E3 2018: pubblicato il programma completo

Qual è l’evento più atteso ogni anno da un videogiocatore se non l’E3 di Los Angeles? Ormai manca poco meno di un mese all’inizio della fiera e sembra essere arrivato il momento da parte degli organizzatori, di svelare il programma delle conferenze.
Qui di seguito lo riportiamo con il fuso orario italiano:

9 Giugno

Ore 20:00, Conferenza Electronic Arts

10 Giugno

Ore 22:00, Conferenza Microsoft (sito ufficiale)

11 Giugno

Ore 03:30, Conferenza  Bethesda
Ore 19:00, Showcase Square Enix Digital (sito ufficiale)
Ore 22:00, Conferenza Ubisoft

12 Giugno

A mezzanotte in punto, PC Gaming show (sito ufficiale)
Ore 18:00, Conferenza Nintendo

Orario da definire invece per la conferenza Sony, che dovrebbe essere l’evento serale dell’11 giugno e quindi la si potrà seguire dall’Italia solo in tarda nottata.




Nintendo: anno nuovo, nuovi propositi

Dopo un anno dal lancio di Switch, rivolto a tutti i veri fan della grande N, con l’ingresso del nuovo anno fiscale la casa nipponica ha deciso di focalizzarsi su quei giocatori meno “tradizionali”. Questo è quello ha detto il presidente uscente di Nintendo, Tatsumi Kimishima.

«A partire dal nostro secondo anno, abbiamo deciso di sfidare noi stessi nel riuscire a far finire la nostra Nintendo Switch anche nella mani di quei consumatori che non hanno mai avuto una piattaforma Nintendo o che magari non giocano ormai da parecchio tempo. Tra gli obiettivi di questa nostra iniziativa, è inclusa una line-up di titoli pensati proprio per attrarre un pubblico più vasto e generico»

Continuando Kimishima dice:

«Se tutto ciò vi sembra familiare, è perché questo fu lo stesso linguaggio che Nintendo utilizzo per descrivere la strategia “Blue Ocean” dietro l’ormai trapassato Wii, più di dieci anni fa. Questa stessa strategia ci portò a sviluppare giochi come Wii Sports e Wii Fit, titoli che miravano ad attrarre giocatori di ogni genere ma anche e soprattutto i “non-giocatori”.»

Wii, ovviamente, è diventatla console più venduta di Nintendo, con all’attivo ben oltre 100 milioni di unità vendute in tutto il mondo. Durante l’intervista Kimishima, ha affermato che l’utilizzo di una simile strategia, sarà la base per soddisfare l’ambiziosa proiezione della società mirata all’aumento delle vendite di Switch di almeno 20 milioni di unità in questo secondo anno  fiscale.

Ma durante il suo cammino, Wii, ha maturato anche una non proprio buona reputazione, per tutti quei software prodotti a basso costo e per quelli con un pessimo sistema di motion-control. Questo, combinato a un hardware sottodimensionato che aveva messo da parte la tecnologia HD, ha fatto sì che molti giocatori abbandonassero  Wii, e in seguito anche Wii-U, a favore delle console prodotte da Sony o da Microsoft. È proprio su questi giocatori che Switch sta puntando con la sua nuova strategia di mercato.

Il nuovissimo Nintendo Labo, o 1-2-Switch (uscito al lancio della console), danno un’idea di come potrebbero essere i giochi “casual” per Switch. Ma ovviamente non verranno deluse le aspettative degli affezionati fan Nintendo, che avranno presto la possibilità di giocare su Switch a titoli del calibro di Smash Bros, Pokémon e Metroid Prime, per non parlare inoltre dei sequel di Bayonetta e Fire Emblem.

Insomma, stando a quelli che sono i piani di Nintendo sulle prossime uscite per Switch, è difficile vedere i segni di tutti i buoni propositi di Kimishima per questo fantomatico riavvicinamento di tutti quei “non-giocatori”. In ogni caso qualcosa potrebbe accadere per il prossimo E3, magari l’annuncio a sopresa di Wii Sports per Switch o simili? Staremo a vedere.




Cartucce speciali in edizione limitata per il 30esimo anniversario di Mega Man

Capcom collaborerà con iam8bit per produrre cartucce funzionanti per NES e SNES di Mega Man 2 e Mega Man X in occasione del 30esimo anniversario della saga del Blue Bomber; i preorder sono già aperti ma queste chicche arriveranno solamente a Settembre 2018. Le cartucce saranno prodotte in serie limitata e costeranno 100$ a pezzo: 7500 cartucce di Mega Man 2 saranno color blu opaco e altrettanto numero in bianco opaco per quanto riguarda Mega Man X, mentre altre 1000, per entrambi i prodotti, saranno di un blu semi-trasparente, fosforescente più scuro e saranno distribuite in maniera casuale all’interno di scatole non numerate. Ricevere l’una o l’altra versione delle cartucce è solo questione di fortuna!

La forma della cartuccia di Mega Man X ci suggerisce che, forse, queste funzioneranno esclusivamente su NES e SNES americani; non ci sono informazioni riguardo alla compatibilità ma, con buona probabilità, potrebbero funzionare solamente su console d’oltreoceano.

La scatola di Mega Man 2 ha una copertina apribile in due parti mentre quella di Mega Man X si apre in tre (un po’ come le confezioni di alcuni LP); entrambi i prodotti includeranno un booklet, rispettivamente con le prefazioni del collezionista Salvatore Pane e lo youtuber Jirard Khlil (più noto come “The Completionist“), e altre “retro-sorprese” che saranno note agli acquirenti solamente una volta ricevuto il prodotto.

Questo annuncio avvia il “Mega May” promosso da Capcom, indicando che, durante questo mese, ci saranno ben altre sorprese per i fan del Blue Bomber, specialmente con l’E3 dietro l’angolo. Il robottino più famoso del gaming ritornerà in questo 2018 con Mega Man 11, un gioco inedito che uscirà più tardi per PC, Playstation 4, Xbox One e Nintendo Switch.




Nintendo continua ad espandersi sul mercato mobile

Si sa, in questo periodo la grande N sta passando uno dei suoi periodi migliori degli ultimi anni grazie al boom di vendite di Switch, ma la compagnia non si sta certo adagiando sui suoi successi, anzi, sta osando anche di più: quasi contemporaneamente all’annuncio delle dimissioni di Tatsumi Kimishima è stata resa nota una partnership tra il colosso giapponese e Cygames, una piccola casa di sviluppo di Tokyo che, dal 2011, produce videogiochi prevalentemente per sistemi IOS e Android. Subito dopo l’annuncio, è stato presentato il primo titolo, ovviamente per dispositivi mobile, che nascerà da questa collaborazione: Dragalia Lost.

Ciò non significa però che Nintendo cesserà i suoi rapporti con DeNA, grazie alla quale sono nati Miitomo, Animal Crossing: Pocket Camp e Super Mario Run; inoltre si occupa anche della gestione degli account Nintendo. La compagnia è persino disposta a cooperare con altre aziende per crescere all’interno del mercato mobile.
I piani di Nintendo a tal proposito non sono cambiati: la sua presenza al di fuori delle console si baserà su IP già esistenti così da diffonderne la popolarità a macchia d’olio; in secondo piano, punta a trasformare questo business in una delle sue principali fonti di guadagno.
Sarà una mossa azzardata dedicarsi così tanto ai prodotti per smartphone? Non resta che aspettare cos’altro sarà annunciato e il feedback del grande pubblico.




Nintendo si appresta al cambio di presidenza

Oggi Nintendo ha annunciato che l’attuale presidente, Tatsumi Kimishima è pronto a lasciare la sua poltrona. Prenderà il suo posto Shuntaro Furukawa.

Furukawa entrò in Nintendo nel 1994 ricoprendo diversi ruoli di una certa importanza all’interno della compagnia, contribuendo, grazie ai 10 anni di esperienza nel settore maturati in Europa, anche al successo di Switch nel mercato internazionale.
Il cambio di presidenza non è ovviamente legato al rendimento di Kimishima: Nikkei infatti, una nota rivista digitale, ha spiegato quello che è il pensiero di Kimishima, il quale crede fermamente che a condurre la compagnia, deve esserci un giovane, per capire meglio quello che vogliono oggi gli utenti finali.

Kimishima venne eletto presidente di Nintendo nel 2015, dopo la morte del precedente presidente, Satoru Iwata.




Suicide Guy

Dopo l’uscita di videogiochi quali Woodle Tree The Adventures e Woodle Tree 2, la software house milanese, Chubby Pixel Company, ritorna con un nuovo titolo: Suicide Guy.
Si tratta di un action-puzzle game in prima persona che si propone in maniera originale, ponendosi fin dal titolo come un “suicide simulator“.
All’interno del gioco vestiremo i panni di un uomo grassottello che, in un certo senso, poltrirà sul divano per tutta la partita. Il gioco inizia dopo che il nostro personaggio si sarà addormentato lasciando cadere una bottiglia di birra. Noi avremo l’obiettivo di svegliarlo prima che la birra cada sul pavimento e, per centrare la nostra missione, dovremo completare una serie di mini-livelli, 24 in tutto.

Dopo aver terminato il tutorial, ci ritroveremo all’interno di un fast food, che rappresenta l’hub di gioco, ed è lì che si svolgerà il gameplay. Saranno presenti 24 tavoli sui quali spawnerà una miniatura del livello da superare. La complessità risolutiva dei livelli aumenterà gradualmente, ognuno è ben strutturato, con un level design di rango e alcuni di essi fanno riferimento a titoli famosissimi, come Jurassic Park, Mario Bros, Portal e altri ancora. Ogni livello ha anche un obiettivo secondario, quello di trovare una statua d’argento raffigurante il nostro avatar, mentre l’obiettivo primario sarà quello di uccidere il nostro personaggio.

Il gameplay proposto dalla software house italiana è basilare ma efficace, gli enigmi non risultano molto impegnativi, permettendo di superare i livelli in circa quattro ore. Suicide guy è un buon campo per i cacciatori di trofei, alcuni anche fin troppo semplici (per ottenerne uno ci basterà mangiare delle ciambelle), ma presenta un buon level design che tiene lontana la noia.
Il titolo presenta una grafica abbastanza semplice, con modelli non sono molto elaborati ma gradevoli; sfortunatamente alcune parti dell’ambientazioni risultano monche, anche se in piccolissimi punti, ma per fortuna piacevoli, grazie anche a un art-style cartoonesco ben curato. L’audio è molto orecchiabile e originale, e la possibilità di poterlo disattivare tramite una radio presente in ogni livello è una trovata a dir poco meravigliosa.
Un neo sicuramente rilevabile sono i non pochi glitch che ricorrono nel titolo e vari cali di framerate su PS4, ma per fortuna non intaccano in maniera rilevante la godibilità del gioco.
Tirando le somme, il titolo presenta pregi e difetti, ma il team di sviluppo ha certamente fatto un buon lavoro, rendendo Suicide Guy un buon indie proposto a un prezzo di lancio più che congruo (8 € su console, 5 € su Steam) che riesce a tener lontano il giocatore dalla monotonia con alcune ore di divertimento.




Un nuovo Banjo Kazooie potrebbe arrivare su Nintendo Switch

Il genere platform è stato da sempre uno di quelli che si è meglio adattato al 3D; c’è stato un periodo, esattamente nel passaggio dalla generazione 16-bit alla 32/64-bit, in cui tutti giochi sarebbero dovuti diventare tridimensionali, indipendente dal loro genere, ma questa decisione non giovò per molti titoli (basti pensare a Castlevania su N64, Contra: Legacy of War su Sony Playstation e Sega Saturn o l’orrendo Bubsy 3D). Super Mario 64 dimostrò al mondo come il platform poteva funzionare, ma soprattutto evolversi, nelle console di nuova generazione; in uno scenario in cui in molti tentavano di dare la miglior definizione di platform 3D, come la Sony Computer Entertainment con Spyro the Dragon, uscì un platform che riscrisse le regole di un genere quasi ancora agli albori: stiamo parlando di Banjo-Kazooie, titolo di Rare uscito esclusivamente su Nintendo 64 nel 1998. Lo studio inglese non solo andava d’accordo con Nintendo ma lo era ancora di più con l’innovazione: già ai tempi dello SNES tirarono fuori Donkey Kong Country, titolo che utilizzava l’allora innovativa grafica 3D pre-renderizzata, e su Nintendo 64, Rare finì per gettare le basi per gli FPS moderni con Goldeneye 007.
Banjo-Kazooie prese i concetti di Super Mario 64, gioco già innovativo di suo, e li espanse: il titolo, che vedeva un orso campagnolo e un picchio rosso chiacchierone (o meglio, chiacchierona… sì, Kazooie è femmina) al salvataggio della sorella del primo, presentava un overworld e livelli più espansi, una storyline e dei personaggi più definiti, mosse e meccaniche sempre nuove ma soprattutto tantissimi oggetti da collezionare (tanto che fu coniato il termine  “Collectathon” per descrivere giochi simili a questo). Rare utilizzò più in là lo stesso motore grafico per produrre Donkey Kong 64, Conker’s Bad Fur Day ma soprattutto l’ancora più espanso sequel Banjo-Tooie, rilasciato verso la fine del ciclo vitale del Nintendo 64.

Il passaggio a Microsoft

Le relazioni fra Nintendo e lo studio inglese sembravano solide, ma nel 2002 Rare terminò i rapporti con la compagnia di Kyoto e diventò sviluppatore esclusivo Microsoft; alcuni diedero la colpa alla vicenda relativa a Dinosaur Planet, che nelle ultime fasi dello sviluppo diventò Star Fox Advetures per volere di Nintendo (sconvolgendo anni di sviluppo con risultati non esaltanti), ma Tim Stamper, co-fondatore della compagnia insieme al fratello Chris, in un intervista al Develop Awards 2015 dichiarò di «non avere idea del perché Nintendo non comprò mai gli interi asset da Rare». Molti fan concordano nel dire che l’acquisto da parte di Microsoft non fu la cosa migliore per Rare e ciò è dimostrato dai titoli poco convincenti usciti nel tempo per Xbox e Xbox 360, come Grabbed by the Ghoulies e Kameo: Elements of Power; tuttavia il mondo tremò quando su internet apparve il trailer di un nuovo gioco della saga di Banjo-Kazooie.
Questo nuovo titolo sembrava essere un platformer come i due giochi precedenti ma quello che ne venne fuori, più in là, fu Banjo-Kazooie: Nuts & Bolts, un titolo che aggiunse meccaniche superflue e che stravolse (in negativo) la formula classica. Sebbene i fan distrussero quel gioco (gli stessi che gli fecero ottenere l’etichetta “Platinum Hits”, il che significa che il gioco vendette almeno 400.000 copie nei primi nove mesi dall’uscita) Microsoft ha dimostrato di aver creduto nel progetto, sia prima che dopo il rilascio di questo gioco; Banjo e Kazooie apparvero successivamente in Sega All-Star Racing come DLC esclusivo per Xbox 360 e Nuts & Bolts è apparso di recente all’interno della collezione Rare Replay insieme ai primi due titoli per Nintendo 64, ricordando ai fan che questo discusso titolo non è semplicemente una parentesi (e anche che non è così brutto come lo si dipinge). Con queste recenti uscite Microsoft ha forse dichiarato di non aver intenzione di terminare la saga e che conosce il valore di Banjo-Kazooie nella storia dei videogiochi; sicuramente aspettano il momento ideale per lanciare un nuovo titolo della saga, che è in stallo dal 2008, e forse adesso è arrivato il momento di tornare a sperare.

Una nuova speranza

Oggi il landscape videoludico è ben diverso da quell’ormai lontano 2008: Microsoft non è più in testa nella console war ma accedere al catalogo della Xbox One è molto semplice per via del fatto che il suo catalogo è in condivisione con gli utenti PC. Phil Spencer, leader del brand Xbox, ha già dichiarato di essere propenso nel portare alcuni dei loro titoli di punta sulle altre console; ancora più interessante fu la sua risposta positiva a un utente che, su Twitter, gli chiedeva se gli fosse piaciuto vedere Banjo e Kazooie nell’appena annunciato Super Smash Bros per Nintendo Switch.

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Contemporaneamente, Craig Duncan, CEO di Rare, ha anche dichiarato di essere disposto a concedere le loro IP per lo sviluppo a terze parti quindi, in realtà, l’idea di vedere questa strana coppia nel fantastico picchiaduro crossover non è necessariamente campata in aria. Se è per questo Rare, ai tempi dell’acquisto da parte di Microsoft, rimase in buoni rapporti con Nintendo poiché l’esclusività, in realtà, si limitava alle sole console casalinghe: lo studio inglese ha infatti sviluppato diversi titoli per Gameboy Advance, come Sabre Wulf, i porting di Donkey Kong Country e addirittura Banjo-Kazooie: Grunty’s Revenge e Banjo Pilot, ben due titoli relativi al franchise.
Tuttavia, molti dei developer chiave che lavorarono per i titoli del Nintendo 64 non sono più in Rare e hanno fondato Playtonic Games, lo studio che di recente ci ha portato Yooka-Laylee, titolo posto come il sequel spirituale di Banjo-Kazooie; il progetto fu un successo istantaneo su Kickstarter ma alla consegna del gioco i fan trovarono sì un buon gioco ma non all’altezza dei titoli di cui si poneva come sequel spirituale. Adesso, con Microsoft disposta a portare alcuni dei suoi più grandi titoli al di fuori del suo “campo”, Rare disposta a cedere le sue IP per lo sviluppo e anche Playtonic coinvolta con tutte le compagnie in questione (in quanto lo studio, come già ribadito, è formato da ex dipendenti Rare e Yooka-Laylee è presente sia su Xbox One che su Nintendo Switch) le possibilità di rivedere un nuovo titolo di Banjo-Kazooie in una console Nintendo, dove nacque il fenomeno Rare, esistono; Playtonic potrebbe tranquillamente essere tirata in ballo per lo sviluppo di una IP di cui ne conoscono le meccaniche e la filosofia generale e, una volta completato il processo di produzione, potrebbe apparire sia su Xbox One che su Nintendo Switch, console la cui utenza potrebbe meglio valorizzare un titolo come Banjo-Kazooie. Se Mega Man 11, dopo l’esperienza di Mighty No. 9, sta per rilanciare una saga in stallo da anni lo stesso potrebbe accadere per il noto platformer della Rare e, visto che le possibilità ci sono tutte, a noi non resta che incrociare le dita e sperare di ricevere un nuovo titolo di Banjo-Kazooie per Switch in futuro, o magari di vedere i due bizzarri personaggi nel picchiaduro crossover che uscirà in questo 2018!




Sega History

Come Nintendo, le radici di Sega si pongono in un epoca pre-gaming. Contrariamente a quanto si possa pensare, Sega era all’inizio una compagnia americana: fu fondata negli anni ’50 a Honolulu e il suo obbiettivo era provvedere all’intrattenimento dei militari dell’esercito americano. I loro prodotti principali erano slot machine, cabine fotografiche ma soprattutto giochi elettromeccanici. In uno scenario in cui ancora i videogiochi su schermo non esistevano Sega, negli anni ’60, produsse Periscope, un gioco elettromeccanico considerato da molti un pilastro sul quale si sarebbe costruita intorno l’intera scena arcade. Periscope, insieme ad altri titoli come Duck Hunt e Missile, attrassero l’interesse di un gruppo di investitori giapponesi che presto investirono nella compagnia e comprarono grossa parte degli asset.

L’era arcade e il Master System

Arrivano gli anni 80 e si assiste al boom delle arcade e di Atari nel mercato casalingo. Sega, visto il successo con i giochi elettromeccanici, decide di entrare nel mercato dei giochi elettronici, e comincia rilasciare i suoi primi giochi quali Head On, Monaco Gp, Zaxxon e Pengo che si rivelano, sia nelle arcade che nelle console casalinghe, dei veri successi commerciali. Sega, sin dagli inizi, dimostrò di essere una vera e propria pioniera dell’innovazione: in un periodo in cui Pac Man, Centipede e Galaga spopolavano, Sega era già all’opera con gli scaling, in Buck Rogers: Planet of Zoom, e persino con i Laserdisc, anticipando l’uscita di Dragon’s Lair con Astron Belt in tutto il mondo (tranne negli Stati Uniti, dove il popolarissimo gioco con i disegni di Don Bluth arrivò per primo). L’investimento sui videogiochi si rivelò vincente, ma il mercato, come crebbe a dismisura in pochi anni, crollò improvvisamente; la crisi dei videogame del 1983 prese piede ma Sega, nonostante alcuni dipendenti se ne tirassero fuori, decise di sfruttare la propria popolarità nell’arcade per rilanciare il mercato dei videogiochi. L’impresa non era assurda: i cabinati Sega andavano fortissimo nelle sale arcade e i loro giochi erano anche molto popolari nel mercato casalingo, ma purtroppo un gigante sfruttava una popolarità ben più grande di quella loro. Nintendo cavalcava infatti l’onda del successo con Donkey Kong dal 1981, e il lancio del Famicom nel 15 Luglio del 1983 in Giappone oscurò del tutto il lanciò del Sega l’SG-1000, lanciato lo stesso esatto giorno. Il Sega SG-1000 era un sistema valido ma semplicemente era una console che non poteva minimamente competere col Famicom: la console era molto simile al Colecovision, più vecchia della controparte Nintendo, e ovviamente presentava caratteristiche più datate, come il sonoro del Texas Instrument SN76489 e l’incapacità di produrre uno scrolling fluido come poi Super Mario Bros. dimostrò. Dopo alcuni restyling con i SG-1000 II e SC-3000, quest’ultimo un vero e proprio computer, Sega capì che non poteva competere contro Nintendo con un sistema inferiore, così la compagnia aggiornò l’hardware della propra console definitivamente e, nel 1985, rilasciò finalmente il Sega SG-1000 Mark III, ovvero il Master System prima in Giappone e poi, l’anno successivo, nel resto del mondo. Il Mark III offriva una CPU, GPU e RAM migliori del modello precedente e ciò significava ben 32 colori visualizzabili da una palette di 64 e un’azione più veloce su schermo; tuttavia la console fu azzoppata drasticamente dal suo chip sonoro che rimase lo stesso per garantire la compatibilità dei giochi del vecchio catalogo in Giappone. Sega, più in là, solo in Giappone, rilasciò l’add-on FM Sound Unit che offriva al giocatore un range di suoni superiori al chip sonoro di base, dunque un suono ben superiore alla controparte Nintendo. La console Sega offriva un catalogo di giochi veramente interessante come Alex Kidd, Wonder Boy, Phantasy Star, Operation Wolf, ma ritagliarsi una fetta in quel mercato dominato da Nintendo era un impresa ardua; in Nord America Nintendo, firmando con le case produttive americane, si assicurava anche l’esclusiva per la propria console lasciando dunque il Master System con i soli Activision e Parker Brothers. La morsa di Nintendo sul mercato nordamericano spinse Sega a puntare su altri continenti, come l’Europa e il Sud America, dove riuscì addirittura a superare il Nes; specialmente in Brasile, il Master System divenne sinonimo di videogioco, e Tec Toy, la compagnia dietro la distribuzione della console, produce tuttoggi la console Sega vendendo approssimativamente circa 100.000 console l’anno. I propositi per una nuova console c’erano e fu su queste conquiste che Sega decise di lanciare una console in grado di superare Nintendo una volta e per tutte.

The peak of popularity

Come già scritto in La Grande Guerra: Sega Genesis vs Super Nintendo, Sega lanciò così nel 1989 il Sega Mega Drive (o Genesis in Nord America), hardware basato sul sistema arcade Sega System 16; in questo modo Sega riuscì a ottenere un vero e proprio vantaggio contro Nintendo. Il nuovo sistema prometteva una grafica superiore al Nes, un migliore sonoro ottenuto dalla sintesi FM, e una giocabilità comparabile alla qualità arcade. Questa fu la prima strategia adottata da Sega per vendere il suo Genesis: portare i titoli da sala giochi a casa e superare il muro che separava il mercato casalingo dal mercato arcade. La strategia all’inizio sembrò andar bene, spinta anche dal fatto che la console, al lancio, fu venduta in bundle con Altered Beast, un gioco arcade niente male e in grado di sottolineare la differenza fra il Nes e il Genesis. Tuttavia i giocatori non erano ancora convinti della nuova macchina a 16 bit di Sega: l’uscita di Super Mario Bros. 3 fece capire a Sega come i giocatori fossero ancora attratti dall’ormai vecchio Nes e, anche se le arcade erano ancora il punto di riferimento tecnologico per la comparazione degli hardware, questi non servivano a nulla se un gioco casalingo, seppur con una grafica mediocre, si rivelava divertente e adatto alle case. Tuttavia, già a questo punto, il Genesis aveva comunque una solida fanbase: nonostante Super Mario fosse insuperabile in casa propria (Giappone), non si può negare che la linea di titoli iniziale del Genesis era comunque competitiva. Non dimentichiamo anche che molte third parties cominciavano a interessarsi alla nuova console Sega per via delle sue caratteristiche superiori e in cerca di nuovi accordi commerciali meno rigidi di quelli di Nintendo; già nel 1989 Capcom mise sulla nuova piattaforma Sega il suo Ghouls ’n Ghosts, sequel di Ghost and Goblin, sorprendendosi della facilità di programmazione sulla console, di quanto fosse bello sviluppare per unmercato casalingo di giochi così simili alle arcade e compiacendosi perciò di quanto fosse buono il loro nuovo accordo con Sega. Il coinvolgimento di molte celebrità sportive, come il pugile James “Buster” Douglas, il giocatore di football Joe Montana, il golfista Arnold Palmer, aveva già attirato a sé una fascia poco considerata nella vita del Nes, ovvero gli appassionati dei giochi sportivi, e sottolineò come il Genesis potesse puntare a una fascia di pubblico più adulta. Michael Jackson: Moonwalker fu uno dei titoli più discussi e diede al Genesis una attitude che la console mantenne per tutto il suo ciclo vitale. La discussione sulla qualità della libreria di titoli rispetto alla concorrente giaceva spesso su un punto morto: il Genesis aveva 16 bit, il Nes solo 8. Con l’assunzione di Tom Kalinske nel 1990 come CEO di Sega of America furono lanciate in TV delle nuove pubblicità aggressive e dirette a Nintendo che miravano a sottolineare l’arretratezza tecnologica del Nes. Il nuovo slogan «Genesis does what Nintendon’t» parlava chiaro e la console si aprì verso quella fascia di pubblico cresciuta sì col Nes, ma che ormai era grande e andava al liceo. Il Genesis poteva dar loro giochi sportivi, giochi d’azione, giochi puzzle, porting dei giochi presenti in arcade, in poche parole giochi adatti alla loro personalità. L’ultima cosa che mancava era una mascotte in grado di poter competere con Mario, icona dei videogiochi e che sembrava essere imbattibile. Kalinske aveva bisogno di un personaggio non solo carismatico ma che rappresentasse anche la cultura giovanile dei tempi e che potesse dare a Nintendo il colpo di grazia. In Giappone Yuji Naka, ispirato dalla propria capacità di completare ripetutamente e velocemente il primo livello di Super Mario Bros, voleva creare un gioco veloce, pieno di azione e mozzafiato. Il personaggio di questo gioco sarebbe stato destinato a diventare la nuova mascotte Sega e, dopo tante bozze, la scelta cadde su un insolito porcospino: gli fu dato un bel colore blu cobalto, una schiena spinosa che si rifacesse le capigliature mohawk in voga in quegli anni, delle scarpette rosse in contrasto con il blu e soprattutto un caratterino frizzante e “figo”. Sonic The Hedgehog incorporò tutti questi aspetti già dal primo titolo, che fu subito messo in bundle con la console: il suo arrivo sul mercato scosse il mondo. Il nuovo bundle del 1991, lanciato  con un price drop visto che la console era già sul mercato da due anni, fu un successo strepitoso e il cammino di Sonic verso la gloria era solo all’inizio. In questo contesto, Nintendo rilasciò il Super Nintendo in bundle con Super Mario World e, anche se non ebbe il successo sperato e molti giocatori erano in favore di Sega, Kalinske sapeva di avere la console più debole, e non voleva assolutamente che il Sega Genesis si rivelasse un fuoco di paglia; così corse ai ripari e tentò di capire come vendere la propria console nonostante concorresse con un’altra più potente. Si decise di far leva sull’unico vero punto a favore del Genesis contro lo Snes, un punto non da poco: il processore di 7.6 MHz contro quello di 3.7MHz dello Snes, e su questo fu costruita tutta la nuova campagna pubblicitaria di Sega. Le nuove pubblicità parlavano di un fantomatico “blast processing”: non era altro che un modo per sottolineare la più rapida velocità di calcolo del Sega Genesis, ma fu una parola così “cool”, studiata appositamente per essere utilizzata fra i giovani durante i dibattiti sulla console migliore senza necessariamente puntare sui fatti matematici, che funzionò. La pubblicità ebbe successo e servì non solo a infuocare il dibattito, ma anche a infuocare la competizione fra le due compagnie, intente a dare il massimo. Nel Gennaio del 1992 ,Sega aveva in mano il 65% del mercato dei videogiochi: per la prima volta Nintendo non era più sovrana del mercato videoludico ma questo servì alla grande N per ripensarsi e prepararsi a stracciare la competizione. Sega, per portarsi un passo avanti, seguì le orme del PC Engine di Nec e, dopo qualche anno sul mercato, lanciò un add-on per i Compact Disc: l’avvento del Sega CD, o Mega CD nel resto del mondo, avrebbe dovuto eclissare una volta e per tutte lo SNES grazie alla capacità superiore del compact disc che poteva offrire ai giocatori dei giochi più grandi e una qualità audio insuperabile. Tuttavia le grosse capacità del Sega CD non furono mai sfruttate veramente al massimo e quello che fu lanciato su Sega CD furono titoli mediocri, punta e clicca da PC (che storicamente non si sono mai adattati veramente bene alle console) e giochi le cui scene in full motion video non finivano mai. Tutto questo, commisto al prezzo addirittura superiore al modello base del Sega Genesis, comportò che il Sega CD vendette solamente 2.24 milioni di unità in tutto il mondo fino al 1996, ma questo fu solo l’inizio per i guai di Sega. Durante questo periodo, la casa nipponica si diede la proverbiale “zappa sui piedi” lanciando il suo ultimo add-on per il Sega Genesis, ovvero il 32X. Questa periferica era solamente un add-on che leggeva delle cartucce più avanzate con grafica a 32 bit e con un processore aggiuntivo; la scelta delle cartucce sembrò essere un passo indietro dopo la spavalda promozione dei CD ma il vero problema fu lanciare il 32X a pochi mesi dal lancio del Sega Saturn, la console Sega per la nuova generazione e già lanciata in Giappone. Persino i fan più sfegatati di Sega decisero che era meglio aspettare la nuova console Sega e lasciare il 32X da parte e così questa periferica, di cui rivenditori dovevano liberarsi per l’arrivo del Saturn, finì per essere svenduta a 20 dollari nel cesto delle offerte; per Sega questo non fu solamente un errore ma anche un vero e proprio motivo di vergogna.

Una console poco convincente

Tuttavia si dice: «anno nuovo vita nuova». Il lancio del Saturn doveva rappresentare un vero e proprio ritorno alla gloria; stessa gloria avuta agli inizi del Sega Genesis e anche al modesto successo del Game Gear, console portatile di Sega lanciata nel 1991 che, fra grossi pregi e qualche difetto (vedi un consumo di batterie molto rapido), offriva ai giocatori una validissima alternativa al Game Boy di Nintendo. Verso la fine del 1994 arrivarono ottime notizie dal Sol Levante: Saturn aveva esaurito le 200.000 unità del lancio al day one, continuando fino a 500.000 unità vendute a Natale per poi arrivare al milione dopo sei mesi; il Sega Mega Drive in Giappone fece solamente 400.000 unità durante solamente il suo primo anno, rimanendo poi in tutta la sua lifespan terza nel mercato 16 bit nipponico (lì, fra Snes e Mega Drive, il PC-Engine di Nec era incredibilmente popolare). Il successo del Saturn era dovuto principalmente alle code interminabili dietro Virtua Fighter nelle arcade, il primo gioco picchiaduro interamente in 3D, e che gettò le basi per altri titoli picchiaduro come Tekken e Dead or Alive. Si potè dire, senza se e senza ma, che in Giappone il lancio fu un vero successo.
Negli Stati Uniti il discorso era ben diverso, in quanto Sega non solo si sarebbe buttata in una competizione infuocata, ma per giunta in un momento di mercato in cui una sua console 32bit era stata lanciata prima del Saturn. Per ottenere un vantaggio sulla neonata Playstation di Sony, Tom Kalinske, dopo la presentazione del Saturn americano durante l’E3 del ’95, lanciò a sorpresa la console annunciando che Saturn era già disponibile nelle catene di Toys “R” us, Babbage’s, Electronic Boutique e Software ETC. Una mossa apparentemente astuta se non fosse stato che, negli Stati Uniti, tante altre catene di distribuzione vendevano i prodotti Sega finendo per escludere le famosissime catene Wallmart e Best Buy; Sega Saturn, pur riscuotendo un buon successo iniziale, risultò dunque difficile da reperire ìm e senza la stessa line-up di titoli giapponesi: negli Stati Uniti arrivarono infatti solamente Virtua Fighter, che con l’uscita di Tekken nelle Arcade perse l’interesse dei giocatori, Daytona USA, che andava abbastanza forte ma che ebbe un port su Saturn visibilmente carente, Pebble Beach Golf Links e Worldwide Soccer: Sega International Victory Goal Edition, due titoli sportivi basati su due sport per nulla giovanili, e infine Clockwork Knight e Panzer Dragoon Saga, unici giochi che avrebbero potuto attrarre il giocatore medio. Nonostante le terribili aspettative, Saturn registrò un iniziale successo, ma i rapporti fra Kalinske e i dirigenti di Sega of Japan non erano più floridi; così Kalinske, l’uomo che portò Sega a ottenere il 65% di market share negli Stati Uniti, lasciò la compagnia in favore di Bernie Stolar. Stolar inizialmente riuscì a ottenere l’esclusività temporale di alcuni titoli ma, non appena questa scadeva, le versioni per Playstation uscivano velocemente e riscuotevano un successo maggiore. Stolar aveva anche notato quale fosse la difficoltà che gli sviluppatori riscontravano quando lavoravano su un qualsiasi titolo: è parere comune dire che il Saturn fosseuna console più tendente al 2D ma, contrariamente a ciò che si può pensare, Sega aveva consegnato una console addirittura più potente della Playstation, con ben 8 processori di cui 2 principali Hitachi da 28.6 MHz che potevano mostrare ben 800.000 poligoni quadrati (a differenza della controparte cui erano triangolari), RAM espandibile fino a 4MB, qualità delle texture e risoluzione video maggiore; tutto ciò veniva però mal utilizzato in quanto molti degli sviluppatori evitavano l’uso del secondo processore principale e dunque ciò generava port azzoppati e una qualità complessivamente inferiore rispetto la controparte Sony; pensate che ancora oggi esistono dibattiti riguardo l’esistenza degli effetti di trasparenza sul Saturn! Ad ogni modo, la console Sega venne piano piano eclissata dalla console Sony, e Saturn, in assenza di una vera killer app, finì per essere messa da parte, persino da Stolar stesso, il quale, all’E3 del 1997, annunciò che il Saturn «non era più il futuro di Sega».
Al di là dei problemi riguardanti lo sviluppo, i problemi di marketing in Occidente erano evidenti in quanto la console era promossa con pubblicità insulse. Non venne inoltre mai consegnato un vero titolo di Sonic che tutti aspettavano, e nulla di ciò che veniva pubblicizzato sembrava attecchire nell’animo dei giocatori; in Giappone, dove la console rimase competitiva e supportata dagli sviluppatori fino al 2000, il marketing era molto curato e le pubblicità della nuova mascotte Segata Sanshiro aiutarono il Saturn a rimanere rilevante durante questo periodo buio; negli Stati Uniti, per evitare il disastro totale, sempre in questo periodo Stolar si assicurò di portare numerosi titoli Sega su PC. In molti diedero la colpa a Bernie Stolar in quanto molti dei giochi del Saturn rimasero esclusive giapponesi (ben l’80% dei giochi non uscirono dalla terra natia) e i fan di oltremare poterono godere di una libreria di titoli non all’altezza della corrispondente nipponica, o furono costretti a comprare i giochi dal Giappone con spese di spedizione da capogiro. La libreria di giochi del Saturn, specialmente quella giapponese, era comunque una libreria veramente varia e giochi come Nights… into Dreams, Guardian Heroes, Shining Force 3, Saturn Bomberman, Panzer Dragoon Saga o Radiant Silvergun hanno oggi ricevuto un cult following senza precedenti. Purtroppo il tutto era aggravato dalla tendenza della grafica 3D e, anche se molti dei giochi 2D del Saturn eranoeccellenti, molti dei titoli rimasti in Giappone non potevano semplicemente competere in un mercato i cui clienti richiedevano principalmente giochi 3D, a differenza del Giappone dove il divario grafico non era così attenzionato. Stolar, per quanto la sua mossa di abbandonare Saturn fu e continua a essere vista oggi da molti come una scelta sbagliata, si sentì costretto ad abbandonare la console per riuscire ad appellarsi a un pubblico più ampio e tenere la compagnia a galla; a quel punto, Sega, le cui finanze non erano nel momento migliore, dovette immediatamente cambiare strategia di mercato e lanciare non solo una nuova console ma rilanciare la propria immagine che nel tempo si era opacizzata, e soprattutto doveva riguadagnare il rispetto che i fan le riservavano ai tempi del Mega Drive.

La luce in fondo al tunnel

All’E3 del 1998 Sega presentò a porte chiuse ciò che venne annunciato come Katana, e i giornalisti e gli sviluppatori invitati alla presentazione dovettero firmare un accordo per non parlare, nei mesi successivi, di ciò che avevano visto in quella stanza. A tempo debito qualcuno scrisse del Dreamcast e i propositi riguardo questa nuova console sembravano eccellenti: grafica mai vista, avanti anni luce rispetto alla Playstation di Sony e al Nintendo 64, e giocabilità senza precedenti. Il design di questa nuova console, di colore bianco e dal controller con 4 tasti frontali e due grilletti dorsali, serviva a tagliare definitivamente col passato e a dichiarare ad alta voce che si era dinanzi a un nuovo inizio. Nel tardo 1998, Dreamcast arrivò in Giappone e, nonostante la sparuta linea dei titoli di lancio, Sega esaurì le scorte in un giorno; negli Stati Uniti invece i fan erano affamati di una nuova console Sega e i preordini del Dreamcast, previsto per il 9 Settembre 1999 per 199.99 dollari (9/9/99 199,99, numeri da far sbizzarrire ogni appassionato di Cabala), superarono addirittura quelli della Playstation al lancio. Dreamcast avrebbe inoltre lanciato il multiplayer online su larga scala, ai tempi esclusivo appannaggio dei giocatori su PC, includendo un modem di 56k attaccato a Dreamcast e una linea di titoli di lancio era più numerosa rispetto a quella giapponese; le premesse per un successo c’erano tutte e il Dreamcast riuscì a ottenere in effetti un inizio spettacolare. Dreamcast ha potuto godere di una delle linee di lancio più belle mai viste nella storia dei videogiochi: i giocatori americani ebbero a loro disposizione titoli come Sonic Adventure, Soul Calibur, Blue Stinger, Ready 2 Rumble Boxing e più in là avrebbero visto alcuni dei più bei giochi di sempre in una console come Jet Set Radio, Resident Evil: Code Veronica, Phantasy Star Online, Shenmue e tantissimi altri. Sega non aveva più l’accordo d’esclusiva con EA per i giochi di sport come durante i primi anni del Saturn, poiché Sega non riuscì a soddisfare le vendite previste per i loro titoli; Dreamcast, tramite il publisher in house Sega Sport, diede il via alla famosa linea di giochi 2K insieme alla Visual Concepts, linea che ancora vive tuttoggi sotto le licenze NHL, NFL, NBA e persino WWE; questi titoli, dal gameplay semplice e accessibile, fecero avvicinare in anche molti casual gamer e Dreamcast, specialmente all’inizio, ebbe un ottimo impatto sia sui giocatori hardcore sia sui casual. Tuttavia, dopo un lancio che sembrava rischiarire il futuro di Sega, Dreamcast si trovò di fronte a tre principali problemi: un marketing ancora non all’altezza, la pirateria e l’imminente lancio di Playstation 2. Dopo il lancio di Dreamcast, le pubblicità in televisione di Sega, sia in America che in Europa, erano pochissime e poco frequenti, e il grosso pubblico rimase in gran parte inconsapevole dell’uscita di questa meravigliosa console; insieme a pochissimi casi isolati, l’unico grande investimento pubblicitario di Sega, specialmente in Europa, fu il concedere lo sponsor a una squadra calcistiche di Serie A, la Sampdoria, una della Premier League, l’Arsenal, una di Liga, il Deportivo de La Coruna, e una della francese Ligue 1, AS Saint-Étienne. Sega si trovò inoltre impreparata di fronte alle copie dei giochi pirata che cominciavano a imperversare dappertutto: essenzialmente, a differenza del Saturn che aveva un sistema di protezione reale, il Dreamcast si cullava esclusivamente sul media esclusivo della console, ovvero il GD, che a differenza del CD poteva contenere 1GB di memoria. Il media era sì introvabile nei negozi a differenza dei CD ma, con l’avanzare della tecnologia dei masterizzatori, le immagini da 1GB dei dischi Dreamcast potevano essere compresse in un normale CD in overburn (ovvero “stringendo” il più possibile la scrittura del disco e far sì che l’immagine entrasse tutta in un disco di 700MB) e Dreamcast era in grado di leggere questi dischi senza nemmeno l’ausilio di un boot disc. In pratica, se si aveva un computer con un buon masterizzatore e anche una buona connessione per scaricare le immagini dei dischi si poteva accedere all’intera libreria del Dreamcast con il minimo sforzo e in maniera del tutto gratuita, senza contare che molti dei pirati aprivano vere e proprie attività in nero basate sulla vendita dei dischi copiati e backup. Dunque, non solo a Sega non arrivavano introiti dalle vendite sia hardware, per la povera pubblicità, che software, per via della pirateria, ma le cose per Dreamcast stavano per mettersi malissimo: nel 1999 Sony annunciò la nuova Playstation 2, console che non solo era tecnicamente superiore a Dreamcast, ma che utilizzava un media ben superiore al GD, ovvero il DVD che di lì a poco avrebbe gettato le basi persino per il mercato home-video. Dreamcast si trovò in pochissimo tempo ad avere i giorni contati e l’unica cosa che Sega poteva sperare era che i fan supportassero la loro console inferiore di fronte al mostro Sony, cosa che in fondo era successa col Mega Drive per il Super Nintendo; il supporto dei fan c’era, ma non era tale da supportare la console di fronte a un mercato ormai del tutto diverso. Inoltre lanciare un add-on per i DVD, come alcuni oggi ribadiscono, sarebbe semplicemente stato ridicolo dopo quanto successo con Sega CD e 32X, dunque una periferica esterna costruita per salvare il Dreamcast era fuori discussione.

Sega si ritirò dal mercato hardware nel 2001 ma i giochi in Nord America e Europa continuarono a uscire ufficialmente fino al 2002, e in Giappone addirittura fino al 2007. In realtà l’avventura di Dreamcast si può ancora dire non conclusa: infatti diversi sviluppatori, come i tedeschi NG.DEV.TEAM, continuano tuttora a rilasciare giochi per l’ormai defunta Dreamcast; l’ultimo titolo per Dreamcast (anche se non ufficiale) è a oggi NEO XYX, uscito nel 2014. Su Dreamcast Sega puntò tutto quello che aveva, sperando fosse la console che avrebbe portato la casa nipponica in auge ancora una volta: nonostante tutti i buoni propositi e un lancio strepitoso, la console divenne il canto del cigno ma Dreamcast è a oggi ricordata come una delle console più belle mai realizzate.     

Il nuovo volto di Sega

Finita dunque l’avventura nel mercato hardware, Sega pose la sua nuova identità come publisher. Inizialmente l’idea era quella di proporre a Microsoft – visto che era stata realizzata la versione per Dreamcast di Windows CE per navigare in internet – di rendere compatibile la loro macchina d’imminente uscita, la Xbox, con i giochi del Sega Dreamcast ma l’idea fu scartata; tuttavia Microsoft annunciò al Tokio Game Show del 2001 un accordo che vedeva ben 11 esclusive Sega per la nuova console Microsoft quali Panzer Dragoon Orta, Jet Set Radio Future, Sega GT, Shenmue II (che negli Stati Uniti non arrivò ai tempi del Dreamcast) e molti altri. Sega strinse inoltre ottimi rapporti con Nintendo, assicurando più in là alcune esclusive per Gamecube e l’unione con quest’ultima e Namco per la creazione del sistema arcade Triforce che diede i natali a F-Zero AX, Mario Kart Arcade GP e Mario Kart Arcade GP 2. La grande S a oggi non vuole solamente essere l’ombra di ciò che era un tempo: infatti, anche dopo la fine di Dreamcast, Sega si è messa all’opera per la creazione di tante nuove IP come Yakuza, Super Monkey Ball, Vanquish, Valkyria Chronicles, o come publisher per giochi come Hell Yeah! Wrath of the Dead Rabbit, Football Manager e molte altre. A oggi Sega è in perfetta salute finanziaria e un ritorno al mercato hardware, vagheggiato da molti nostalgici, rappresenterebbe una follia; l’unica parentesi che Sega ha avuto nel mercato hardware dopo Dreamcast (e questa è una vera chicca per gli appassionati più estremi) è stato il Sega Vision, un lettore multimediale di 2GB in grado di leggere MP3, MP4, filmati AVI, immagini e persino e-book, ma bisogna essere veramente fortunati ad aggiudicarsi una di queste macchine perché, andando in Giappone, si potranno trovare queste unità all’interno di quelle odiosissime macchine della pesca fortunata (quelle con l’artiglio metallico)… e sempre se nel 2018 saranno ancora al loro interno! Inoltre, anche se questo non riguarda Sega direttamente, la AT Games produce ancora un sacco di prodotti relativi al Mega Drive e Master System, come il recente Sega Genesis Flashback che offre sia 85 giochi al suo interno che uno slot per le cartucce originali; il tutto con un superbo up-scaling in HD. L’inarrestabile popolarità di Sonic e l’uscita di titoli come Sonic Mania e i giochi della serie Sega Forever stanno a testimoniare l’impatto che Sega ha avuto nel mercato mondiale e che i giocatori di tutto il mondo non hanno mai dimenticato il gigante Sega neanche per un secondo.




Shika Arcades: Sozu.S1

Creato dalla società britannica Shika Arcades, il Sozu.S1 è un arcade stick per il Super Nintendo. Realizzato in legno di bambù, non è solo un semplice controller, ma anche un’opera d’arte. Progettato con precisione e rifinito a mano, il Sozu.S1 è disponibile in due combinazioni di colori: duotone e natural. Ogni arcade stick è costruito interamente a mano, quindi nessun controller è uguale a un altro.

Specifiche tecniche

Nella parte superiore del controller sono presenti sei pulsanti azione e tre interruttori che consentono di modificare la disposizione dei pulsanti, con i pulsanti Start e Select e nell’angolo in basso a sinistra e uno simile a una moneta da 100 Yen. Sul lato inferiore del Sozu.S1 sono presenti quattro piedini in gomma, che conferiscono al controller una buona stabilità. Il cavo che collega il controller alla console è coperto da una treccia rossa super resistente.
I pulsanti di Sozu.S1 sono precisi e resistenti, ma ogni volta che vengono premuti, si percepisce un rumore molto fastidioso. È possibile attivare con il semplice tocco di un interruttore un sistema che consente di rimappare i controlli, utile se si desidera un layout dei pulsanti diverso per alcuni giochi.

Prezzo e compatibilità

Questo controller è disponibile a un costo di circa 450 euro. Considerando il prezzo si suppone che questo controller sia compatibile con il maggior numero di sistemi possibile ma,  in realtà, è compatibile solo con il Super Nintendo (o nella sua versione giapponese Super Famicom). A sua discolpa, la società ha dichiarato che il suo obiettivo era quello di creare il miglior controller possibile per SNES e che se fosse stato stato compatibile con altri sistemi, il suo costo sarebbe aumentato ulteriormente.




Come Nintendo potrebbe essersi sbarazzata della timeline ufficiale di Zelda

The Legend of Zelda è una delle saghe più amate della storia dei videogiochi, se non la più amata; la devozione dei fan verso questa serie è senza precedenti e questo amore è continuamente versato su ogni nuovo episodio, quasi sempre impeccabile. Tuttavia, tal volta i fan possono rivelarsi delle bestie feroci: per anni, sin dai primi Zelda apparsi su NES, SNES, Gameboy e Nintendo 64, hanno speculato che la saga seguisse una sua timeline e, dunque, che tutte le storie fossero collegate. Una volta Miyamoto, in un intervista per la rivista Nintendo Power nel Novembre 1998 (volume 144), non diede una risposta esaustiva quando i giornalisti gli chiesero la collocazione temporale di Ocarina of Time, che di lì a poco sarebbe uscito, rispetto agli altri giochi; la sua risposta gettò il fandom nella confusione più assoluta poiché egli disse che Link to the Past, che fu presentato come il prequel del primo titolo per NES, adesso si collocava dopo Zelda II: the Adventure of Link. Le connessioni fra alcuni giochi sono da sempre state poverissime e, a tutt’oggi, sono poche le prove che le trame dei singoli titoli siano il proseguimento (o i prequel) di alcuni precedenti; è vero anche che quando si sono presentate le prove di una continuazione di trama queste sono state molto evidenti (vedi l’intro di The Wind Waker o di Majora’s Mask) ma ogni volta che usciva un nuovo gioco i fan cominciavano da capo: e via con le speculazioni spesso assurde e poco credibili.
La pressione della timeline è esistita sin dal primo gioco e così Nintendo diede una volta per tutte la spiegazione definitiva: nel 2013 esce Hyrule Historia, una vera e propria enciclopedia cartacea della saga in cui, per la prima volta, viene stabilita una timeline ufficiale. Tuttavia in molti si accorsero che questa era “leggermente” imprecisa e la stessa Nintendo comunicò di prendere queste spiegazioni con le pinze; chiaramente la grande N gettò la spugna sull’argomento e le correzioni, argomentazioni e obiezioni sulla timeline ufficiale continuano a tutt’oggi.
Noi non siamo qui necessariamente per discutere se la linea temporale sia corretta o meno ma siamo qui per parlare invece di come Nintendo potrebbe aver messo finalmente un punto a tutti questi dibattiti con l’ultimissimo The Legend of Zelda: Breath of the Wild per Switch e far si che i fan vedano i giochi della saga come loro li hanno sempre visti (ve lo diremo alla fine). In questo articolo verranno svelati alcuni risvolti di trama, decisivi soprattutto per Ocarina of Time, perciò lanceremo uno spoiler alert; gli altri, relativi a Breath of the Wild e ad alcuni titoli della saga della famosa serie Nintendo, non rovineranno necessariamente la vostra esperienza con il resto dei titoli però vogliamo comunque avvisarvi dei possibili spoiler. Inoltre vi consigliamo di guardare bene l’immagine qui sotto: questa è la pagina della timeline ufficiale della saga contenuta in Hyrule Historia e tante delle sue diramazioni e titoli verranno citati più volte.

Timeline e multiverso

Innanzitutto, dando uno sguardo linea temporale di Hyrule Historia, ci accorgiamo che questa in realtà, non è una timeline! Bensì questa è più una spiegazione del multiverso della saga. Per quanto da Skyward Sword, che segna l’inizio della saga, ci sia una linea del tempo lineare, arrivati a Ocarina of Time questa si divide in tre universi: una con Link che torna nel passato, l’altra che prosegue le vicende della Hyrule della Zelda adulta che rimanda l’eroe indietro nel tempo e una terza intitolata “The hero is defeated”, che diventa realtà se Link viene sconfitto. Al di là del fatto che pensiamo che quest’ultima possa avviarsi da qualunque punto della saga (sia dalla fase lineare che divisa) questa però è la prova del che esistono tre universi distinti e separati che poi proseguono, ognuno, per una propria linea temporale.
Questo è un concetto proprio della fisica quantistica, preso e ripreso più volte sia da scienziati che scrittori, e si basa su un concetto non semplicissimo (trattato già in Bioshock e Dark Souls). Proveremo a spiegarlo in poche parole: ogni evento o scelta nel nostro universo crea un universo alternativo in cui la possibilità scartata prende luogo. Vi facciamo un esempio: nel nostro universo Hitler è stato sconfitto e ha perso la Seconda Guerra Mondiale ma, secondo questo principio, ne esiste un altro in cui il dittatore tedesco abbia sconfitto le potenze mondiali e tutti, in questo universo, girano con capigliature e baffi orrendi. Stamattina eravate indecisi se bere del latte, del caffè, del tè o mischiare latte e caffè o latte e tè ma alla fine vi siete decisi nel mangiare uno snack ipercalorico al volo perché eravate in ritardo per la scuola o per il lavoro? Congratulazioni! Avete creato ben 5 universi paralleli in cui voi compiete le scelte scartate. E che dire di quelle in cui potevate mangiare lo snack e una di quelle 5 di quelle possibili bevande? È una di quelle situazioni in cui Mario direbbe: «mamma mia»!
A ogni modo, il concetto del multiverso può applicarsi perfettamente nel mondo dei videogiochi: di potrebbe spiegare, per esempio, come mai Cammy e Mega Man condividano gli stessi obiettivi in Cannon Spike per Sega Dreamcast o come mai Kratos, che ha solitamente un temperamento rovente, riesca a rientrare nei par in Everybody’s Golf 5, uno sport in cui la pazienza, la calma e la concentrazione non sono certo il suo forte. Dunque in Ocarina of Time avvengono 3 eventi fondamentali che creano 3 universi diversi che coesistono allo stesso tempo in cui però sussistono eventi e fatti diversi; ricordiamo che alla fine di questo titolo, Link, tornando nel passato, fa arrestare Ganondorf e così, le imprese compiute da Link adulto, non avverranno mai, non nel suo universo. Tuttavia, nonostante questa premessa, esistono certe cose che potrebbero non essere mai spiegate nella saga di Zelda (come le apparizioni dei Moblins, che sono dei tirapiedi forgiati da Ganon, in The Legend of Zelda: the Minish Cap, gioco in cui il temuto antagonista è assente) e dunque rimarranno per sempre senza una vera spiegazione.

Dove si colloca Breath of the Wild?

Eiji Aonuma in un intervista con Game Informer, parlando della collocazione di The Legend of Zelda: Breath of the Wild nella timeline rispetto a Ocarina of Time, ha apertamente risposto: “after”. Questo è un indizio fondamentale ma bisogna fare un po’ di analisi per capire meglio in quale linea temporale questa nuova avventura è collocata.
La geografia della nuova Hyrule ha una certa somiglianza con quella di A Link to the Pastessa presenta un monte (con un vulcano) a nord est, un deserto a sud ovest e il lago Hylia verso il sud, nonché la presenza del “Colle Occhiali” (Spectacle Rock in inglese) che appare solamente in questo titolo e nel primo per Nes, giochi della linea temporale “The hero is defeated”, universo generato dalla sconfitta di Link. Sempre collegato al suo fallimento, Ganon, secondo Hyrule Historia, rinuncia per sempre alla sua forma umana diventando per sempre il mostro che abbiamo conosciuto nei primi tre giochi accumulando, volta dopo volta, sempre più potere fino a diventare la Calamità Ganon,  forma della sua malignità più pura; non solo Ganondorf, la sua menzionata forma umana, non appare in nessun titolo della timeline ma a supporto di questa tesi Urbosa, dopo che avremo “esorcizzato” il titano Vah Naboris, cita il fatto che le origini di Ganon sono legate in qualche modo ai Gerudo, una comunità composta da sole donne, e la cui nascita comportò per loro un grande disordine e segno di sventura.
Altro elemento fondamentale è la presenza dei Lynel, i terribili centauri dalla forza sovraumana; dopo un’attenta analisi è possibile accertare che questi particolari mostri non appaiono in nessun’altra timeline e sono dunque esclusiva di questa. Tuttavia, le prove schiaccianti a sostegno dell’appartenenza di Breath of the Wild a questo particolare universo narrativo risiedono negli abiti tradizionali di Link (quelli verdi), ottenibili solo dopo aver completato le prove di tutti i 120 santuari. Il cappello e la veste, in particolare, presentano rispettivamente le seguenti caratteristiche: una banda gialla nel primo e una maglia marrone sotto la seconda. È incredibile notare non solo che gli abiti de “i Link” delle altre linee temporali non hanno queste caratteristiche ma anche che quelli della timeline “The hero is defeated” presentano tutti questi particolari nel cappello e nella maglia. È diventata dunque teoria solida fra i fan che Breath of the Wild appartenga a questo specifico universo e queste prove, insieme ai suoi assetti generali come la Hyrule distrutta, siano la prova schiacciante della sua collocazione.

(The Legend of Zelda: A Link betweenWorlds, sequel diretto di A Link to the Past, appartiene a questa specifica timeline; notate bene cappello e veste)

«Obiezione!»

Tuttavia, le discussioni sulla timeline ufficiale non sarebbero complete senza delle incongruenze tali da contraddire tutto quello di cui abbiamo discusso finora, facendo imbestialire i fan più accaniti, al punto da distruggere il proprio PC o buttare dalla finestra il proprio smartphone (non fatelo, altrimenti non potreste seguire questo fantastico sito). Esistono prove a supporto invece, all’appartenenza di questo titolo nelle altre due linee temporali, e dunque negli universi creati dopo il successo di Link in Ocarina of Time.
La primissima prova si trova nel salgemma, ottenibile frantumando le rocce che contengono i minerali; la sua descrizione recita: «sale cristallizzato del mare ancestrale». Il fatto che possa essere il deserto di Ranel o Lanayru di Skyward Sword, che era anticamente un oceano, è in realtà un ipotesi da escludere in quanto questo circoscriveva una zona ben precisa nella mappa del titolo per Wii; il salgemma, per altro, si trova in moltissime zone della Hyrule di Breath of the Wild perciò l’unica ipotesi valida è che il “Mare Ancestrale” (o “Grande Mare” in inglese) citato nella sua descrizione è quello di The Wind Waker, che sommerse l’intera landa per contrastare il risorto Ganon in assenza del, così chiamato, eroe del tempo. La prova che il nuovo titolo della saga possa essere collocato nella timeline della Hyrule precedentemente sommersa è anche sostenuta dalla presenza dei Korok e dei Rito, entrambe razze presenti nel fantastico titolo per Gamecube; i primi, così come spiegato Aonuma nella pubblicazione giapponese “Zelda Box: The Wind Waker Fanbook”, discendono direttamente dai Kokiri, la razza delle foreste della Hyrule del leggendario titolo del Nintendo 64 mentre i secondi, sempre secondo il direttore della saga, sono un’evoluzione della specie Zora. Questa affermazione, nonostante sia citata proprio dalla mente della maggior parte dei titoli della saga, risulta un po’ strana in quanto è improbabile che questi, in una Hyrule sommersa dal loro elemento naturale, abbiano avuto l’esigenza di uscire dall’acqua ed evolversi in creature alate; certi fan sono concordi con Aonuma ma noi pensiamo che ci sia qualche imprecisione, altrimenti non si potrebbe spiegare la coesistenza degli Zora e dei Rito in Breath of the Wild. Chissà, magari alcuni di loro sono usciti dall’acqua, durante la grande alluvione, per poi evolversi nelle creature alate mentre altri sono rimasti nascosti in acqua, saltando così la loro apparizione in The Wind Waker. Probabilmente non avremo mai una risposta definitiva. A ogni modo è bene ricordare che i Rito appaiono in tutti gli universi paralleli: nella “Thehero is defeated” vi è la presenza dei Fokka, i guerrieri alati che difendono il Great Palace, l’ultimo dungeon di Zelda II: the Adventure of Link; nei titoli della timeline di Link che torna dal futuro non c’è la loro effettiva presenza ma almeno abbiamo la prova della loro esistenza: in Twilight Princess, nei pressi del castello di Hyrule, c’è un incisione in un muro che mostra Link bambino incontrarsi con le razze principali del regno e i Rito sono presenti insieme ai Goron, Zora e gli umani.
E ora, avendo citato questo bellissimo titolo, vorremo citare anche le parole di Zelda (in inglese) nella cutscene “La finta cerimonia” in Breath of the Wild:

«[…] whether skyward bound, adrift in time or steeped in the glowing ember of of twilight […]»

Il dialogo, essendo collocato dopo Ocarina of Time, rimanda al tempo – il titolo citato poc’anzi – al cielo, rievocando le vicende in Skyward Sword, e al crepuscolo, che si collega direttamente agli avvenimenti in Twilight Princess, gioco invece, della linea temporale in cui Link torna dal futuro dopo aver sconfitto Ganon; trovandoci nell’universo in cui Link è stato sconfitto o in quello in cui il Grande Mare ha sommerso Hyrule per diverso tempo è impossibile che gli eventi di questo oscuro titolo possano essere avvenuti, semplicemente perché questi eventi sono propri di un altro universo. E ancora, rimanendo in questo tema “crepuscolare”, l’architettura del castello dell’ultimo titolo della saga è veramente molto simile a quello del gioco in questione. Stando a Hyrule Historia sembra ci sia un vero paradosso temporale e perciò pare che il tutto abbia poco senso. Ma qual è la vera risposta?

Il nostro responso

Anche se l’ipotesi più gettonata è quella dell’appartenenza alla timeline “The hero is defeated” noi vogliamo comunque arrivare alla nostra personalissima conclusione: The Legend of Zelda: Breath of The Wild potrebbe prendere luogo in ogni timeline oppure, più credibilmente (e preferibilmente), Nintendo ha voluto convergere definitivamente tutti questi universi paralleli senza dover pensare troppo al come, sbarazzandosi una volta e per tutte della loro stessa debole spiegazione. Per anni i fan hanno voluto una chiosa alla timeline della saga ma la vera risposta è che forse non c’è mai stata; in molti giochi si parla spesso delle origini di Hyrule, di come Link si renda conto del suo ruolo nel mondo, della Triforza e pochissimo invece dei collegamenti, sempre se ci sono, con titoli precedenti; noi crediamo che tutto ciò avviene probabilmente non solo per avvicinare sempre più nuovi giocatori ma anche per dare una spiegazione alle sempre diverse meccaniche di ogni gioco della saga.
Il punto forte di questa specifica serie non è solamente il suo eccelso gameplay o la sua intrigante storia ma la sua accessibilità e il fatto di poter cominciare a vivere le vicende di Hyrule da qualunque titolo; ogni gioco è una leggenda diversa e in ognuno di essi c’è un diverso Link, discendente, molto probabilmente, da uno precedente. Questa saga non è come la trilogia delSignore degli Anelli o qualcos’altro di super espanso come Star Wars oStar Trek; The Legend of Zelda è in realtà un qualcosa di molto semplice: tutto nasce dalla passione di Miyamoto nell’esplorare i boschi vicino la sua casa dell’infanzia, l’immaginario di un bambino che prende vita. Per ogni giocatore è dunque possibile prendere un qualsiasi titolo, per qualsiasi console, e trarre una conclusione; con questo non vogliamo dire che gli episodi della saga siano autoconclusivi ma probabilmente meno complessi di quel che sembrano.
È fatto risaputo che gli sviluppatori, per la creazione di un nuovo titolo di questa specifica saga, pensano prima alla meccanica portante del gioco e poi a una trama che possa girarci attorno, mai il contrario e mai lo sarà; Aonuma e Miyamoto non vorranno mai che i giocatori, dai più appassionati ai più novizi, debbano giocare a un titolo precedente per far sì che capiscano la trama e le meccaniche di un nuovo titolo di The Legend of Zelda ed è per questo che, probabilmente, la saga non ha mai avuto una timeline solida. In fondo tutto questo non è nulla di nuovo: Nintendo, prima che i fan possano dire qualsiasi cosa sulla grafica o sulla trama di un titolo, vuole che l’esperienza sia divertente e unica, una di quelle che non potrà mai essere fruita in un’altra console concorrente ed è anche per questo che questa fantastica saga, e specialmente quest’ultimo Breath of the Wild, è davvero unica.
A partire da questo ultimo titolo ci possiamo chiedere: avremo da adesso una timeline più lineare o verrà scartata del tutto? Avremo nuovi prequel, sequel o universi paralleli dopo tutto questo? Ma la domanda fondamentale è: dove si collocano Zelda: The Wand of Gamelon e Link: The Faces of Evil per Philips CDI?

(Tranquilli, l’articolo è finito, anche se… Hey! C’è una banda gialla! Appartengono alla timeline “-The hero is defeated”, caso chiuso!)