità di aggiungere fino a tre handicap innalzando dunque il livello di sfida per i giocatori più esigenti e lo fa in-game con una soluzione alquanto bizzarra: grazie al ritrovamento di determinate aree segrete ci verranno consegnati alcuni particolari progetti che ci permetteranno appunto di aumentare la difficoltà mentre stiamo giocando, assegnando i soliti ingranaggi alla mod. Inoltre avremo a disposizione uno spazio limitato per trasportare in superficie le risorse che troveremo man mano e venderle in cambio di denaro con il quale poi acquistare i vari potenziamenti. Grazie all’utilizzo dei tubi di trasporto, novità introdotta in questo capitolo, non dovremo affrontare viaggi troppo frustranti per risalire in superficie, a patto di trovarli prima di esaurire le nostre energie. Una particolare menzione va alle meccaniche di combattimento, anch’esse migliorate notevolmente, tanto che adesso risulta molto più divertente e appagante ingaggiare in lotta i tanti nemici presenti sulla mappa, ciascuno con le proprie peculiari abilità. Alla nostra morte perderemo gran parte di quello che fino ad allora abbiamo raccolto, ma potremo limitare i danni spendendo bene il nostro denaro e gli ingranaggi.

Su Nintendo Switch il gioco si comporta in maniera egregia, nessuna incertezza o calo di framerate, dettagli straordinari ed effetti visivi davvero molto curati. Sia sul dock che in modalità portatile è un titolo che sicuramente vale ciò che costa, considerato anche il fattore longevità, che si attesta intorno alle 15 ore di gioco nella modalità normale e anche oltre se lo si vuole completare del tutto e con un grado di sfida più elevato.




Axiom Verge

Uscito all’inizio su Playstation 4 e Steam, dopo essere apparso successivamente sulle restanti console sul mercato, Axiom Verge esordisce con un nuovo porting su Nintendo Switch. Dietro questo maestoso titolo c’è il lavoro di Tom Happ che ne ha curato ogni singolo aspetto, dalla programmazione alla musica, mente che ha già sviluppato progetti del calibro di Grey Goo e le serie dei titoli sportivi NFL Street e Tiger Woods PGA Tour e che ha lavorato ad Axiom Verge nel tempo libero dal 2010. Ad oggi questo è senz’altro uno dei titoli indie più acclamati e sicuramente uno dei migliori del suo genere: i metroidvania o sidescroller action adventure. A tal proposito, visto che ne abbiamo citato il termine, Axiom Verge è un titolo che ha molto in comune con Metroidprincipalmente gli scenari oscuri, il senso di disorientamento, l’essere soli contro delle specie aliene selvagge e tanto altro; tuttavia quello che stupisce di questo titolo sono invece tutte quelle differenze che lo rendono un titolo unico e ben più di un clone della famosa saga Nintendo.

1 + 1 = 1

La storia comincia con un esperimento scientifico: un esplosione in un laboratorio in New Mexico manda in un qualche modo lo scienziato Trace nel pianeta Sudra, sprofondato nel caos e apparentemente disabitato. Una volta risvegliati nell’uovo della rinascita, frutto dell’ingegno della civiltà che un tempo abitava il pianeta, verremo contattati da Elsenova, una delle protettrici del pianeta Sudra, che ci guiderà durante le prime fasi del gioco e ci spiegherà, man mano che l’aiuteremo, che cosa è successo nel pianeta. Tuttavia la vera e propria lore di questo titolo si cela nei documenti sparsi per il pianeta che, una volta raccolti, ci potranno dare un idea più chiara di cosa sia successo e il perché di un simile caos nel pianeta, sempre se siamo in grado di capirle e metterle in ordine cronologico. Il pianeta e le creature sopravvissute sembrano ostili ma queste sembrano cadere tutte come dei domino di fronte alla potenza del distruttore Axiom, potentissimo fucile in grado di sparare scariche energetiche in diversi modi. L’arma in questione ci offrirà, man mano che andremo a trovare le varie espansioni del fucile, una vastità di modi per farci largo attraverso i nemici; gli scontri a fuoco sono ben calibrati e le diverse opzioni permettono diverse strategie di avanzamento a seconda del tipo del giocatore. Fatevi strada a colpi di Kilver, ad esempio, se siete dei giocatori che preferiscono gli scontri faccia a faccia altrimenti, se volete rimanere inosservati, sparate da lontano con il Voranj; Axiom Verge in questo senso offre l’imbarazzo della scelta! Una buona strategia è necessaria visto che Trace non sembra per niente un personaggio forte e, specie durante le prime fasi di gameplay, ogni nemico, piccolo o grande che sia, sembrerà sempre una minaccia; tutto questo è aggravato dalla difficoltà nel reperire energia extra al di fuori delle aree di salvataggio (rappresentate dalle uova della rinascita). Non tutti i nemici, specialmente i più piccoli, rilasciano energia e dunque non è mai raccomandabile affrontare un’area gremita di creature sperando di poterla recuperare man mano le andiamo annientando. Il distruttore di indirizzamento è una parte del fucile in grado di modificare la realtà con un raggio a base di radiazioni che “glitcherà” i nemici e li renderà più vulnerabili; questa è decisamente un’abilità chiave nell’identità del gioco in quanto il distruttore di indirizzamento ci sarà utile per fare apparire o scomparire determinate piattaforme nel gioco, rivelare segreti e modificare la realtà circostante. Altre abilità di Trace e il Distruttore Axiom sono il drone remoto che servirà per esplorare i cunicoli più stretti,  dunque una sorta di sostituto della morfosfera di Samus, e il rampino che, anche dopo aver accumulato diversi power up, risulterà sempre utile al contrario del rampino laser di Super Metroid che diventa obsoleto non appena si acquisisce lo space jump. Axiom Verge, anche a difficoltà normale, offre una difficoltà poco adatta per chi è alle prese con un metroidvania per la prima volta ma invece è perfetta per tutti gli appassionati del genere; le diverse strategie garantiscono una rigiocabilità immediata e la modalità difficile, nonché la speedrun, offriranno ai giocatori un terreno fertile per poterle risperimentare nonché diverse ore di gioco aggiuntive.

Il senza luogo

La grafica di Axiom Verge, come ormai va di moda, fonde elementi 8 bit e 16 bit aggiungendo però un pizzico di H.R. Giger allo stile del design generale; in fondo lo stesso Metroid (il primo titolo dell’omonima saga) è stato ampiamente ispirato al film Alien del 1979 e uno stile grafico simile a quello di H.R. Giger, che creò per il film il modello della creatura, sembra un voler tributare tutto questo susseguirsi di opere cinematografiche e videoludiche in maniera molto originale. Il gusto retrò della grafica si intona perfettamente con i toni cupi del gioco offrendo comunque fondali molto ricchi e curati e sprite di boss dettagliati ed immensi; il tutto sarà dimostrato più volte in alcune boss fight in cui la telecamera si allontanerà dal protagonista per esprimere in tutto e per tutto la grandezza di questi ultimi senza distorcere la risoluzione generale. Tuttavia, nonostante il particolarissimo stile grafico, gli scenari risultano stranamente molto sterili; gli ambienti che Trace andrà ad esplorare mancano di caratterizzazione e questi, se pur molto belli e ben definiti, risulteranno comunque poco diversi l’uno dall’altro. Questi scenari oscuri popolati da mostri orripilanti sono accompagnati da una colonna sonora sensazionale e curatissima in ogni dettaglio. Il genere musicale si mantiene sulla musica elettronica, il synth pop e la musica ambient, generi sicuramente apprezzati dal nostro Tom Happ che, ovviamente, ha composto anche la colonna sonora. Gli amanti di questi generi musicali sicuramente apprezzeranno questa colonna sonora (uscita anche in vinile) che ricorda tantissimo lo stile dei Kraftwerk, Depeche Mode, Frankie Goes to Hollywood, Air, Vangelis e molti altri. Provare per credere!

Il futuro è il presente

Anche se le sue meccaniche di base si rifanno alla saga di Metroid, che nel complesso del giudizio costituisce il vero e proprio metro di paragone, Axiom Verge è ben più di un clone: è un gioco che non solo rappresenta probabilmente un tributo ad una delle sage videoludiche più acclamate di tutti i tempi ma è soprattutto un titolo che unendo il passato ed il presente consegna un qualcosa di fresco e con un carattere tutto suo. I diversi premi e le nomination ricevute dimostrano che Axiom Verge non è certamente un titolo indie qualunque e che il mercato è sempre pronto ad accogliere titoli come questo.




Evil Genome

Evil Genome, sviluppato da Crystal Depths Studio, un platform in 2,5D difficile da classificare.
Sembra quasi di vedere uno dei Metroid o un Castlevania, e in effetti esiste già un termine per identificare giochi simili, ed è metroidvania.
Paesaggi abbandonati, scenari post-apocalittici, dungeon semi-futuristici, nemici insettoidi, umani o robotici. Grandi mappe visualizzabili palesano la loro somiglianza con il concept delle mappe di Metroid e anche la donna in tuta spaziale che fa da protagonista non può non rievocare a gran voce la cacciatrice di taglie più famosa dei videogame, Samus. La somiglianza con i Castlevania è invece riconducibile al sistema di attacchi combo con la spada e alla distribuzione dei danni a cascata quando si affrontano nemici multipli.

Ho volutamente giocato questi 3 titoli alternandoli (nello specifico Castlevania Lords of Shadows: Mirror of Fate e Metroid Samus Return), e il fatto che nella mia mente tendessero a confondersi conferma quanto scritto.
Ma non significa gridare al plagio: come nella musica, le note sono solamente 7 ed è difficile, imbarcandosi in un genere, non imbattersi in similitudini.

Falling From the Sky…

Nel gioco guideremo la nostra eroina, Lachesis (nome mutuato da una delle tre Moire della mitologia greca) dopo lo schianto in un pianeta sconosciuto, e da subito, verremo a sapere della presenza di umani nel pianeta che lavorano come minatori – non si sa ne per conto di chi, né per quale motivo – e quindi dell’esistenza di alcune miniere, completamente infestate da mostri mutanti che vivono e si evolvono grazie alla presenza di spore radioattive. La nostra missione sarà quella di scoprire il mistero che si cela dietro tutto ciò e di impedire che l’intero pianeta diventi un crogiolo radioattivo di morte e distruzione.

L’Asso Nella Manica

Quello che sicuramente fa la differenza tra questo e i titoli su citati è il sistema di crescita e livellamento, spiccatamente filo-GDR: sviluppato tramite un grande skill-tree, ci darà la possibilità di personalizzare la nostra esperienza di gioco, sbloccando le svariate abilità, attive e passive, a disposizione, che a loro volta si distingueranno tra offensive e difensive. Si potranno selezionare 4 abilità, attivabili tramite i pulsanti dorsali del joypad, mentre altre necessiteranno della pressione combinata di più tasti. Un altro degli aspetti interessanti del gioco è quello dell’equipaggiamento, totalmente “customizzabile” con nuove armi, corazze o semplici vestiti.

Tirando le Somme

La veste grafica del gioco è abbastanza minimale, ma ben costruita. I combattimenti e le azioni del nostro personaggio sono accompagnati da dei piacevoli effetti visivi. Una nota dolente, invece, riguarda le animazioni, le quali sembrano ridursi ad asset di base che lasciano il tempo che trovano.
In conclusione, Evil Genome non è un titolo da sottovalutare, vi regalerà sicuramente qualche ora di divertimento, ma forse alla lunga potrebbe risultare un po’ ripetitivo. Probabilmente Crystal Depths Studio, con i giusti accorgimenti, avrebbe potuto far guadagnare altri punti preziosi a un metroidvania che poteva dare di più.




Forma.8

Forma.8 è un classico metroidvania che racchiude tutta la propria forza nel suo stile grafico evocativo, nella scelta dei suoni e nell’ambientazione misteriosa e affascinante. Dopo un breve filmato introduttivo che mostra una grossa astronave – all’interno della quale vengono preparati molteplici droni di forma quasi perfettamente sferica che vengono immediatamente inviati a esplorare il corpo celeste – sopraggiungere su un pianeta sconosciuto, prenderemo i comandi di uno dei piccoli robot, finito all’interno di quella che si rivela essere una costruzione artificiale all’interno di un ambiente naturale sotto la superficie del pianeta. Ed è così che veniamo lasciati soli all’interno di quella che, nel corso delle circa 7 ore di gioco, scopriremo essere una vasta mappa formata da stanze sempre diverse ma ben collegate tra loro, alla ricerca di qualcosa che ci verrà rivelato soltanto nel finale. Il sistema di controllo è semplice e intuitivo, anche perché, durante le prime fasi di gioco, avremo a disposizione soltanto due poteri: quello di lanciare un impulso elettrico, e l’utilizzo di un esplosivo a tempo, entrambi necessari per poter interagire con l’ambiente circostante e per combattere le forme di vita nemiche che popolano il pianeta. Presto scopriremo che questi poteri possono interagire l’uno con l’altro e ci ritroveremo a lanciare gli esplosivi contro i nemici, direzionandoli e allontanandoli da noi tramite l’impulso elettrico. Pian piano che avanzeremo nel gioco scopriremo che tutti i nostri compagni droni sembrano essere stati abbattuti, ed è da questi che assorbiremo anche gli altri poteri che ci permetteranno di affrontare sfide sempre più complesse.

Uno degli elementi più interessanti del titolo è certamente lo studio delle diverse bossfight, che non sono affatto ripetitive e richiedono sempre l’uso del cervello prima di lanciarsi all’attacco ciecamente. Durante l’esplorazione, inoltre, ci imbatteremo in alcuni artefatti collezionabili che più in là nell’avventura scopriremo di poter utilizzare in una determinata stanza per sbloccare dei power-up che ci permetteranno di affrontare il backtracking in maniera più rapida e funzionale. Non manca certamente l’implementazione di alcuni enigmi ambientali, alcuni dei quali richiedono una certa dose di ingegno e di pazienza per essere risolti, e di alcune stanze-sfida che daranno del filo da torcere ai giocatori completisti. Nel complesso, il gioco non risulta frustrante, tranne appunto nel caso in cui si voglia completarlo al 100%. Purtroppo la storia perde un po’ del suo fascino in un finale non all’altezza delle ore di gioco che lo precedono e questo è un difetto non da poco, un vero peccato visto il senso di mistero e solitudine che tutto l’environment ci trasmette, accompagnato da una colonna sonora onirica e minimale che ben si fonde con il design grafico del titolo, elementi che ci spingono a continuare l’esplorazione senza sosta alla ricerca del modo di superare un certo ostacolo o scoprire nuovi passaggi. Una nota di merito per la scelta di inserire di alcune citazioni a giochi illustri e riferimenti ai classici retrò. Non mancano inoltre alcuni easter egg dei quali però è meglio tacere, onde evitare di rovinare la sorpresa al giocatore.

La versione per Nintendo Switch è l’ultima in ordine cronologico anche per la casa di Kyoto, poiché arriva dopo le edizioni per Wii U e 3DS. Il gioco gode di buone performance sul dispositivo, sia in modalità dock che in quella portatile. In quest’ultima, con tutta probabilità, risulterà impossibile portarlo a termine con una sola carica di batteria. Le note dolenti purtroppo non mancano: a partire da alcune incertezze nel framerate che fortunatamente si palesano soltanto in alcuni caricamenti di mappa, durante il passaggio da una stanza all’altra, passando per alcuni glitch che occorrono utilizzando il teletrasporto o uno dei poteri avanzati, difetti che più di una volta hanno bloccato per alcuni secondi la console prima di restituirci la schermata di gioco. Un unico bug riscontrato in una fase avanzata, fortunatamente non necessaria al completamento della storia, che ha avuto come conseguenza e per ben due volte consecutive il crash del gioco. Infine la vibrazione dell’HD rumble, unico difetto davvero importante in quanto impostata in maniera troppo forte e che di conseguenza produce un movimento ed un suono davvero fastidiosi. Nulla che comunque non possa essere sistemato da una patch.