Immortal: Unchained – La Sindrome di Stoccolma

Quando sei un piccolo team di sviluppo, appena nato, con poca esperienza ma con grande voglia di fare, non è facile varcare il confine che porta al successo. Questo vale per tutti gli ambiti, incluso ovviamente quello videoludico, nel quale Toadman Interactive si è lanciata nello sviluppo di un titolo ambizioso e che sembra fare tanto il verso ai capisaldi di molti generi. Non è la prima volta che abbiamo a che fare con un souls in salsa fantascientifica (non ultimo The Surge di Deck13), ma Immortal: Unchained è diverso, e pare già essersi fatto conoscere come il “Dark Souls con i mitra“. Effettivamente, unire meccaniche da TPS a un souls like sembra un’operazione folle e un po’ fuori dal mondo, eppure, seppur con qualche scivolone, sembra funzionare.

Da cosa nasce cosa

Approcciarsi alle vicende scritte da Anna Tole (The Witcher) e Adrian Vershinin (Crysis 3, Battlefield 1), come in ogni buon souls like che si rispetti, non è operazione delle più semplici. Salvo qualche eccezione (vedi Nioh), in più titoli del genere l’insieme si presenta in maniera frammentata, raccogliendo manufatti, sbloccando armi o attivando dei “dispensatori di lore“. Eppure, nonostante qualche palese citazione, tutto funziona, fregiandosi della tanto in voga “profezia da compiersi” ma in salsa del tutto nuova.
Tutto, ma proprio tutto, ha inizio da un Monolite misterioso, che con la sua energia dà vita all’Universo e ai nove mondi protagonisti delle vicende. Come da prassi, si scatenano guerre per il controllo di un simile potere, e da questi conflitti sono i Prime a trarne vantaggio, avviando così un’era prospera. Una volta creato il nostro personaggio attraverso un menù avaro di elementi di personalizzazione, saremo chiamati a risvegliare il potere del Monolite per scongiurare l’apocalisse in arrivo, anche se si avranno un po’ di sorprese lungo il cammino, sino a un finale interessante e per certi versi coraggioso.
All’interno del titolo avremmo a che fare con NPC, pochi a dir la verità, ma ben scritti e preziosi per scoprire lati della storia più intimi ed emotivi, ma anche per instillare qualche piccolo dubbio al giocatore sul proprio percorso e sulle proprie azioni.
Molto dunque viene raccontato attraverso dialoghi e descrizioni, ma non mancano alcune cutscene, narrate attraverso artwork interessanti stilisticamente ma che rischiano di distanziare un po’ il giocatore dal racconto; solo l’ultima cutscene è generata con il motore di gioco, fortunatamente. Non è presente un “new game+”, né multiplayer o altri elementi online, ma Toadman ha precisato che molte feature verranno introdotte in futuro, già a partire dai prossimi mesi.
Per la cronaca, il titolo è stato completando in circa 25 ore di gioco, con qualche portale residuo ancora da aprire e qualche boss opzionale da affrontare.

Tra Chuck Norris e Carla Fracci

Tutto ha inizio nel Nucleo, il nostro hub centrale che somiglia vagamente al Nexus di Demon’s Souls. Da qui potremo interagire con gli NPC, personalizzare il nostro equipaggiamento e livellare. Ma, cosa ancor più importante, potremo teletrasportarci verso i tre mondi che è possibile visitare: Arden, Veridian e Apexion. La parte succosa del titolo è il gameplay, un po’ schizofrenico, capace di passare da buone idee e ottimi spunti a scivoloni grossolani. La caratteristica principale di Immortal è di essere un TPS (Third Person Shooter) abbinato alle classiche meccaniche da souls, comportando un approccio completamente nuovo in entrambi i sensi: in primis, la possibilità di colpire i nemici, ed esser colpiti dalla distanza è alquanto straniante al primo approccio, dovendo schivare i colpi in arrivo a più riprese e al contempo – se possibile – aggirare l’avversario per colpirlo alle spalle o destabilizzarlo, situazione simile a Nioh o probabilmente al futuro Sekiro.
Altra meccanica interessante, ma mitigata rispetto alla versione di prova, è il danno localizzato: possiamo colpire arbitrariamente gli arti, smembrando così i corpi dei nostri poveri nemici. Una volta colpito l’arto dove è impugnata l’arma, si attiveranno anche animazioni uniche dove l’avversario cercherà di colpirci come può. Inoltre, bisognerà fare molta attenzione a risparmiare proiettili in quanto, una volta terminati, saremo in balia dei nemici, che come noi dovranno fermarsi a ricaricare. Fortunatamente, attraverso consumabili – se in nostro possesso – e una volta sbloccati i restanti slot per le armi, questo problema viene molto mitigato.  Il nostro arsenale si compone di diverse tipologie di armi, tutte con caratteristiche proprie: passiamo da carabine a fucili a pompa, per andare da pistole a SMG, fucili di precisione e lanciagranate. Queste armi si suddividono anche per il tipo danno inflitto, cosa che si sposa benissimo con le diverse resistenze dei vari nemici. Sono presenti anche armi corpo a corpo, consistenti in una coppia di lame, asce o martelli utili soprattutto per infliggere il colpo di grazia agli avversari e risparmiare così qualche proiettile. Queste armi purtroppo risaltano il primo dei grossi limiti del titolo: difatti, non possiedono moveset apposito, non vi è possibilità di effettuare combo o di incatenare colpi in maniera bizzarra tra uno sparo e un colpo melee. In fin dei conti è come se non ci fossero, limitando anche la costruzione di specifiche build o anche diversi approcci al combattimento. Le armi bianche, come quelle da fuoco comunque, sono potenziabili attraverso materiali recuperati e i Bit (la valuta del gioco), ma anche smantellabili, recuperando così oggetti per il crafting. Questo sistema, benché semplice, aumenta a dismisura la voglia di sperimentare l’utilizzo di armi diverse, grazie anche a un costo in Bit molto accessibile. A questo, si accostano anche dei perk (simil anelli di Dark Souls), suddivisi tra attacco, difesa e supporto: il loro utilizzo permette di variare leggermente build durante il gioco e, quando la situazione lo richiede, aumentare magari la salute, la stamina oppure la velocità di ricarica delle armi o il recupero di elementi per il crafting. La loro varietà è sicuramente un punto di forza, così come lo è del resto tutta la struttura su cui si poggia il gioco. Però… c’è un però: è possibile configurare tutto questo soltanto una volta attivato e utilizzato un Obelisco (Falò). Questo significa che, una volta trovata un’arma di nostro interesse, potremmo cambiarla soltanto riposandoci, limitando pesantemente il gameplay. Un altro limite è l’assenza di diverse corazze a disposizione, avendone soltanto una che, trovando gli appositi terminali di potenziamento, andrà via via assemblandosi sino al suo completamento; almeno abbiamo la possibilità di personalizzarla, scegliendo il colore e la livrea da applicare, una volta trovati i componenti necessari. Ma qui finora non abbiamo nemmeno scalfito la schizofrenia dei ragazzi di Toadman.

Pad alla mano le sensazioni sono abbastanza positive, con un impostazione simil-Bloodborne abbastanza intuitiva: nessun tipo di parata o di parry, tutto è riservato alle schivate che possono essere migliorate nei frame delle animazioni attraverso il level-up. Inutile dire quanto siano fondamentali. Il tutto, in generale, funziona: sfruttare l’intelligenza artificiale per dividere i nemici e poi colpirli singolarmente può essere una buona soluzione, anche se non sempre praticabile, vista la presenza di avversari capaci di teletrasportarsi che diventano un vero incubo. I nemici che affronteremo sono discretamente vari e suddivisi per tipologia. Il loro limite di aggro è variabile, per cui potrebbe capitare di essere seguiti fino alla fine dei tempi.
Ma il problema principale è l’equilibrio di gioco, il più grande peccato di Immortal, che consta di situazioni al di fuori delle comprensione umana ma anche di sezioni ben strutturate (Apexion su tutte) capaci di far venire il dubbio se un simile sviluppo sia stato portato avanti dalle stesse persone. Capiterà infatti di assistere a veri errori da principianti, come il posizionamento di Obelischi nel ben mezzo di un’orda di avversari che comporta lo spreco di risorse preziose mettendo semplicemente piede fuori da una zona che, da prassi, dovrebbe essere invece sicura. Questi errori si verificano anche nel level design, costruito ad hoc per far provare il brivido della scomunica a qualunque giocatore, creando una difficoltà accessoria dove magari vi sono già dei problemi da gestire. Eppure, anche qui, il level design riesce a volte a sorprendere, con ambienti molto grandi e ben collegati tra loro, ricordando – con la giusta cautela – i fasti di From Software. Anche il ritmo soffre dei medesimi problemi, con sezioni al cardiopalmo una dietro l’altra e momenti di vuoto assoluto, soprattutto verso il finale.
Ma veniamo alle boss fight, tutte abbastanza differenti fra loro, ma che in qualche modo non riescono a risultare memorabili. Se a volte il loro approccio deve essere “studiato”, facendo attenzione ai movimenti e ai tipi d’attacco, altre volte risultano un po’ troppo semplici, in quanto basta appostarsi alle spalle del nemico per finirlo senza alcuna difficoltà. Alcune di esse sono configurate come opzionali, oppure “segrete” sbloccando alcuni portali (tipo Stargate), in grado di trasferirci da un pianeta all’altro. Tutti questi problemi sono figli probabilmente della poca esperienza del team, ma forse anche frutto di una cattiva interpretazione dell’opera di Miyazaki in certi frangenti. C’è da dire però – per correttezza – che alcuni di questi problemi, anche se in misura molto più limitata, esistono anche nei capolavori di genere. Si sbaglia solo con le dosi, quindi.

Disincanto

Nel nostro vagabondare tra i pianeti, purtroppo, raramente troveremo scorci mozzafiato. Forse questo è uno dei limiti più grandi di Immortal: Unchained: sa fin troppo di già visto, tra il design delle costruzioni e persino dei nemici che, in qualche modo, richiamano personaggi di altri brand. Nonostante questa mancanza di idee e un certo piattume generale, ogni tanto il titolo sembra destarsi, regalando momenti di grande impatto visivo e in qualche modo memorabili, ma avviene così di rado che quasi a un occhio meno attento potrebbe sfuggire. Se il comparto artistico dunque non fa gridare al miracolo, figuriamoci quello tecnico in senso stretto, povero di dettagli e con qualche problema di troppo tra glitch, bug, qualche piccolo errore nelle collisioni, nei geo data, pop-up delle texture e nell’intelligenza artificiale. Quest’ultima, a dire il vero, riesce a sorprendere in molti frangenti, accerchiandoci o stanandoci con granate. Insomma, è un titolo che ha sicuramente bisogno di un’ulteriore rifinitura, con molti problemi risolvibili tramite semplici patch riparatorie.
Sul fronte audio, il titolo può vantare un buon doppiaggio inglese, espressivo al punto giusto e capace di caratterizzare adeguatamente gli NPC. Anche le musiche che accompagnano quasi sempre l’azione sono abbastanza azzeccate, dal tono epico ma soprattutto risultano funzionali. Effetti sonori nella media anche se alcuni in certi frangenti, sembrano quasi una tortura.

In conclusione

Una volta concluso Immortal: Unchained sarete chiamati a un’importante decisione: ricominciare, riscoprendo piccoli risvolti di trama a vostro rischio e pericolo o attendere l’uscita di alcune patch, permettendo un NG+ più equilibrato e tecnicamente più curato? Qualunque sia l’esito, la prima fatica di Toadman Interactive, seppur con tanti difetti, risulta un titolo interessante che, con piccoli accorgimenti, può diventare un ottimo spunto per un eventuale sequel. Sa essere molto cattivo, ma volete mettere la soddisfazione di superare tutte le avversità del fato digitale?

Processore: Intel Core I7 4930K
Scheda video: Nvidia Gigabyte GTX760 4GB
Scheda Madre: MSi X79A
RAM: Corsair Vengeance 16GB
Sistema Operativo: Windows 10.




Ni, oh!

L’estate è quel periodo normalmente associato a ferie, relax, gioia di vivere e divertimento. Non è il mio caso. Questa estate – come ogni altra del resto –, visto il maggior tempo libero, è dedicata al recupero di alcuni titoli che non si ha avuto modo di giocare e uno di questi è senza dubbio Nioh, RPG del Team Ninja che ha riscosso un buon successo e che avrà un sequel, da poco annunciato all’E3 di giugno. Dopo essere stata per un certo periodo un’esclusiva PlayStation 4, Nioh è arrivato su PC, sotto l’insegna, un po’ particolare, di souls-like, anche se grande è stato il disappunto nello scoprire che souls-like non è.
Il genere sdoganato da Hidetaka Miyazaki e dal suo Dark Souls, ha visto numerosi tentativi di emulazione in salse più o meno simili, anche se con risultati altalenanti: basti pensare a Lords of the Fallen o, perché no, quel Code Vein che riesce a essere promettente e scoraggiante contemporaneamente, e forse per questo nuovamente posticipato. In attesa del futuro lavoro di From Software, Sekiro, Nioh è il giusto ponte di collegamento e, come tanti, anch’io sono stato rapito dalle atmosfere e dagli elementi così vicini alla cultura giapponese, della quale sono un estimatore. Per chi sia abituato ai souls, approcciarsi al lavoro Team Ninja è alquanto singolare: sembra tutto così complicato, con pose diverse da assumere e relativi effetti, mille oggetti e tante cose a cui fare attenzione (mal spiegate); eppure, in qualche modo, il titolo completa e approfondisce il concept di Miyazaki. Ma non per questo può parlarsi di souls-like.
Partiamo dalla narrazione: diretta, senza fronzoli e con un protagonista fisso, quel William che sembra un incrocio tra Chris Hemsworth e un qualunque modello di intimo farloccamente perfetto ma, in ogni caso, sempre meglio dei costrutti medi derivanti dai vari editor From Software: perché il tempo libero estivo spesso non basta neanche a quello, non importa quante ore impiegheremo a realizzare il nostro alter ego, avrà comunque la stessa espressione di un bimbo di cinque anni durante il primo assaggio di un limone. Giocare Nioh fa anche sorgere una domanda spontanea: dove sta la difficoltà nel realizzare delle animazioni facciali? Miyazaki, prendi nota.
Eppure Nioh non è un souls like, e il gameplay trasmette immediatamente questo messaggio. Hey, hai finalmente quell’armatura potente, con bonus perfetti per te e, perché no, anche bella esteticamente? Shottato. Ma guarda quanti Amrita, potrei salire di livello per essere più resistente… shottato! Ah, ma forse… shottato!

Ovviamente si tratta di un’estremizzazione ma proprio per questo Nioh risulta tanto bello quanto frustrante, un gioco in cui il senso di progressione, capace di regalare enorme appagamento, viene messo da parte in favore di una difficoltà costruita ad hoc solo per «essere più difficile di Dark Souls». Ma qui casca l’asino: Dark Souls non è veramente difficile; certo, non consente un approccio agevole e, a volte, sa essere abbastanza punitivo. Eppure è chiaro, limpido e ogni cosa è costruita avendo dall’altro lato il suo perfetto contrario. Dark Souls è apprendimento, duro e puro: credevate che l’estate significhi la fine della scuola e quindi una pausa a ogni forma di studio? Se giocatori dei titoli From Software, scordatevelo. Eppure basta “studiare” quel che serve per essere sempre all’altezza della situazione ma soprattutto, il vostro equipaggiamento e level-up, servono effettivamente a qualcosa. Non troverete mai un nemico base in grado di scalfirvi, una volta progrediti; noi siamo i futuri Lord of Cinder, i soldati semplici li mangiamo a colazione.
Nioh non è un souls like perché è punitivo per motivi sbagliati, essendo essenzialmente una lunga e perenne sfida contro il Drago Antico di Dark Souls II. Se da un lato la sfida, spinge a migliorare, dall’altro, diviene frustrante, in virtù del fatto che i vostri progressi, valgono quasi zero. Cos’è dunque Nioh? Un trial & error, senza se e senza ma. È un male? Assolutamente no.
Sin dall’alba dei tempi, l’essere umano cerca di imparare dai propri errori, in quel trial & error che è la vita reale che col passare dei secoli ci ha portati dove siamo. Per esempio, dopo un agosto passato ustionati dalla nostra stella, l’estate successiva ci penserete due volte prima a non spalmare una crema solare. Trial & Error appunto. In un videogioco – un’avventura compressa in una manciata di ore – anche la frustrazione derivante dagli sbagli (o dalla sfortuna) si condensa, arrivando alla tanto e bella imprecazione tanta cara ai “soulsiani”. Ma ci si fa forza e, mentre vi scrivo, mi avvio all’ultima parte del titolo che, potrebbe non sembrare, ma mi sta piacendo moltissimo.
Nonostante tutto infatti, la struttura del gioco è azzeccata, con missioni secondarie più o meno interessanti e alcune trovate da RPG vecchio stile, capace di farvi prendere appunti su un foglio di carta (o almeno, io faccio così).
Per cui, anche io attenderò con ansia Nioh 2, sperando che tutto trovi un senso compiuto e che, soprattutto, non debba giocarlo in estate. Perché in estate, ci rilassa, possibilmente senza rischiare la scomunica.




Warriors All-Stars

Omega Force non si stanca mai di produrre giochi appartenenti al genere musou, e Warriors All-Stars ne è l’ultimo esponente: come si deduce dal titolo, si tratta di un crossover in cui si potranno impersonare alcuni dei protagonisti appartenenti a  diversi giochi prodotti da Koei-Tecmo tra cui: Atelier, Dead or Alive, Deception, Dynasty WarriorsNinja GaidenSamurai Warriors, Toukiden, e Nioh.

Storia

Creare una storia credibile per un crossover di questa portata è un compito ai limiti del possibile, e infatti Omega Force ha usato la riciclatissima scusa degli universi paralleli, già usata del resto su Dragon Quest Heroes, ovviamente senza i personaggi appartenenti alla saga di Square-Enix.
In questo universo troviamo un regno i cui abitanti per sopravvivere hanno bisogno della Sorgente della Vita, la quale è legata indissolubilmente alla vita del monarca, ma quando il re muore, questa comincia a prosciugarsi.
I tre pretendenti al trono: Tamaki, Shiki e Setsuna, devono trovare una soluzione al problema, e Tamaki per risolverlo usa la forza magica rimanente della sorgente per evocare dei potenti guerrieri appartenenti ad altri universi, ma non tutto va per il verso giusto: gli eroi vengono sparsi per tutto il regno e ognuno dei 3 pretendenti si alleerà con alcuni di loro, dando il via a una guerra di successione. Il primo di loro che riuscirà a salvare, la sorgente diventerà re.
La storia non brilla certo per originalità, è un mero pretesto per far sì che si possano controllare dei personaggi appartenenti a universi così differenti, alternando scene serie con altre al limite del demenziale; se si aggiunge il fatto che nel gioco è assente la lingua italiana, è facile perderne totalmente l’interesse.

Grafica e sonoro

Questa volta Omega Force si è impegnata un po’ più del solito sul piano tecnico, e il comparto grafico è un gradino sopra a quello che ha sfornato di recente (Samurai Warriors: Spirit of Sanada è uscito pochi mesi fa), i personaggi vantano modelli poligonali più dettagliati, anche i paesaggi godono di maggiore dettaglio e, considerando che ci saranno centinaia di nemici da affrontare contemporaneamente senza cali di frame rate, possiamo dire di essere abbastanza soddisfatti; il comparto audio invece è altalenante, sebbene ci siano ottimi brani appartenenti ai vari personaggi facenti parte di universi diversi, ascoltarne uno epico dopo uno demenziale fa storcere un po’ il naso. Gli effetti sonori delle battaglie sono quelli a cui siamo sempre stati abituati dal genere musou e si rivelano appropriati.

Gameplay

Il fulcro del gioco sono senz’altro i combattimenti, ma questa volta non siamo rimasti molto soddisfatti: i personaggi non sono molto bilanciati,  con alcuni finire il gioco risulta più facile che con altri, le mosse a disposizione sono inferiori agli ultimi musou a cui abbiamo giocato, non è possibile schivare i colpi nemici, si può soltanto parare, ma se il nemico riuscirà a sfondare la nostra difesa, saremo costretti a subire l’intera combo dei suoi colpi senza poter fare nulla, il che può rendere le fasi avanzate del gioco un po’ frustranti. Ci sono comunque alcune novità: potremo creare una squadra composta da un massimo di 5 personaggi, e potremo personalizzarli tramite delle carte eroe che daranno ai nostri personaggi diverse abilità o potenziamenti, c’è anche il “Musou Rush” che è una mossa speciale attivabile con l’uccisione di 1000 nemici, in cui i membri della squadra si riuniranno in un devastante attacco combinato.
Ci sono tante altre cose che si potranno fare oltre al combattimento, come visitare il santuario che circonda la Sorgente della Vita, dove si potranno potenziare le carte eroe oppure rafforzare le relazioni con i membri della squadra visitando la taverna, oppure l’arena o le terme, migliorando i rapporti con i compagni, si sbloccheranno nuove cut-scene che ci faranno conoscere più approfonditamente il loro background.
Il gioco ha bisogno di almeno una ventina di ore per essere portato al termine, e considerando il fatto che ci sono almeno 15 finali principali differenti più altri secondari, completarlo al 100% richiederà ben più del doppio del tempo.

Conclusioni

Warriors All-Stars è un gioco che sebbene ospiti grandi nomi appartenenti ai migliori giochi di Koei Tecmo, non riesce a convincere a pieno, sia a causa di una storia banale e priva di mordente, sia a causa di un gameplay non all’altezza degli ultimi esponenti del genere musou. Come al solito la lingua italiana non è stata presa in considerazione, e anche questo gioca a suo sfavore, pur non rilevando nella valutazione finale.
Se però questi difetti non vi impensieriscono, il gioco offre tantissime cose da fare, e vi terrà impegnati per molto tempo.




Disponibile Defiant Honor, il nuovo DLC di Nioh

Sono passate solo un paio di settimane da quando Team Ninja, sviluppatore di Nioh, ha annunciato il nuovo DLC, denominato Defiant Honor (Onore Sprezzante), che ieri è stato reso disponibile su Playstation Store per i fan al prezzo di 9,99 euro.
Defiant Honor fa parte del pass stagionale, ma lo si può acquistare separatamente se si desidera. Ecco qui la descrizione sul Playstation Store:
«Un inverno rigido in Giappone raggela la nazione preparando il terreno per uno scontro leggendario presso la fortezza più inespugnabile dell’era Sengoku, il castello di Osaka. In questa espansione di Nioh, Defiant Honor, il viaggio di William continua. Lo vedrà impegnato insieme al nuovo alleato, Masamune Date, contro il demone cremisi della guerra in carne ed ossa, Sanada Yukimura».

Con il DLC sarà disponibile il controllo di nuovi Spiriti Guardiani, Onmyo Magic e Divine Armour, nonché di una nuova arma chiamata Tonfa. Se finora il gioco è stato “facile”, con il nuovo livello di difficoltà introdotto sarà una vera sfida.




Secondo Michael Pachter i videogiochi giapponesi non contano nulla sul mercato

Il Giappone è un mercato che vede molte opere di rilievo in campo videoludico, titoli importanti come Persona 5, numerose saghe jrpg quali Fire EmblemFinal Fantasy e Shini Megami Tensei nascono nella terra del Sol Levante, diventandone oggi un’espressione culturale distintiva. Nonostante il grande numero di appassionati registrato dalle saghe orientali, il noto analista di settore Michael Pachter ha affermato, durante un’intervista a Gamingbolt, che i giochi giapponesi sono irrilevanti per il grande mercato.
Proprio riguardo le vendite di Persona 5, Pachter ha affermato: «Si sta parlando di 2 milioni di unità vendute, mentre una schifezza come Mafia 3 ha venduto 5 milioni di unità, nonostante faccia schifo. Quindi, no, 2 milioni di unità non rilevano a nulla: Nessuno sta facendoci dei soldi.»
Nella stessa intervista, Pachter chiarisce che Persona 5 gli è piaciuto molto, che è il gioco più “giapponese” in circolazione, ma che questo non c’entra con le scelte del mercato di massa: «Persona 5 è stato davvero il primo gioco nipponico – escluse le opere di Kojima e di Nintendo – che mi sia piaciuto in questi anni. Ma non credo sia importante. Giochi come Final Fantasy che vendono 8 o 10 o 20 milioni di copie sono eccezioni: i titoli giapponesi che in ultima analisi funzionano sono quelli come Metal Gear, quelli che hanno un appeal occidentale, e che quindi fanno presa sulle masse. I giochi giapponesi non hanno fascino sulle masse, e non si traducono bene in altre culture. Detto questo, sono convinto che Persona 5 non abbia tradito le aspettative di Atlus, la quale credo sia felice dei 2 milioni di unità vendute, che per loro rappresentano un successo»

Ma allora come fa Nintendo ad avere successo nonostante non si “pieghi” all’estetica occidentale? Pachter se lo spiega così:
«Direi che Nintendo è l’eccezione che dimostra la regola: se tu fossi un marziano», dice l’analista al suo intervistatore «e non avessi mai visto un videogioco prima, e io ti mostrassi un gioco Nintendo e in parallelo Persona 5 o Final Fantasy, non diresti mai che provengono dallo stesso luogo. Non sembrano affatto uguali. Nintendo ha un proprio stile, proprio come i disegni Disney, c’è qualcosa di totalmente diverso. Non so cosa sia, sarà il fatto che il divertimento offerto da Nintendo è accessibile, familiare, bizzarro. Guarda che polemica è scoppiata all’E3 perché Mario impugnava una pistola in Mario+Rabbids, è un elemento fuori dallo stile Nintendo, che ormai è conosciuto da chiunque. Nintendo è una società completamente diversa, è la cosa più vicina a Disney che ha il Giappone, sfuggono alle regole convenzionali. Sono l’eccezione che dimostra la regola, nessuno in Giappone fa niente di simile, a eccezione di forse Sonic»
Insomma, a parte quelli della grande N, titoli come Persona, Nier e Nioh, o gli stessi Souls, non conterebbero poi tanto in termini di mercato, non quanto i giochi tripla A occidentali.




Nioh: Drago del Nord (DLC)

È passato ormai qualche mese da quando vi abbiamo lasciato la nostra primissima recensione riguardo Nioh e la sua patch 1.05 e non possiamo certo dire che i nostri punti di vista e criteri non siano cambiati. Il dlc Drago del nord e la nuova patch 1.09 hanno stravolto sicuramente diversi aspetti del gameplay: ma siamo sicuri che ciò abbia apportato giovamenti al gioco?

Una ventata di novità

Il primo dlc Drago del nord ci invierà nella regione di Oshu, nel quale il sovrano Masamune Date (Jena Plissken, per gli amici) non disdegnerà di palesare quanto il suo sguardo sia frutto di doppiogioco. Da parte del Team Ninja reputo sia una scelta molto coraggiosa rendere giocabile la nuova espansione, strettamente collegata al finale, solo una volta terminata la storia: mossa commercialmente rischiosa, che fa intendere di aver le spalle molto larghe e nello stesso tempo lungimiranza riguardo la storyline dei prossimi dlc. Il nuovo contenuto contiene 3 nuove mappe, 4 boss (di cui solo uno particolarmente ispirato), armi e armature inedite, diversi yōkai ( con la straordinaria partecipazione di Las plagas di RES 4), la possibilità di tenere in battaglia fino a 2 spiriti guardiani potendo scegliere di cambiarli a proprio piacimento e, infine, la nuovissima tipologia di spada Odachi, un lunghissimo spadone scalante principalmente sulla statistica forza che ci divertirà non poco col suo moveset AoE. L’espansione ha un livello di difficoltà nettamente più alto rispetto al resto del gioco, fattore che può potenzialmente portare frustrazione a chi abbia appena finito La via del samurai.

Non è tutto Amrita ciò che luccica

Ritornando alle patch, non si può certo dire che il Team Ninja non risponda ai feedback, poiché i cambiamenti al fine di appoggiare la fanbase non sono stati pochi. Un pesante lato negativo che ha afflitto Nioh è stato l’annullamento del contesto gdr e della difficoltà a causa dell’estrema facilità della farm di Amrita: i giocatori potevano raggiungere il level cap (il livello 750) in una manciata di giorni grazie al giusto equipaggiamento, e ciò sottraeva quel sapore di individualità e sfida nelle missioni. Oggi un simile eclettismo è stato ridimensionato abbassando il level cap a 400 e aumentando sensibilmente le Amrita necessarie per livellare, sono state nerfate parecchie armi ed eliminato tutto ciò che boostava il nostro William fino a renderlo il maestro del Giappone in poche ore di gioco. Ricalcando il fattore difficoltà, sono ben lieto di aver trovato La via del demone (o NG++,  a voler semplificare). Ora finalmente le missioni sono tarate per un livello superiore al nostro cap, rendendo tutto estremamente ostico e realmente minaccioso anche nel caso in cui il personaggio sia buildato glass cannon; i vecchi yōkai verranno buffati al punto che questi potranno shottare chiunque ostenti una difesa leggera; d’altro canto si potranno trovare equipaggiamenti ben superiori al livello 150, riequilibrando il tutto.

Pvp? No grazie

Parlando invece di come non si strutturi un pvp, il Team Ninja ha pienamente centrato il bersaglio: le arene sono strutturate in modo da ottenere un grado di valutazione nella classifica che va dal D- al AAA, non valutando, invece, il vero combat rating durante il matchmaking: questo ha portato a pesanti dislivelli duranti gli scontri, elemento che, miscelato con la componente lag, rende il tutto così superficiale e mal pensato. La patch 1.09 ha portato dei miglioramenti nel versante pvp non ancora appaganti, ma il Team Ninja ha dimostrato di prediligere i litri di caffè piuttosto che dormire sacrificando le ore notturne a favore del soddisfacimento della fanbase: questo rende ben speranzosi riguardo al fatto che presto troveranno il giusto equilibrio.

Aspettative

In conclusione, si può intuire che il prodotto non verrà abbandonato presto poiché a ogni aggiornamento si percepisce quel sentore di freschezza che allontana la noia e la ripetitività. Ogni patch fa emergere quanto la casa di sviluppo sia minuziosa e sia attenta ai particolari, rielaborando, se necessario, i propri fallimenti al fine di farli rivivere di luce propria. Si ha la percezione platonica di sentirsi presi per mano, mai abbandonati, supportati in risposta a ogni possibile critica riguardo il gioco; il team Ninja in questi mesi non ha fatto altro che alimentare la mia speranza nel giusto riequilibrio del titolo, pregustando già da oggi quello che probabilmente diverrà Nioh domani.




Nioh

Tredici anni dopo il suo annuncio e a distanza di poco più di dodici mesi dalla prima presentazione al Tokyo Game Show nel 2015, Nioh arriva sulle Playstation di tutto il mondo pronto a far bestemmiare di sé.

Il gioco di Team Ninja ha avuto modo di presentarsi – e anche molto bene – sin dalla sua prima apparizione sullo store Sony, attraverso l’alpha rilasciata nella scorsa primavera.
Da allora molto è cambiato, dal comparto grafico all’affinamento dei sistemi di combattimento e di utilizzo delle armi, ma il nocciolo è rimasto lo stesso: Nioh è un gioco difficile.
E non si tratta dell’ennesima copia di Dark Souls, questo salta subito all’occhio: il gioco imbocca la propria strada facendoci dimenticare tutti quegli elementi che effettivamente sì, sono mutuati dalle meccaniche del più famoso titolo di From Software ma che, d’altra parte, si combinano benissimo con la naturale evoluzione di tutto ciò che ha contraddistinto Ninja Gaiden. E parliamo del reboot a cura di Team Ninja ovviamente, dal quale questo gioco eredita molto più di quanto faccia dai Souls.

La Storia

Nioh narra la storia di William Adams, un soldato/navigatore/samurai inglese: alto, biondo e sicuramente parente di Geralt di Rivia. Un eroe, William, che sembra avere qualcosa in comune anche col Gatsu di Kentaro Miura e non soltanto per via dello spadone “bastardo” che raccoglie proprio all’inizio del gioco (dopo essersi liberato a pugni e calci da una cella di prigione sita nella torre di Londra) ma anche per lo spiritello alato e colorato pronto a dispensargli consigli sin dalle prime battute. Così, con un pretesto narrativo degno di ogni incipit nipponico che si rispetti, il nostro beniamino parte, nel 1600, alla volta di Zipangu (nome con il quale Marco Polo si riferiva al paese asiatico di Nihon, a noi conosciuto come Giappone) per trovare le famose pietre “amrita”, a quanto sembra capaci di veicolare poteri sovrannaturali che investono anche il nostro eroe.

Il Combattimento

Ma a far da traino al gioco non è tanto la storia, seppur inizialmente ispirata da una bozza di sceneggiatura del maestro Akira Kurosawa, quanto la profondità del gioco in sé: il sistema di progressione delle caratteristiche tipico degli RPG, unito a quello di combattimento che porta con sé numerose variabili e al complesso albero delle abilità che si possono acquisire tramite due diversi tipi di punti (Ninja e Magia Onymo), oltre alle affinità con le proprie armi e con il proprio spirito guardiano, rendono l’esperienza di gioco particolarmente personalizzabile: ci ritroviamo dunque a poter sviluppare, oltre al personaggio stesso, stili di combattimento completamente diversi tra loro. Ciò è dovuto principalmente al possibile utilizzo di due armi da mischia e di altrettante armi a distanza che spaziano dalle spade alle asce, dai martelli ai kusarigama e dagli archi ai fucili a scoppio, oggetti che possono essere ulteriormente potenziati e personalizzati insieme alle tantissime armature disponibili.

È nel sistema di combattimento però che Nioh offre il meglio di sé, regalandoci delle meccaniche facili da comprendere ma estremamente complesse da padroneggiare. Mentre infatti ci da la possibilità di scegliere fra tre diverse – e facilmente intercambiabili – posizioni di combattimento (alta, media e bassa) il gioco ci insegna a utilizzare il Ritmo Ki, una meccanica che mette alla prova costantemente la nostra abilità e che, se eseguita correttamente, ci permette di ricaricare più velocemente la barra della stamina favorendoci quindi nell’inanellamento di ulteriori combo. Grazie a queste possibilità di scelta ci ritroviamo di fronte a vastissimi orizzonti di interpretazione del gameplay: mentre qualcuno preferirà giocare un hack’n’slash votato alla frenesia del combattimento, qualcun altro deciderà di affrontare la sfida in maniera più ragionata infliggendo danni maggiori ai nemici a scapito della rapidità di movimento del personaggio. Ai giocatori più abili non è precluso il piacere di poter utilizzare tutti gli stili di gioco possibili contemporaneamente, alternando a seconda del nemico e della situazione la posa, l’arma, le magie e i trucchetti del ninja.
La campagna risulta lunga e impegnativa, costellata da missioni principali e secondarie che portano l’esperienza di gioco ad allargarsi oltre le quaranta ore, in più è presente una modalità “crepuscolo” nella quale ci ritroviamo ad affrontare le missioni in una salsa più piccante, ovvero con demoni da combattere al posto dei semplici nemici e una modalità PVP che il Team ha promesso di implementare presto.

Tecnica

Per quanto riguarda la parte tecnica, il gioco soffre della travagliata gestazione che ha dovuto subire, e ciò si traduce in un comparto grafico e in delle animazioni non proprio al passo coi tempi; difetto d’altra parte ampiamente ripagato dal fatto che si mantiene costantemente sui 60 fps anche nelle fasi più concitate, scegliendo la modalità azione che ci è sembrata anche l’unica possibile viste le caratteristiche tipicamente action del titolo. A questo si aggiungono la bellezza delle ambientazioni e le scelte artistiche che riguardano la caratterizzazione dei boss ed i combattimenti, elementi che fanno di Nioh un gioco sicuramente piacevole da guardare.
L’unica nota negativa, se così può essere definita, è certamente la difficile accessibilità. Come già detto nella premessa, Nioh è un gioco impegnativo che richiede particolare pazienza e voglia di imparare da parte del giocatore inesperto e ciò può rendere frustrante l’esperienza per chi cerca nel videogioco soltanto un passatempo divertente e non è in vena di accettare questo tipo di sfida.
Tutto sommato però, in un’epoca videoludica in cui titoli di natura narrativa e molto spesso semplici da giocare dominano gran parte del mercato, il successo di un gioco come Nioh rappresenta la prova che gli hardcore gamer sono nuovamente pronti a conquistare il mondo.