Ikaruga: la potenza proveniente da due energie

Boom! Kaboom! Spepepepeum! Quanto è bello provocare il caos a bordo di una navicella spaziale che svolazza a tutta birra nel cielo! Il genere shoot ‘em up è un vero e proprio pilastro del gaming moderno, basti pensare a titoli come Space Invaders, Galaga, Xevious, Gradius o R-Type per capire il peso di questa categoria nella storia del gaming. Col tempo, nonostante le uscite continue di ottimi shooter come Thunder Force V, Einhänder o Darius Gaiden, il genere è stato messo in disparte per giochi meno arcade e più focalizzati sulle storyline, ma oggi, grazie ai diversi Shmup indipendenti su Steam e Nintendo Switch, si sta assistendo a un vero e proprio revival di questo genere. Insieme ai nuovi titoli, come Super Hydorah, Crimzon Clover WORLD IGNITION e i bullet hell di Cave, ci sono da tenere in considerazione tutti i classici riscoperti in questo periodo, primi fra tutti gli shooter di Treasure, considerati dagli appassionati i più raffinati del genere. Oggi su Dusty Rooms, per il suo 26esimo anniversario dalla sua importante uscita su Sega Dreamcast, vi parleremo di Ikaruga, uno shooter unico nel suo genere, considerato un must per coloro che vogliono esplorare questo genere videoludico e della sua importanza nella scena videoludica generale.

Radici e meccaniche

In pochi sanno che Ikaruga è in realtà un sequel spirituale di Radiant Silvergun, altro fantastico shooter di Treasure uscito prima per arcade e poi per Sega Saturn (ove diventò un cult classic fra i suoi collezionisti). Il suo titolo in fase di progettazione era proprio Radiant Silvergun 2 ma, con l’evolversi dello sviluppo, il gioco assunse sembianze quasi totalmente diverse nonostante mantenne alcune delle sue caratteristiche chiave: il mantenuto design generale, un rimando alla storia del suo prequel spirituale (che vedrete alla fine del gioco), l’assenza totale di power up e il suo sistema di combo basato sul distruggere i nemici di uno stesso colore. Quest’ultimo elemento fu la base per costruire l’intero sistema delle polarità di Ikaruga (ispirato in parte dal platform di Treasure, Silhouette Mirage), caratteristica che lo fa spiccare all’interno del suo genere: a differenza di un qualsiasi Shmup, in cui un qualsiasi proiettile o laser è da evitare, qui ci è concesso assorbire i proiettili del colore della nostra nave, che possiamo cambiare con un tasto. I proiettili possono essere bianchi o neri e, quando li assorbiremo, la loro energia si immagazzinerà in una barra di energia (indipendentemente dal colore); quando vogliamo, possibilmente con la barra caricata al massimo, possiamo liberare questa energia per abbattere più nemici possibili con un colpo solo. Il titolo offre al giocatore due strategie per approcciare il suo unico gameplay: si può far fuoco ai nemici di polarità inversa per arrecare più danno, e dunque liberare le schermate più velocemente possibile, oppure possiamo far fuoco ai nemici della nostra stessa polarità per poi far sì che le navi, esplodendo, rilascino dei proiettili del loro colore per poi assorbirli e immagazzinarli nella nostra barra (e questo è il metodo preferito dai giocatori più ambiziosi). Capito tutto questo possiamo gettarci nella mischia e provare ad arrivare a fine gioco con… meno gettoni possibili!
La storia si cela fra il manuale e qualche frase durante il gameplay, esattamente superata la fase di dogfight iniziale (un termine per gli appassionati del genere che sta a indicare una sorta di pre-stage). Un tale Tenro Horai, dell’impero degli Horai, scopre un potere magico vicino a quello degli dei; consegnatolo alle genti della sua nazione, questi cominciano a razziare il mondo con quest’arma micidiale. Un gruppo di ribelli, noti come i Tenkaku, si oppongono all’impero cadendo però in rovina; un loro pilota chiamato Shinra, dopo aver provato, un’ultima offensiva solo contro l’impero viene purtroppo abbattuto e si schianta sull’isola di Ikaruga. Il luogo rimane fuori dal radar dell’Impero e la gente che l’abitava viene esiliati dall’impero Horai. Shinra spiega così agli isolani che, pur essendo rimasto solo, era determinato a distruggere l’Impero e così gli abitanti dell’isola, credendo all’ardore delle sue parole (che probabilmente sono quelle che appaiono prima di partire per il primo stage, ovvero «I will not die until I achieve something. Even though the ideal is high, I never give in. Therefore, I never die with regrets»), gli mostrano la navicella in grado di sfruttare le debolezze delle armi dell’Impero, la Ikaruga (lo so, non avevano molta fantasia); Shinra parte così con la sua nuova arma, intento a ristabilire la pace una volta e per tutte. Se gli stage di questo gioco ci sembreranno troppo difficili da affrontare in solitaria, è possibile fare entrare un secondo giocatore che potrà pilotare un altro mezzo volante, simile all’Ikaruga, guidato da una pilota donna di nome Kagari.

Agire o non agire?

Per prima cosa, Ikaruga è uno dei giochi più importanti mai usciti per Sega Dreamcast: arrivato originariamente per arcade, il titolo di Treasure arrivò sulla  console il 5 Settembre del 2002, anno in cui la sua produzione era già stata fermata. È vero che dopo Ikaruga molti altri titoli su licenza Sega arrivarono su Dreamcast in Giappone, fino al 2007, anno dell’uscita del suo ultimo gioco Karous, ma questo evento fu molto importante e segnante; nonostante le scarse vendite della console Sega e la sua annunciata interruzione di produzione, Ikaruga ricordò al mondo che Dreamcast aveva ancora molto da dire, e non con semplici giochini homebrew ma con capolavori degni di PlayStation 2 e Xbox che, nel frattempo, l’avevano eclissata. Il titolo di Treasure, seppur prodotto in copie molto limitate per quei pochi utenti che non abbandonarono il sistema, iniettò nuova vita al Dreamcast e poco dopo si assistette all’uscita di altri titoli come Border Down, Chaos Field e Under Defeat che, come Ikaruga, erano stati programmati originariamente per il sistema arcade Sega NAOMI e che potevano trovare ancora il miglior riscontro casalingo sull’ormai defunta console. Il suo art-style, la sua particolarissima grafica, i suoi strani messaggi e la sua fantastica musica erano solamente esche per attrarre il giocatore e, una volta lì, si veniva assorbiti da Ikaruga come un proiettile di polarità uguale sul gioco.
I prezzi per la versione Dreamcast e quella Nintendo Gamecube, che permise il suo primo rilascio internazionale, sono oggi abbastanza alti e, a meno che non si ami particolarmente il gioco, è meglio starne alla larga. Tuttavia, a oggi, ci sono diversi metodi per godersi Ikaruga senza spendere un capitale: tutte le versioni digitali, ovvero Steam, Nintendo Switch, PlayStation 4 e persino Xbox 360, offrono una splendida grafica HD, dashboard online con i migliori punteggi e la possibilità di giocare con lo schermo in verticale, il vero modo per godersi questo shooter. Anche se è un titolo non adatto ai principianti, Ikaruga è una vera e propria pietra miliare del gaming moderno e degli shooter in generale, un titolo dalle semplici meccaniche in grado di mettere in difficoltà anche il più abile dei giocatori.




Questo cross-play non s’ha da fare

«Questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai», era la minaccia proferita dai Bravi manzoniani al Don Abbondio de I Promessi Sposi. Il mondo videoludico odierno non poteva farsi mancare il suo Don Rodrigo, che oggi veste i panni di una Sony che mette il veto su un altro matrimonio, quello che sarebbe celebrato dal cross-play tra PC e consoleLe ultime dichiarazioni del CEO della compagnia giapponese, Kenichiro Yoshida, le avete lette in molti, e vale ricordarle per rinfrescarsi la memoria:

«Il nostro pensiero sul cross-platform è sempre che Playstation 4 sia il miglior posto in cui giocare. Credo che Fortnite abbia scelto noi perché la nostra console offre la miglior esperienza possibile agli utenti. Abbiamo comunque altri giochi che sfruttano il cross-play con il PC e altri sistemi, e decidiamo in base a quale sistema offre la miglior esperienza per gli utenti: questo è il nostro modo di intendere il cross-platform.»

In sostanza, le parole di Yoshida suonano un po’ come “guardateci: siamo i migliori e non abbiamo bisogno di nessuno”. Dichiarazioni che vanno in netto contrasto, nei fatti, con tutto ciò che succede nel mondo videoludico odierno, e che sanno anche di leggera paraculata. Soprattutto considerando le lamentele di alcuni sviluppatori, come quelle di Todd Howard, direttore e produttore di alcune delle serie più famose di Bethesda, come The Elder Scrolls e Fallout: a proposito dell’imminente Fallout 76, Howard ha dichiarato:

«Fallout 76 non avrà il supporto del cross-play. Ci piacerebbe, ma semplicemente non possiamo. Sony non è così disponibile come le altre»

Dichiarazioni simili a quelle rilasciate da Andrew Wilson, CEO di Electronic Arts a proposito di Battlefield V:

«Stiamo osservando il comportamento di alcuni giochi di successo, riguardo al gioco cross-platform, per esempio, Fortnite: riteniamo che un’interfaccia unica che permette ai giocatori PC di incontrarsi con gli utenti mobile, e quest’ultimi di poter giocare con gli utenti console sia una parte importantissima del nostro sviluppo per il futuro.»

Sono dello stesso avviso anche Microsoft e Nintendo: ha sorpreso in positivo il video pubblicato qualche mese fa, nel quale si vede un utente Xbox One giocare a Minecraft con un utente Switch. A tal proposito riportiamo le parole di Reggie Fils-Aime, COO di Nintendo of America:

«Ci sono compagnie, come la mia, che incoraggiano e permettono il cross-play. Ci sono degli sviluppatori che vogliono e richiedono il cross-play. Poi ci sono le altre compagnie: e quello che fanno riguarda solamente i possessori di quelle piattaforme. Noi non siamo così, ma è una nostra decisione. Noi siamo a favore del cross-play, altri no.»

In sintesi, al momento la situazione è questa: c’è Sony, barricata tra le sue stesse mura e che rilascia dichiarazioni alquanto discutibili, e poi c’è un intero mondo videoludico che spinge verso un cross-play totale tra tutte le piattaforme.
Secondo un ex sviluppatore della casa giapponese, John Smedley, la ragione della testardaggine di Sony a riguardo del cross-play è tutta da legare al fattore economico. Quasi come se negli uffici di Minato temessero un calo di popolarità e di vendite. Eppure, sotto questo punto di vista, non corrono nessun rischio: Xbox One è lontana, mentre Switch, nonostante un ottimo risultato di vendite, raggiungerebbe la base di PlayStation 4 installate solamente nel 2020.

Personalmente, da utente pienamente a favore del cross-play, spero che Sony riveda il prima possibile le sue posizioni. Penso che si sia incaponita su delle posizioni anacronistiche, visto che tutto il mondo verte verso un futuro dove il cross-play e il cloud gaming saranno la normalità. Quanto sarebbe bello vivere il videogioco senza limitazioni di sorta? E senza mura a dividere le diverse utenze tra console e PC? La console war, con tutta la sua puerilità, verrebbe spazzata via e si aprirebbe, finalmente, un mondo dove tutti i sistemi siano interconnessi tra di loro.
Inoltre, a dirla tutta, se in termini numerici oggi Sony può aver ragione, e avvantaggiarsi di un profitto che a oggi si ridurrebbe (anche se in misura probabilmente marginale), c’è la solita miopia nel non vedere questa come un’opportunità: essere i più forti sul mercato significa anche non avvantaggiarsi totalmente della propria posizione dominante in vista di futuri vantaggi. A concedere il cross-play senza limiti, PlayStation oggi ne guadagnerebbe in immagine, ritornando a essere “For the players“, in linea col motto di PlayStation 4.

Mi piace pensare alle parole di Imagine di John Lennon: «Imagine all the people sharing all the world». D’altronde, il videogioco è questo: condividere una passione e dei bei momenti in compagnia. Quindi, cara Sony, spero che un giorno ti unirai a noi in questo splendido girotondo di gamer che desiderano giocare in ogni luogo, in ogni momento e con qualunque piattaforma possiedano.
Del resto, se non sarai tu, sarà il mercato a volerlo. Per cui, scendi già adesso a giocare con noi!




Nintendo e i recenti sviluppi sull’emulazione

In queste settimane il mondo del retrogaming ha subito una scossa tellurica senza precedenti; il più grande sito di emulazione, emuparadise.me, ha rimosso l’intera sezione download di ROM, ISO e emulatori, decretando così la fine della sua storia, preziosissima nel recupero di titoli che altrimenti sarebbero andati perduti. Dietro a una simile decisione c’è la “minaccia Nintendo” che ha fatto causa ai siti LoveROMs e LoveRETRO per aver violato il loro copyright, in quanto non solo lo stile del sito faceva largo uso delle proprietà intellettuali della compagnia giapponese ma il sito si presentava, più che come un un sito di emulazione, come una sorta di skin somigliante ai canali ufficiali Nintendo o qualsiasi altro store digitale proposto con le console casalinghe (ovviamente, però, il tutto era ceduto gratuitamente). In seguito alla chiusura della sezione download di Emuparadise, la cui unica fonte di sostentamento erano le donazioni volontarie degli utenti, altri siti di emulazione potrebbero far lo stesso per non evitare conseguenze legali e i retrogamer di tutto il mondo riversano la propria rabbia alla responsabile di tutto ciò, che è ovviamente la casa di Kyoto. Ma cosa è in potere della compagnia giapponese e che ne sarà del futuro dell’emulazione? Quali sono i veri effetti che una mossa del genere potrebbe portare alla comunità di retrogaming? Proviamo ad analizzare i fatti che hanno portato a questi nuovi inquietanti eventi.

Le cause e gli effetti

Per capire le cause della querela da parte di Nintendo a LoveROMs e LoveRETRO basta guardare qualche screenshot degli ormai defunti siti: sin dalle homepage è possibile notare i paesaggi presenti nei New Super Mario Bros. e la presenza di altre proprietà intellettuali nonché, nelle sezioni ROM, le boxart dei giochi da scaricare, come un vero e proprio servizio di streaming a pagamento. Nei più normali siti di emulazione, come in Emuparadise, ci sono solamente liste che mostrano solamente i titoli dei videogiochi che vogliamo scaricare e gli screenshot e/o box-art appaiono una volta che il link ci rimanda alla pagina del download. Per il resto, l’unica altra cosa di proprietà di Nintendo su Emuparadise, al di là delle ROM, è giusto un vettoriale di Samus Aran in basso a sinistra nella home.

Per quanto Nintendo sia stata tempestiva nel far causa a LoveROMs e LoveRETRO senza pensare alle conseguenze, i due siti gemelli non hanno mai considerato di stare usando materiale protetto da copyright riguardo la skin delle loro piattaforme. Il fulcro della causa sono ovviamente le ROM ma è anche vero che se si avvia un sito del genere, la cui legittimità dello scopo si trova in una zona grigia (senza contare che le leggi sul copyright e il libero download cambiano da paese a paese), bisogna anche provare ad alzare meno polveroni possibili e rimanere nell’ombra più che si può. Adesso, come effetto, Emuparadise e altri grossi siti di emulazione, come The Isozone, stanno chiudendo le proprie sezioni download per evitare che Nintendo possa far loro causa per gli stessi motivi; è difficile dire che siano nello stesso “torto” di LoveROMs e LoveRETRO ma, preventivamente, è stato meglio rimuovere le ROM dai loro siti e continuare a esistere come comunità per il retrogaming. Ma adesso: cosa succederà alla scena dell’emulazione?

Una nuova scena?

Vogliamo ricordare, come prima cosa, che Emuparadise, LoveROMs e LoveRETRO sono siti i cui proprietari si trovano negli Stati Uniti e dunque, da cittadini americani, devono rispettare le leggi del loro paese, le stesse che permettono inoltre a Nintendo di compiere azioni legali (e che dopo commenteremo). Per tanto, anche se lo scenario attuale può sembrare desolante, l’emulazione continuerà a esistere anche senza Emuparadise e The Isozone. Il problema principale per chi usa Everdrive per le console o semplicemente chi scarica anche solo per provare determinati titoli per poi comprarli su Ebay o nelle piattaforme legali che offrono titoli retro sarà semplicemente legato a sicurezza, reperibilità e accessibilità. Emuparadise per anni è stato sinonimo di emulazione, offriva (con buona probabilità) il più grosso database per ciò che riguardava le console precedenti alla settima generazione di console, ovvero quella di PlayStation 3 e Xbox 360 (esisteva una sezione per il Nintendo Wii), offriva i titoli per Satellaview, add-on per il Super Famicom che consentiva di utilizzare giochi esclusivi via satellite e mai più messi in commercio, titoli di sviluppatori in attività e defunti come la Toaplan che non hanno mai più rivisto un secondo rilascio, neppure per la Virtual Console, e, cosa più importante in simili siti, era libero da ogni rischio di phishing, malware o qualsiasi altro elemento per i PC di coloro che volevano solamente giocare a qualche gioco pixelloso; inutile a dirlo, Emuparadise non monetizzava in alcun modo e le donazioni servivano primariamente a pagare il dominio e i server che contenevano l’enorme database.
Esistono ancora altri siti di emulazione in altri paesi (e dunque in altre lingue), senza contare l’incontenibile scena dei torrent in cui possiamo trovare un sacco di materiale ma il problema per gli appassionati rimane: saranno abbastanza sicuri? Saranno abbastanza forniti? Cosa succederà alla scena degli hack e delle traduzioni che hanno portato in occidente titoli, come Mother 3, di cui Nintendo ignora la domanda da anni? Che ne sarà dell’emulazione non-Nintendo? Che ne sarà della scena del MAME che ha preservato un’infinità di titoli che altrimenti sarebbero andati persi per sempre? Che ne sarà della scena del MSX, avviata persino dall’ideatore stesso dello standard Kazuhiko Nishi? Che ne sarà dei giochi 3DO? Ci sono un sacco di domande alla quale per ora è impossibile dare risposte; l’unica plausibile, sebbene abbia una risposta abbastanza semplice, è quella di aspettare che finisca la tempesta e di lasciare che la scena dell’emulazione si riformi tenendo conto degli eventi che hanno portato a chiudere i maggiori colossi del web. Forse negli Stati Uniti, epicentro degli scontri, si dovrà in futuro ricorrere a indirizzi VPN e relegare una nuova scena all’interno del deep web, probabilmente non sarà così in Stati come la Russia, in cui la scena degli scambi virtuali fila liscia come l’olio; per ora l’emulazione vede giorni bui ma, come si dice spesso, “ciò che arriva in rete, rimane in rete” e perciò, secondo noi, è solo una questione di tempo perché l’emulazione torni forte e affidabile come prima (insomma, Nintendo per anni non ha nemmeno considerato il problema, è possibile che non lo considererà più neanche il futuro).

La voce del padrone

Per quanto si possa condannare Nintendo per ciò che stanno facendo ai siti di emulazione, la grande N ha tutte le basi per procedere: sui giochi proposti in quei siti possono accampare diritti, si tratta delle loro proprietà intellettuali e pertanto possono bloccarne la diffusione. Per quanto romantiche possano sembrare frasi come “i giochi appartengono alla community dei videogiocatori”, i giochi non sono di dominio pubblico e nessuno può permettersi di diffondere le IP di qualcun altro senza consenso, anche di fronte all’imprescindibile fatto che, se servizi come la Virtual Console o Xbox Live Arcade hanno avuto il loro successo, lo devono alla scena dell’emulazione preesistente. Il problema principale adesso, per Nintendo, sta nel restituire ai fan tutto ciò che hanno fatto sì fosse rimosso dai siti per l’emulazione e renderli di nuovo disponibile, sia per il bene degli sviluppatori e sia per i fan che vogliono quei giochi; pensate al solo Super Mario Sunshine, sequel di Super Mario 64, rimasto relegato al Nintendo Gamecube e che non ha mai visto il rilascio in nessuna console di generazione successiva. Alla luce di questi fattori, sorge spontanea una gigantesca domanda: riuscirà Nintendo a preservare la sua stessa libreria di titoli per il suo bene, quello degli sviluppatori e quello dei fan? Per ora la console principale della compagnia di Kyoto, il Nintendo Switch, non propone nessun titolo proveniente dalle loro vecchie console (solamente alcuni giochi arcade delle librerie Neo Geo e qualche altra piccola rarità) e gli unici canali ufficiali, ovvero la Virtual Console per Wii e quella più magra del Wii U, semplicemente non hanno vita lunga. Nintendo, nel compensare la fame di retrogaming nei fan, sta costruendo un servizio simile al PS Plus e al GamePass di Microsoft da lanciare insieme al servizio online di Switch ma purtroppo parliamo solamente di una manciata di titoli al mese (con l’aggiunta, per alcuni, del multiplayer online) che non rimarranno nella memoria delle console dei giocatori; i titoli per ora riguardano solo il Nintendo Entertainment System ma tutti i giocatori si chiedono la stessa cosa: e i giochi per Super Nintendo, Nintendo 64, Gamecube, Wii, Sega Mega Drive, Commodore 64, PC Engine, insomma, tutte le console che abbiamo visto sulla Virtual Console? Per i possessori delle console Nintendo la situazione non è affatto rosea e probabilmente nemmeno gli iper-popolari NES e SNES mini (che si avvalgono per altro delle ROM caricate nei siti di emulazione e non dei codici madre originali) potranno mai risolvere la situazione in loro favore, nemmeno se un giorno verranno resi disponibili tutti i titoli tolti ai siti di emulazione perché nessuno avrà modo di provarli (e per le nuove generazioni di giocatori, che non guardano questi giochi con lo stesso occhio nostalgico di alcuni, serve davvero un canale di prova). Nintendo perora avrà vinto la battaglia ma tutti sanno che è una guerra che non potrà mai vincere del tutto, nemmeno offrendo il miglior servizio di streaming o vendita per il retrogaming; potranno anche uscirsene a testa alta offrendo persino agli sviluppatori una soluzione che possa far sì che monetizzino sui loro vecchi titoli ma l’emulazione è semplicemente un movimento troppo diffuso per estinguersi, e saprà trovare contromisure. Non ci resta che aspettare e vedere l’epilogo di questa storia, sia per Nintendo sia per la scena dell’emulazione.




Il mistero estivo

Era una tipica giornata estiva, a Zingarello, una di quelle con 40 gradi all’ombra, l’aria era afosa e ogni cosa contribuiva a causarmi fastidio. Sul far del pomeriggio decisi di andare in spiaggia con i miei amici, ma non fu una scelta azzeccata. Diversamente dal solito, l’acqua era agitata, al posto del mare piatto ruggivano onde gigantesche che si infrangevano violente sulla riva. Ci stavamo annoiando, ci annoiammo, ci saremmo annoiati per sempre se un mio amico non avesse tirato fuori un Nintendo Switch equipaggiato di Super Mario Kart 8, facendoci dimenticare il maltempo e l’incazzatura del mare con gare di velocità e battaglie all’ultimo guscio.
Bastò quel piccolo gesto per far tornare a galla grandi ricordi, legati soprattutto alla mia infanzia, quando bastava un Nintendo DS per passare una giornate estive sotto lontano dalla noia ovunque si andasse. Il Professor Layton era un ottimo compagno di viaggio: indovinelli forse un po’ complicati per la mente di un bambino di 7 anni (età in cui giocai il primo capitolo della saga), non di rado mi ritrovavo a chiedere l’aiuto di altre persone, e finiva fosse una buona scusa per socializzare, nascevano amicizie inaspettate, che piantavano radici nel comune intento di risolvere quegli enigmi. Negli anni, la serie del professor Layton ha visto numerosi sequel, e l’estate era dedicata ogni volta a mettere alla prova le mie conoscenze enigmistiche, con la soddisfazione di veder risolti i puzzle in sempre minor tempo di anno in anno. Ma Layton non era solo intelletto: Layton era storia, e quindi emozione, al punto che, finito il primo giocodella saga, non potei fare a meno di correre sotto casa per mostrare ai miei amici con fierezza il mio traguardo.
Capitolo dopo capitolo, le avventure del professore e del suo assistente Luke mi emozionavano sempre di più, mi avvincevano come solo le belle storie sanno fare, al punto che un giorno riuscii a convincere anche mio padre a giocarci. Mentre tratteggiava scelte con lo stick, di tanto in tanto lo spiavo per scrutare le sue reazioni, e ricordo ancora la felicità quando mi disse addirittura che il gioco era bello: da quel momento, ai miei occhi, io ero il suo Luke e lui il mio professore. Durante gli anni mi trovai a giocare al titolo in contemporanea con mio papà, riuscendo ogni tanto a risolvere qualche indovinello in cui lui invece era rimasto bloccato.
Di estate in estate la mia adolescenza andava via, lasciando posto al ragazzo che oggi è a un anno dall’università: negli anni è cresciuto anche Layton, anche lui ha avuto degli eredi. Chi ha detto infatti che anche il detective non può essere una carriera a conduzione familiare? Nell’ultimo capitolo il protagonista non è il professore, bensì sua figlia Katrielle, e giocandoci oggi mi sembra in qualche modo di essere cresciuto davvero insieme a lui. Level-5 è riuscita a mantenere vivo un brand di successo con una costante qualità medio/alta nella sua miriade di indovinelli.
Le mie estati continuano nella pace di Zingarello, il Nintendo DS è diventato 2DS dopo essere passato dal 3D, io sono cresciuto, i miei amici sono cresciuti, e in fondo anche mio padre continua a crescere e giocare (per fortuna); non nego che ho provato un sussulto di gioia e una sottile nostalgia quando, un giorno, da nulla, ho sentito un ragazzino di 7 anni, chiedere al proprio padre «come si risolve questo indovinello?» impugnando un 3DS in una tipica giornata estiva con 40 gradi all’ombra e l’aria afosa che dava fastidio.




Il gaming estivo di un musicista ramingo

La vita del musicista, d’estate, è la più bella che ci sia: fare chilometri e chilometri con l’auto piena a tappo di strumenti, casse e costosissime apparecchiature per poi ripercorere le strade a ritroso in tarda notte; quando la musica finisce, le vie sono vuote e la gente esausta torna a casa. Ogni sera un luogo diverso, gente diversa e mangiare diverso, notti fatte di scoperte, conoscenze e, talvolta, anche assurdi imprevisti.
Tuttavia, per un giocatore quel tempo investito in musica si traduce anche nel dover mettere da parte la propria console e nel giocare quando il tempo lo permette, nelle rare serate quando nessun pub, bar, chiosco o comune richiede la presenza della propria band; ci si sveglia tardi per la stanchezza della sera prima, ci si prende un caffè, si va a pranzare poco dopo e presto bisogna fare una doccia perchè la prossima serata è ormai a un paio d’ore. La console rimane impolverata accanto allo scaffale e la pila di giochi che hai comprato rimane lì, in attesa che tu possa prendere il controller e passare delle sane ore di gaming.

Quando finalmente il calendario non segna un impegno della tua band, ci si chiude in camera, si regola il condizionatore a 18°, si mette il cellulare in modalità silenzioso e via, soli con l’avventura del momento e il caldo afoso fuori, fino a quando il sole non si fa color porpora; dopo tante serate passate a suonare per il divertimento dei clienti in un locale, del tempo per noi stessi in cui goderci quel gioco compato a inizio estate e che fino a quel momento non si è riusciti a giocare.
Quando questa speciale sessione a tu per tu con la console termina si fa un salto da qualche parte con gli amici e si finisce ancora a parlare di quella avventura che si sta giocando e che nel frattempo sta affrontando anche l’altro amico: ci si confronta su chi è andato più avanti, chi ha preso quell’arma, chi ha incontrato quel NPC…

E poi finalmente – abbastanza assurdo d’estate – si va a letto a un orario abbastanza decente e ci si sveglia beatamente l’indomani. Ma la quiete viene interrotta dagli amici che bussano a casa per giocare a Donkey Konga fino a farsi diventare le mani rosse, sapendo peraltro che quella sera ci si ritroverà nuovamente a suonare! Anche quando tenti di tenerla fuori, la musica continua sempre a inseguirti e, per quanto bella, quando incontra i videogiochi può esserlo ancora di più.




Just Shapes & Beats

Se siete stufi di ascoltare i tormentoni estivi che impazzano in tutte le radio e siete amanti della musica elettronica, dubstep e soprattutto chiptune allora Just Shapes & Beats potrebbe farvi compagnia per un po’ in questa torrida estate.
Sviluppato da Berzerk Studio, team composto da sole 3 persone (Lachhh, Markus ed Etienne), Just Shapes & Beats si presenta come uno stravagante action game che ci impegnerà per circa 3 ore; la scarsa longevità non lascia però scontenti, soprattutto grazie a un gameplay molto elaborato quanto ostico, e per via di una colonna sonora che consta di circa 40 brani composti da alcuni dei migliori artisti del genere, da Chipzel Omnitica passando per Shirobon e molti altri.

La storia è molto semplice, visto e considerato che il gioco attenziona maggiormente il comparto audio, tecnico e grafico. La trama vede come protagonista un piccolo quadrato, che, vedendo il proprio mondo corrotto dal cattivo di turno, un mostro a forma di cerchio rosso, e perdendo un amico a causa di quest’ultimo, decide di andarlo a cercare per vendicarsi superando ogni tipo di insidie, difficoltà e ostacoli. Per far bisognerà superare circa 28 ardui livelli a ritmo di musica rigorosamente elettronica.
Il gameplay è tutt’altro che semplice: il titolo richiede non poca coordinazione e concentrazione per superare tutti i livelli e anche una piccola dose di fortuna. In ogni livello bisogna solamente muoversi e schivare gli ostacoli grazie a uno sprint, il gioco concentra l’attenzione non sui semplici e intuitivi comandi, ma sugli ostacoli che compariranno in maniera spesso casuale sulla mappa.
Il nostro unico scopo sarà quello di sopravvivere a tutti i pericoli che il boss e i suoi scagnozzi rappresenteranno, schivarli e superare ogni ostacolo per raggiungere un piccolo triangolo bianco che segnalerà la fine del livello.
Il gameplay appare a prima vista confusionario, con forme geometriche che vagano per la mappa e che compaiono e scompaiono in men che non si dica, luci e flash ovunque che sembrano distrarre, ma con il pad in mano è tutt’altra cosa. Dopo aver superato il tutorial imparerete a focalizzare l’attenzione sul vostro personaggio e con la coda dell’occhio starete attenti all’ambiente circostante, riuscendo a evitare quasi tutti gli ostacoli.
Il nostro personaggio potrà essere colpito non più di quattro volte per poi finire K.O. e ricominciare dal checkpoint precedente; ogni tre sconfitte ci sarà il Game Over e si dovrà ricominciare il livello da zero.
È presente anche una modalità multiplayer, sia locale sia online, che permetterà di superare, in compagnia di altri tre giocatori, uno dei tanti livelli presenti all’interno del titolo. Avendo a disposizione l’aiuto di tre persone, finire la run sarà abbastanza semplice, fin  troppo. Questa modalità è ottima per chi voglia rigiocare più di una volta un determinato livello, magari in compagnia di qualche amico, o semplicemente per divertirsi un po’ sulle magnifiche note del livello.

La grafica è minimale, una delle caratteristiche principali del gioco sono le forme geometriche che compongono l’intero ambiente, compresi i personaggi, uno stile che ricorda molto giochi come Geometry Dash. I livelli non hanno uno sfondo, il colore nero farà da background, mentre flash, raggi laser, sfere e altre forme fucsia riempiono quasi l’intero schermo, rendendo più difficile l’individuazione del nostro personaggio e soprattutto renderà più arduo schivare tutti gli ostacoli. I principali colori utilizzati sono solamente cinque: nero e le sue sfumature, bianco, turchese, fucsia e giallo. Una scelta singolare, ma intelligente: in un gioco di questo genere, singolarissimo nel suo proporre una modalità quasi da shoot ‘em up senza la componente shooting, troppi colori o colori troppo accesi possono solo essere d’intralcio per la visuale e di conseguenza peggiorare l’esperienza di gioco.
Anche il comparto tecnico è ottimo, durante la mia run non ho riscontrato nessun bug o glitch a compromettere la sessione, solamente un leggero lag in alcune parti di un solo livello e un bug – che credo dipenda da Steam – che riconosceva mouse e tastiera come un giocatore e il pad della PlayStation 4 (collegato con il cavo USB) come un secondo player, per questo, metà del gioco l’ho dovuto affrontare con due avatar controllati da un solo pad (e il gioco è diventato molto più arduo). Ovviamente qualsiasi problema potrebbe intaccare la nostra avventura, rendendola impossibile o troppo semplice, ma non è questo il caso. Il gioco è ben strutturato con livelli sempre diversi tra loro e mai ripetitivi, che offrono un grado di difficoltà diverso da livello a livello. Si possono affrontare missioni “semplici”, che riusciranno in una sola run, o altre molto più ardue, che vi faranno urlare dalle troppe forme a schermo e vi faranno penare per arrivare al tanto agognato “triangolino della salvezza“.

Ma adesso parliamo del soggetto principale del gioco: la soundtrack. Just Shapes & Beats offre ore e ore di ottime canzoni chiptune, che spaziano dalla musica elettronica al dubstep più sfrenato. Da amante del genere le tracce presenti mi hanno fomentato non poco durante la partita, anche perché, per superare alcuni ostacoli si deve seguire il ritmo, potrebbe capitare che a ogni drop della musica si possa incorrere in un’esplosione o in un ostacolo, quindi bisogna prestare attenzioni a tutto, dal nostro personaggio, agli ostacoli, e persino alla musica.
La colonna sonora del gioco si compone di circa 40 brani, dicevamo, composti da alcuni dei più famosi musicisti del mondo chiptune, tra cui i Pergboard Nerds, Chipzel, Tokyo Machine, Noisestorm, e oltre a loro sono presenti anche altri compositori un po’ meno famosi o emergenti, come Plesco, Danimal Cannon e altri artisti.
Il gioco è consigliato a un pubblico che gradisca una simile selezione, ma anche chi si volesse semplicemente mettersi alla prova con un titolo ritmico, dinamico e mai noioso potrà divertirsi sicuramente potendo usufruire anche di una buona rigiocabilità.




Milanoir

Si dice che in un film noir che si rispetti non ci sono “buoni” e “cattivi” ma solamente “cattivi” e “peggiori”, personaggi che potremmo amare in un momento ma che in seguito potremmo persino arrivare a odiare. Le atmosfere dei crime drama e polizieschi noir italiani degli anni ’70, l’epoca d’oro di certi film, riprendono vita in questo nuovo top-down shooter 2D sviluppato da Italo Games; stiamo appunto parlando di Milanoir, un gioco tostissimo, dal carattere originale e dalle tematiche molto forti (tanto che in Europa ha ricevuto il PEGI 18). Tramite gli occhi del nostro protagonista, vedremo il lato oscuro della brillante Milano, nei quartieri in cui il crimine dilaga e il braccio della legge fatica ad arrivare. Il gioco è disponibile su PlayStation 4, Xbox One e da poco anche su Nintendo Switch ma noi prenderemo in esame la versione per PC.

La guerra di Piero

Sin dai primi momenti il gioco ci porta in quella che è la Milano degli anni ’70: una città brulicante di vita ma che cela un animo oscuro nelle sue vie peggiori, strade in cui le piccole gang si contendono il territorio a colpi di pistola e dove pullulano Vespe Piaggio, ubriaconi e prostitute straniere. Il nostro Piero Sacchi, milanese di nascita, sa bene come vanno le cose nei quartieri bassi ma almeno è sicuro di frequentare le persone giuste, ovvero la banda del boss Nicola Lanzetta di cui è il killer numero uno e anche il braccio destro. La cosa lo riempie d’orgoglio e non c’è occasione in cui non sbatta in faccia la situazione al Torinese, il suo rivale giurato; tuttavia, una sera, le cose si mettono male per il nostro protagonista e ben presto si troverà in un guaio che lo macchierà a vita, generando in lui un forte desiderio di vendetta. Sin dai primi momenti verremo catapultati in una Milano malfamata e piena di problemi, per causarne ancora di più in nome del clan dei Lanzetta; col progredire della storia ci troveremo dunque a far fuori altri boss di quartiere, bracci destri e killer spietati ma avremo anche modo di conoscere altri misteriosi personaggi che daranno sempre più profondità alla più che profonda storia che ci viene proposta. I controlli sono più da FPS che da twin-stick shooter, al contrario di quanto ci si aspetterebbe da un gioco che propone una prospettiva bird eye; l’opzione che più si addice a questo tipo di gioco è quella di usare mouse e tastiera per muoverci in ogni direzione (limitate sempre alle otto direzioni concesse dai quattro tasti) e mirare con molta facilità mettendo il puntatore al di sopra del nemico. Col joypad ci si può muovere con più precisione ma mirare non è proprio semplicissimo. Come abbiamo detto prima, ci aspettavamo dei controlli più in linea con i twin-stick shooter ma invece abbiamo un sistema che semplicemente sostituisce il puntamento del mouse con la levetta destra del controller e ci duole dire che non è il massimo. Il mirino non torna in una posizione di default, né funziona come abbiamo visto in giochi come Tower 57 o nella versione per console di Hotline Miami; tuttavia, un sistema di controllo analogo a quest’ultimo lo troviamo durante le sezioni sui veicoli, e ci chiediamo come mai non sia stato implementato nel resto del gioco. Il controllo col joypad non è comunque totalmente debilitante in quanto è presente anche un sistema di mira automatica quando un bersaglio sarà sulla linea di tiro di Piero (e anche visibile); inutile dire che entrambi i metodi sono buoni ma, viste le scelte dei programmatori, è meglio utilizzare mouse e tastiera.
Il gameplay che ci viene proposto è tipicamente da top-down shooter, giusto con una punta di stealth e concentrato per lo più sullo storytelling e non totalmente sull’azione (o tanto meno sul realismo di quest’ultimo); dovremo superare intere orde di sgherri muniti di pistole, fucili, coltelli e quant’altro alternando in maniera più equilibrata possibile copertura e azione. Coprirsi dietro casse, muretti e quant’altro è importantissimo al fine di rimanere vivi poiché a ogni schermata potrebbe presentarsi un vero inferno e noi, con la nostra sola pistola (che nonostante le munizioni infinite dovremo sempre ricaricare manualmente), potremo non farcela. Di fronte a questi scenari possiamo appoggiarci alle armi secondarie ma, dal momento che non appaiono frequentemente, i nostri più grandi alleati saranno i cartelli stradali… Avete capito bene! È possibile che certi obiettivi non siano raggiungibili tramite un colpo diretto e andare in avanscoperta per stanarli potrebbe risultare molto rischioso; perciò, se nelle vicinanze c’è un cartello stradale, è possibile sparargli per far sì che il nostro proiettile colpisca automaticamente un obiettivo con un rimbalzo. È una meccanica che si ripete molto spesso nei livelli, è ben implementata e risulta persino varia: quelli rotondi permettono di centrare un obiettivo, quelli rettangolari due e il segnale dello stop arriva fino a sei bersagli. Lo stesso non si potrebbe dire per ciò che riguarda le armi secondarie vere e proprie, ovvero il revolver, le molotov e le granate: nulla a che vedere con la loro utilità in battaglia dal momento che funzionano a dovere e sono divertenti da usare (soprattutto il primo che permette di far fuori più nemici con un solo proiettile) ma sono generalmente pochi e poco frequenti. E parlando di povertà nel comparto delle armi secondarie ci tocca anche parlare della povertà del gameplay in generale; non fraintendeteci, ci siamo divertiti moltissimo con Milanoir, ma semplicemente è un gioco tendenzialmente statico e le sue sezioni si ripetono troppo spesso. Non che i livelli si somiglino, ma alla lunga si percepisce una forma di monotonia che potrebbe farci completare parte dei livelli un po’ controvoglia, specialmente le sezioni un po’ troppo difficili (come la boss battle contro l’Africana nel Pirellone); in ogni caso, la modalità principale è giocabile per due giocatori e può restituire un po’ di divertimento in più e magari alleggerire alcune parti snervanti. Sempre in due (o da soli) è possibile fare del nostro meglio nella modalità arena: ci ritroveremo catapultati in alcune schermate in cui i nemici arriveranno a orde e a noi toccherà farne fuori il più possibile tentando di sopravvivere più a lungo. Questa modalità è ovviamente collegata con una dashboard online che raccoglie tutti i punteggi migliori e, con un po’ di fortuna, potreste risultare fra questi (noi, al momento, siamo quindicesimi a San Vittore… Mica siamo molli noi)! Comunque, anche se il gameplay non entusiasma particolarmente, ciò che in Milanoir spicca particolarmente è senza dubbio la sua storia; il titolo ha un carattere cinematografico ben distinto ma soprattutto ben implementato, e la sua grafica pixellosa o l’assenza di doppiaggio non saranno ostacoli per godere dello splendido storytelling proposto. Anche se la sua azione è buona ma statica, la sua trama sembra sia stata scritta originariamente per essere un noir italiano degli anni ’70 e ogni scena, che sia un intermezzo o un gelido omicidio, riesce a tenerci incollati allo schermo, ci entusiasma, forse a volte ci sdegna, tanto da voler conoscere a tutti i costi il risvolto della storia; vorremo sapere fin dove Piero sia disposto a spingersi per la sua reputazione (o forse per la sua sopravvivenza), chi sono i fautori dei nostri guai o semplicemente conoscere il luogo della prossima sparatoria (visto che è sempre un piacere giocare con un titolo di cui conosciamo i luoghi). Probabilmente, l’unica cosa in più che si sarebbe potuta fare a livello di storytelling sarebbe stato immettere delle scelte di dialogo e bivi decisionali per ottenere dei finali e livelli alternativi, ma in fondo è stato meglio lasciare una trama lineare; anche se certe volte quasi ci disgusterà utilizzare Piero, questo serve a mantenere intatta la sua “brutta” personalità, a restituire a noi giocatori l’esatta visione dei programmatori dietro a questo spettacolare gioco ma soprattutto a restituire quella magia dei vecchi polizieschi. Insomma, per intenderci, gli amanti di Breaking Bad hanno amato e odiato al contempo Walter White, e questo è quel che probabilmente volevano generare gli sviluppatori nei confronti di Piero.

Gli italiani lo fanno meglio

Il gioco, realizzato col motore grafico Unity, propone una pixel-art veramente deliziosa, molto colorata ma che restituisce ugualmente quel senso di buio e sporcizia di determinate zone di Milano all’epoca del banditismo. Lo stile dei personaggi ha un che di Leisure Suit Larry, magari un tributo per rendere al meglio “quella” scena di nudo all’inizio del gioco; in relazione alla scelta stilistica, i personaggi sono ben disegnati e hanno tante caratteristiche curiose (che potranno essere notate ancora meglio osservando bene gli artwork quando prendono la parola i character). Coloro che annoverano Milano Calibro 9 fra i propri film preferiti, ispirazione fondamentale per la produzione di questo titolo, non potranno fare a meno di notare il giubbotto rosso di Piero, chiaro rimando alla figura misteriosa che seguiva il protagonista Ugo Piazza, o l’innegabile somiglianza fra Tony, il compagno di crimini del nostro protagonista, e Rocco Musco; inutile sottolineare le analogie fra le figure del boss Lanzetta e Ciro con i loro corrispettivi Vito Corleone e Alberto, interpretati da rispettivamente da Marlon Brando e Mark Margolis ne Il Padrino e Scarface. Bisogna dire che Emmanuele Tornusciolo, mente dietro la storia e dietro al game design generale, ha davvero degli ottimi gusti in termini di cinema, così come, sicuramente, il resto del team composto da Gabriele Arnaboldi (codici e direzione tecnica) e Giuseppe Longo (pixel-art e animazione). Gli scenari, in termini di bellezza, spiccano un po’ di più rispetto alle caratterizzazioni dei personaggi; nulla che risulti poco armonico, ma sicuramente gli ambienti risultano più curati, molto chiari e meno limitati in quanto a colori e a dettagli. È senza dubbio un piacere seminare il panico fra molte località famose di Milano come il Viale Monza, il Pirellone, il carcere di San Vittore, le Colonne, il Parco Lambro, il Giambellino e persino i Navigli; ovviamente le strade non sono geograficamente precise, ma tutti i tratti distintivi sono stati correttamente accentuati per restituire in tutto e per tutto le atmosfere tipiche di questi luoghi. Non sarà mai un problema, inoltre, ripararci laddove pensiamo il fuoco nemico non possa arrivare; gli elementi ambientali, come le casse, i bidoni dell’immondizia, i muretti e tutto ciò che pensiamo possa offrirci riparo, funzioneranno a dovere e questo permette un gameplay molto dinamico e intuitivo. Abbiamo trovato solamente due problematiche relative alla codifica di alcuni ambienti: nella zona del mercato ci è capitato di camminare letteralmente su un muro e raggiungere punti della schermata che dovevano rimanere inaccessibili (insomma, indossiamo un giubbotto rosso ma siamo solamente Piero, mica Peter Parker!) mentre al Duomo, durante la battaglia finale, siamo riusciti a far fuoco attraverso un muro rimanendo protetti, regalandoci praticamente un incredibile vantaggio contro il boss finale e i suoi sgherri (e ovviamente non vi diremo qual è!). Speriamo che Italo Games possa riparare presto queste piccole imperfezioni con una semplice patch.
Ad accompagnare queste belle visual c’è ovviamente una solida colonna sonora; anche qui, così come per la storia e per la grafica generale, si tenta di a larghe linee di mantenere lo stile di quelle dei film noir italiani, con un pianoforte dal sound misterioso e sfumature di flauto che rimandano, chiaramente, agli Osanna (gruppo di Progressive Rock napoletano che eseguì la colonna sonora, composta da Luis Enriquez Bacalov, del leggendario film). Bisogna ammettere che molti brani sono ben composti e riescono nell’intento iniziale, quello di farci tornare in quegli anni ’70 di fuoco, ma in alcuni brani ci sembra ci siano alcuni elementi un po’ troppo moderni (o non appartenenti a quell’epoca) che risultano un po’ fuori contesto. Magari sono false sensazioni ma, probabilmente dopo aver giocato a un’altra rievocazione di pezzi d’Italia di un altro tempo come in Wheels of Aurelia, ci aspettavamo un’operazione molto simile.

Un capolavoro mancato

Nel panorama dei videogiochi indipendenti italiani Milanoir ha un carattere fortissimo, un gioco che riesce a mostrare quel marcio che affligge nostra amata penisola senza però utilizzare stereotipi o forzature che troviamo spesso in alcuni film o, ancora più spesso, nelle fiction italiane. Lo storytelling di questo titolo è senza dubbio il punto forte, l’elemento al quale sicuramente è stato dedicato più tempo. Sfortunatamente, anche se la sua azione è molto intensa e gli ambienti molto differenziati, il suo gameplay risulta statico, dicevamo, sostanziandosi in sequenze in cui si cammina, si spara e si va in copertura: oltre c’è ben poco, sul piano  della giocabilità. La meccanica dello stealth e le sezioni in movimento sono graziosamente rese ma purtroppo non riescono a dare ulteriore profondità a un gameplay che non stupisce e non rende giustizia a un’ottima trama. È vero che più avanti la nostra pistola verrà sostituita da un uzi ma ci sarebbe piaciuto poter utilizzare molte più armi, magari scegliendole da un menù, e trovare un gameplay più vario, aver magari la possibilità di interagire con NPC nel tentativo di raccogliere informazioni e oggetti, scassinare porte, poterci trovare di fronte a degli incroci e scegliere un passaggio invece di un altro; il potenziale c’era e il titolo propone meccaniche un po’ troppo semplici che, per quanto statiche, divertono comunque molto. Sarebbe però servito veramente poco per rendere il gameplay di Milanoir un po’ più vario e completare l’opera e rendere il titolo un piccolo capolavoro.
Il prezzo, sia su Steam che nel Nintendo E-Shop, non è per niente proibitivo è con poco potrete portarvi a casa un gioco che merita davvero.
Milanoir è in ogni caso un ottimo punto di partenza per Italo Games, che ci porterà certamente a tenere d’occhio i loro futuri lavori che, sfruttando il potenziale visto in questo primo titolo, potranno risultare certamente interessanti, anche al di fuori del panorama videoludico italiano.




La caduta di Nintendo

Siamo a ormai quasi un anno e mezzo dall’uscita di Nintendo Switch: la risposta del mercato ci autorizza a definirla senza remore un successo, fin dal lancio la console ha registrato numeri di vendita ragguardevoli, un ottimo indice di gradimento degli utenti e anche delle prestazioni medie riguardo i giochi terze parti che hanno smentito le meno ottimistiche previsioni dei detrattori. Tutto bene, dunque, direte. E invece no, perché da marzo le azioni Nintendo hanno cominciato a perdere inesorabilmente valore. Non si tratta di un calo da poco: la grande N ha perso quasi un quarto del suo valore alla Borsa di Tokyo da fine maggio ad adesso. Miliardi su miliardi di Yen.
Attenzione, le vendite di Nintendo Switch continuano ad andare bene, gli ultimi dati – proprio di fine marzo – riportano circa 18 milioni di unità vendute. Perché allora il titolo in borsa cala? Da questo punto di vista la finanza non lascia spazio a equivoci: se il valore è in calo, significa che molti hanno messo in vendita le proprie azioni, perché viene meno la fiducia nella tenuta del prezzo. Non di rado, in simili casi, i grossi produttori pagano lo scotto di scelte avventate: il rilascio di un’update che comporta problemi al software, un’inadeguata (in eccesso o in difetto) fornitura di hardware sul mercato (Nintendo ha corso questo rischio poco dopo il lancio, ma ha tempestivamente provveduto), problemi con il servizio online che oggi possono avere pesanti ripercussioni… le cause di solito riguardano qualche problema legato all’andamento del proprio lavoro.

Ciò che è curioso, nel caso in questione, è che Nintendo pare non essere incappata in alcuno di questi problemi – quantomeno non in maniera così drastica da comportare una simile inflessione – e che i consumatori sembrano continuare a dar fiducia alla casa di Kyoto. Quale problema hanno sentito allora gli investitori, quelli che hanno dapprima comprato il titolo e l’hanno recentemente messo in vendita? C’è da notare come il valore sia sceso di circa il 32% (circa un terzo, mica roba da poco) dopo la fallimentare presentazione all’E3, nella quale si è scelto di dar molto – troppo – spazio a Super Smash Bros. Ultimate a scapito di altri contenuti, con il risultato che gli annunci che non pochi fan attendevano con ansia non sono mai arrivati.
Alcuni analisti hanno puntato il dito proprio sulla mancanza di un chiaro orizzonte d’attesa: a differenza di Sony e Microsoft, che, pur non fornendo release date, hanno dato agli utenti la possibilità di uno sguardo sui titoli in lavorazione, giocando su un facile marketing, cultura dell’hype e spettacolarizzazione, Nintendo ha puntato su una scelta “specialistica”, probabilmente più concreta, con un deep dive dedicato a un’IP forte, in cui ha mostrato di credere molto. Scelta non apprezzata dal pubblico, e anche da buona parte dei fan. Inoltre, come può anche essere normale in certi momenti del ciclo di vita di una console, le vendite di Switch hanno subito una contrazione, portando alcuni analisti a pensare che il combinarsi dei due fattori sia stato determinante nel crollo del titolo in Borsa:

«-5,27%. Le azioni Nintendo nuovamente massacrate nella borsa di Tokyo. Il Nikkei ritiene che la causa siano l’assenza di informazioni sulla produzione di videogame e le fiacche vendite di Switch, fattori che hanno indotto gli azionisti esteri a disfarsi delle azioni.»

Tatsumi Kimishima, ex presidente di Nintendo, ha dichiarato qualche settimana fa che la grande N ha ancora dei titoli da annunciare entro la fine dell’anno, ma questa rimane allo stato di fatto una dichiarazione di intenti: l’utenza videoludica è molto pragmatica, spesso impaziente e dalla memoria corta, e non pare che una simile prospettiva abbia avuto alcun influsso positivo sul titolo già in discesa.
Parte del problema è dunque da ricondursi alla cattiva gestione della conferenza dell’E3, sul punto pochi dubbi, ma non bisogna dimenticare che il titolo è in calo già dal mese di marzo, i miliardi si perdono già da più di un trimestre. Il mercato di riferimento (la Borsa di Tokyo) gode strutturalmente di buona salute, e questo ci porta a escludere le cause siano congiunturali, legate a una generica sfiducia o alla fiacchezza del mercato: il problema è direttamente legato all’azienda. Il ritmo del ribasso è rallentato nelle ultime settimane, ma la situazione è ancora lungi dall’essere sotto controllo.

I fattori in gioco sono certamente svariati. Diamo per buoni i due che abbiamo già citato sopra, lasciamoli tra le concause e guardiamo agli investitori: alcuni dubbi da parte di quest’ultimi sono certamente legati all’ambizioso obiettivo di vendita per l’anno 2018, alla fine del quale Nintendo ha prospettato di arrivare a 20 milioni di unità, senza però apportare variazioni di rilievo nel prezzo di mercato né introdurre killer app. I più preoccupati riguardo queste previsioni sembrano essere soprattutto gli investitori non nipponici: mentre in Giappone la fiducia nella compagnia pare sostanzialmente invariata, fuori dal paese del Sol Levante molti temono il non ancora consolidato sostegno da parte dei grossi publisher. Un problema in realtà ultradecennale per Nintendo, che restituisce un’idea di un aspetto rilevante del mercato videoludico: la grande N avrà certamente svariati assi nella manica, è certo che Kimishima non menta quando parla di titoli ancora da annunciare. Le IP ancora da sfruttare non sono poche ma, in attesa di un domani in cui queste vengano annunciate, la mancanza di importanti terze parti di rilievo non fa stare tranquilli oggi gli investitori.

Il supporto delle third parties è da tempo un indicatore chiave non da poco per il mercato, e l’incertezza riguardo la presenza di titoli di peso su Switch è un fattore che potrebbe aver inciso sulla fiducia degli azionisti: arriveranno mai titoli come Far Cry 5 Kingdom Hearts III? O il tanto atteso Anthem? E Red Dead Redemption 2?  Se certe assenze pesano relativamente sull’utente che colloca Nintendo Switch in una dimensione ben precisa nel mondo videoludico, vedendola come console alternativa o complementare nell’utilizzo, nella fruibilità e quindi anche nella line-up rispetto alle due rivali principali, lo stesso non si può dire che il mercato più ampio, quello dei casual gamer, quello dove si muovono i grandi numeri, sia della stessa idea.
In un articolo pubblicato alla fine dello scorso anno su IGN, Mattia Ravanelli sosteneva che questo non fosse un problema: ricordo che, se da utente e fruitore mi trovavo completamente d’accordo con questa visione, nutrivo i miei dubbi dal punto di vista del mercato. E non perché Nintendo Switch possa non farcela senza l’ampio parco titoli delle rivali, ma perché senza terze parti cresce la necessità di offrire un differenziale che permetta di tenere una stabilità di medio-lungo periodo. Al primo anno si poteva puntare sul fattore novità e su due killer app come Breath of The Wild Super Mario Odissey: adesso bisogna inventarsi qualcosa. E la risposta non è purtroppo Nintendo Labo che, pur ricevendo numerosi apprezzamenti dalla critica e dai fruitori, non sta restituendo numeri rilevanti in termini di vendite. E anche a questi risultati gli investitori risultano sensibili.

Ovviamente anche le terze parti e un Labo non del tutto incisivo sul mercato sono concause da sommare alle precedenti. Ce n’è anche un’altra da non sottovalutare, direttamente legata al mercato, alla brand reputation e al mindset dell’investitore di Borsa medio.
Quello finanziario è infatti un mercato che si costruisce momento per momento attraverso stime e previsioni, e che subisce smottamenti di ogni natura, anche quelle legate a cause dei natura “storica”. Nintendo proveniva da numeri passati altalenanti, generati soprattutto dai pessimi risultati di WiiU in termini di vendite. Questo gli investitori non lo dimenticano di certo. Dopo aver assistito a un rialzo del titolo conseguente al successo di Pokémon Go, seguito dall’ottimo lancio di Switch l’anno successivo che ha comportato un’ulteriore crescita, molti hanno certamente cominciato a chiedersi quando una simile ascesa si sarebbe fermata, proprio per prevedere il momento migliore e vendere al massimo prezzo. Alcuni analisti hanno previsto un cambio di passo a maggio, e molti hanno semplicemente visto questo trimestre come il momento migliore per una exit strategy.
Nintendo avrebbe potuto farci qualcosa? Probabilmente sì: l’annuncio di un nuovo titolo della serie Yoshi (abbiamo avuto un trailer, ma non abbiamo una release date, né tantomeno un titolo definitivo) o di un Animal Crossing, ma anche l’uscita di Fire Emblem: Tree Houses entro l’anno avrebbero certamente aiutato. Il 2018 potrebbe chiudersi con Labo come unico prodotto inedito degli studi di Nintendo Entertainment Planning & Development, senza alcun nuovo videogame su Nintendo Switch. Probabilmente a Kyoto prenderanno contromisure, organizzandosi per evitarlo.
La chiusura di trimestre fra circa una settimana sarà inevitabilmente deludente per Nintendo, la quale vedrà probabilmente un ulteriore (seppur non drammatico) calo del titolo entro la fine del mese, con vari investitori pronti anche oggi al bail out.

Ma attenzione: quel che abbiamo scritto finora non deve affatto portarci a concludere che Nintendo sia in crisi o o che il suo business sia traballante. I fattori che abbiamo analizzato hanno contribuito a un calo drastico del titolo in un dato frangente, sì, ma certi momenti nell’andamento azionario di una grande compagnia sono in parte fisiologici e vanno messi in conto, specie se si tratta di un’azienda che opera scelte di mercato non canoniche come la casa di Kyoto: le scelte degli shareholder si basano sulle informazioni disponibili nel momento storico di riferimento, e basterebbero delle contromosse strategiche a risollevare in breve tempo la situazione e compensare alle perdite.
Ci sono tutti i motivi per ritenere la strategia della grande N ancora solida, il potenziale in termini di IP è ancora consistente, ribadiamo, e il gradimento del pubblico nei confronti di Switch è ancora alto. Super Smash Bros. Ultimate deve ancora dispiegare i propri effetti sul mercato (sarà il titolo da trovare sotto l’albero di Natale), come del resto i due Pokémon Let’s Go che usciranno a novembre: tutto porta a puntare gli occhi sull’ultimo trimestre del 2018, insomma. Pur rallentate, le vendite della console continuano a un buon passo, e la fine dell’anno potrebbe riservare ancora qualche sorpresa in termini di IP. Anche in assenza di queste ultime, gli ultimi mesi del 2018 saranno certamente quelli con i migliori risultati.
Seppur non indolore, il calo del titolo Nintendo in Borsa è quindi da considerarsi figlio di piccoli errori e varie concause ma anche il frutto di una congiuntura fisiologica, che poteva essere in qualche modo messa in conto nel ciclo economico aziendale, e che sarà certamente gestibile con adeguate contromisure strategiche.
Finché l’andamento a ribasso sarà contenuto entro una determinata finestra temporale, la strategia Nintendo nell’era Switch potrà ancora considerarsi un successo, dato che già adesso, a 21 mesi dall’uscita, il buio periodo di mercato dell’epoca WiiU sembra essere ormai un brutto ricordo.




I migliori accessori per Nintendo Switch

Nintendo Switch è una delle console più amate, soprattutto per via del pratico formato portatile. Intelligente, compatta e con una vasta gamma di giochi esclusivi. Ecco un compendio degli accessori con il migliore rapporto qualità prezzo per mantenerla sempre al sicuro, carica e con memoria a sufficienza.

Scheda MicroSD SanDisk da 128 GB

Un punto debole di Switch è la memoria interna di appena 32 Gb, che non permettono di memorizzare molti giochi senza l’aggiunta di una scheda SD esterna. Quasi tutte schede SD sono relativamente poco costose al momento, ma in particolare sono raccomandabili le SanDisk, affidabili e con un buon rapporto qualità-prezzo; sono inoltre disponibili con un’ampia gamma di dimensioni. Con l’aggiunta di una scheda da 128 GB sarà possibile archiviare tra i cinque e i dieci giochi di dimensioni standard.

Custodia per Nintendo Orzly

Una buona custodia per Switch è indispensabile, se la si vuole portare ovunque senza correre il rischio di romperla. La custodia di Orzly è una delle più robuste e ha tasche separate per Joy-Con e per cavi extra, caricabatterie e un paio di cuffie.

Controller Nintendo Switch Pro

I pulsanti più grandi, la forma più confortevole e le thumbstick precisi ne fanno il controller perfetto per i giochi più competitivi e reattivi. L’unico svantaggio è il prezzo, decisamente alto.

“Volanti” per Joy-Con

Il miglior modo di sfruttare i giochi di corse automobilistiche, come Mario Kart 8: Deluxe, è abbinarvi questo supporto per controller, che permette di simulare un volante. Basta smontare i Joy-con dalla console e inserirli in queste ruote di plastica.

Cuffie Turtle Beach Elite Pro

Il modello Elite Pro Tournament delle cuffie Turtle Beach offre un brillante mix di qualità del suono, cancellazione del rumore e comfort per un ottimo prezzo, oltre a offrire funzionalità aggiuntive come come il Glasses Relief System, che le rende perfette per chi indossa gli occhiali. I diffusori da 50mm all’interno sono tra i migliori per un suono surround potente, e sono l’ideale per giochi come Fortnite. Anche la trasmissione del suono attraverso il microfono risulta chiara e nitida.

HORI Compact Playstand

L’Hori PlayStand, compatibile con Switch, consente di adattare la visuale per avere la migliore prospettiva durante il gioco. Ma forse il più grande vantaggio che offre, a differenza di altri supporti, è la possibilità di utilizzare la porta di ricarica.

Custodia Mumba

La maggior parte delle custodie per Nintendo Switch si concentra esclusivamente sulla protezione della console a tutti i costi. La versione premium di Mumba riesce certamente a soddisfare anche questo criterio avendo una cover in policarbonato antiurto e antigraffio, e in più si adatta altrettanto efficacemente all’accessibilità degli utenti, permettendo di giocare con la console tenendola al sicuro.

Controller 8bitdo SN30 Pro

Basato sul concept dell’ iconico gamepad SNES, è un controller pro con un’estetica retrò chic. Recentemente, il produttore ha revisionato la piccola periferica per renderla completamente compatibile con la Switch, completa di due stick analogici, un pulsante Home e un pulsante per lo screenshot. Inoltre è wireless.

Controller 8bitdo F30

Ancora più retrò del precedente, il gamepad 8bitdo F30 non è solo più economico, ma prende spunto dal pad del Famicon. Potrebbe non avere tutti i pulsanti necessari, ma è affascinante.

Joy-Con Charging Grip

Il supporto Joy-Con Charging Grip permette di caricare i Joy-Con mentre si gioca.

Nintendo Joy-Con Controller Strap

La Switch di base è dotata solo di un solo strap nero per uno dei controller, ma Nintendo ne vende separatamente di diversi colori, i quali offono anche protezione extra impededone la caduta.

Cavi USB di tipo C

Invece di usare la propria tecnologia proprietaria, Ninty ha optato per l’uso di USB C per la ricarica, rendendo molto più facile trovare fili che si possono effettivamente utilizzare. Questo cavo USB è economico, e permette di collegarlo ovunque per caricare la batteria.

Adattatore LAN per Switch

Se si vuole una connessione Internet più veloce, questo adattatore da porta USB a ethernet consente di collegarsi direttamente per download e multiplayer più veloci.

Proteggi Schermo Orzly

Se si desidera una protezione aggiuntiva per mantenere lo schermo intatto, potrebbe essere utile un proteggi schermo. Sono economici, facili da applicare e manterranno lo schermo intatto se si ha cura di applicarli correttamente.

Caricatore portatile Anker PowerCore 26800

Il Nintendo Switch ha una durata compresa tra 2,5 e 6 ore. Se non dovessero essere sufficienti, e non si trovasse facilmente una presa dove caricarlo, questo caricabatterie portatile di Anker potrebbe risultare utile, oltre a essere compatibile anche con l’Iphone.

Starter Kit Snakebyte

Questo set di base Snakebyte comprende una robusta custodia con cerniera rigida completa di cinghie elastiche per mantenerlo al sicuro, una protezione per lo schermo, un panno per la pulizia, un paio di cuffie auricolari, due manopole controller e una custodia rigida per i giochi. Come kit di partenza è difficile da battere.

Custodia per schede da gioco

Per evitare di perdere le schede senza doverle tenerle nelle scatole originali, può essere utile un contenitore apposito. Può contenere fino a 24 giochi e offre anche spazio per archiviare alcune schede di memoria MicroSD.




Bloodstained: Curse of the Moon

Koji Igarashi è stato l’innovatore di Castlevania, saga che dopo Castlevania: Dracula X/Rondo of Blood per Super Nintendo e Nec PC Engine, si mostrava datata al cospetto delle nuove generazioni di console a 32-bit. Grazie a lui la serie si è potuta catapultare verso il nuovo millennio senza perdere la propria identità utilizzando un innovativo sistema di overworld ispirato a Super Metroid (è proprio in ragione del mash-up degli elementi delle due saghe espresso per la prima volta proprio in un Castlevania che abbiamo il termine “metroidvania“); a lui dobbiamo tutti i migliori titoli della serie come Castlevania: Aria of Sorrow, Portrait of Ruin, il multiplayer Harmony of Despair ma soprattutto il rivoluzionario Symphony of the Night, a oggi l’unico di questi titoli a essere stato sviluppato per una console casalinga (purtroppo). Con l’inizio della nuova decade Koji Igarashi, conosciuto soprattutto come Iga, fu distolto da Konami dalla sua amata serie e messo dietro allo sviluppo di progetti a cui non voleva prendere parte come alcuni giochi mobile o addirittura quelli per il fallimentare Kinect di Xbox 360; nel frattempo Castlevania si avviava verso una nuova era di giochi, quelli del reboot Lords of Shadow sviluppato da MercurySteam, accolti positivamente da molti ma stroncati pesantemente dagli appassionati di vecchia data.
Iga abbandonò Konami nel 2014 e, ispirato da Keiji Inafune e dal suo kickstarter di successo per Mighty No. 9, aprì il suo progetto indipendente per gli appassionati di tutto il mondo: Bloodstained: Ritual of the Night venne finanziato in pochissimo tempo, superando il record posto precedentemente dal suo ispiratore, e da allora i fan della saga di Castlevania pregano affinché il tempo scorra più velocemente per arrivare a quel “tardo 2018”, periodo previsto per l’uscita di questo titolo. Il progetto poneva un obiettivo a 4.500.000$ per un titolo prequel in stile retrò per PC e console ed è stato rilasciato da pochissimo a un prezzo eccezionale: stiamo parlando di Bloodstained: Curse of the Moon, gioco della Inti Creates con le fattezze di un titolo per NES, sia nella forma che nella sostanza. Finalmente, a partire da questo gioco, i fan della saga avranno finalmente ciò che chiedevano a Konami da almeno otto anni, con lo stile inimitabile di Iga e sfide impervie da affrontare; la scelta di partire con un gioco simil-8-bit non sembrerebbe la più saggia delle idee (giusto per non sfruttare i binari della nostalgia) ma in fondo stiamo parlando di un sideproject e, in ogni caso, anche se non si tratta del prodotto principale, il risultato è più che positivo. È possibile reperire questo titolo sia su PC che per tutte le console; noi oggi prenderemo in esame la versione per Nintendo Switch.

Praise the moon!

La maledizione della luna scese su Zangetsu per mano dei demoni; passò la sua vita a vagando in lungo e in largo per sterminarli tutti e liberarsi di tale fardello. Una sera, però, sentì la presenza di un demonio superiore e così Zangetsu partì alla volta di quest’ultimo per eradicare questa terribile dannazione una volta e per tutte. Nella sua via incontrò altri che, come lui, furono corrotti dalla maledizione della luna: Miriam (che sarà la protagonista del gioco principale), Alfred e Gebel e insieme collaborarono per mettere fine alla maledizione utilizzando i poteri della stessa. Diversamente dal titolo principale che si pone come un metroidvania, questo è strutturato come un Castlevania tradizionale, ovvero stage by stage, e dunque con livelli chiusi con inizio e fine senza alcuna componente di backtracking; il gameplay generale ricorda principalmente Castlevania III: Dracula’s Curse, per l’intercambiabilità dei personaggi durante l’azione, e Rondo of Blood per via dei tragitti ramificati che possono nascondere, talvolta, delle belle sorprese. I personaggi, come ci si aspetterebbe da un gioco che pone delle simili premesse, hanno caratteristiche comuni ma anche pregi e difetti, e chi è fan della saga Konami può ricollegare immediatamente ognuno dei personaggi ad altri di Castlevania: in Zangetsu è possibile riconoscere le qualità dell’Alucard di Symphony of the Night dal momento che, come lui, usa una spada ed è supportato da un buon assetto di armi secondarie (ed altre abilità, sempre molto simili alla controparte Konami, se faremo “determinate scelte”); Miriam è la classica Belmont e perciò usa una frusta, la cui lunghezza permette di mantenere una buona distanza coi nemici, e un bel assetto di armi secondarie, ha il salto più alto del team ed è l’unica che può fare delle scivolate verso il basso (premendo giù e salto); Alfred è un mago e, esattamente come Sypha Belnades, può contare sul suo utilissimo assortimento di magie (utilizzabili con i punti magia, comuni anche agli altri per ciò che riguarda l’utilizzo delle loro armi secondari) anche se il suo attacco principale è molto lento e perciò può rimanere indifeso di fronte agli attacchi nemici per non poco tempo; infine, Gebel ha le stesse caratteristiche dell’Alucard di Castlevania III, dunque ha un colpo che spara 3 proiettili, che non possono sfondare i muri, e la sua unica abilità secondaria è la trasformazione in pipistrello che gli permette di esplorare certe sezioni in lungo e in largo.

What a horrible night to have a curse.

In questo scenario pressoché familiare torna anche la “fisica” classica della serie Konami (come il salto non orientabile in aria o il balzo all’indietro quando si viene colpiti). Questi elementi potrebbero essere senz’altro positivi per dei veterani ma i nuovi giocatori, specialmente quelli che di recente si avvicinano al retrogaming, potrebbero identificare queste caratteristiche come difetti, soprattutto se congiunti alla difficoltà generale del titolo; pertanto, prima di cominciare l’avventura, il gioco permette uno “style” per veterani, con le caratteristiche sopraelencate, e uno per casual in cui le vite sono illimitate e l’essere colpito non fa sobbalzare all’indietro (non c’è alcuna penalità nella scelta di questa modalità). La concezione di vita è ben diversa da quella proposta in Castlevania III in cui, come in questo titolo, si avanzava in team: ogni personaggio ha una sua barra della vita e dunque la vita può ritenersi persa quando a tutti i personaggi vengono abbattuti; ciò significa che più saranno i personaggi nel nostro team, più lunga sarà la singola vita. La sfida che ci viene posta nei livelli, molto bilanciata grazie all’assortimento dei character disponibili, è idilliacamente quella di una volta e tutto ciò rappresenta un paradiso per gli appassionati della saga Konami: nessun passo o nessun salto può essere fatto se non dopo un’analisi più o meno accurata dell’ambiente e ogni nostro avanzamento potrà rivelarsi un successo o un fallimento; saranno tante le volte in cui, a volte persino a carambola, perderemo tutti i personaggi ma, da buon titolo retrò, la difficoltà riesce a farci arrabbiare quel tanto che basta per farci riprovare quel livello ancora una volta con più dedizione e caparbietà per poi, alla fine, superarlo, senza mai gettarci nell’abisso della frustrazione.
In Bloodstained: Curse of the Moon, come abbiamo accennato, il percorso è ramificato ma non sempre la strada più astrusa si rivela quella con più sorprese; nel 95% dei casi, gli oggetti speciali per aumentare la vita massima, i punti magia massimi, l’attacco e la difesa si trovano sempre in punti comunicanti della mappa e perciò lo scegliere un percorso anziché un altro dipende, per lo più, dalle abilità dei personaggi del team. Il consiglio stesso del gioco è quello di seguire il percorso più rapido, segnalatoci sempre da uno scheletrino che lo indica al giocatore negli incroci, ma seguirlo non è sempre possibile; potrebbe servirci una scivolata di Miriam o un passaggio in volo con Gebel e quando loro non ci sono, in realtà, siamo costretti a prendere il percorso più lungo. Ad ogni modo non è sempre detto che questo sia il più cattivo poiché magari ci sono meno nemici o abbiamo la possibilità di racimolare qualche punto in più per racimolare vite extra o qualche cuoricino per riempire la barra della vita. Inoltre, soprattutto nei primi tre livelli, il nostro team si andrà formando livello dopo livello e perciò non sempre ci ritroviamo con le abilità adatte per passare attraverso certi punti.
Il gioco base non è lunghissimo, nove livelli in tutto (come ogni tostissimo gioco per NES è possibile completarlo in una sola seduta), ma grazie a i finali alternativi, la modalità boss rush e alle campagne principali differenti verrà incentivata di non poco la rigiocabilità: c’è la modalità normale, che è il gioco base, la nightmare, che continua letteralmente la storia della prima campagna (passando, comunque, dagli stessi nove livelli), e la ultimate che è uguale alla prima ma con Zangetsu a pieni poteri (chi giocherà, ovviamente, capirà). Completare gli stessi nove livelli più volte potrebbe sembrare ripetitivo ma il gioco sorprende così tanto che saremo, inevitabilmente spinti a completare il gioco nei modi più diversi possibili; al di là della semplice scelta di prendere un percorso alternativo, ci sono altre decisioni da compiere come se portare con noi o meno un determinato personaggio a bordo del team oppure, in fase di reclutamento, uccidere quest’ultimi a sangue freddo!

Un capolavoro vintage moderno

Visivamente abbiamo un bellissimo capolavoro che ricorda un gioco per NES ma, come avviene per Shovel Knight o Axiom Verge, nulla di ciò che vediamo potrebbe girare originariamente per una macchina 8-bit in quanto le loro palette di colori, livelli di scorrimento e la memoria generale (che permettono livelli vasti e dettagli grafici, per l’epoca, impossibili) non consentivano simili stravaganze.
Azzeccatissime le ambientazioni, che richiamano sempre i più classici film horror e l’immaginario dei romanzi gotici inglesi, bellissimi gli sprite dei nemici ma soprattutto spettacolari quelli dei personaggi principali che richiamano in tutto e per tutto lo stile di quelli Castlevania; i contorni rossi di Zangetsu, blu di Miriam, gialli di Alfred e grigi di Gebel servono a dare un’aura di personalità ai (non-parlanti) personaggi di questo gioco e, per noi, ritocchi del genere sono veramente dei tocchi di classe, in puro stile Konami. Gli artwork usciti col gioco sono curati da Ayami Kojima, che ha curato le illustrazioni di moltissimi altri titoli della saga di Castlevania, e da Yoshitaka Amano, illustratore che ha collaborato più volte con Square-Enix per diversi progetti, e ovviamente richiamano quello stile tipico della saga madre che prende sia dall’anime che dagli stili di pittura più classici.
La colonna sonora, composta da Michiru Yamane, compositrice storica della saga, Ippo Yamada (Mega Man X2, Azure Strker Gunvolt, Mighty No. 9) e Jake Kaufman (Shantae and the Pirate’s curse, The Legend of Kay, Shovel Knight) è un pieno ritorno alle sonorità rock/metal/neoclassiche tipiche della saga storica e, come ci si può aspettare da una tale line-up, il risultato è semplicemente strabiliante. Un deciso passo avanti rispetto alle colonne sonore scialbe e inutilmente atmosferiche messe nei giochi del reboot Lords of Shadow. Insieme a degli effetti sonori di qualità, fra cui alcuni campionamenti vocali usati quando verremo colpiti, possiamo sentire con chiarezza un massiccio uso dei chip sonori più comuni nelle macchine 8-bit come quello del NES, del Game Boy e forse anche del VRC6, chip sonoro montato all’interno della cartuccia di Castlevania III per Famicom.
Duole dire però che il gioco, momentaneamente (visto che nella title screen si legge “ver 1.1”), non è in italiano, e l’inglese inserito nel gioco è molto artistico e delicato e dunque, molte volte, le didascalie e i dialoghi non risultano direttamente fruibili a chi non abbia una buona conoscenza della lingua inglese; siamo a un livello molto classico, non arcaico ma comunque non vicino a quello moderno, adatto a chi abbia un background nella letteratura inglese classica (dal Frankenstein di Mary Shelley all’Heart of Darkness di Joseph Conrad, per intenderci). Comunque sia, gli elementi della trama, al di là della barriera linguistica, sono molto criptici e con buona probabilità, anche se c’è ben poco storytelling, questo titolo ci prepara semplicemente a ciò che sarà il futuro Bloodstained: Ritual of the Night; magari adesso la storia non ci è chiara ma con la release del gioco principale probabilmente tutto prenderà forma.

Castleplagio?

È inutile sottolineare ancora quanto siamo rimasti soddisfatti da Bloodstained: Curse of the Moon che con un prezzo di lancio di 9.99€ risulta quasi regalato; tuttavia c’è un problema non da poco. Col conteggio Word di questo articolo il termine “Castlevania” (prima di questo) appare ben 14 volte, mentre “Bloodstained” solamente 4: e questo pare sintomatico dell’anima poco originale del titolo. È vero che il progetto nasce principalmente per dare ai fan della famosa saga Konami ciò che per circa 8 anni non è stato ancora consegnato però forse Koji Igarashi sta semplicemente sviluppando un “Castlevania con un altro titolo”. Questo gioco ha senz’altro un forte carattere e una personalità ben definita, però ogni tanto sembra essere ai limiti dell’autoplagio, portando un carico di innovazione prossimo allo zero; da qui si nota forse troppo l’intento di questo titolo (e, si presagisce, anche del prossimo Bloodstained: Ritual of the Night) a soddisfare più un bisogno nostalgico piuttosto che quello di portare qualcosa di nuovo sul tavolo. A ogni modo, parliamo di un sideproject di un progetto più grande: ciò che è stato presentato qui si attesta comunque a livelli altissimi e la presentazione retrò generale può anche giustificare, in qualche modo, l’assenza di particolari innovazioni; dunque, amanti di Castlevania e non, lasciatevi consumare l’anima da questo fantastico gioco e date un sostanzioso assaggio a ciò che sarà il prossimo Bloodstained: Ritual of the Night. Curse of the Moon è un titolo solidissimo e Konami dovrà fare più di un Castlevania Grimoire of Souls per contrastare questo fenomeno imminente, che si rivela in conclusione davvero spettacolare!