Food Party: prodotti alimentari nei videogiochi

L’alimentazione è un bisogno primario degli esseri umani e, da giocatori, possiamo dire che è forse più forte nei gamer. Dobbiamo pur smettere di giocare, spegnere la console o il PC per poi addentare un bel panino, goderci un gustoso piatto di pasta o, visto che le calorie bruciate di fronte allo schermo non sono tantissime, rifocillarci con della sana frutta. Non tutti i videogiochi ci spingono a mangiare: magari passando da tutti quei fast food in Dead Rising o guardando quei cosciotti di maiale in Castlevania potrebbe venirci un insolito languorino, ma che succede quando il cibo stesso diventa il protagonista del gioco? Oggi, un po’ come abbiamo fatto tempo fa con le celebrità, vogliamo fare un excursus di sapori – più o meno sani – e gaming dando uno sguardo ad alcuni titoli il cui fine non è necessariamente la produzione di un gioco avvincente ma venderti un prodotto! In questo articolo troverete dei giochi il cui fulcro è la promozione di un brand alimentare, perciò, salvo casi eccezionali, non parleremo di casi product placement come il KFC in Crazy Taxi, le promozioni e gli oggetti speciali di Subway in Uncharted 3: Drake’s Deception o le mentine Airway in Splinter Cell: Chaos Theory. Al solito, la lista non sarà completissima perciò se ci dimentichiamo qualcosa fatecelo sapere pure nei commenti!

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Domande esistenziali

Sin dall’alba della nascita dei prodotti di consumo l’uomo è da sempre stato messo di fronte una domanda tanto semplice quanto decisiva: Coca Cola o Pepsi? Sin dal loro arrivo sul mercato, più o meno intorno alla fine del ‘800, le due compagnie si sono letteralmente odiate, una guerra combattuta prodotto su prodotto. Nel 1983, visto che Pepsi nel 1975 diede un duro colpo alla compagnia rivale con dei test a occhi bendati nei supermercati americani, Coca Cola distribuiva alle convention un gioco per Atari 2600 senza etichetta, insieme alla console (che per la crisi, tanto, costavano pochissimo), intitolato Coke Wins ma più in là rinominato dal pubblico Pepsi Invaders per via della sua estrema somiglianza con Space Invaders (tanto che, infatti, il titolo nasce dal codice madre del gioco Taito ed è pertanto considerabile, in tutto e per tutto, un hack). Il titolo, sviluppato da Atari stessa, mirava a promuovere il marchio Coca Cola, infatti lo scopo del gioco era annientare la schiera di navicelle che in cielo formavano sei pericolosissime scritte “PEPSI“, capitanate da altrettanti alieni residuati da Space Invaders, e quando si vinceva appariva la scintillante scritta “Coke Wins“; tuttavia, essendo il marchio del nemico così in bella vista, sembrava che stessero promuovendo la compagnia rivale anziché il promotore stesso e perciò oggi in molti vedono in questo gioco l’esempio lapalissiano di un colpo di zappa sui piedi. Il gioco non fu mai venduto al pubblico ed è pertanto uno dei più rari di sempre: delle copie sono state vendute su eBay per prezzi che oscillavano dai 1000 ai 2000 dollari americani. Se volete provare questo rarissimo gioco vi converrà ovviamente provarlo su un emulatore… oppure, potreste comprare una Coca Cola per 2 euro al bar!

Nel 1983, su Atari 2600 e Intellivision, ci fu un’altra famosa promozione, stavolta per un prodotto assente nei supermercati italiani: parliamo di Kool-Aid Man, gioco che promuove la famosa bevanda fruttata americana “fai-da-te”. Su Atari 2600 controlleremo la famosa brocca animata che da tanti anni promuove il brand e lo scopo del gioco è evitare i Thirsties in corsa, perché altrimenti verremo schiantati a destra e a manca nell’area di gioco e fermarli quando allungano le cannucce per bere dalla pozza di Kool-Aid nel fondo. Poco tempo dopo, per Intellivision, uscì un gioco in cui il nostro obiettivo era quello di controllare due bambini intenti a collezionare i tre ingredienti principali per fare una bella brocca di Kool-Aid (la bustina con la polvere, dello zucchero e una brocca di acqua ghiacciata… sbaglio o stiamo facendo pubblicità gratuita?). Anche qui, i Thirsties, i nemici di Kool-Aid Man, saranno alle nostre calcagna e se ci prendono due volte per noi sarà game over; ma se riusciremo a preparare la bevanda in tempo chiameremo la cara brocca sorridente e goderci il Kool-Aid in santa pace!

(Oh yeah!)

Basta aperitivi, abbiamo fame!

Avete fame? Non vi va di andare in cucina a preparavi un hamburger? A quanto pare, nell’anno 2025 (dunque fra sette anni, tenetevi forte!), i ricercatori Burger King creeranno un Whopper così buono che non dovrete spostarvi dal divano, sarà lui a venire da voi! In Whopper Chase, gioco del 1987 per Commodore 64, ZX Spectrum e MSX, controlleremo il famoso hamburger di casa Burger King alla volta delle fauci di un avventore che lo chiama per telefono; per strada dovremo eliminare pomodori e cetrioli ostili e chef gelosi a colpi di maionese in eccesso (sapete, quella che scola via ai lati del panino morso dopo morso). Il gioco è stato prodotto in Spagna su musicassetta ed era possibile ottenerlo con un Whopper solo nei Burger King spagnoli; al di là dell’intento commerciale la diffusione è stata un successo e come conseguenza i prezzi su eBay, oggi, non sono per niente proibitivi nonostante la circoscrizione al territorio iberico. Di sicuro, nel 1987, i bimbi spagnoli saranno andati ben più volentieri al Burger King con questa scusa (e forse saranno anche ingrassati parecchio)!

Ronald McDonald alla riscossa!

Poteva McDonald’s tirarsi fuori dalla guerra dei software digitali per promuovere i loro ristoranti fast food per famiglie? Nel 1992 arriva M.C. Kids (non Mc Kids…) su Nintendo Entertainment System, noto come McDonald’s Land in Europa, un grazioso platformer ispirato primariamente a Super Mario Bros. 3 per quel che riguarda il design dei livelli e l’overworld diviso in sette mondi. Contrariamente a quel che si possa pensare, il gioco non mette in risalto i prodotti McDonald’s ma di certo è una gran bella presentazione delle mascotte dei loro ristoranti come Ronald McDonald, Birdie, Grimace e l’avido Hamburglar che in questo gioco ruba una borsa magica al famoso (e spaventoso) clown. Per avanzare nell’overworld ci servirà collezionare delle carte da consegnare alle mascotte una volta terminato un livello – gameplay che verrà ripreso anni più tardi nel terribile Spartan per Nintendo Switch –; di certo non è fra i platformer migliori che il NES possa offrire ma per essere un gioco su licenza e, in tutto questo, anche una chiara trovata commerciale per promuovere i ristoranti McDonald’s il risultato non è male e il gioco, nonostante alcuni difetti, risulta tuttavia godibile.

Dopo questo titolo, McDonald’s rientrò nel mondo dei videogiochi con altri due platformer per Sega Mega Drive o Genesis in Nord America: il primo è Global Gladiators del 1992, un gioco in cui due ragazzini di nome Mick e Mack vengono catapultati nel loro fumetto preferito (guarda caso pieno di doppi archi dorati) grazie a una magia di Ronal McDonald, e l’altro è McDonald’s Treasure Land Adventure del 1993. L’ultimo titolo è davvero niente male, specialmente perché dietro allo sviluppo di tale gioco c’è il leggendario studio Treasure, noto per aver prodotto alcuni dei migliori videogiochi mai sviluppati come Gunstar Heroes, Dynamite Headdy, Guardian Heroes, Radiant Silvergun e Ikaruga! Che dire? Anche i migliori hanno bisogno di un Big Mac di tanto in tanto!

I’ vogl na pizz!…

Ai napoletani sicuramente non piacerà ma per gli americani è una garanzia quando non ci si vuole avventurare in un ristorante italiano sconosciuto: Domino’s Pizza è un brand molto famoso negli Stati Uniti e dal 2015 è presente anche nel territorio italiano con otto ristoranti a Milano e uno a Bergamo. Il titolo che vedremo adesso è Yo! Noid, videogioco con protagonista il Noid, protagonista e mascotte delle pubblicità di questo popolare brand americano. A differenza dei giochi McDonald’s il gioco, che in realtà era un titolo per Famicom di Capcom originariamente uscito come Kamen no Ninja Hanamaru, risulta molto carente sia sul piano della dinamicità, offrendo un gameplay poco bilanciato per il fatto che il Noid viene annientato solo dopo un colpo e una grafica buona ma confusionaria sul piano dell’uso dei layer di scorrimento. Ad aggravare la situazione sono presenti le orrende sezioni dei pizza eating contest in cui bisognerà mangiare più pizza di un altro Noid; queste sono delle vere e proprie boss battle in cui regna la casualità, in quanto i due partecipanti pescheranno in maniera radomica un numero da un selettore e, il partecipante col numero più alto aggiungerà un punto sul suo pizza meter. Meglio andare a mangiare una pizza!

… e una Pepsi!

Più tardi, nel 1999, anche Pepsi si buttò nel mercato videoludico proponendo un titolo a oggi molto discusso, una vera e propria bestia rara, visto che uscì solo in Giappone, ma molto divertente e soprattutto bizzarra. Sviluppato dallo studio giapponese KID, Pepsiman per PlayStation è una sorta di gioco d’azione in cui controlleremo l’iconico (non in Italia) supereroe gasato nel intento di portare una Pepsi a chi ne ha bisogno, come un militare nel deserto; il gioco si presenta come uno runner sullo stile di Metro Cross o Penguin Adventure – oggi sarebbe un gioco ideale per smartphone – e bisognerà evitare bizzarri ostacoli come dei lavori in corso per strada, stendibiancheria nei giardini, camion carichi di Pepsi e lattine giganti che ci inseguono come il masso all’inizio di Indiana Jones e i Predatori dell’Arca Perduta. Stranamente, il gioco è interamente doppiato in inglese, il che lo rende tranquillamente giocabile per chi non parla giapponese, e con alcune cutscene girate a Los Angeles che includono la presenza dell’attore Mike Butters, ricordato per essere stata la prima vittima del killer in Saw: l’Enigmista; a quanto pare era programmata una release internazionale ma alla fine il gioco rimase relegato al Giappone.
Il gioco, tuttavia, non segna la prima apparizione di Pepsiman in un videogioco; il supereroe era presente nel picchiaduro Fighting Vipers nel 1996 per Sega Satun (di cui potrete vedere un footage nel fondo di questo articolo sul Polymega, anche se Pepsiman non è presente) dove divenne un personaggio sbloccabile grazie a un accordo pubblicitario fra Pepsi e Sega.

Prima di concludere il discorso di questi particolari titoli promozionali vogliamo parlare un secondo dei “videogiochi originali” presenti nelle confezioni delle merendine Ferrero. A oggi è molto difficile tracciare tutte le “release” di questi titoli, che comprendono titoli del calibro de Gli Straspeed e la Strarace e il videogioco de i Magicanti, delle mascotte Ferrero durate per poco tempo, ma vale la pena di ricordare lo spettacolare Fresh Adventure, un lentissimo e davvero scadente platform con il pinguino del Kinder Pinguì e Fetta al latte; perché spettacolare? Per questo esatto motivo:

GameCompass per la vostra salute

Ci sono ancora molti giochi che promuovono brand alimentari, come Cool Spot per le console 16 bit che promuoveva la 7-Up, Chester Cheetah: Wild Wild Quest per Sega Mega Drive e Super Nintendo che promuoveva il brand di chips Cheetos e persino i recenti Dash of Destruction e Crash Course per Xbox 360 per promuovere il brand Doritos. Tuttavia, i giochi che abbiamo promosso finora contengono prodotti ipercalorici che nel peggiore dei casi, possono portare a malattie come il diabete.
Per scongiurare casi come questi la Novo Nordisk, una compagnia danese specializzata nel trattamento del diabete e nella produzione di insulina, si è buttata nel ring nel 1992 con Captain Novolin per SNES, un titolo sviluppato da Sculptured Software per sensibilizzare i bambini affetti da diabete (ma solo quelli col Super Nintendo. Al diavolo quelli col Mega Drive o i computer!). Nel gioco ci verranno spiegate le migliori soluzioni per trattare questa brutta malattia e per proseguire le avventure dell’unico supereroe affetto da diabete di tipo 1 bisognerà di tanto in tanto rispondere a qualche domanda sull’argomento; sia genitori che bambini hanno trovato questo gioco molto utile nonostante il gameplay poco interessante ma bisogna anche ammettere che mirare alla sensibilizzazione a un problema così grande e spesso sottovalutato è un obiettivo veramente nobile… il vero problema, giusto per concludere in bellezza, era che il gioco veniva venduto a prezzo pieno e nessuna parte dei proventi venne investita per la ricerca; dunque, alla fine dei conti, il vero obiettivo del gioco era venderti l’insulina della Novo Disk!

Dunque, state attenti a cosa mangiate, non andate a mangiare cibo spazzatura di frequente o altrimenti vi toccherà giocare con Captain Novolin!

(Bene Captain Novolin, ha salvato il mondo! Per festeggiare che ne direbbe di un bel pezzo di tor… ops…)



Nintendo e i recenti sviluppi sull’emulazione

In queste settimane il mondo del retrogaming ha subito una scossa tellurica senza precedenti; il più grande sito di emulazione, emuparadise.me, ha rimosso l’intera sezione download di ROM, ISO e emulatori, decretando così la fine della sua storia, preziosissima nel recupero di titoli che altrimenti sarebbero andati perduti. Dietro a una simile decisione c’è la “minaccia Nintendo” che ha fatto causa ai siti LoveROMs e LoveRETRO per aver violato il loro copyright, in quanto non solo lo stile del sito faceva largo uso delle proprietà intellettuali della compagnia giapponese ma il sito si presentava, più che come un un sito di emulazione, come una sorta di skin somigliante ai canali ufficiali Nintendo o qualsiasi altro store digitale proposto con le console casalinghe (ovviamente, però, il tutto era ceduto gratuitamente). In seguito alla chiusura della sezione download di Emuparadise, la cui unica fonte di sostentamento erano le donazioni volontarie degli utenti, altri siti di emulazione potrebbero far lo stesso per non evitare conseguenze legali e i retrogamer di tutto il mondo riversano la propria rabbia alla responsabile di tutto ciò, che è ovviamente la casa di Kyoto. Ma cosa è in potere della compagnia giapponese e che ne sarà del futuro dell’emulazione? Quali sono i veri effetti che una mossa del genere potrebbe portare alla comunità di retrogaming? Proviamo ad analizzare i fatti che hanno portato a questi nuovi inquietanti eventi.

Le cause e gli effetti

Per capire le cause della querela da parte di Nintendo a LoveROMs e LoveRETRO basta guardare qualche screenshot degli ormai defunti siti: sin dalle homepage è possibile notare i paesaggi presenti nei New Super Mario Bros. e la presenza di altre proprietà intellettuali nonché, nelle sezioni ROM, le boxart dei giochi da scaricare, come un vero e proprio servizio di streaming a pagamento. Nei più normali siti di emulazione, come in Emuparadise, ci sono solamente liste che mostrano solamente i titoli dei videogiochi che vogliamo scaricare e gli screenshot e/o box-art appaiono una volta che il link ci rimanda alla pagina del download. Per il resto, l’unica altra cosa di proprietà di Nintendo su Emuparadise, al di là delle ROM, è giusto un vettoriale di Samus Aran in basso a sinistra nella home.

Per quanto Nintendo sia stata tempestiva nel far causa a LoveROMs e LoveRETRO senza pensare alle conseguenze, i due siti gemelli non hanno mai considerato di stare usando materiale protetto da copyright riguardo la skin delle loro piattaforme. Il fulcro della causa sono ovviamente le ROM ma è anche vero che se si avvia un sito del genere, la cui legittimità dello scopo si trova in una zona grigia (senza contare che le leggi sul copyright e il libero download cambiano da paese a paese), bisogna anche provare ad alzare meno polveroni possibili e rimanere nell’ombra più che si può. Adesso, come effetto, Emuparadise e altri grossi siti di emulazione, come The Isozone, stanno chiudendo le proprie sezioni download per evitare che Nintendo possa far loro causa per gli stessi motivi; è difficile dire che siano nello stesso “torto” di LoveROMs e LoveRETRO ma, preventivamente, è stato meglio rimuovere le ROM dai loro siti e continuare a esistere come comunità per il retrogaming. Ma adesso: cosa succederà alla scena dell’emulazione?

Una nuova scena?

Vogliamo ricordare, come prima cosa, che Emuparadise, LoveROMs e LoveRETRO sono siti i cui proprietari si trovano negli Stati Uniti e dunque, da cittadini americani, devono rispettare le leggi del loro paese, le stesse che permettono inoltre a Nintendo di compiere azioni legali (e che dopo commenteremo). Per tanto, anche se lo scenario attuale può sembrare desolante, l’emulazione continuerà a esistere anche senza Emuparadise e The Isozone. Il problema principale per chi usa Everdrive per le console o semplicemente chi scarica anche solo per provare determinati titoli per poi comprarli su Ebay o nelle piattaforme legali che offrono titoli retro sarà semplicemente legato a sicurezza, reperibilità e accessibilità. Emuparadise per anni è stato sinonimo di emulazione, offriva (con buona probabilità) il più grosso database per ciò che riguardava le console precedenti alla settima generazione di console, ovvero quella di PlayStation 3 e Xbox 360 (esisteva una sezione per il Nintendo Wii), offriva i titoli per Satellaview, add-on per il Super Famicom che consentiva di utilizzare giochi esclusivi via satellite e mai più messi in commercio, titoli di sviluppatori in attività e defunti come la Toaplan che non hanno mai più rivisto un secondo rilascio, neppure per la Virtual Console, e, cosa più importante in simili siti, era libero da ogni rischio di phishing, malware o qualsiasi altro elemento per i PC di coloro che volevano solamente giocare a qualche gioco pixelloso; inutile a dirlo, Emuparadise non monetizzava in alcun modo e le donazioni servivano primariamente a pagare il dominio e i server che contenevano l’enorme database.
Esistono ancora altri siti di emulazione in altri paesi (e dunque in altre lingue), senza contare l’incontenibile scena dei torrent in cui possiamo trovare un sacco di materiale ma il problema per gli appassionati rimane: saranno abbastanza sicuri? Saranno abbastanza forniti? Cosa succederà alla scena degli hack e delle traduzioni che hanno portato in occidente titoli, come Mother 3, di cui Nintendo ignora la domanda da anni? Che ne sarà dell’emulazione non-Nintendo? Che ne sarà della scena del MAME che ha preservato un’infinità di titoli che altrimenti sarebbero andati persi per sempre? Che ne sarà della scena del MSX, avviata persino dall’ideatore stesso dello standard Kazuhiko Nishi? Che ne sarà dei giochi 3DO? Ci sono un sacco di domande alla quale per ora è impossibile dare risposte; l’unica plausibile, sebbene abbia una risposta abbastanza semplice, è quella di aspettare che finisca la tempesta e di lasciare che la scena dell’emulazione si riformi tenendo conto degli eventi che hanno portato a chiudere i maggiori colossi del web. Forse negli Stati Uniti, epicentro degli scontri, si dovrà in futuro ricorrere a indirizzi VPN e relegare una nuova scena all’interno del deep web, probabilmente non sarà così in Stati come la Russia, in cui la scena degli scambi virtuali fila liscia come l’olio; per ora l’emulazione vede giorni bui ma, come si dice spesso, “ciò che arriva in rete, rimane in rete” e perciò, secondo noi, è solo una questione di tempo perché l’emulazione torni forte e affidabile come prima (insomma, Nintendo per anni non ha nemmeno considerato il problema, è possibile che non lo considererà più neanche il futuro).

La voce del padrone

Per quanto si possa condannare Nintendo per ciò che stanno facendo ai siti di emulazione, la grande N ha tutte le basi per procedere: sui giochi proposti in quei siti possono accampare diritti, si tratta delle loro proprietà intellettuali e pertanto possono bloccarne la diffusione. Per quanto romantiche possano sembrare frasi come “i giochi appartengono alla community dei videogiocatori”, i giochi non sono di dominio pubblico e nessuno può permettersi di diffondere le IP di qualcun altro senza consenso, anche di fronte all’imprescindibile fatto che, se servizi come la Virtual Console o Xbox Live Arcade hanno avuto il loro successo, lo devono alla scena dell’emulazione preesistente. Il problema principale adesso, per Nintendo, sta nel restituire ai fan tutto ciò che hanno fatto sì fosse rimosso dai siti per l’emulazione e renderli di nuovo disponibile, sia per il bene degli sviluppatori e sia per i fan che vogliono quei giochi; pensate al solo Super Mario Sunshine, sequel di Super Mario 64, rimasto relegato al Nintendo Gamecube e che non ha mai visto il rilascio in nessuna console di generazione successiva. Alla luce di questi fattori, sorge spontanea una gigantesca domanda: riuscirà Nintendo a preservare la sua stessa libreria di titoli per il suo bene, quello degli sviluppatori e quello dei fan? Per ora la console principale della compagnia di Kyoto, il Nintendo Switch, non propone nessun titolo proveniente dalle loro vecchie console (solamente alcuni giochi arcade delle librerie Neo Geo e qualche altra piccola rarità) e gli unici canali ufficiali, ovvero la Virtual Console per Wii e quella più magra del Wii U, semplicemente non hanno vita lunga. Nintendo, nel compensare la fame di retrogaming nei fan, sta costruendo un servizio simile al PS Plus e al GamePass di Microsoft da lanciare insieme al servizio online di Switch ma purtroppo parliamo solamente di una manciata di titoli al mese (con l’aggiunta, per alcuni, del multiplayer online) che non rimarranno nella memoria delle console dei giocatori; i titoli per ora riguardano solo il Nintendo Entertainment System ma tutti i giocatori si chiedono la stessa cosa: e i giochi per Super Nintendo, Nintendo 64, Gamecube, Wii, Sega Mega Drive, Commodore 64, PC Engine, insomma, tutte le console che abbiamo visto sulla Virtual Console? Per i possessori delle console Nintendo la situazione non è affatto rosea e probabilmente nemmeno gli iper-popolari NES e SNES mini (che si avvalgono per altro delle ROM caricate nei siti di emulazione e non dei codici madre originali) potranno mai risolvere la situazione in loro favore, nemmeno se un giorno verranno resi disponibili tutti i titoli tolti ai siti di emulazione perché nessuno avrà modo di provarli (e per le nuove generazioni di giocatori, che non guardano questi giochi con lo stesso occhio nostalgico di alcuni, serve davvero un canale di prova). Nintendo perora avrà vinto la battaglia ma tutti sanno che è una guerra che non potrà mai vincere del tutto, nemmeno offrendo il miglior servizio di streaming o vendita per il retrogaming; potranno anche uscirsene a testa alta offrendo persino agli sviluppatori una soluzione che possa far sì che monetizzino sui loro vecchi titoli ma l’emulazione è semplicemente un movimento troppo diffuso per estinguersi, e saprà trovare contromisure. Non ci resta che aspettare e vedere l’epilogo di questa storia, sia per Nintendo sia per la scena dell’emulazione.




Dusty Rooms: uno sguardo al MSX

L’obiettivo di questa rubrica è principalmente quello di far scoprire quelle parti di retrogaming curiose, interessanti e, possibilmente, non ancora prese in esame. Oggi, qui a Dusty Rooms, daremo uno sguardo ai computer MSX, un sistema ancora non comune e che forse non lo sarà mai, probabilmente per via della sua scheda madre, un prodotto da vendere su licenza a terze parti affinché la producessero con i loro mezzi. Certo, il Commodore 64, l’Amstrad, l’Apple II e i computer Atari sono stati sicuramente i più popolari negli anni ’80 ma se oggi lo scenario dei personal computer è come lo conosciamo, lo si deve principalmente a queste favolose macchine MSX che finirono per dettare degli standard in quanto a formati e reperibilità dei software. Per capire l’innovazione portata da questi computer, utili sia per il gaming che per la programmazione, bisogna dare uno sguardo allo scenario tecnologico di quegli anni.

Non fare il Salame! Compra un computer!

Negli anni ’80 i computer cominciarono a far parte della vita di milioni di persone e, sia in termini di costi che di dimensioni, erano decisamente alla portata di tutti; in Nord America si assistette a un’impennata per via del crollo del mercato dei videogiochi del 1983, in quanto i genitori erano più propensi a comprare un PC per i loro figli con la quale poter sia giocare che studiare, e in Europa, e molte altre parti del mondo, avevano preso piede ancor prima delle console rudimentali come Atari 2600, Philips Videopac (Magnavox Odyssey 2 in Nord America) o il Coleco Vision. Tuttavia, in negozio, scegliere un computer rispetto a un altro era un impresa tutt’altro che facile: ogni macchina era in grado di leggere videogiochi e eseguire programmi gestionali, creativi o educativi ma, ogni compagnia, proponeva il proprio sistema e linguaggio di programmazione e perciò, senza uno standard, la compatibilità fra le macchine era pressoché nulla; il tutto era aggravato inoltre dalle centinaia di pubblicità che proponevano sempre il loro computer come il più veloce e generalmente migliore rispetto alla concorrenza. Lo scenario era ben diverso da quello odierno in cui sono presenti principalmente due sistemi operativi dominanti e, indipendentemente dal modello fisico che si prende in esame, è molto più facile orientarsi in un mercato che dà meno alternative e in cui la compatibilità è sempre più ampia.

(Pensate, compravate un Commodore 64 per la vostra azienda ma poi, una volta a casa, accendevate la TV e c’era Massimo Lopez che vi proponeva il suo migliore computer SAG e voi entravate in paranoia!)

Negli anni ’70 un giovane Kazuhiko Nishi, studente dell’Università di Waseda, cominciava a interessarsi al mondo dei computer, software ed elettronica con il sogno di costruire una console con i propri giochi e poterla rivendere ma, dopo una visita alla fabbrica della General Instruments, capì che non poteva comprare dei chip in piccole quantità per poter sperimentare e perciò dovette rinunciare momentaneamente al suo sogno. Cominciò a scrivere per alcune riviste d’elettronica affinché potesse mettere a disposizione la sua conoscenza per la programmazione ma, se voleva trarne il massimo vantaggio da questa attività, doveva necessariamente fondare una sua compagnia e fare delle sue pubblicazioni. Dopo aver lasciato l’università, Nishi fondò la ASCII per poter pubblicare la sua nuova rivista I/O, che trattava di computer, ma nel 1979 la pubblicazione cambiò nome in ASCII magazine che si interessava più generalmente di ogni campo dell’elettronica, inclusi i videogiochi. Con il successo della rivista Kazuhiko Nishi poté tornare al suo progetto originale, ovvero creare una macchina tutta sua, ma per farlo aveva bisogno di un linguaggio di programmazione; egli contattò gli uffici Microsoft riuscendo a parlare, con la prima telefonata, con Bill Gates e più tardi, quello stesso anno, riuscirono a incontrarsi. Entrambi avevano la stessa passione per l’elettronica, più o meno lo stesso background sociale (entrambi avevano lasciato gli studi accademici) e dopo diversi meeting aderirono per fare del business assieme. ASCII diventò la rappresentante di Microsoft in Giappone e Kazuhiko Nishi divenne vicepresidente della divisione giapponese della compagnia americana. Grazie a questa collaborazione Nishi poté inserire il BASIC nel PC 8000 di Nec, la prima volta che veniva incluso all’interno di un computer, ma nel 1982, quando Harry Fox e Alex Weiss raggiunsero Microsoft per poter creare dei software per il loro nuovo computer chiamato Spectravideo, egli vide le basi per coniare il suo progetto iniziale e cominciare a produrre una linea di PC compatibili fra loro visto che la macchina era costruita intorno allo Zilog Z80, un processore che faceva da punto in comune fra diversi computer e persino console (essendo incluso nel Coleco Vision, console che, prima dell’avvento del NES, andava molto forte). Kazuhiko Nishi voleva che il suo computer fosse piccolo, come quelli che aveva prodotto alcuni anni prima per Kyocera, doveva contenere almeno uno slot per delle cartucce ROM, essere facilmente trasportabile ed espandibile e doveva contenere una versione di BASIC migliore dei computer IBM; così composto era la sua perfetta visione di computer in grado di poter garantire uno standard fra queste macchine. Poco dopo Nishi contattò tutte le più grandi compagnie giapponesi come Casio, Mitsubishi, Fujitsu, Kyocera, SonySamsung e Philips, rispettivamente, che decisero di investire in questo nuovo progetto; fu così che nacque lo standard MSX.

(Kazuhiko Nishi e Bill Gates)

Software per tutti!

Come abbiamo già detto, le macchine MSX nascono dall’unione di ASCII e Microsoft nel tentativo di fornire uno standard per i manufattori di PC. Era parere comune, ai tempi, che “MSX” stesse per “MicroSoft eXtended” ma Kazuhiko Nishi, più tardi, smentì queste voci dicendo che la sigla stava per “Machine with Software eXchangeability“. Con questo nuovo standard, tutti i computer che esponevano il marchio MSX erano dunque compatibili fra loro; perciò, cosa rendeva un’unità uguale a un’altra? Per prima cosa la CPU 8-bit Zilog Z80A, chip creato dall’italiano Federico Faggini e che ne costituisce il cervello della macchina, poi abbiamo la VDP (Video Display Processor) TMS9918 della Texas Instrument che offre una risoluzione di 256 x 192, 16 colori per sprite di 32 pixel, il chip sonoro AI36910 della Yamaha che offre tre canali e tre ottave di tonalità e infine la ROM di 32kb contenente il BASIC di Microsoft; il computer è comprensivo di tastiera ed è possibile attaccare mangianastri, strumento essenziale per i computer dell’epoca, lettore floppy, almeno una porta per i joypad e ha anche una porta d’espansione. Tipico di molti MSX era un secondo slot per le cartucce che, inserendone una seconda, permetteva miglioramenti, cheat e persino espansioni per un determinato software (dopo vi faremo un esempio). Per via delle diverse aziende che producevano i computer MSX è difficile arrivare a un numero preciso di computer venduti nel mondo ma, per darvi un idea, nel solo Giappone sono stati venduti ben cinque milioni di computer, praticamente la migliore macchina da gaming prima dell’arrivo del Famicom. Le macchine ebbero successo anche in altri paesi come Olanda, Spagna, Brasile, Corea del Sud, Arabia Saudita e persino in Italia e Unione Sovietica. Al fine di proporre una macchina sempre più potente, ci furono ben altre quattro generazioni di MSX: MSX2, rilasciato nel 1985, MSX2+, nel 1988, e MSX TurboR nel 1990. La differenza nelle prime tre stava nel nuovo processore Z80 che poteva permettere molti più colori su schermo e una velocità di calcolo maggiore, mentre l’ultimo modello presentava un processore 16-bit R800 ma purtroppo, essendo a quel punto rimasta solamente Panasonic a produrre gli MSX, non fu supportato a lungo. Come abbiamo accennato, i computer MSX erano le macchine dominanti per i videogiochi casalinghi in Giappone, anche se per poco tempo visto che il Famicom arrivò poco dopo, lo stesso anno; tuttavia, nonostante il dominio generale della console Nintendo, il sistema fu supportato fino all’ultimo e tante compagnie, come Hudson Soft e Compile, sfruttarono ogni capacità di questa curiosa macchina; l’eccezione va fatta per Konami che, nel 1983, fondò un team dedicato per produrre giochi su MSX, un anno prima di firmare per Nintendo. Finita la festa, nel 2001 Kazuhiko Nishi ha annunciato il revival del MSX rilasciando liberamente l’emulatore MSXPLAYer, dunque, eticamente, siamo liberi di goderci questi giochi sul nostro PC (anche perché il Project EGG, una piattaforma simil Steam per i giochi per computer giapponesi, qui non c’è); tuttavia, nulla vieta di recuperare l’hardware originale anche se dovete tener conto dell’alto prezzo dei giochi; un’ultima buona alternativa è recuperare la Konami Antiques MSX Collection per Sony PlayStation e Sega Saturn che vi permetterà di giocare a molti titoli (la versione per la prima è divisa in quattro dischi mentre la seconda include tutti i giochi). Diamo uno sguardo a 10 giochi essenziali di questa macchina (ci scusiamo in anticipo se la maggior parte dei giochi saranno Konami!).

10. King’s Valley 2

Un platformer che unisce elementi puzzle alla Lode Runner. Per procedere ai livelli successivi servirà collezionare tutte le pietre dell’anima sparse negli stage utilizzando i vari strumenti presenti, cui potremmo utilizzarne solo uno per volta. Man mano che si procede, gli scenari diventeranno sempre più grandi e difficili perciò non bisogna prendere questo gioco sottogamba. Una feature interessante, molto avanti per i suoi tempi, era l’editor dei livelli: una volta completati si potevano salvare in un floppy e scambiarli con gli amici.

9. Treasure of Usas

Un action platformer poco conosciuto ma comunque molto curioso che potrebbe interessare molto ai fan di Uncharted e Tomb Raider. Wit e Cles sono due cacciatori alla ricerca del tesoro di Usas e dovranno attraversare cinque città antiche per poterlo ritrovare. Il primo ha una pistola e migliori abilità nel salto mentre il secondo è un maestro di arti marziali e più agile. Le loro abilità sono migliorabili collezionando le monete negli stage e il gioco presenta la curiosa meccanica degli umori:  nello stage infatti, sono sparse le cosiddette carte dell’umore che, una volta raccolte, cambieranno i nostri attacchi. Una vera chicca se siete amanti di Castlevania o Mega Man.

8. Penguin Adventure

A Hideo Kojima game… ebbene si! Prima di Snake e i loschi tipi di Death Stranding (di cui non sappiamo ancora nulla) il noto programmatore ha prodotto questo gioco “puccioso” in cui dobbiamo far riunire Pentaro alla sua amata principessa. Nonostante il gioco abbia una struttura arcade apparentemente semplice, ovvero una sorta di platformer automatico simil 3D  (oggi potremmo definirlo un runner per smarphone), questo gioco ha molte meccaniche intriganti come un in-game store, warp zone, tanti easter egg e persino un finale alternativo. Mai giudicare un libro dalla sua copertina!

7. King Kong 2

Essendo liberamente ispirato al film King Kong Lives (o King Kong 2), controlleremo Hank Mitchell alla ricerca di Lady Kong. Raccomandiamo questo titolo ai fan del primo The Legend of Zelda in quanto molto simile e con tante caratteristiche interessanti che lo rendono davvero un bel gioco. Siate sicuri di trovare la rom patchata” poiché non è mai stato rilasciato in Europa.

6. Vampire Killer

Sembrerebbe un porting per MSX2 di Castlevania per NES ma così non è; sebbene il gioco abbia più o meno la stessa grafica, esso presenta un gameplay totalmente diverso. Questo titolo, anziché concentrarsi nelle sezioni di platforming, è più basato sull’esplorazione e il puzzle solving: per avanzare bisognerà trovare la skeleton key e per farlo ci serviranno armi, oggetti e chiavi per aprire forzieri contenti power up che si riveleranno utili allo scopo. Il gioco ha un pacing ben diverso dall’originale per NES ed è raccomandato ai giocatori più pazienti (anche perché le vite sono limitate e mancano i continue) ma anche ai più accaniti fan della saga.

5. Aleste

Unico gioco non Konami di questa lista, è uno shoot ‘em up sensazionale di Compile; uscito originariamente per Sega Master System, questa versione presenta due stage extra e una difficoltà più abbordabile. Di questo gioco stupiscono principalmente la grafica, la strabiliante colonna sonora resa con un chip FM montato sulla cartuccia e l’azione velocissima (tipica della serie) che da vita a battaglie in volo spettacolari. Provare per credere!

4. The Maze of Galious – Knightmare II

Concepito originariamente per competere con Zelda II: The Adventure of Link, The Maze of Galious è un difficilissimo metroidvania per i più allenati. In questo popolarissimo titolo per MSX, bisognerà esplorare un castello immenso alla ricerca delle dieci sub aree, dove risiedono demoni da sconfiggere, ma anche degli oggetti sparsi nel castello che espanderanno le abilità dei nostri Popolon e Aphrodite. The Maze of Galious è il secondo titolo della saga Knightmare, il cui primo titolo era un top down shooter alla Ikari Warriors e il terzo un RPG (per MSX2), ed è certamente il più bello. Nel 2002, questo titolo è stato soggetto di un curioso remake non ufficiale e il suo acclamato gameplay è stato ripreso nel similissmo La Mulana, considerato il suo sequel spirituale. Se siete fan dei metroidvania questo è certamente un titolo da giocare, anche per coloro che apprezzano le vere fide come Ghosts ‘n Ghouls, il già citato Zelda II o, chissà, magari anche Dark Souls! Vi raccomandiamo di giocarci con un walkthrough o almeno una mappa del castello; se siete dei masochisti fate pure senza!

3. Nemesis 2 e 3 + Salamander

Un pari abbastanza assurdo ma vi assicuriamo che non c’era modo per rendere giustizia a questi tre spettacolari titoli. I primi due sono dei sequel di Gradius mentre il Salamander proposto su MSX è completamente diverso dalla controparte per NES. Questi titoli della saga di Gradius su MSX presentano, insieme a delle colonne sonore squisite espresse con l’esclusivo chip SCC, un gameplay profondissimo attraverso power up espandibili, oggetti e sezioni bonus nascosti nei livelli e lo storytelling più dettagliato della saga. In Salamander, inoltre, per ottenere il finale migliore bisognerà inserire la cartuccia di Nemesis 2 nel secondo slot per completare il vero livello finale e mettere fine alla minaccia dei bacterion; altro che DLC e Amiibo! Nemesis 2 e Salamander sono i titoli più difficile mentre Nemesis 3: The Eve of Destruction è il più accessibile, perciò, se volete provarli, vi consigliamo di partire da lì. Tuttavia, dovrete abituarvi allo scrolling “scattoso” di questi titoli in quanto gli MSX, prima della seconda generazione, non erano in grado di offrire un’azione fluida e senza problemi;

2. Metal Gear e Metal Gear 2: Solid Snake

È più che risaputo che la saga di Metal Gear ha origini nel MSX2 e che quelli per NES non sono i veri punti iniziali della saga (per Snake’s Revenge, sequel non canonico del primo titolo, Hideo Kojima non era neppure stato chiamato per lo sviluppo del gioco). Entrambi i Metal Gear, soprattutto il secondo, sono dei giochi incredibili per essere dei giochi in 8-bit e, nonostante in molti ignorino questi due titoli, sono fondamentali per la fruizione dell’intera saga. Molte degli elementi visti in Metal Gear Solid come le chiavi sensibili alla temperatura, l’assalto all’interno dell’ascensore, l’abbattere l’Hind-D con i missili stinger e lo sgattaiolare nei condotti d’aria erano già stati introdotti in Metal Gear 2: Solid Snake; altri due titoli immancabili per MSX e giocabili persino in Metal Gear Solid 3: Subsistence. Non avete scuse per non giocarli!

1. Space Manbow

Questa rubrica si chiama Dusty Rooms e, pertanto, lo scopo è quello di farvi riscoprire titoli dimenticati e particolarmente interesanti; considerate quest’ultima entrata come un nostro personale regalo. Space Manbow è uno shoot ‘em up strabiliante pieno d’azione e retto da una grafica dettagliatissima per essere un gioco 8-bit, una colonna sonora spettacolare resa col chip SCC e un gameplay vario e mozzafiato, reso ancora più intrigante grazie allo scrolling fluido del MSX2 (cosa di cui i titoli di Gradius non poterono godere). Nonostante le lodi di critica e fan, Space Manbow rimane, a tutt’oggi, relegato a MSX e Konami, al di là di qualche cameo in qualche altro titolo, non ha mai preso in considerazione l’idea di un sequel (anche se ne esiste uno non ufficiale fatto dai fan uscito tanti anni dopo su MSX2), né allora né tanto meno adesso. Diamo a questo capolavoro l’attenzione che merita!

Honorable mentions

Che dire? Dieci posizioni sono veramente poche per una console che ha dato così tanto ma qui, vi vogliamo dare un altro paio di titoli da rivisitare su MSX:

  • Snatcher & SD Snatcher: altri due titoli di Hideo Kojima. Il primo è una visual novel mentre l’altro ricalca la stessa storia ma in veste RPG. Recuperate il secondo su MSX2 ma giocate Snatcher altrove in quanto la versione per MSX è incompleta e inconcludente.
  • Xevious: Fardraut Saga: da un semplice coin-op per arcade a uno SHMUP moderno con trama ed espansioni varie. Un titolo decisamente da recuperare!
  • Eggerland 2: il secondo gioco della saga di Lolo e Lala. Un puzzle game da capogiro per riscoprire le origini dello studio Hal.
  • Ys (I, II & III): una delle saghe RPG più strane e sottovalutate di sempre. Giocare questi titoli su MSX non è raccomandabile per via della barriera linguistica ma il loro aspetto su questo computer è decisamente sensazionale.
  • Quarth: un puzzle game Konami molto interessante che metterà alla prova il vostro ingegno. Un’altro bel gioco da recuperare

(Per finire, vi lasciamo con questa bella intervista con Bill Gates e Kazuhiko Nishi riguardo i computer MSX)

(E questa fantastica pubblicità italiana!)



Sonorità Videoludiche – I Chip sonori e il loro utilizzo

Fin dai tempi antichi, l’uomo ha compreso di poter sfruttare i suoni come forma espressiva, e allo stesso modo i suoni dei primi computer provenivano esattamente dal cuore delle macchine. Modelli come l’Apple ][ e i primi IBM erano dotati di altoparlanti direttamente collegati alla CPU, della quale venivano “temporizzati” gli impulsi per trasformarli in toni. Questo metodo in realtà poteva permettere di riprodurre qualsiasi suono affinché un file sonoro compatibile entrasse nel media fisico; tuttavia, quando questi dovevano essere riprodotti durante un gioco, interrompevano il gameplay poiché la CPU doveva impegnarsi esclusivamente per riprodurre quello specifico suono.

L’arrivo dei chip sonori

Col passare del tempo e con l’avanzare della tecnologia il carico delle CPU di computer e console venne definitivamente alleggerito grazie all’uso di chip sonori dedicati per riprodurre la musica. Le istruzioni musicali che provenivano dal media fisico anziché finire sulla CPU finivano nel chip sonoro dedicato che era in sé come una specie di band che “suonava lo spartito” che gli veniva mandato; le istruzioni provenienti dal media fisico includevano i toni, le durate e il canale da far suonare e, una volta passate dal chip, avrebbero prodotto la musica da incanalare negli altoparlanti. All’interno del chip erano presenti i canali per le forme d’onda, ovvero le voci del chip. Ogni chip aveva pregi e difetti, ovvero forme d’onda diverse, numero di canali, polifonia, assegnabilità, ecc… le caratteristiche dei singoli chip davano al sistema (o arcade board) una sfumatura diversa che serviva a rendere ancora più caratteristico un sistema, dando dunque una voce diversa rispetto le altre scelte sul mercato. L’APU, chip sonoro del NES, aveva cinque canali: due per le onde quadre, le cui ampiezze potevano essere modificate, uno per l’onda triangolare, usata solitamente per i bassi, un generatore di rumore bianco, usato per le percussioni, e un ultimo canale per i campionamenti. Ad occhio potrebbe sembrare che il SID del Commodore 64, che aveva solo tre canali, era un chip inferiore ma invece aveva caratteristiche che l’APU poteva solo sognarsi. A questi tre canali potevano essere assegnati quattro tipi di onde diverse (quadra, triangolare, a dente di sega e rumore bianco) che potevano addirittura essere riassegnate durante un brano, dando l’impressione vi fossero più di 3 voci; l’APU, seppur grazie ai due canali di onda quadra poteva dar l’impressione della polifonia, non poteva fare nulla del genere, i canali erano fissi e le voci erano sempre quelle. Tuttavia era possibile montare nelle cartucce del Nes dei chip aggiuntivi per dare ai giochi un suono diverso: ne sono testimoni giochi come Gimmick! di Sunsoft, che montava il suo FME-7, Castlevania III con il suo VRC6 che metteva ben 3 canali in più e Lagrange Point, uscito solo in Giappone, che montava il chip VRC7, sviluppato da Konami stesso, che emulava la sintesi FM già presente in sala giochi. Spesso nei dibattiti Sega Master System vs NES viene tirato fuori l’argomento “chip sonoro”. La console 8-bit di casa Sega, anche se mostrava una grafica ben più avanzata rispetto alla controparte Nintendo, era azzoppata da un chip sonoro obsoleto, il Texas Instruments SN76489 dai 3 canali di onde quadre più uno di generatore di rumore bianco , che per questioni di programmazione e compatibilità Sega si portava dietro dal Sega SG-1000, la loro vera prima console rilasciata nel 1983; questa console fu costruita con un hardware simile ai computer MSX e al ColecoVision per facilitare la programmazione dei porting ma, evidentemente, Sega puntò sul cavallo sbagliato. L’uscita del Sega Mark III in Giappone, divenuto poi Master System nel resto del mondo, doveva permettere la retrocompatibilità con le vecchie cartucce delle precedenti incarnazioni e perciò non si poté permettere un chip sonoro più moderno; tuttavia Sega, più in là, rilasciò solamente in Giappone l’add-on FM Sound Unit che aggiungeva ben 9 canali e una qualità di suono senza paragoni, basata appunto sulla sintesi FM, processo che permette una modifica sostanziale alla forma d’onda di base. La ricerca di un suono più elaborato dimostrava come i giocatori, insieme al comparto grafico, desideravano un sonoro sempre più realistico e, a partire dal rilascio del FM Sound Unit per il Sega Master System, si andò sempre avanti alla ricerca del suono perfetto.

Perfezionamento e declino

Fu sulla base della sintesi FM che Sega diede voce al Mega Drive grazie al chip YM2612 di Yamaha. Fra gli anni 80 e 90 Yamaha produsse svariati chip sonori che vennero montate sia in computer e console che nelle loro tastiere dando alla musica, sia in ambito videoludico che in ambito pop, un timbro riconoscibilissimo e ben distinto. Fra le tastiere, usate appunto nella musica pop, possiamo ricordare il famosissimo Yamaha DX7, che si pose nel mercato come il primo sintetizzatore digitale, e le orecchie più allenate potranno trovare una certa similitudine con i suoni presenti nel Mega Drive. Tuttavia, nelle band, questi facevano il lavoro di uno strumento solo ma in ambito videoludico questi chip dovevano compiere il ruolo di un intera band! I diversi chip Yamaha furono montati nei Nec PC-8801 e PC-9801, Neo Geo AES, Sharp X68000 e usate come base per la produzione delle schede Sound Blaster per i PC. La storia volle che il creatore della Playstation Ken Kutaragi, vedendo sua figlia giocare con il Famicom, pensò di poter creare un chip sonoro superiore; così, prima in segreto e poi con l’aiuto di Sony, creo un chip sonoro in grado di restituire al pubblico una fedeltà sonora senza precedenti. Sony sviluppò per Nintendo il chip S-SMP che diede un netto punto a favore alla grande N contro la rivale Sega. Il chip si basava sulla sintesi in PCM, ovvero (mantenendoci in un linguaggio alla portata di tutti) tramite la creazione di onde digitali tramite un particolare processo di campionamento; in questo modo il Super Nintendo poté riprodurre dei suoni molto realistici, suoni che neppure i PC con le Sound Blaster potevano permettersi. La tecnologia del chip sonoro tuttavia era destinata a scomparire ed essere sostituita dalla più conveniente e potente tecnologia del Compact Disc: non solo le linee di programmazioni per i giochi potevano essere scritte in un media ben più grandi di una cartuccia ROM ma rimanevano ettari di spazio per incidere delle tracce musicali ed inserire veri e propri filmati. Grazie al CD la musica, anziché essere programmata dal PC, poteva essere tranquillamente registrata in uno studio di registrazione con strumenti veri ed in seguito essere incisa nel disco insieme al gioco vero e proprio ed eventuali filmati. Tuttavia i chip sonori continuarono ad esistere nelle console portatili dei tempi, dai più famosi Game Boy e Game Boy Advance, ai più di nicchia Sega Game Gear, Neo Geo Pocket e Bandai WonderSwan.

La vita dei chip sonori sembrava finita e, come le musicassette, potevano essere dimenticati e lasciati ad ammuffire fino alla loro decomposizione ma, inaspettatamente, questi chip furono utilizzati per diversi scopi, addirittura in mondi ben più vasti della scena videoludica. Di questo ce ne parlera Gabriele Sciarratta nella parte 2.