Top 5: Marzo 2019

L‘inverno è giunto alla sua conclusione, lasciando il palcoscenico alla primavera e al rifiorire della natura. È anche il tempo di nuove uscite videoludiche, tra gemme inaspettate e titoli che non hanno deluso. Vediamo quali.

#5 Tropico 6

Sesta iterazione per il popolare gestionale di Kalypso Media a tema social-politico: vestiremo ancora una volta i panni di El Presidente in quello che, forse, è il compito più arduo di tutta la serie. Non gestiremo più una sola isola, bensì un arcipelago! È questa la novità più eclatante di questo Tropico 6, che aggiunge delle variazioni ben riuscite nel classico gameplay della saga. Avremo quindi più isolotti da gestire, come se fossero delle macro aree ognuna diverse dall’altra, senza dimenticare l’occhio alle varie fazioni politiche di Tropico, fattore fondamentale per una lunga presidenza, o nel peggiore dei casi, dittatura.
Dopo il mezzo passo falso del precedente capitolo, Tropico 6 torna in carreggiata, offrendoci uno dei migliori capitoli della serie da lungo tempo, capace di offrire ore e ore di puro divertimento caraibico.

#4 Baba is You

Baba is You, puzzle ideato dal finlandese Arvi “Hempuli” Teikari, ha un’idea semplice quanto complessa allo stesso tempo: per completare i livelli bisognerà “comporre” delle frasi di senso compiuto, usando degli aggettivi trovati in giro per i livelli. Per esempio, se un fiume di lava ci blocca il passaggio, basta mettere in sequenza le parole “lava is melt” per veder sparire l’ostacolo. È un titolo originale che, come l’idea del suo creatore, può sembrare semplice ma in realtà nasconde un cuore arduo e complesso, come ogni buon puzzle game che si rispetti. Uscito su PC e su Nintendo Switch, Baba is You è una gemma nascosta nel mare delle pubblicazioni indie, che consigliamo ai fan del genere e a chi vuole giocare un titolo che fa della semplicità e dell’originalità il suo punto di forza.

#3 Tom Clancy’s The Division 2

Abbandonata la notte perenne e innevata di New York per l’assolata e verde Washington D.C., The Division 2 ci riporta a lottare contro il virus scatenatisi nel primo episodio, portandoci nella capitale degli Stati Uniti contesa tra quattro diverse bande in guerra per la supremazia territoriale. Il titolo Ubisoft mantiene le promesse fatte durante lo sviluppo e dona ai giocatori un buon ibrido tra gioco di ruolo e shooter con coperture, migliorando i difetti del precedente capitolo. Unica pecca forse un endgame ancora non all’altezza dell’offerta, ma The Division 2 è comunque il miglior loot shooter del mercato, riuscendo dove altri titoli ancora non riescono a incidere.

#2 Devil May Cry 5

La rinascita di Capcom passa anche da qui: dopo Monster Hunter: World e Resident Evil 7, tocca a Dante e colleghi portare in alto il vessillo della software house giapponese. Devil May Cry 5 torna sui nostri schermi più bello che mai, grazie all’uso del RE Engine, e soprattutto più spettacolare che mai. Se Dante e Nero possono eseguire combo in stile picchiaduro, quest’ultimo usando anche la particolare protesi robotiche denominata Devil Breaker, particolare è il gameplay del nuovo V, un evocatore capace di chiamare in battaglia tre demoni da usare per combattere dalla distanza.
Il Re degli hack n’ slash è tornato e Devil May Cry 5 non delude le aspettative dei fan, donandoci un titolo sia bello da vedere che divertente pad alla mano.

#1 Sekiro: Shadows Die Twice

Un giovane shinobi del periodo Sengoku, alle prese con un arduo compito: vendicarsi della perdita del proprio braccio, sostituito da una particolare protesi, e salvare il proprio signore . È questo il prologo di Sekiro: Shadows Die Twice, ultima fatica di From Software e del suo mastermind Hidetaka Miyazaki. Nonostante la parentela con la serie dei Souls e del genere a essa legato, Sekiro si dimostra diverso rispetto ai titoli del recente passato, il gioco è più votato all’azione e al combattimento tra spadaccini, ed è possibile eseguire anche delle uccisioni stealth che richiamano un titolo sempre legato agli sviluppatori giapponesi: Tenchu.
Il level design è una delle peculiarità del titolo, con scenari mozzafiato come da tradizione, che ben si sposano con il setting del Giappone feudale. Sekiro centra il colpo alla perfezione e consacra il lavoro del suo creatore ai massimi livelli, donandoci non solo il miglior gioco del mese, ma anche uno dei migliori titoli del 2019.




RimWorld

Un’emergenza galattica. Una nave di linea viene distrutta, ma tre passeggeri riescono a salvarsi finendo nel pianeta più lontano della galassia. Questa è solo una delle storie di RimWorld, complesso colony sim ideato da Ludeon Studios sul modello di una vera e propria istituzione del genere come Dwarf Fortress.

Partiamo con ordine, visto la complessità del titolo: la schermata iniziale di RimWorld ci pone due scelte, ovvero il tutorial, consigliato ma non indispensabile per capire i meccanismi di gioco, e il fulcro di tutto, la nuova partita. Qui potremo decidere uno dei quattro scenari che il gioco ci offre: lo scenario base, ovvero quello dei tre sopravvissuti al disastro della nave di linea, la tribù perduta, con cinque umani sopravvissuti allo sterminio delle macchine, il ricco esploratore che vuole provare il brivido della sopravvivenza, e la cosiddetta naked survival, con un solo personaggio da controllare, ma completamente nudo e senza provviste. Quest’ultimo è lo scenario più difficile di tutto il gioco ed è consigliato solo a chi voglia provare un’esperienza davvero tosta, mentre crashlanded, il primo scenario, è consigliato ai novizi del titolo e a chi abbia avuto esperienze con giochi simili come Dwarf Fortress o Banished.
Il prossimo passo è quello di scegliere uno dei tre narratori, che fungono anche da selezionatori di difficoltà della nostra partita: abbiamo la “normale” Cassandra Classic, adatta a un’esperienza di gioco tradizionale con una difficoltà crescente, Phoebe Chillax che, come suggerisce il nome, è adatta a una partita più rilassata e concentrata sul building puro, e Randy Random, un vero e proprio anarchico capace di farci soffrire già nell’early game anche alle difficoltà più basse!
La meccanica dei narratori è uno dei punti di forza del titolo, regalando al giocatore una rigiocabilità davvero ampia, soprattutto se consideriamo che RimWorld è un titolo molto aperto alle mod di ogni tipo. Non ci sorprenderà vedere scenari pesantemente story-driven, come quelli ispirati a H.P. Lovecraft (dove troveremo il solitario di Providence come narratore) o al Signore degli Anelli, con protagonista J.R.R. Tolkien.
Dopo aver deciso l’ampiezza del nostro mondo, quest’ultimo generato da un seed casuale, sistema visto in giochi come Minecraft, e aver deciso il nostro bioma desiderato (si va dal deserto fino alla lastra di ghiaccio senza alcuna forma di vita), oltre alla nostra scelta di personaggi, rigorosamente casuali e ognuno con i vari pregi e difetti, sia fisici che mentali, si inizia finalmente a giocare!

In base allo scenario scelto, e soprattutto al bioma, si comincerà ad agire di conseguenza: sarà fondamentale raccogliere della legna o materiali analoghi sparsi per la mappa (e ce ne sono) per poter creare un rifugio, dei letti e soprattutto un armamentario di tutto punto. Quest’ultimo punto ricopre un ruolo fondamentale in RimWorld: che si parli di armi da melee come mazze o coltelli, oppure armi a lunga gittata come archi o pistole di ogni tipo (e la dotazione armamentaria del gioco è davvero vasta!), sarà importante per i nostri coloni avere qualcosa da usare per cacciare animali o, soprattutto difendersi dai raid di altre comunità. Proprio loro ricoprono un altro punto davvero importante del pianeta, visto che a ogni partita e a ogni generazione del mondo, verranno generate anche delle tribù con tanto di rapporti, siano essi amichevoli, neutrali o, nella maggior parte dei casi, vista la presenza di pirati, negativi. Ogni rapporto è mutevole nel tempo, in base a ogni nostra azione fatta: se attacchiamo una carovana mercantile di una certa tribù dovremo prepararci a subire tutta la loro ira, oppure, se cureremo e libereremo un prigioniero, potremo ottenere un aumento nell’amicizia col gruppo dato.
Descrivere ogni cosa possibile in RimWorld sarebbe veramente difficile, data la mole di contenuti disponibile nel titolo di Ludeon Studios: il sistema di combattimento ricalca quello di Dwarf Fortress, nessun exploit grafico particolare (anzi, lo stile grafico ricorda molto quello di Prison Architect), ma una libertà testuale letteralmente infinita. Potremo leggere per filo e per segno i colpi fatali messi a segno dal nostro tiratore scelto ai danni di un tacchino da cacciare, oppure di una cicatrice all’orecchio causata dal crollo di un tetto. Tutto è possibile!
E l’obiettivo finale? Pur potendo scegliere di poter affrontare una partita in modalità sandbox, il nostro destino è quello di riuscire ad arrivare all’astronave capace di farci tornare a casa. E se è dall’altra parte del mondo, come di solito succede? Nessun problema: possiamo fare tutto da soli, sfruttando i materiali e passando notti insonne al tavolo di ricerca, scoprendo nuove tecnologie per sbloccare oggetti più avanzati e migliorare il nostro tenore di vita.

Tirando le somme, dopo anni di lavoro e una lunga fase early access, finalmente RimWorld arriva tra noi in forma completa, facendo centro sotto ogni aspetto. Grafica e colonna sonora risultano semplici ma molto efficaci, e ben si sposano con il mood sci-fi misto western che abbiamo visto in serie televisive come Firefly oppure Westworld. Il gameplay è uno dei punti di forza, una vera evoluzione di Dwarf Fortress, che, grazie al motore grafico, tira fuori tutti i suoi punti di forza, con sessioni lunghe e che vi costringeranno a pronunciare la sempiterna frase “altri cinque minuti e poi stacco”. Il mostruoso supporto alle mod, poi, dona una longevità davvero impressionante al titolo tra miglioramenti delle meccaniche di gioco e scenari narrativi unici.
Se per anni il titolo di Bay 12 Games ha rappresentato un vero e proprio baluardo del colony sim roguelike, ora è arrivato il passaggio di consegne: RimWorld è l’evoluzione di Dwarf Fortress, ed è il momento che i fan del genere attendevano da almeno dieci anni.

 




L’ascesa femminile nel mondo del gaming

Con il passare degli anni, sempre più ragazze e donne cominciano ad avvicinarsi al mondo del gaming e, inoltre, moltissime di loro sono accanite spettatrici di esport.
Recentemente, la società britannica The Insights People, ha eseguito 5,000 interviste su soggetti femminili con età inferiore ai 18 anni fra i mesi di Luglio e Settembre. Secondo i risultati molte ragazze sono più interessate a determinati fattori dei videogiochi che ad altri; infatti, rispetto al 75% registrato nello scorso anno, la percentuale di ragazze che passano il loro tempo libero giocando è arrivato addirittura a una soglia dell’84%. Secondo i dati raccolti il 15% di queste ragazze guarda gli e-sport, e, soprattutto, ci sono più ragazze tra i 13-18 anni che guardano queste partite dal vivo rispetto ai ragazzi della stessa età.
Infine, i videogiochi sono riusciti a superare lo shopping arrivando ottavi nella classifica degli hobby preferiti dalle ragazze. Sfortunatamente però, quelle che giocano a livello competitivo è infimo. Vedremo mai una parità di genere all’interno dei vari team e-sport?




Top 5: Novembre 2018

La fine di questo 2018 videoludico è ormai vicina e il mese di Novembre ci ha regalato alcuni dei titoli più importanti di tutta l’annata. Andiamo a vedere quali.

#5 Fallout 76

Il titolo Bethesda era uno dei più attesi dell’anno: dopo la pubblicazione di The Elder Scrolls Online gli sviluppatori americani si lanciano nel loro primo MMORPG, un prequel narrativo ambientato nel 2102, venticinque anni dopo la guerra nucleare che ha devastato il mondo. Noi impersoneremo un abitante del Vault 76 atto a riconolonizzare il territorio. Attualmente il titolo soffre di qualche problema con i server e probabilmente ingranerà dopo qualche patch correttiva e un po’ di mesi di rodaggio, quindi è da considerare come un investimento a lungo termine.

#4 Football Manager 2019

Nuova interazione per l’amata saga manageriale calcistica di Sports Interactive: quest’anno il team ha voluto cambiare faccia, con una nuova interfaccia grafica e una rinnovata attenzione sul lato tecnico-tattico. Mai come quest’anno sarà fondamentale trovare il giusto assetto e progettare bene la sessione di allenamenti, facendo attenzione a non strafare ed evitare di esser falcidiati dagli infortuni, esattamente come nella realtà. Probabilmente uno dei migliori capitoli della serie, ottimo anche per chi non ne ha mai giocato uno e vorrebbe iniziare ad emulare le gesta di Allegri, Guardiola o Mourinho.

#3 Battlefield V

Il nuovo capitolo del popolare sparatutto di casa DICE fa buon uso delle critiche arrivate nel periodo della beta, regalandoci uno dei migliori titoli della saga: abbandonato il periodo della Prima Guerra Mondiale di Battlefield 1 si ritorna sui campi da battaglia della Seconda Guerra Mondiale, prendendo i punti di forza del predecessore e ampliandoli in un gameplay frenetico e fluido. Battlefield V è anche uno dei primi titoli che sfrutta appieno le potenzialità della serie di schede grafiche RTX di Nvidia con la tecnologia ray tracing, capace di avvicinarci sempre di più al fotorealismo. Manca ancora l’attesa modalità battle royale in arrivo a breve, ma al momento il titolo pubblicato da Electronic Arts ha fatto centro.

#2 Darksiders III

Terzo attesissimo capitolo della saga di Darksiders, il primo dopo il fallimento di THQ e il passaggio a THQ Nordic: questa volta vestiremo i panni di Furia, uno dei quattro cavalieri dell’Apocalisse, atta a distruggere le impersonificazioni dei sette vizi capitali.
Pur mantenendo l’aspetto action-adventure con elementi RPG dei predecessori, Darksiders III aggiunge degli elementi hack and slash e soulslike al mix, rendendo il titolo sviluppato da Gunfire Games un gradito ritorno.

#1 Red Dead Redemption II

Il titolo di Rockstar Games era uno dei più attesi dell’anno e non ha deluso le aspettative: Red Dead Redemption II ci riporta negli impolverati sentieri del Far West, dove impersoneremo Arthur Morgan, leader di una banda di fuorilegge che dovremo gestire e dirigere come ogni buon capo che si rispetti. Ogni nostra mossa avrà un impatto sulle cittadine e sugli NPC che incontreremo lungo l’avventura, siano essi nella storia principale che durante le fasi di free roaming, e sotto questo punto di vista il lavoro di Rockstar è enorme: la già grande base del precedente capitolo viene ampliata a dismisura, restituendo al giocatore un titolo open world vivo e capace di evolversi come poche volte si è visto nella storia dei videogiochi, rendendo Red Dead Redemption II non solo uno dei migliori titoli del 2018, ma probabilmente uno dei migliori degli ultimi anni.




Mars or Die

Negli ultimi anni l’Italia ha dimostrato una sempre più grande valenza nel mercato delle produzioni videoludiche, con realtà diverse che giorno dopo giorno pongono il nostro paese all’interno dell’entertainment system. Un esempio su tutti è la milanese Milestone, che da venti anni continua la produzione di giochi di corse su console e PC, diventando velocemente il metro di paragone per qualsiasi team di sviluppo nel nostro paese. Tra alti e bassi, la produzione italiana ha recuperato terreno soprattutto nel mercato degli indie, dove chi riesce a rimanere a galla con budget esigui massimizzando i profitti per quanto possibile, ha la possibilità di far esprimere a ai creativi emergenti le proprie idee in completa autonomia, senza (o quasi) la pressione dei publisher.

34Bigthings è una giovane casa di sviluppo torinese, che si è fatta notare per i due capitoli di Redout, gioco di corse futuristico alla maniera del più blasonato Wipeout. Uscito su tutte le maggiori piattaforme e PC, il gioco ha dimostrato l’abilità del team nell’utilizzare il versatile motore grafico Unreal Engine 4 creando di fatto un prodotto che non ha nulla da invidiare alla concorrenza, sia in termini tecnici che strutturali, ottenendo un discreto successo.

Il team però non si è adagiato sugli allori e, archiviato il secondo capitolo della serie futuristica, ha intrapreso la via per un nuovo progetto: il nostro Mars or die.

Vincere e vinceremo… o forse no?

Le premesse di Mars or die sono simpatiche e originali: un gruppo alieni umanoidi, di chiara ispirazione alla iconografia del Ventennio Fascista, decide che è giunto il tempo di una impellente espansione coloniale. L’obiettivo è quello di occupare il pianeta Marte, rosso e bolscevico, eliminando i suoi abitanti. Purtroppo la missione non si rivela lineare come prospettato e le complicazioni giungono molto presto.

Il plot è molto semplice e diretto, in poco tempo ci ritroveremo a controllare uno dei due camerati disponibili nel gioco, ognuno con le proprie skill e caratteristiche peculiari: il primo in grado di difendersi (e attaccare) grazie ad uno scudo laser che si attiverà tramite il nostro comando, il secondo ha in dotazione una piccola pistola a raggi utile per farsi strada nel inospitale pianeta rosso. Più avanti nel gioco avremo la possibilità di controllare entrambi i PG  simultaneamente e in questo senso il gioco ci spinge a utilizzare le loro proprietà in maniera strategica in base alla situazione.

Il gameplay presenta una struttura come il più classico degli RTS, ma gli sviluppatori hanno pensato di implementare meccaniche da tower defense provando a conferire dinamismo alle sessioni di gioco. Sarete chiamati a raccogliere minerali utili ad ampliare le tecnologie indispensabili per la sopravvivenza su Marte; si comincia dagli estrattori per finire al centro di ricerca in grado di creare upgrade per le vostre difese. Tutte le strutture necessitano un costo in energia solare che potrete ricaricare tramite appositi pannelli solari. Mano a mano che le vostre risorse aumentano e l’esplorazione della mappa progredisce, sarete in grado di resistere alle orde di alieni marziani pronti ad annientare qualsiasi traccia della vostra esistenza. In tutto questo gli sviluppatori hanno inserito un fattore indispensabile per il vostro proseguimento: la riserva di ossigeno. L’aria su Marte è irrespirabile e le vostre riserve sono molto limitate, sarete quindi costretti a costruire generatori di ossigeno lungo il vostro percorso, creando un senso di ansia non da poco. Il gioco quindi possiede due cuori perfettamente distinguibili: una prima parte di esplorazione e raccolta risorse, una seconda parte di difesa e resistenza agli attacchi nemici.

La campagna conta 9 differenti missioni (che creano a sua volta un grande tutorial), concluse queste sarete liberi di conquistare Marte attraverso la modalità Conquista infinita dove l’unico limite di tempo è stabilito dalla vostra capacità di sopravvivenza.

Rosso pianeta bolscevico e traditor

Sul piano tecnico i ragazzi di 34Bigthings riescono a gestire egregiamente il motore grafico creando un gioco piacevole da vedere. Stilisticamente si difende bene; i personaggi che abitano l’universo di Mars or Die sono simpatici e caratterizzati perfettamente prendendo in giro gli aspetti più kitsch dell’estetica fascista. L’Unreal Engine viene sfruttato egregiamente, le texture dei paesaggi e dei modelli poligonali sono ben definite e si ha una buona impressione di pulizia visiva su schermo. Durante le sessioni di gioco non si sono riscontrati cali di frame, anche grazie al fatto che non è presente una eccessiva mole poligonale durante le run. Ma non tutto è stato sfruttato a dovere: se da un lato abbiamo una buona modellazione dei personaggi e dei nemici, dall’altro vediamo ambientazioni prive di qualsiasi possibilità di interazione, spogli e senza idee. La monotonia affligge pesantemente gli scenari di gioco e nel giro di quindici minuti avrete visto tutto ciò che è in grado di offrirvi. Anche la scarsa varietà nella tipologia dei nemici tende a portare tutto alla noia. Per quanto riguarda l’audio, tutto è nella media, con poche musiche (orecchiabili e nulla più) ed effetti sonori che rimangono nei dintorni della sufficienza.
La localizzazione è buona e gli sviluppatori hanno simpaticamente scimmiottato i messaggi propagandistici del regime, concedendo ai personaggi un tocco di personalità utile a creare un’atmosfera ironica e goliardica.

In conclusione, il gioco è tutto qui. Nove missioni tutorial e una campagna infinita costituiscono la sostanza del prodotto di 34bigthings, onestamente troppo poco per gli standard di oggi. Al prezzo in cui viene proposto non rappresenta di certo un’offerta allettante e le speranze che contenuti aggiunti vengano rilasciati tramite patch sono remote. Allo stato attuale Mars or Die rappresenta il primo passo falso per una software house che fino a ora ha avuto qualcosa di interessante da dire, ma che con quest’ultimo lavoro non ha svolto sufficientemente i compiti a casa.




Fire Pro Wrestling World

Sono passati ben ventinove anni dal primo Fire Pro Wrestling, uscito ai tempi sul PC Engine di NEC. La serie si è sempre contraddistinta per due fattori: la grafica in 2D isometrico e la minuziosa simulazione del cosiddetto puroresu, il pro wrestling giapponese, emulato in un gameplay frenetico e coinvolgente. Una sfilza di giochi pubblicati per moltissime console, da Super Nintendo (Fire Pro Wrestling Special è celebre non solo per il finale scioccante, ma anche per essere il primo gioco che ha lanciato la stella di Goichi “Suda51” Suda) a PlayStation 2, teatro dell’ultimo gioco della saga, quel Fire Pro Wrestling Returns che ha appassionato fan del wrestling giapponese (e non solo) per dodici lunghi anni. Ma la pausa è terminata lo scorso anno, per i possessori PC, con l’attesissima uscita di Fire Pro Wrestling World, uscito anche lo scorso 28 settembre in Europa (e qualche mese prima anche in terra natia e in America) per PlayStation 4. Ma bando alle ciance, lanciamoci sul ring!

Lariatto!

FPWW (d’ora in poi useremo il suo acronimo) offre da subito un approccio diretto: il menù mostra le varie modalità offline, i match online e la sezione edit, quest’ultima vero fulcro del titolo, ma andiamo con ordine. Si parte dalla exihibition mode, dove si potranno creare dei match singoli (da un minimo di due a un massimo di otto wrestler sul ring) o di coppia (dal classico due contro due al quattro contro quattro) con una pletora di regole personalizzabili, oltre alla scelta dell’arena, che ricalca i vari palcoscenici del mondo del wrestling, dal simil-Tokyo Dome giapponese, alla classica arena indoor americana degli show WWE, fino al palazzetto messicano che richiama promotion come AAA e CMLL. Le combinazioni di regole e arene,  ma anche arbitri (ognuno di essi diverso dagli altri sia per aspetto che, soprattutto, intelligenza artificiale!) da scegliere sono praticamente infinite, e già questa sola modalità offre scenari diversi match dopo match, impreziosite, da un indice di valutazione dell’incontro in percentuale che richiama il celebre (almeno per gli appassionati) metro di valutazione del giornalista wrestlingistico Dave Meltzer, seppur in percentuale e non con le sue famose stelle. Il classico canovaccio del match uno contro uno viene variato con le varie stipulazioni, come il Cage Deathmatch, dove lotteremo dentro una gabbia, l’Exploding Darbed Wire Deathmatch, dove le corde del ring verranno sostituite da filo spinato esplosivo, il Landmine Deathmatch, con tappetini di filo spinato esplosivo fuori dal ring, lo SWA Rules, cardine della serie dove l’incontro sarà diviso in round, in un ibrido tra wrestling e boxe, e le due varianti “marzialistiche”, l’S-1 Rules, che richiamerà le regole del kickboxing, e il Gruesome Fighting, dove si lotterà in un ottagono (pardon, dodecagono) simile a quello che si vede in UFC. Non sono presenti stipulazioni più “americane” come il Ladder match o il Tables match, visto che Fire Pro Wrestling World, così come tutti gli altri giochi della serie, attinge a piene mani dal wrestling di stampo nipponico.
Le altre quattro modalità che completano l’offline mode sono il Tournament, dove potremo creare un torneo a eliminazione diretta da un minimo di quattro a un massimo di trentadue partecipanti (simile a tornei come il passato King of the Ring della WWE o l’attuale New Japan Cup della NJPW), la League, torneo questa volta “all’italiana”, una sorta di mini-campionato che ricalca eventi realmente esistenti come il G1 Climax della NJPW o il Champions Carnival della AJPW, la Battle Royale, che richiama l’omonima stipulazione di match (e, nella versione time, la Royal Rumble della WWE) e infine la Mission Mode, quest’ultima consigliatissima soprattutto ai neofiti della serie, non solo per la presenza di cinque tutorial, ma perché permette di imparare al meglio la meccanica del timing, molto diversa dai classici giochi di wrestling “occidentali”, con una serie di quest da compiere.

Se possiamo liquidare brevemente la modalità online, visto che non è altro che un semplice luogo dove sfidare i propri amici in vari match, saltiamo subito alla modalità Edit, visto che gran parte della bellezza di FPWW risiede proprio in questa: qui potremo creare i nostri alter ego usando un editor che all’apparenza può sembrare semplice, essendo i personaggi in 2D isometrico, ma che in realtà nasconde una profondità mostruosa per il genere. Aspetto, skill, mentalità e soprattutto moveset (con più di 3000 mosse, costantemente aggiornate patch dopo patch!) disponibili per creare il lottatore dei vostri sogni. Si ha anche la possibilità di creare dei ring, oltre agli arbitri e alle cinture, e se non si ha tempo e voglia di perdere ore nell’immenso editor basta andare su Steam Workshop (o su un sito simile, per la versione PlayStation 4) per poter scaricare migliaia di oggetti e poter creare la vostra promotion dei sogni, oppure ricreare, in tutto e per tutto, il mondo del wrestling attuale con le varie federazioni di tutto il globo!
La grande forza di FPWW risiede proprio nella community, che ha abbracciato il titolo facendolo diventare una sorta di Mugen in salsa wrestling: infatti, tra un John Cena o un AJ Styles non è strano trovare un personaggio dei fumetti, dei manga o della cultura popolare. Tutto è possibile in questo titolo, e la forza dipende anche dal suo roster letteralmente infinito,  perché sì, in Fire Pro Wrestling World non dobbiamo preoccuparci di slot per i wrestler creati, visto che l’unico limite è rappresentato dallo spazio del nostro hard disk. E considerando che gli edit pesano solamente pochi kilobytes, non è impossibile arrivare ad avere un roster con migliaia di wrestler o altri personaggi, arrivando così a ottenere quello che è il gioco di wrestling più completo della storia.

Rainmaker pose

Incluso nella versione PlayStation 4, e disponibile separatamente in DLC per la versione PC, vi è anche uno story mode con i personaggi della New Japan Pro Wrestling: in questa modalità, narrata sotto forma di finestre di dialogo molto simili a una visual novel, impersoneremo uno studente del dojo NJPW atto a scalare i ranghi della federazione giapponese per poi unirsi a una delle stable (ovvero i gruppi) presenti nel gioco, come il Bullet Club capeggiato dall’attuale campione IWGP Kenny Omega, il selvaggio Suzuki Gun della leggenda del PANCRASE Minoru Suzuki, il CHAOS di Kazuchika Okada o i Los Ingobernables de Japon del carismatico leader Tetsuya Naito (apparso anche nel recente Yakuza 6 di Sega). Un buon passatempo che aggiunge pepe alla già vasta longevità del titolo, e che prepara il terreno per la prossima aggiunta, la Fire promoter mode, a tema manageriale, in arrivo a breve sotto forma di DLC. Una modalità attesissima non solo da chi segue la serie, ma soprattutto, dai fan della GM Mode di WWE Smackdown vs. Raw 2006, che richiedono a gran voce qualcosa di simile da anni e anni.

Insomma, Fire Pro Wrestling World è il ritorno della serie che ogni fan di wrestling attendeva da tempo. Chi chiedeva un seguito “aggiornato” di Fire Pro Wrestling Returns è stato accontentato, visto che si ha la stessa struttura del titolo uscito nel 2006 su PlayStation 2, ma con molte migliorie che rendono il gioco adattato agli standard odierni. Può spiazzare i neofiti e chi ha giocato per anni e anni ai giochi WWE, vista la particolare grafica in 2D isometrico, che magari risulta obsoleta  per i tempi attuali, ma lavorando con un budget inferiore rispetto ai giochi della 2K, il lavoro fatto da Spike Chunsoft assume connotati incredibili, soprattutto per i fan della disciplina più sfegatati e aperti ad altre realtà mondiali che vanno ben oltre allo sport-spettacolo offerto dalla compagnia di Vince McMahon. Se poi aggiungiamo che su PC vi è anche una vasta scelta di mod che ampliano a dismisura le possibilità nascoste del gioco, cos’altro abbiamo da dire se non che il re è tornato, e in pompa magna.




Top 10 giochi NES sottovalutati

Il Nintendo Entertainment System è una console che di certo non ha bisogno di introduzioni: piena di classici che hanno dettato un’infinità di standard per le generazioni a venire. Basti pensare a Super Mario Bros. per i  platform, The Legend of Zelda e Metroid per i giochi d’avventura, Final Fantasy e Dragon Quest per gli RPG, Gradius per gli shoot ‘em up, e poi ancora Mega Man, Castlevania, Contra, Bionic Commando, la lista potrebbe non finire mai. Questi sono indubbiamente giochi che ogni appassionato conosce (o dovrebbe conoscere) ma come accade per ogni generazione ci sono molti altri titoli, davvero al pari dei classici, che semplicemente non spiccano perché possibilmente la data di uscita ha coinciso con qualche altro gioco più grande o, semplicemente, non ha ricevuto l’attenzione delle riviste e soprattutto dei fan. Oggi su Dusty Rooms faremo qualcosa di insolito, un tipo di articolo sicuramente inflazionato ma comunque intriso, soprattutto, della nostra personalissima esperienza come giocatori: una bella Top 10 dei giochi più sottovalutati della libreria del NES. Vi faremo una breve introduzione, vi diremo quali sono le feature più interessanti e anche qual è il miglior metodo per giocarci al giorno d’oggi. La lista includerà anche import di cui siamo certi esistano traduzioni sul web da poter patchare con le rom. Se ci dimentichiamo di qualche titolo fatecelo sapere – educatamente – nei commenti qua sotto.

10. Nightmare on Elm Street

Uno, due, tre, Freddy™ viene da te… Ebbene sì, con l’avvento di internet questo gioco è diventato molto impopolare, specialmente per l’associazione con LJN, il cui marchio, se appare nella title screen, è sinonimo di gioco programmato coi piedi. Tuttavia in molti su internet hanno dimostrato che i loro giochi non sono tutti da buttare e questo non solo è uno dei più interessanti ma e anche uno dei più avvincenti, sebbene non c’è un briciolo di violenza che ha resto la saga famosa sul grande schermo. Il gameplay ha uno strano meccanismo di “dream world/awake world” e una progressione poco dinamica, non intuibile a primo acchito, ma una volta fatto il callo con queste particolarità Nightmare on Elm Street presenta un gameplay abbastanza piacevole: ci sono dei degli stage in cui bisogna collezionare una serie di ossa appartenenti al defunto Freddy Krueger, nel dream world è possibile raccogliere delle carte che permettono al giocatore di diventare un atleta o un mago e i buoni controlli permettono una fruizione di tutto rispetto. Tuttavia, la più bella feature di questo gioco è sicuramente il multiplayer fino a quattro giocatori in contemporanea grazie al NES Four Score; un po’ come in Nightmare on Elm Street 3: Dream Warriors, tutti uniti per sconfiggere Freddy Krueger! Non credete alle baggianate del web, questo titolo merita molto di più.

9. Street Fighter 2010: The Final Fight

Il 2010 è passato e sicuramente non abbiamo visto l’invasione da parte di demoni scorpioni, alieni mutanti a forma di ombrello e occhi intrappolati in capsule di vetro un po’ dappertutto… Se qualcuno di voi sta ancora pensando che questo titolo non ha nulla a che fare con la celeberrima serie picchiaduro Capcom vi sbagliate di grosso; questo è l’ultimo titolo della saga prima che esplodesse con Street Fighter II! La storia vede Ken, in questo titolo uno strano tamarro spaziale, 25 anni dopo il primo torneo di Street Fighter; diventato uno scienziato, il noto combattente dal gi rosso crea il cyboplasma (sarà probabilmente come un ectoplasma con un po’ di “cybo” dentro) insieme al suo nuovo amico e assistente Troy. In seguito Troy viene ucciso e il cyboplasma, che una sostanza in grado di dare alle creature viventi una forza sovrannaturale, viene rubato; ci metteremo dunque sulle tracce dell’assassino del nostro assistente per vendicare la sua morte e recuperare i pezzi della nostra creazione per evitare che finiscano nelle mani sbagliate. Questo titolo è blasonato in primo luogo per i suoi controlli poco intuitivi e per il fatto che non ha nulla a che vedere con Street Fighter (né con Final Fight, visto che è citato nel titolo) ma per quanti difetti possa avere e difficile prendere familiarità coi controlli (vi consigliamo appunto di giocarlo con un controller con tasti turbo), Street Fighter 2010 offre un livello di sfida tosto al punto giusto e un gameplay di tutto rispetto. Le atmosfere sono veramente splendide – oseremo dire un mix fra Salvador Dalí e H.R. Giger – e può regalare delle sane ore di gameplay, specialmente se lo togliamo dal contesto Street Fighter. Indubbiamente da provare, anche se non faremo Shoryuken attraverso lo spazio e il tempo, non faremo la mezzaluna di Guile sulla luna e non romperemo asteroidi con le testate di Honda: al diavolo Street Fighter V, viva Street Fighter 2010!

8. Splatterhouse: Wanpaku Graffiti (Famicom)

La gente conosce la saga di Splatterhouse per la sua violenza e la sua vicinanza con la serie horror Venerdì 13 ma questo spin-off viene spesso trascurato in favore dei più grandi titoli principali. Wanpaku Graffiti (che in giapponese significa graffiti monelli) ha un approccio meno serio rispetto alla saga, infatti Rick, il famoso protagonista che sfoggia la maschera del terrore (che è una scopiazzatura della famosissima maschera da hockey di Jason), la fidanzata Jennifer, i mostri e i boss vengono presentati con uno stile chibi/super deformed, tutt’altro che horror. Il gameplay è molto simile a quello di Splatterhouse ma molto più semplificato e veloce, adatto a coloro che non vogliono una sfida troppo impegnativa, veramente una gemma che merita di essere riscoperta. Il gioco, nonostante sia uscito esclusivamente per Famicom, non presenta linee di dialogo in giapponese, né i prezzi su eBay non sono terribilmente proibitivi; ricordiamo inoltre che esistono anche delle reproduction cartridge che girano anche su i NES americani e europei.

7. Lagrange Point (Famicom)

Non è un RPG di Squaresoft, né di Enix e neppure di Sega, bensì un’avventura futuristica, ispirata primariamente alla saga di Phantasy Star, targata Konami. È un titolo molto raro e dispendioso ma è un titolo che merita di essere giocato e soprattutto ascoltato visto che è l’unica cartuccia del Famicom che monta l’impressionante chip sonoro VRC7, in grado di dare a questo gioco la sintesi FM, dandogli delle sonorità al pari del Sega Mega Drive. In quanto avventura RPG non porta grandi innovazioni, è un’avventura molto classica ma è spesso un titolo dimenticato nonostante le sue molte particolarità, soprattutto sul piano tecnico e sonoro (basta guardare la deforme cartuccia originale). Lagrange Point può sembrare un titolo proibitivo visto il prezzo, generalmente alto e il fatto che l’aspetto testuale del gioco, che in un RPG fa da padrone, è interamente in giapponese; per questi motivi è meglio trovare il gioco in rete e scaricare la patch da applicare alla rom. Non ve ne pentirete!

6. Journey to Silius

Questo titolo Sunsoft ha una storia molto affascinante: inizialmente questa compagnia era riuscita a ottenere i diritti per produrre un videogioco tratto dal film Terminator ma quando gli studio cominciarono a lavorare su Terminator 2 questi furono ritirati per far sì che un’altra compagnia potesse farne un gioco appena dopo l’uscita al cinema. Sunsoft decise tuttavia non staccare la spina all’intero progetto e così salvò il tutto producendo una nuova IP da zero. Nonostante la cancellazione del progetto originale è ancora possibile notare ciò che rimane del progetto originale: il primo livello ricorda esattamente il mondo post-apocalittico dalla quale il Terminator è venuto e il design delle armi, visibili nel menù di pausa, somigliano a quelle impugnate da “Schwartzy”. Licenza o no, questo gioco è una vera bomba: tanti livelli avvincenti, ottimi controlli, una moltitudine di armi per un gameplay molto vario e una colonna sonora spettacolare! Journey to Silius offre una sfida eccezionale, anche se non adatta proprio a tutti per via della sua spiccata difficoltà. Sfortunatamente recuperare questo titolo su NES è molto dispendioso, così come la collection su intitolata Memorial Series: Sunsoft Vol. 5 su PlayStation in cui è presente. Speriamo che appaia presto in streaming su Nintendo Switch, altrimenti… Sapete cosa fare!

5. Cobra Triangle

A che serve una storia quando hai un motoscafo che va a 90Mph, che monta mitragliatori, missili e può persino spiccare il volo grazie a una minuscola elica? Concepito col motore grafico di R.C. Pro-Am, Cobra Triangle è un gioco Rare che mischia principalmente corsa e combattimenti veicolari ma gli obiettivi cambiano in ogni stage: oltre al semplice “arriva al traguardo” avremo stage in cui dovremo disarmare delle mine, proteggere civili, saltare cascate in corsa col nostro motoscafo e persino affrontare delle creature marine giganti (entrambe cose che fanno pensare che all’interno di quel motoscafo ci sia Chuck Norris), il tutto accompagnato dalle magiche composizioni di David Wise, noto soprattutto per aver composto la colonna sonora di Donkey Kong Country. Ai tempi il gioco fu abbastanza popolare ma probabilmente, per via della sua elevata difficoltà (e anche per il fatto che R.C. Pro-Am era molto più accessibile), Cobra Triangle non diventò un titolo molto discusso. Anche se non ha mai avuto un vero cult following, vi è possibile giocarlo nella collection Rare Replay su Xbox One uscita nel 2015. Un gioco per i veri duri!

4. Ducktales 2 e Chip ‘n Dale 2

Entrambi sono i sequel, rispettivamente, di Ducktales e Chip ‘n Dale (in Italia Chip & Ciop: agenti speciali) e anche se rispettivamente ai loro primi capitoli sono un po’ inferiori ciò non toglie che rimangono giochi veramente eccezionali e sopra la media. Non ci sono grosse innovazioni sul piano tecnico ma il level design e il livello di sfida sono al pari dei vecchi giochi; al giorno d’oggi avremmo considerarli come DLC dei giochi precedenti. La critica, ai tempi, espresse ancora una volta dei pareri unanimemente positivi ma essendo usciti fra il 1993 e il 1994 purtroppo non attrassero l’attenzione dei giocatori che ormai erano passati definitivamente alle macchine 16bit; di conseguenza, essendo usciti così tardi, furono prodotte pochissime copie di entrambi i giochi e ciò si traduce, al giorno d’oggi, in prezzi obbrobriosi su eBay. Fortunatamente per noi, così come per Cobra Triangle, questi due giochi sono stati aggiunti in una collection recentissima, ovvero The Disney Afternoon Collection per PC, PlayStation 4 e Xbox One, che include, oltre a Ducktales 2 e Chip ‘n Dale 2, i rispettivi (e superiori) prequel, TaleSpin e…

3 Darkwing Duck

Recentemente riscoperto, questo titolo ha vissuto per anni nell’ombra generata da altri titoli simili, soprattutto Mega Man e i restanti giochi Disney prodotti da Capcom sul NES. Nonostante il termine di paragone, possiamo dire che ha comunque ben poco da spartire con i giochi appena citati e che Darkwing duck si pone come un gioco a sé. Come in Mega Man possiamo selezionare i primi sei stage iniziali, abbiamo un assortimento di armi “a consumo”, ma diversamente dal robottino blu Darkwing Duck può parare alcuni colpi nemici col suo mantello e può aggrapparsi ad alcune piattaforme da sotto (così come può smontare dalle stesse premendo salto e giù contemporaneamente) e ciò sarà una componente fondamentale negli stage del gioco; in aggiunta a un level design veramente eccellente, questo titolo riesce a consegnare delle sanissime ore di gaming grazie a semplicissime meccaniche, tanto classiche quanto avvincenti. Così come per Ducktales 2 e Chip ‘n Dale 2, Darkwing Duck è presente in The Disney Afternoon Collection, perciò potrete godervi questo titolo con pochissimo e in un media recente in definizione HD.

2. Getsu Fūma Den (Famicom)

Questo gioco fu la risposta di Konami a Genpei Toumaden, un gioco Namco ispirato alla storia del primo Shogunato del Giappone. Come la controparte, questo gioco estrae elementi di trama direttamente dall’era Sengoku, una particolare fase della storia Giapponese; al centro della trama c’è Getsu Fūma, il più giovane ninja del clan dei Fūma (ordine esistito realmente), che parte alla volta delle isole demoniache per vendicare i suoi tre fratelli caduti in battaglia, recuperare le loro spade (chiamate Hadouken) e sconfiggere Ryūkotsuki, il demone responsabile della morte dei suoi compagni. Come in Zelda II: the Adventure of Link, ci ritroveremo in una schermata di overworld molto simile e lì possiamo visitare le tende, in cui potremo trovare mercanti o oracoli che ci daranno dei consigli sul dove andare, o attraversare i torii, le famose strutture a forma di portale giapponesi; lì partirà l’azione vera e propria e dovremo pertanto affrontare un breve stage ma irto di nemici e ostacoli di vario tipo. Durante le fasi in 2D possiamo avere l’opportunità di usare qualche oggetto per sfollare le schermate più caotiche, raccogliere un po’ di oro lasciato da i nemici e accumulare punti attacco e difesa per far crescere dinamicamente il nostro personaggio, esattamente come in un gioco RPG. Gradualmente, torii dopo torii, arriveremo a uno dei nostri veri obiettivi, ovvero uno dei tre dungeon sparsi nell’isola: qui, dopo aver avuto modo di provare l’intensa azione 2D, avremo modo di vedere il gioco letteralmente da un’altra prospettiva, alle spalle di Getsu Fūma in un buio labirinto in 3D. Vale a ricordare che, di questi labirinti, non c’è una mappa in game ma, così come per molti altri titoli dell’epoca, è consigliabile munirsi di carta e penna e cominciare ad abbozzare una mappa da noi (orientandoci con la bussola da comprare in un negozio prima di entrare) – che dire? Giochi di altri tempi! –. Il gameplay si farà apparentemente più calmo, ma questa sarà solo una falsa impressione in quanto troveremo, in questa modalità, altri nuovi nemici da affrontare da questa prospettiva 3D, e stavolta ci toccherà usare un po’ più di ingegno. Purtroppo questo titolo, probabilmente per via del gap culturale, non superò mai le sponde del Giappone, nemmeno coi servizi Virtual Console di Wii, Wii U e 3DS per i quali uscì, e Getsu Fūma Den rimane a oggi un fenomeno esclusivamente giapponese, quando in realtà il gameplay soddisfa appieno anche i gusti occidentali. Fortunatamente per noi, la hack scene è venuta incontro ai giocatori di tutto il mondo e da tempo esiste dunque una rom tradotta che permette dunque a noi demoni occidentali di provare questo gioco veramente spettacolare. Da non perdere per nessun motivo!

1. Metal Storm

Questo titolo non è soltanto un gioco veramente divertente ma è anche uno dei giochi più fini della libreria del NES. A tratti, questo gioco Irem, famosi principalmente per R-Type, può ricordare Mega Man per la sua natura che mischia run ‘n gun, platform e avventura, ma Metal Storm si differenzia per due fattori principali: il primo è che il nostro mecha esplode con un solo colpo avversario e il secondo, ed è ciò che rende questo gioco veramente unico, è la gravità che cambia quando premeremo su/giu e salto. Insieme a delle animazioni fluidissime, splendide per una macchina 8 bit, una grafica molto dettagliata e una colonna sonora spettacolare, Metal Storm ha un gameplay difficile ma adatto a tutti, dai principianti ai più navigati (che potranno trovare del vero pane per i loro denti una volta terminata la prima run e avviato la seconda per esperti) e un level design curato in ogni dettaglio e che include anche dei livelli giroscopici. Questo è un titolo esemplare per la libreria del NES ma purtroppo è molto impopolare, persino fra i più affiatati collezionisti: Metal Storm uscì nel Febbraio 1991, lo stesso anno in cui uscirono i più famosi Battletoads, Tecmo Super Bowl, Double Dragon III, Bart vs the Space Mutant e persino il Super Nintendo, che sarebbe uscito ad Agosto. In tutto questo Irem non ha mai avuto realmente lo stesso peso di altre grandi compagnie come Capcom, Konami o Hal e perciò, nonostante questo titolo fu pubblicizzato in una copertina di Nintendo Power, questo titolo non ha mai raggiunto lo status di classico, forse neppure oggi. Recuperate questo titolo oggi e diamo a Metal Storm il riconoscimento che merita!




The Mooseman

Molto spesso ci si pone la domanda “il videogioco è arte?” e nel corso degli ultimi anni più volte abbiamo visto delle vere e proprie opere in movimento: mi viene da pensare a Braid di Jonathan Blow, oppure a Limbo dei Playdead. È anche il caso di questo The Mooseman, opera prima del team russo Morteshka, e fortemente basato sulla mitologia komi-permiacca dell’omonimo e antico popolo dei monti Urali.

Spirit of the forest

In principio il mondo nacque da un uovo deposto dal dio Yen, che venne suddiviso in tre parti: il Sottoterra, oceanico e popolato dai morti, la Terra di Mezzo (da non confondere con l’omonima e fittizia terra immaginata da J.R.R. Tolkien ne Il Signore degli Anelli), popolata dagli esseri umani, e il Mondo Superiore, luogo degli dei. Noi impersoneremo l’Uomo Alce, un essere metà uomo e metà dio, capace di vedere cose nascoste all’occhio umano. Su questo fattore caratteristico si basa The Mooseman, un’avventura bidimensionale con alcuni elementi puzzle. Quasi un walking simulator, potrebbero dire alcuni, cosa che il titolo degli sviluppatori russi a tratti è, visto che i comandi del giocatore si riducono a pochissimi tasti: la barra spaziatrice per alternare le nostre visioni tra mondo “reale” e magico, le frecce di sinistra e di destra per muoverci, F1 per vedere quali artefatti abbiamo raccolto, oltre alla loro descrizione, e infine F2 per interagire con gli idoli, dei piccoli menhir dotati di occhi che ci narreranno tutta la storia della mitologia Komi.
Il gioco alla fine è questo: un piccolo viaggio della durata di poco meno un’ora, ma con un percorso davvero intenso. Il punto di forza di questo titolo non è tanto nel suo essere un “gioco” con tutte le caratteristiche ludiche implicanti sfida e abilità, vista anche la semplicità degli enigmi, quanto una sorta di installazione artistica interattiva. È difficile non restare ammaliati e impressionati dall’art style, una via di mezzo tra la pittura rupestre dei popoli preistorici e la tecnica del disegno a carboncino. Uno stile artistico che lascia senza fiato e che sopperisce alla mera potenza tecnica con un intelligente uso della palette grafica, oltre che dei tratti usati per gli sfondi e ciò che avviene in primo piano. Parte importante dello stile del titolo russo è il sonoro: il gioco è stato tradotto e narrato nella lingua komi-permiacca e la musica si basa proprio sul retaggio folkloristico del popolo: un miscuglio di ambient e strumenti folk con inserti di cantato joik, molto vicino al lavoro di gruppi della scena odierna musicale come i norvegesi Wardruna o al finlandese Jonne Järvelä, leader dei Korpiklaani. Per quanto riguarda, invece, la parte meramente ludica, il tutto è lasciato a degli enigmi ambientali abbastanza semplici e che al massimo richiederanno pochi tentativi per essere risolti, e alla collezione degli artefatti, quest’ultimi abbastanza nascosti nel mondo di gioco e che, volendo, possono spingerci a rigiocare l’avventura più di una volta nel tentativo di trovarli tutti. Ma in realtà The Mooseman funziona più come viaggio unico. Un viaggio sì breve, ma in realtà carico del potere della mitologia di un popolo che rischia di scomparire, un po’ come i nativi americani. Il titolo dei Morteshka forse stonerebbe nella semplice reclusione negli store videoludici, quando, invece, troverebbe la sua forma più adatta nei musei, essendo un viaggio artistico davvero emozionante. Il videogioco è quindi una forma d’arte? Dopo aver giocato The Mooseman direi ancora una volta proprio di sì.




Flat Heroes

Essere degli eroi al giorno d’oggi è un carico difficile da reggere; richiede una grande forza di spirito e in un certo senso una visione parallela e controtendente al sentire comune. In un periodo dove la maggior parte delle produzioni videoludiche spingono verso la perfezione tecnica e quantità di calcolo sempre più massicce, i ragazzi di Parallel Circles abbracciano la poetica dell’eroe in maniera quanto meno sincera. Forse è da qui che nasce l’esigenza di concepire un gioco come Flat Heroes, abbandonando l’ossessione estetica pomposa senza rinunciare a uno stile asciutto e primordiale che, attraverso una strana alchimia, riaffiora ricordi appartenuti a un tempo passato, quando i sogni dei giocatori venivano cullati da macchine da gioco come l’Atari 2600.

Da grande voglio diventare un cerchio

Alla fine del 1884 un eccentrico scrittore di nome Edwin Abbott descrisse minuziosamente cosa significasse appartenere a un mondo bidimensionale, dove le leggi universali vengono dettate in base al campo cognitivo tipica della dimensione spaziale alla quale si appartiene. In altre parole lo scrittore dichiarava che «noi viviamo secondo quello che percepiamo»; quindi in un ipotetico mondo a due dimensioni dove ogni cosa è piatta (“flat”, nella lingua di Albione), noi saremo il frutto della nostra percezione bidimensionale con ovvie conseguenze sullo stile di vita. La novella in questione è Flatlandia e, come nell’indie dei Parallel Circles tutto è basato su intuizioni geometriche e cromatiche.

Flat Heroes è una bizzarra mescolanza tra puzzle game e platform nel vecchio stile del trial and error, dove sarete chiamati a controllare un piccolo quadrato con l’obiettivo di sopravvivere ai numerosi stage proposti dagli sviluppatori.

Io sono eroe

La modalità single player è suddivisa in campagna classica e modalità eroe, in entrambi i casi il nostro obiettivo è quello di resistere agli innumerevoli attacchi provenienti da altre forme geometriche. Avremo a disposizione la possibilità di poter scattare in qualsiasi direzione attraverso un piccolo dash e di attaccare o difenderci tramite uno scudo dalla durata di pochi attimi. Il nostro quadrato è libero di muoversi in tutte le direzioni, inoltre saremo in grado di scalare le pareti che racchiudono lo spazio di gioco nel tentativo di fuggire dai pericoli creati dagli sviluppatori: proiettili a ricerca automatica, bolle esplosive, raggi laser, frecce direzionali. Ogni nemico ha un suo pattern comportamentale e i Parallel Circles sono abili nel proporre al giocatore situazioni differenti tra uno stage e l’altro. Si gioca a tentativi e a ogni colpo ricevuto ricominceremo dall’inizio fin quando riusciremo a schivare ogni singolo pericolo. Ciascuna modalità è suddivisa in una decina di mondi che comprendono a sua volta 14 livelli base più uno scontro con il boss di turno.
La difficoltà progressiva è in qualche maniera stemperata dalla felice decisione degli sviluppatori di concedere la possibilità di poter passare di livello in qualsiasi momento, evitando l’anacronistica sensazione di frustrazione nel rimanere bloccati e non poter proseguire la partita; starà alla vostra etica da videogiocatore riprendere i livelli saltati e completare al 100%. Tutto dipende dalla vostra abilità con il pad, nel giusto tempismo e nella capacità di prevedere la prossima mossa del nemico. Molto spesso la tecnica di rimanere nascosto dietro una parete in attesa degli eventi si è rivelata inefficace e controproducente; al contrario buttarsi nella mischia e cogliere il momento opportuno per un attacco diretto riesce il più delle volte a risolvere una situazione drastica.

Non contenti dei già numerosi livelli della modalità principale, gli sviluppatori ne hanno inserito altri basati sulla sopravvivenza, dove verranno proposte sfide senza limite di tempo nello scopo di riuscire a stabilire punteggi record raccolti in una classifica online.

Noi siamo eroi

Il bello di essere eroi è anche quello di poter contare sull’aiuto di compagni valorosi, per questo gli sviluppatori non hanno tralasciato nulla al caso: il comparto multiplayer di Flat Heroes è ricco e probabilmente l’approccio migliore per affrontare la sfida lanciata dai Parallalel Circles. Oltre alla possibilità di affrontare la campagna principale con l’aiuto di un amico, il multiplayer si compone di 4 modalità differenti che spaziano dalla classica sopravvivenza, obiettivo, aree e fuggitivo.
Ognuna di esse con le proprie varianti; fino a un massimo di quattro giocatori su schermo contemporaneamente. Niente di rivoluzionario ma che aggiunge altra linfa a un già esaustivo comparto in giocatore singolo.

Poligoni con stile

Per quanto riguarda il comparto tecnico, un plauso va fatto al team di sviluppo che è riuscito a dare personalità e stile a semplici figure geometriche, attraverso una sapiente regia delle animazioni. Il tutto su schermo scorre in maniera fluida e piacevole senza alcun tipo di rallentamento, grazie anche allo stile adottato dagli sviluppatori: minimale e intuitivo, dotato di una simpatica personalità che lo svincola dal pericolo di cadere nell’anonimato. L’accompagnamento sonoro non è da meno con tracce elettroniche orecchiabili e perfettamente in linea con il resto della produzione.

Tirando le fila, si può tranquillamente constatare come Flat Heroes sia consigliabile a tutti quei giocatori che cercano una sfida impegnativa ma mai snervante, un gioco che non lascia nulla alla fortuna ma affida alle mani degli utenti il compito di diventare l’eroe della giornata, guidando verso la salvezza un piccolo quadrato in pericolo. Il prezzo abbordabile di 7,99 € sugli store rende l’occasione ancora più invitante e un giusto tributo al buon lavoro svolto dai Parallel Circles.




Cambiamenti in vista per Rainbow: Six Siege

Ubisoft si prepara a rilasciare sul territorio asiatico Rainbow: Six Siege e, ovviamente, i nuovi territori comportano nuove regole da rispettare. L’azienda ha annunciato cambiamenti estetici al prodotto, pur mantenendo una propria identità visiva, per non impegnare un solo team su due giochi “diversi”; quindi nessuna modifica al gameplay di base ma soltanto la rimozione di teschi, riferimenti sessualmente espliciti o al gioco d’azzardo e la rimozione del sangue dagli ambienti di gioco, in conformità con i regolamenti di alcuni paesi. Alcune icone verranno infine sostituite, come ad esempio quella della mischia, che passa dal pugnale al pugno.