Top 10 giochi NES sottovalutati

Il Nintendo Entertainment System è una console che di certo non ha bisogno di introduzioni: piena di classici che hanno dettato un’infinità di standard per le generazioni a venire. Basti pensare a Super Mario Bros. per i  platform, The Legend of Zelda e Metroid per i giochi d’avventura, Final Fantasy e Dragon Quest per gli RPG, Gradius per gli shoot ‘em up, e poi ancora Mega Man, Castlevania, Contra, Bionic Commando, la lista potrebbe non finire mai. Questi sono indubbiamente giochi che ogni appassionato conosce (o dovrebbe conoscere) ma come accade per ogni generazione ci sono molti altri titoli, davvero al pari dei classici, che semplicemente non spiccano perché possibilmente la data di uscita ha coinciso con qualche altro gioco più grande o, semplicemente, non ha ricevuto l’attenzione delle riviste e soprattutto dei fan. Oggi su Dusty Rooms faremo qualcosa di insolito, un tipo di articolo sicuramente inflazionato ma comunque intriso, soprattutto, della nostra personalissima esperienza come giocatori: una bella Top 10 dei giochi più sottovalutati della libreria del NES. Vi faremo una breve introduzione, vi diremo quali sono le feature più interessanti e anche qual è il miglior metodo per giocarci al giorno d’oggi. La lista includerà anche import di cui siamo certi esistano traduzioni sul web da poter patchare con le rom. Se ci dimentichiamo di qualche titolo fatecelo sapere – educatamente – nei commenti qua sotto.

10. Nightmare on Elm Street

Uno, due, tre, Freddy™ viene da te… Ebbene sì, con l’avvento di internet questo gioco è diventato molto impopolare, specialmente per l’associazione con LJN, il cui marchio, se appare nella title screen, è sinonimo di gioco programmato coi piedi. Tuttavia in molti su internet hanno dimostrato che i loro giochi non sono tutti da buttare e questo non solo è uno dei più interessanti ma e anche uno dei più avvincenti, sebbene non c’è un briciolo di violenza che ha resto la saga famosa sul grande schermo. Il gameplay ha uno strano meccanismo di “dream world/awake world” e una progressione poco dinamica, non intuibile a primo acchito, ma una volta fatto il callo con queste particolarità Nightmare on Elm Street presenta un gameplay abbastanza piacevole: ci sono dei degli stage in cui bisogna collezionare una serie di ossa appartenenti al defunto Freddy Krueger, nel dream world è possibile raccogliere delle carte che permettono al giocatore di diventare un atleta o un mago e i buoni controlli permettono una fruizione di tutto rispetto. Tuttavia, la più bella feature di questo gioco è sicuramente il multiplayer fino a quattro giocatori in contemporanea grazie al NES Four Score; un po’ come in Nightmare on Elm Street 3: Dream Warriors, tutti uniti per sconfiggere Freddy Krueger! Non credete alle baggianate del web, questo titolo merita molto di più.

9. Street Fighter 2010: The Final Fight

Il 2010 è passato e sicuramente non abbiamo visto l’invasione da parte di demoni scorpioni, alieni mutanti a forma di ombrello e occhi intrappolati in capsule di vetro un po’ dappertutto… Se qualcuno di voi sta ancora pensando che questo titolo non ha nulla a che fare con la celeberrima serie picchiaduro Capcom vi sbagliate di grosso; questo è l’ultimo titolo della saga prima che esplodesse con Street Fighter II! La storia vede Ken, in questo titolo uno strano tamarro spaziale, 25 anni dopo il primo torneo di Street Fighter; diventato uno scienziato, il noto combattente dal gi rosso crea il cyboplasma (sarà probabilmente come un ectoplasma con un po’ di “cybo” dentro) insieme al suo nuovo amico e assistente Troy. In seguito Troy viene ucciso e il cyboplasma, che una sostanza in grado di dare alle creature viventi una forza sovrannaturale, viene rubato; ci metteremo dunque sulle tracce dell’assassino del nostro assistente per vendicare la sua morte e recuperare i pezzi della nostra creazione per evitare che finiscano nelle mani sbagliate. Questo titolo è blasonato in primo luogo per i suoi controlli poco intuitivi e per il fatto che non ha nulla a che vedere con Street Fighter (né con Final Fight, visto che è citato nel titolo) ma per quanti difetti possa avere e difficile prendere familiarità coi controlli (vi consigliamo appunto di giocarlo con un controller con tasti turbo), Street Fighter 2010 offre un livello di sfida tosto al punto giusto e un gameplay di tutto rispetto. Le atmosfere sono veramente splendide – oseremo dire un mix fra Salvador Dalí e H.R. Giger – e può regalare delle sane ore di gameplay, specialmente se lo togliamo dal contesto Street Fighter. Indubbiamente da provare, anche se non faremo Shoryuken attraverso lo spazio e il tempo, non faremo la mezzaluna di Guile sulla luna e non romperemo asteroidi con le testate di Honda: al diavolo Street Fighter V, viva Street Fighter 2010!

8. Splatterhouse: Wanpaku Graffiti (Famicom)

La gente conosce la saga di Splatterhouse per la sua violenza e la sua vicinanza con la serie horror Venerdì 13 ma questo spin-off viene spesso trascurato in favore dei più grandi titoli principali. Wanpaku Graffiti (che in giapponese significa graffiti monelli) ha un approccio meno serio rispetto alla saga, infatti Rick, il famoso protagonista che sfoggia la maschera del terrore (che è una scopiazzatura della famosissima maschera da hockey di Jason), la fidanzata Jennifer, i mostri e i boss vengono presentati con uno stile chibi/super deformed, tutt’altro che horror. Il gameplay è molto simile a quello di Splatterhouse ma molto più semplificato e veloce, adatto a coloro che non vogliono una sfida troppo impegnativa, veramente una gemma che merita di essere riscoperta. Il gioco, nonostante sia uscito esclusivamente per Famicom, non presenta linee di dialogo in giapponese, né i prezzi su eBay non sono terribilmente proibitivi; ricordiamo inoltre che esistono anche delle reproduction cartridge che girano anche su i NES americani e europei.

7. Lagrange Point (Famicom)

Non è un RPG di Squaresoft, né di Enix e neppure di Sega, bensì un’avventura futuristica, ispirata primariamente alla saga di Phantasy Star, targata Konami. È un titolo molto raro e dispendioso ma è un titolo che merita di essere giocato e soprattutto ascoltato visto che è l’unica cartuccia del Famicom che monta l’impressionante chip sonoro VRC7, in grado di dare a questo gioco la sintesi FM, dandogli delle sonorità al pari del Sega Mega Drive. In quanto avventura RPG non porta grandi innovazioni, è un’avventura molto classica ma è spesso un titolo dimenticato nonostante le sue molte particolarità, soprattutto sul piano tecnico e sonoro (basta guardare la deforme cartuccia originale). Lagrange Point può sembrare un titolo proibitivo visto il prezzo, generalmente alto e il fatto che l’aspetto testuale del gioco, che in un RPG fa da padrone, è interamente in giapponese; per questi motivi è meglio trovare il gioco in rete e scaricare la patch da applicare alla rom. Non ve ne pentirete!

6. Journey to Silius

Questo titolo Sunsoft ha una storia molto affascinante: inizialmente questa compagnia era riuscita a ottenere i diritti per produrre un videogioco tratto dal film Terminator ma quando gli studio cominciarono a lavorare su Terminator 2 questi furono ritirati per far sì che un’altra compagnia potesse farne un gioco appena dopo l’uscita al cinema. Sunsoft decise tuttavia non staccare la spina all’intero progetto e così salvò il tutto producendo una nuova IP da zero. Nonostante la cancellazione del progetto originale è ancora possibile notare ciò che rimane del progetto originale: il primo livello ricorda esattamente il mondo post-apocalittico dalla quale il Terminator è venuto e il design delle armi, visibili nel menù di pausa, somigliano a quelle impugnate da “Schwartzy”. Licenza o no, questo gioco è una vera bomba: tanti livelli avvincenti, ottimi controlli, una moltitudine di armi per un gameplay molto vario e una colonna sonora spettacolare! Journey to Silius offre una sfida eccezionale, anche se non adatta proprio a tutti per via della sua spiccata difficoltà. Sfortunatamente recuperare questo titolo su NES è molto dispendioso, così come la collection su intitolata Memorial Series: Sunsoft Vol. 5 su PlayStation in cui è presente. Speriamo che appaia presto in streaming su Nintendo Switch, altrimenti… Sapete cosa fare!

5. Cobra Triangle

A che serve una storia quando hai un motoscafo che va a 90Mph, che monta mitragliatori, missili e può persino spiccare il volo grazie a una minuscola elica? Concepito col motore grafico di R.C. Pro-Am, Cobra Triangle è un gioco Rare che mischia principalmente corsa e combattimenti veicolari ma gli obiettivi cambiano in ogni stage: oltre al semplice “arriva al traguardo” avremo stage in cui dovremo disarmare delle mine, proteggere civili, saltare cascate in corsa col nostro motoscafo e persino affrontare delle creature marine giganti (entrambe cose che fanno pensare che all’interno di quel motoscafo ci sia Chuck Norris), il tutto accompagnato dalle magiche composizioni di David Wise, noto soprattutto per aver composto la colonna sonora di Donkey Kong Country. Ai tempi il gioco fu abbastanza popolare ma probabilmente, per via della sua elevata difficoltà (e anche per il fatto che R.C. Pro-Am era molto più accessibile), Cobra Triangle non diventò un titolo molto discusso. Anche se non ha mai avuto un vero cult following, vi è possibile giocarlo nella collection Rare Replay su Xbox One uscita nel 2015. Un gioco per i veri duri!

4. Ducktales 2 e Chip ‘n Dale 2

Entrambi sono i sequel, rispettivamente, di Ducktales e Chip ‘n Dale (in Italia Chip & Ciop: agenti speciali) e anche se rispettivamente ai loro primi capitoli sono un po’ inferiori ciò non toglie che rimangono giochi veramente eccezionali e sopra la media. Non ci sono grosse innovazioni sul piano tecnico ma il level design e il livello di sfida sono al pari dei vecchi giochi; al giorno d’oggi avremmo considerarli come DLC dei giochi precedenti. La critica, ai tempi, espresse ancora una volta dei pareri unanimemente positivi ma essendo usciti fra il 1993 e il 1994 purtroppo non attrassero l’attenzione dei giocatori che ormai erano passati definitivamente alle macchine 16bit; di conseguenza, essendo usciti così tardi, furono prodotte pochissime copie di entrambi i giochi e ciò si traduce, al giorno d’oggi, in prezzi obbrobriosi su eBay. Fortunatamente per noi, così come per Cobra Triangle, questi due giochi sono stati aggiunti in una collection recentissima, ovvero The Disney Afternoon Collection per PC, PlayStation 4 e Xbox One, che include, oltre a Ducktales 2 e Chip ‘n Dale 2, i rispettivi (e superiori) prequel, TaleSpin e…

3 Darkwing Duck

Recentemente riscoperto, questo titolo ha vissuto per anni nell’ombra generata da altri titoli simili, soprattutto Mega Man e i restanti giochi Disney prodotti da Capcom sul NES. Nonostante il termine di paragone, possiamo dire che ha comunque ben poco da spartire con i giochi appena citati e che Darkwing duck si pone come un gioco a sé. Come in Mega Man possiamo selezionare i primi sei stage iniziali, abbiamo un assortimento di armi “a consumo”, ma diversamente dal robottino blu Darkwing Duck può parare alcuni colpi nemici col suo mantello e può aggrapparsi ad alcune piattaforme da sotto (così come può smontare dalle stesse premendo salto e giù contemporaneamente) e ciò sarà una componente fondamentale negli stage del gioco; in aggiunta a un level design veramente eccellente, questo titolo riesce a consegnare delle sanissime ore di gaming grazie a semplicissime meccaniche, tanto classiche quanto avvincenti. Così come per Ducktales 2 e Chip ‘n Dale 2, Darkwing Duck è presente in The Disney Afternoon Collection, perciò potrete godervi questo titolo con pochissimo e in un media recente in definizione HD.

2. Getsu Fūma Den (Famicom)

Questo gioco fu la risposta di Konami a Genpei Toumaden, un gioco Namco ispirato alla storia del primo Shogunato del Giappone. Come la controparte, questo gioco estrae elementi di trama direttamente dall’era Sengoku, una particolare fase della storia Giapponese; al centro della trama c’è Getsu Fūma, il più giovane ninja del clan dei Fūma (ordine esistito realmente), che parte alla volta delle isole demoniache per vendicare i suoi tre fratelli caduti in battaglia, recuperare le loro spade (chiamate Hadouken) e sconfiggere Ryūkotsuki, il demone responsabile della morte dei suoi compagni. Come in Zelda II: the Adventure of Link, ci ritroveremo in una schermata di overworld molto simile e lì possiamo visitare le tende, in cui potremo trovare mercanti o oracoli che ci daranno dei consigli sul dove andare, o attraversare i torii, le famose strutture a forma di portale giapponesi; lì partirà l’azione vera e propria e dovremo pertanto affrontare un breve stage ma irto di nemici e ostacoli di vario tipo. Durante le fasi in 2D possiamo avere l’opportunità di usare qualche oggetto per sfollare le schermate più caotiche, raccogliere un po’ di oro lasciato da i nemici e accumulare punti attacco e difesa per far crescere dinamicamente il nostro personaggio, esattamente come in un gioco RPG. Gradualmente, torii dopo torii, arriveremo a uno dei nostri veri obiettivi, ovvero uno dei tre dungeon sparsi nell’isola: qui, dopo aver avuto modo di provare l’intensa azione 2D, avremo modo di vedere il gioco letteralmente da un’altra prospettiva, alle spalle di Getsu Fūma in un buio labirinto in 3D. Vale a ricordare che, di questi labirinti, non c’è una mappa in game ma, così come per molti altri titoli dell’epoca, è consigliabile munirsi di carta e penna e cominciare ad abbozzare una mappa da noi (orientandoci con la bussola da comprare in un negozio prima di entrare) – che dire? Giochi di altri tempi! –. Il gameplay si farà apparentemente più calmo, ma questa sarà solo una falsa impressione in quanto troveremo, in questa modalità, altri nuovi nemici da affrontare da questa prospettiva 3D, e stavolta ci toccherà usare un po’ più di ingegno. Purtroppo questo titolo, probabilmente per via del gap culturale, non superò mai le sponde del Giappone, nemmeno coi servizi Virtual Console di Wii, Wii U e 3DS per i quali uscì, e Getsu Fūma Den rimane a oggi un fenomeno esclusivamente giapponese, quando in realtà il gameplay soddisfa appieno anche i gusti occidentali. Fortunatamente per noi, la hack scene è venuta incontro ai giocatori di tutto il mondo e da tempo esiste dunque una rom tradotta che permette dunque a noi demoni occidentali di provare questo gioco veramente spettacolare. Da non perdere per nessun motivo!

1. Metal Storm

Questo titolo non è soltanto un gioco veramente divertente ma è anche uno dei giochi più fini della libreria del NES. A tratti, questo gioco Irem, famosi principalmente per R-Type, può ricordare Mega Man per la sua natura che mischia run ‘n gun, platform e avventura, ma Metal Storm si differenzia per due fattori principali: il primo è che il nostro mecha esplode con un solo colpo avversario e il secondo, ed è ciò che rende questo gioco veramente unico, è la gravità che cambia quando premeremo su/giu e salto. Insieme a delle animazioni fluidissime, splendide per una macchina 8 bit, una grafica molto dettagliata e una colonna sonora spettacolare, Metal Storm ha un gameplay difficile ma adatto a tutti, dai principianti ai più navigati (che potranno trovare del vero pane per i loro denti una volta terminata la prima run e avviato la seconda per esperti) e un level design curato in ogni dettaglio e che include anche dei livelli giroscopici. Questo è un titolo esemplare per la libreria del NES ma purtroppo è molto impopolare, persino fra i più affiatati collezionisti: Metal Storm uscì nel Febbraio 1991, lo stesso anno in cui uscirono i più famosi Battletoads, Tecmo Super Bowl, Double Dragon III, Bart vs the Space Mutant e persino il Super Nintendo, che sarebbe uscito ad Agosto. In tutto questo Irem non ha mai avuto realmente lo stesso peso di altre grandi compagnie come Capcom, Konami o Hal e perciò, nonostante questo titolo fu pubblicizzato in una copertina di Nintendo Power, questo titolo non ha mai raggiunto lo status di classico, forse neppure oggi. Recuperate questo titolo oggi e diamo a Metal Storm il riconoscimento che merita!




Dusty Rooms: il fenomeno di Mother

Proprio qualche giorno fa, esattamente il 27 Luglio, è stato il 29esimo anniversario del rilascio del primo gioco della saga di Mother su Famicom. Negli ultimi anni la saga è diventata un fenomeno di culto, specialmente grazie all’inclusione di Ness in Super Smash Bros. Melee e, grazie a esso, un’orda di fan non fa che chiedere a gran voce il rilascio di tutti i giochi della saga in media più recenti, specialmente sapendo che il creatore della saga, Shigesato Itoi, ha dichiarato che con il rilascio di Mother 3 la saga è ufficialmente terminata e non ha alcuna intenzione di rilasciare un eventuale Mother 4. Oggi, su Dusty Rooms, daremo uno sguardo a una delle serie RPG più sottovalutate di tutti i tempi, che ha riscoperto una nuova vita grazie a internet ma che, ai tempi, non riuscì a imporsi in confronto ai più popolari Final Fantasy, Dragon Quest o Phantasy Star.

Un inizio un po’ sottotono

La storia di Mother, come già accennato, comincia su Famicom nel Luglio del 1989. Il prologo della storia ci presenta George e Maria, una tipica coppia americana che intorno agli anni ’50 scomparve dalla circolazione; più tardi George riapparve improvvisamente ma non rivelò mai a nessuno dove si trovasse e cosa successe a lui e a sua moglie, che rimase dispersa. George dunque, si chiuse in se stesso e cominciò a fare strani esperimenti isolandosi dal mondo. Nei tardi anni ’80 un giovane di nome Ninten (è il suo nome standard ma – come poi diventerà tipico della serie – è possibile cambiarlo prima di cominciare la nostra avventura) è testimone di strani eventi paranomali che avvengono in casa sua, come appunto l’attacco della sua bajour. Il padre, costantemente fuori casa per lavoro, chiede a Ninten di investigare su questi fenomeni, gli stessi di cui si occupava il suo bisnonno, e da lì si arriverà col affibbiare la colpa a una razza aliena che da anni tenta di invadere la terra. Più in là, Ninten arriverà al magico mondo di Magicant e incontrerà la regina Mary che darà al nostro eroe l’obiettivo principale del gioco, ovvero trovare le otto parti della sua canzone e cantarla interamente di fronte a lei. Con l’avanzare dell’avventura Ninten verrà affiancato da Lloyd, Ana e Teddy e insieme andranno fino al Monte Itoi (chiaro riferimento al creatore della serie) dove si scoprirà essere il nascondiglio degli alieni.
La più grande innovazione di Mother, cosa che caratterizzerà la serie per i restanti sequel , è quella della decomposizione del JRPG classico: le battaglie si svolgono in maniera casuale e ogni personaggio ha delle proprietà distintive in battaglia, che attingono ovviamente al fantastico/fantascientifico, ma ciò che caratterizza questa serie è il ritrovarsi in ambienti e città “normali”, ad affrontare nemici come cani randagi, hippie e persone affrettate con oggetti di uso più che comuni come padelle, mazze da baseball e tutto ciò che si potrebbe utilizzare come oggetto contundente. Il setting ci propone appunto una classica famiglia degli anni ’80, col padre sempre fuori per lavoro, la madre a casa a cucinare il nostro piatto preferito (che inseriremo insieme ai nomi prima di cominciare il file di gioco) e il figlio sempre fuori a esplorare le zone vicine come una sorta di avventura; l’idea di Shigesato Itoi era proprio quella di proporre la storia di un ragazzo che va “all’avventura” insieme ad altri amici – un po’ come avviene in film come I Goonies – ma che a fine giornata tornano a casa, conducendo una vita tranquilla. Furono appunto tutti questi elementi a illuminare Shigeru Miyamoto e dare il via al progetto generale. Questo titolo, sviluppato dalla Ape inc. (che diventerà Creature), era stato completamente tradotto e pronto per essere distribuito negli Stati Uniti ma improvvisamente, nel 1991, la release fu cancellata ed Earth Bound (questo il nome accordato per la release internazionale) non uscì mai dal Giappone; fra le cause della cancellazione vi erano gli alti costi di produzione, dovuti alla dimensione del gioco, e l’imminente arrivo del Super Nintendo che avrebbe eclissato l’uscita di Mother in maniera definitiva rendendolo, a detta della compagnia, invenduto negli scaffali. I prototipi ufficiali di Earth Bound furono trovati e messi in rete poco dopo. Con il fandom di Mother in continua evoluzione il gioco fu rinominato Earthbound Zero, visto che si mostrava come prequel di Earthbound (ovvero Mother 2, che uscì regolarmente in Nord America), ma in seguito Nintendo, nel 2015, rilasciò finalmente il gioco per la Virtual Console Wii U col nome di EarthBound Beginnings. Nonostante il rilascio tardivo – meglio tardi che mai –, il gioco si presentò datato e pieno di elementi che caratterizzavano, in maniera negativa, i JRPG dei tempi ovvero l’altissimo tasso di incontri casuali e lo snervante grinding che serviva a ogni membro del team una volta reclutato; pertanto la community ufficiale di Mother rilasciò nel 2014 (ancora prima di Nintendo) EarthBound Zero: 25th anniversary edition in cui furono migliorati i difetti sopracitati e migliorate le visual.

L’eccellenza videoludica

Mother 2, per Super Famicom, entrò in sviluppo poco dopo l’uscita del primo titolo ma il processo di creazione non fu per niente tranquillo: il team che lavorò al sequel era totalmente diverso dal precedente e nonostante il loro duro lavoro e la disponibilità data per il progetto Mother 2 era sull’orlo della cancellazione per via di diversi bug apparentemente irrisolvibili. Per questi motivi Mother 2 rimase in sviluppo per cinque anni, uscendo in Giappone nell’Agosto del 1994 e in nord America nel Giugno del 1995, ma l’arrivo di Satoru Iwata e un team proveniente dalla HAL Laboratory risolse tutti i problemi relativi alla codifica così, Ape inc. si poté concentrare sullo storyboard, la creazione delle mappe, della grafica e tutto ciò che non è legato alla programmazione effettiva. Il nuovo dunque, era dieci volte più grande e avvincente del prequel e ogni elemento di questo titolo fu curato in maniera maniacale. La storia stavolta ci racconta delle avventure di Ness, un bambino che una sera viene svegliato dalla caduta di un meteorite vicino casa sua; sul luogo dell’impatto il nostro eroe incontrerà Buzz-buzz, un alieno dalle sembianze di una mosca venuto dal futuro per mettere in guardia l’umanità da un entità maligna chiamata Giygas che, a detta sua, consumerà l’umanità come la conosciamo. La mosca, dopo essere stata scambiata per uno scarafaggio dalla mamma di Pokey (che sarà il rivale del nostro protagonista), darà le istruzioni a Ness, prima di morire, per distruggere Giygas: similarmente a Ninten, dovrà andare in cerca degli otto santuari per riempire la Sound Stone con otto melodie che sbloccheranno il vero potere del nostro eroe.
Come il suo prequel, Mother 2 presenta lo stesso scenario tipicamente nordamericano, con bei quartieri, casette, tante belle persone ma con un lato oscuro a tratti inquietante; se lo stesso prequel trattava già di argomenti per l’epoca molto controversi, come dipendenza dalla droga, religione o violenza, in questo titolo ritroviamo problematiche più tipiche degli anni della sua uscita come la corruzione dei corpi di polizia, in cui nel gioco viene esplicitamente riproposto lo stesso scenario di un fatto di cronaca, in cui un ragazzo rimase in balia di un gruppo di poliziotti, o il fanatismo religioso con l’introduzione del gruppo spirituale dei bluisti (che adorano il colore blu), colore associato al movimento religioso Aum Shinrikyo e al suo fondatore Shoko Asahara condannato nel ’95 per aver diffuso nella metropolitana di Tokyo delle bombe silenziose al gas nervino. Mother 2, a ogni modo, si è dimostrato capace di comunicare sentimenti profondissimi e a volte persino oscuri. A Magicant, in cui torneremo una volta riempita la Sound Stone, visiteremo il subconscio di Ness, un luogo in cui troveremo tutto ciò che ha fatto parte della sua vita, come un pupazzo di neve con la quale giocò da piccolo, nemici, persone incontrate e persino un giovane Ness che sottolineerà il cambiamento, non totalmente positivo, in lui. Ma ciò che toglie di più la scena in Mother 2 è decisamente l’inquietante battaglia finale contro Giygas e la storia della sua concezione. Il boss finale, come il gioco ci suggerisce man mano, non ha una vera forma ed esso, più che un nemico, è una sorta di concetto, un qualcosa di inafferrabile ma terribilmente malefico (ancora ci sono grossi dibattiti su cosa sia Giyagas o meno); pertanto, quello che vedremo durante la battaglia, è un disegno confuso che, visto da una certa prospettiva, prenderà a tratti la forma di un feto (è molto difficile da spiegare, ma non vogliamo rovinarvi l’esperienza se avete intenzione di giocarlo). Shigesato Itoi spiegò che l’idea di Giygas nacque quando da piccolo vide per sbaglio al cinema, entrando nella sala sbagliata, il film Kenpei to Barabara Shibijin (traducibile, dozzinalmente, come “Lo Gendarme e la Signora Smembrata”); una volta dentro, durante una scena di un omicidio, il creatore della saga pensò di aver assistito a una scena di stupro e questo evento finì per segnarlo a vita.
E così come per le tematiche, Mother 2 porta diverse innovazioni a livello di gameplay, prima fra tutte è il contatore a comparsa dei punti vita (più propriamente, in inglese, rolling HP meter): si tratta di un segna numeri simile a quelli presenti nelle pompe di benzina o nelle roulette e quando verremo colpiti, i numeri continueranno a scendere fino a un possibile annientamento; al di là della semplice scelta stilistica, questo metodo serve per permettere ai personaggi che hanno subito un attacco che li porterà alla morte di sferrare un ultimo attacco prima che il contatore arrivi a zero. Inutile dirlo, questo metodo permette di giocare delle battaglie mozzafiato e letteralmente all’ultimo sangue. Gli incontri random sono stati soppiantati in favore di nemici che appaiono direttamente nel nostro cammino e perciò saremo liberi di affrontarli o meno. A seconda di come li incrociamo avremo degli effetti diversi: se beccheremo un nemico da dietro avremo il primo colpo, se invece sarà lui a prenderci alle spalle allora avrà il primo colpo, ma se il nemico che incontriamo ci è nettamente inferiore e il gioco sa anche che lo sconfiggeremo con un solo colpo allora la battaglia verrà vinta senza entrare nella schermata di combattimento (ricevendo ugualmente punti di esperienza ed eventuali oggetti). Mother 2 è letteralmente una soddisfazione dopo l’altra e ogni critica rappresenterebbe un inutile cercare un pelo nell’uovo. Tuttavia, anche se questo titolo è un capolavoro da inizio alla fine, le vendite, specialmente in nord America, furono disastrose. Nintendo, che credette molto nella riuscita di questo gioco, spese 2 milioni di dollari per la promozione e ciò risultò in una serie di pubblicità che, stando ai dati di vendita (solo 140.000 copie in nord America e circa il doppio in Giappone), non diede i risultati sperati. Gli anni erano quelli dell’antieroe e delle pubblicità grossolane e EarthBound ricevette su Nintendo Power una serie di carte “gratta e odora”, particolarmente puzzolenti, che allontanarono i tanti curiosi che volevano avvicinarsi al nuovo mondo di Ness, Paula, Jeff e Poo. In aggiunta al marketing fallimentare, produrre fisicamente il gioco era particolarmente costoso in quanto EarthBound uscì con una confezione extra-large contenente una guida strategica e, pertanto, in sovrapprezzo. A tutto questo c’è da mettere l’ascesa del già disponibile Sega Saturn (uscito a Maggio) e della PlayStation di Sony che sarebbe stata reperibile a breve. Questo titolo fece una fine tremenda ma grazie a Super Smash Bros. e Melee e al rinnovato interesse da parte di nuovi fan il gioco ha potuto conoscere una vera e propria seconda vita; il gioco fu rilasciato internazionalmente nel 2013 prima la Virtual Console del Wii U e poi per quella del New Nintendo 3DS, arrivando per la prima volta in Europa, e giusto l’anno scorso EarthBound rientrò fra i 30 titoli dello SNES Classic Edition. Se c’è un momento per riscoprirlo, considerato fra i migliori giochi mai creati, è decisamente questo.

Nintendo e i suoi fan: la storia di Mother 3

Nonostante l’insuccesso del secondo capitolo, Mother 3 entrò in sviluppo nel 1994 per Super Famicom ma ovviamente, con l’avvento del Nintendo 64, lo sviluppo passo nel 1996 alla console di nuova generazione. Su consiglio e visione di Miyamoto, il gioco avrebbe dovuto avere una nuova e bella veste 3D sullo stile di Super Mario 64 ma gli sviluppatori, gli stessi di Mother 2, non avevano esperienza con la grafica poligonale e così finirono per sopravvalutare un po’ troppo le capacità della nuova console Nintendo; lo sviluppo passo per il più potente Nintendo 64 DD, periferica che avrebbe permesso la lettura di alcuni dischi magnetici proprietari e che avrebbe permesso giochi più grandi e all’avanguardia. Mother 3 doveva essere il titolo da lanciare col N64 DD ma con il fallimento della periferica, torno sull’originaria Nintendo 64.
Fu allora però che nel 1999 furono presentate delle demo giocabili al Nintendo Space World e IGN ne rimase molto sorpreso in quanto presentava delle cutscene non “skippabili” interamente in 3D. A ogni modo, nonostante la ritrovata stabilità, la data di uscita di Mother 3 continuava a slittare di continuo e, stando a Shigesato Itoi, il gioco era pronto solamente per il 30%. Arrivati a questo punto, a Nintendo non rimase altro che cancellare il progetto e mettere il team di sviluppo dietro alla creazioni di altri nuovi giochi per il Gamecube. Satoru Iwata, che promise la sua presenza e buona parte degli impiegati alla HAL, si prese la colpa per la cancellazione ma Miyamoto era deciso di dar vita a Mother 3 a tutti i costi; all’inizio era intenzionato a rilasciare un libro o un fumetto ma alla fine, con l’uscita del Gameboy Advance, rimise lo stesso team di Mother 2, facente parte di Brownie Brown di Shigesato Itoi, e la HAL dietro lo sviluppo del “nuovo” Mother 3, stavolta in 2D e con lo stesso spirito del secondo.
La storia è ambientata nel villaggio Tazmily, una piccola comunità nelle isole Nowhere in cui non esiste il denaro e tutti i loro abitanti si prendono cura l’un l’altro. Faremo la conoscenza di Lucas e Claus, che saranno i protagonisti principali dell’avventura, e il padre Flint. Un giorno, i due ragazzi, vanno a trovare, insieme alla madre, il padre che lavora nelle montagne al largo del villaggio ma, una volta lì, verrà fuori un gruppo di fanatici con maschere di suini che comincerà a imperversare per l’isola combinando guai e danneggiando tutto ciò che trovano. Per colpa loro la madre dei ragazzi morirà e dopo il gioco, nonostante i colori accesi, scenderà in una lenta spirale di morte e disperazione. Shigesato Itoi si ispirò principalmente ai libri di Agota Kristof, Quello che Resta (Le grand cahier), La Prova e La Terza Menzogna; questi tre libri compongono la trilogia di una storia di una coppia di gemelli intenti a sopravvivere alla Seconda Guerra Mondiale. Insieme a queste letture, Itoi si ispirò anche Twin Peaks e Lost per la creazione dell’isola Tanetane che riflette gli incubi di chi vi mette piede. Il gameplay rimase lo stesso di Mother 2 con l’aggiunta delle terme, delle nuove sezioni in cui recuperare i punti vita, e i colpi combo da dare a ritmo con la musica della battaglia.
Mother 3 è un gioco interessantissimo ma ancora Nintendo non sembra aver dato alcun segno per il suo rilascio in occidente. Purtroppo, quando questo titolo venne rilasciato in Giappone nel 2006 (riscontrando comunque ottime vendite), il Gameboy Advance stava cedendo il passo al nuovissimo Nintendo DS e, viste inoltre le scarse vendite di EarthBound, si optò per non rilasciare Mother 3 né in nord America né in Europa. Un’altra possibile causa del suo possibile non rilascio può anche essere le sue fortissime tematiche che includono l’accettazione della morte, l’abuso di animali, violenza, droga e persino l’androginia. Per questi motivi, conoscendo le politiche sulla censura di Nintendo, i fan si rimboccarono le mani e in due anni il sito Starmen.net, nel 2008, rilasciò la patch da applicare alla ROM di Mother 3 e avere il gioco completamente tradotto. Essa è stata condotta da Clyde “Tomato” Mandelin insieme a un gruppo di traduttori abilissimi che si è messa d’impegno per tradurre ogni meandro del gioco, dai dialoghi a tutte le finestre dei menù. In una sola settimana la patch ha raggiunto i 100.000 download e a oggi è semplicemente una delle patch più scaricate della storia di internet. Ma in tutto questo, l’unica domanda che ci viene in mente è: Nintendo cosa ne pensa? O forse i più disperati (e ce ne sono parecchi) si chiedono: “E NINTENTO KE FA?!?!” Reggie Fils-Aime, presidente di Nintendo of America, è perfettamente a conoscenza del cult following di Mother e il desiderio dei fan di poter giocare al terzo capitolo ma, a quanto pare, sembrerebbe con le mani legate. La traduzione dei fan, stando al proprietario del sito Starmen.net,  Reid Young, sarebbe arrivata ai piani alti di Nintendo of America e gli stessi traduttori avrebbero offerto a Nintendo la propria traduzione per una futura release internazionale o persino la cancellazione della patch stessa se avrebbero rilasciato Mother 3 oltreoceano. Tuttavia, a oggi, il silenzio di Nintendo lascia lo spazio a due ipotesi: o si sarebbero arresi, lasciando spazio ai programmatori e traduttori homebrew o, semplicemente, non hanno alcun interesse nel rilasciare questo titolo al di fuori del Giappone e di conseguenza, non inseguono gli autori della patch. A ogni modo, Nintendo con il recente rilascio digitale di EarthBound e EarthBound Beginnings ha visto comunque ottimi numeri in termini di vendita e dunque è improbabile che non stiano prendendo in considerazione il rilascio di questo titolo così richiesto; vi ricordiamo inoltre che lo scorso 27 Luglio è stato solo il 29esimo anniversario della saga di Mother…  perciò chissà? Che Nintendo stia preparando qualcosa di grosso per il suo 30esimo anniversario? Non possiamo fare altro che aspettare e sperare che ascoltino i suoi fan al più presto!




Sega History

Come Nintendo, le radici di Sega si pongono in un epoca pre-gaming. Contrariamente a quanto si possa pensare, Sega era all’inizio una compagnia americana: fu fondata negli anni ’50 a Honolulu e il suo obbiettivo era provvedere all’intrattenimento dei militari dell’esercito americano. I loro prodotti principali erano slot machine, cabine fotografiche ma soprattutto giochi elettromeccanici. In uno scenario in cui ancora i videogiochi su schermo non esistevano Sega, negli anni ’60, produsse Periscope, un gioco elettromeccanico considerato da molti un pilastro sul quale si sarebbe costruita intorno l’intera scena arcade. Periscope, insieme ad altri titoli come Duck Hunt e Missile, attrassero l’interesse di un gruppo di investitori giapponesi che presto investirono nella compagnia e comprarono grossa parte degli asset.

L’era arcade e il Master System

Arrivano gli anni 80 e si assiste al boom delle arcade e di Atari nel mercato casalingo. Sega, visto il successo con i giochi elettromeccanici, decide di entrare nel mercato dei giochi elettronici, e comincia rilasciare i suoi primi giochi quali Head On, Monaco Gp, Zaxxon e Pengo che si rivelano, sia nelle arcade che nelle console casalinghe, dei veri successi commerciali. Sega, sin dagli inizi, dimostrò di essere una vera e propria pioniera dell’innovazione: in un periodo in cui Pac Man, Centipede e Galaga spopolavano, Sega era già all’opera con gli scaling, in Buck Rogers: Planet of Zoom, e persino con i Laserdisc, anticipando l’uscita di Dragon’s Lair con Astron Belt in tutto il mondo (tranne negli Stati Uniti, dove il popolarissimo gioco con i disegni di Don Bluth arrivò per primo). L’investimento sui videogiochi si rivelò vincente, ma il mercato, come crebbe a dismisura in pochi anni, crollò improvvisamente; la crisi dei videogame del 1983 prese piede ma Sega, nonostante alcuni dipendenti se ne tirassero fuori, decise di sfruttare la propria popolarità nell’arcade per rilanciare il mercato dei videogiochi. L’impresa non era assurda: i cabinati Sega andavano fortissimo nelle sale arcade e i loro giochi erano anche molto popolari nel mercato casalingo, ma purtroppo un gigante sfruttava una popolarità ben più grande di quella loro. Nintendo cavalcava infatti l’onda del successo con Donkey Kong dal 1981, e il lancio del Famicom nel 15 Luglio del 1983 in Giappone oscurò del tutto il lanciò del Sega l’SG-1000, lanciato lo stesso esatto giorno. Il Sega SG-1000 era un sistema valido ma semplicemente era una console che non poteva minimamente competere col Famicom: la console era molto simile al Colecovision, più vecchia della controparte Nintendo, e ovviamente presentava caratteristiche più datate, come il sonoro del Texas Instrument SN76489 e l’incapacità di produrre uno scrolling fluido come poi Super Mario Bros. dimostrò. Dopo alcuni restyling con i SG-1000 II e SC-3000, quest’ultimo un vero e proprio computer, Sega capì che non poteva competere contro Nintendo con un sistema inferiore, così la compagnia aggiornò l’hardware della propra console definitivamente e, nel 1985, rilasciò finalmente il Sega SG-1000 Mark III, ovvero il Master System prima in Giappone e poi, l’anno successivo, nel resto del mondo. Il Mark III offriva una CPU, GPU e RAM migliori del modello precedente e ciò significava ben 32 colori visualizzabili da una palette di 64 e un’azione più veloce su schermo; tuttavia la console fu azzoppata drasticamente dal suo chip sonoro che rimase lo stesso per garantire la compatibilità dei giochi del vecchio catalogo in Giappone. Sega, più in là, solo in Giappone, rilasciò l’add-on FM Sound Unit che offriva al giocatore un range di suoni superiori al chip sonoro di base, dunque un suono ben superiore alla controparte Nintendo. La console Sega offriva un catalogo di giochi veramente interessante come Alex Kidd, Wonder Boy, Phantasy Star, Operation Wolf, ma ritagliarsi una fetta in quel mercato dominato da Nintendo era un impresa ardua; in Nord America Nintendo, firmando con le case produttive americane, si assicurava anche l’esclusiva per la propria console lasciando dunque il Master System con i soli Activision e Parker Brothers. La morsa di Nintendo sul mercato nordamericano spinse Sega a puntare su altri continenti, come l’Europa e il Sud America, dove riuscì addirittura a superare il Nes; specialmente in Brasile, il Master System divenne sinonimo di videogioco, e Tec Toy, la compagnia dietro la distribuzione della console, produce tuttoggi la console Sega vendendo approssimativamente circa 100.000 console l’anno. I propositi per una nuova console c’erano e fu su queste conquiste che Sega decise di lanciare una console in grado di superare Nintendo una volta e per tutte.

The peak of popularity

Come già scritto in La Grande Guerra: Sega Genesis vs Super Nintendo, Sega lanciò così nel 1989 il Sega Mega Drive (o Genesis in Nord America), hardware basato sul sistema arcade Sega System 16; in questo modo Sega riuscì a ottenere un vero e proprio vantaggio contro Nintendo. Il nuovo sistema prometteva una grafica superiore al Nes, un migliore sonoro ottenuto dalla sintesi FM, e una giocabilità comparabile alla qualità arcade. Questa fu la prima strategia adottata da Sega per vendere il suo Genesis: portare i titoli da sala giochi a casa e superare il muro che separava il mercato casalingo dal mercato arcade. La strategia all’inizio sembrò andar bene, spinta anche dal fatto che la console, al lancio, fu venduta in bundle con Altered Beast, un gioco arcade niente male e in grado di sottolineare la differenza fra il Nes e il Genesis. Tuttavia i giocatori non erano ancora convinti della nuova macchina a 16 bit di Sega: l’uscita di Super Mario Bros. 3 fece capire a Sega come i giocatori fossero ancora attratti dall’ormai vecchio Nes e, anche se le arcade erano ancora il punto di riferimento tecnologico per la comparazione degli hardware, questi non servivano a nulla se un gioco casalingo, seppur con una grafica mediocre, si rivelava divertente e adatto alle case. Tuttavia, già a questo punto, il Genesis aveva comunque una solida fanbase: nonostante Super Mario fosse insuperabile in casa propria (Giappone), non si può negare che la linea di titoli iniziale del Genesis era comunque competitiva. Non dimentichiamo anche che molte third parties cominciavano a interessarsi alla nuova console Sega per via delle sue caratteristiche superiori e in cerca di nuovi accordi commerciali meno rigidi di quelli di Nintendo; già nel 1989 Capcom mise sulla nuova piattaforma Sega il suo Ghouls ’n Ghosts, sequel di Ghost and Goblin, sorprendendosi della facilità di programmazione sulla console, di quanto fosse bello sviluppare per unmercato casalingo di giochi così simili alle arcade e compiacendosi perciò di quanto fosse buono il loro nuovo accordo con Sega. Il coinvolgimento di molte celebrità sportive, come il pugile James “Buster” Douglas, il giocatore di football Joe Montana, il golfista Arnold Palmer, aveva già attirato a sé una fascia poco considerata nella vita del Nes, ovvero gli appassionati dei giochi sportivi, e sottolineò come il Genesis potesse puntare a una fascia di pubblico più adulta. Michael Jackson: Moonwalker fu uno dei titoli più discussi e diede al Genesis una attitude che la console mantenne per tutto il suo ciclo vitale. La discussione sulla qualità della libreria di titoli rispetto alla concorrente giaceva spesso su un punto morto: il Genesis aveva 16 bit, il Nes solo 8. Con l’assunzione di Tom Kalinske nel 1990 come CEO di Sega of America furono lanciate in TV delle nuove pubblicità aggressive e dirette a Nintendo che miravano a sottolineare l’arretratezza tecnologica del Nes. Il nuovo slogan «Genesis does what Nintendon’t» parlava chiaro e la console si aprì verso quella fascia di pubblico cresciuta sì col Nes, ma che ormai era grande e andava al liceo. Il Genesis poteva dar loro giochi sportivi, giochi d’azione, giochi puzzle, porting dei giochi presenti in arcade, in poche parole giochi adatti alla loro personalità. L’ultima cosa che mancava era una mascotte in grado di poter competere con Mario, icona dei videogiochi e che sembrava essere imbattibile. Kalinske aveva bisogno di un personaggio non solo carismatico ma che rappresentasse anche la cultura giovanile dei tempi e che potesse dare a Nintendo il colpo di grazia. In Giappone Yuji Naka, ispirato dalla propria capacità di completare ripetutamente e velocemente il primo livello di Super Mario Bros, voleva creare un gioco veloce, pieno di azione e mozzafiato. Il personaggio di questo gioco sarebbe stato destinato a diventare la nuova mascotte Sega e, dopo tante bozze, la scelta cadde su un insolito porcospino: gli fu dato un bel colore blu cobalto, una schiena spinosa che si rifacesse le capigliature mohawk in voga in quegli anni, delle scarpette rosse in contrasto con il blu e soprattutto un caratterino frizzante e “figo”. Sonic The Hedgehog incorporò tutti questi aspetti già dal primo titolo, che fu subito messo in bundle con la console: il suo arrivo sul mercato scosse il mondo. Il nuovo bundle del 1991, lanciato  con un price drop visto che la console era già sul mercato da due anni, fu un successo strepitoso e il cammino di Sonic verso la gloria era solo all’inizio. In questo contesto, Nintendo rilasciò il Super Nintendo in bundle con Super Mario World e, anche se non ebbe il successo sperato e molti giocatori erano in favore di Sega, Kalinske sapeva di avere la console più debole, e non voleva assolutamente che il Sega Genesis si rivelasse un fuoco di paglia; così corse ai ripari e tentò di capire come vendere la propria console nonostante concorresse con un’altra più potente. Si decise di far leva sull’unico vero punto a favore del Genesis contro lo Snes, un punto non da poco: il processore di 7.6 MHz contro quello di 3.7MHz dello Snes, e su questo fu costruita tutta la nuova campagna pubblicitaria di Sega. Le nuove pubblicità parlavano di un fantomatico “blast processing”: non era altro che un modo per sottolineare la più rapida velocità di calcolo del Sega Genesis, ma fu una parola così “cool”, studiata appositamente per essere utilizzata fra i giovani durante i dibattiti sulla console migliore senza necessariamente puntare sui fatti matematici, che funzionò. La pubblicità ebbe successo e servì non solo a infuocare il dibattito, ma anche a infuocare la competizione fra le due compagnie, intente a dare il massimo. Nel Gennaio del 1992 ,Sega aveva in mano il 65% del mercato dei videogiochi: per la prima volta Nintendo non era più sovrana del mercato videoludico ma questo servì alla grande N per ripensarsi e prepararsi a stracciare la competizione. Sega, per portarsi un passo avanti, seguì le orme del PC Engine di Nec e, dopo qualche anno sul mercato, lanciò un add-on per i Compact Disc: l’avvento del Sega CD, o Mega CD nel resto del mondo, avrebbe dovuto eclissare una volta e per tutte lo SNES grazie alla capacità superiore del compact disc che poteva offrire ai giocatori dei giochi più grandi e una qualità audio insuperabile. Tuttavia le grosse capacità del Sega CD non furono mai sfruttate veramente al massimo e quello che fu lanciato su Sega CD furono titoli mediocri, punta e clicca da PC (che storicamente non si sono mai adattati veramente bene alle console) e giochi le cui scene in full motion video non finivano mai. Tutto questo, commisto al prezzo addirittura superiore al modello base del Sega Genesis, comportò che il Sega CD vendette solamente 2.24 milioni di unità in tutto il mondo fino al 1996, ma questo fu solo l’inizio per i guai di Sega. Durante questo periodo, la casa nipponica si diede la proverbiale “zappa sui piedi” lanciando il suo ultimo add-on per il Sega Genesis, ovvero il 32X. Questa periferica era solamente un add-on che leggeva delle cartucce più avanzate con grafica a 32 bit e con un processore aggiuntivo; la scelta delle cartucce sembrò essere un passo indietro dopo la spavalda promozione dei CD ma il vero problema fu lanciare il 32X a pochi mesi dal lancio del Sega Saturn, la console Sega per la nuova generazione e già lanciata in Giappone. Persino i fan più sfegatati di Sega decisero che era meglio aspettare la nuova console Sega e lasciare il 32X da parte e così questa periferica, di cui rivenditori dovevano liberarsi per l’arrivo del Saturn, finì per essere svenduta a 20 dollari nel cesto delle offerte; per Sega questo non fu solamente un errore ma anche un vero e proprio motivo di vergogna.

Una console poco convincente

Tuttavia si dice: «anno nuovo vita nuova». Il lancio del Saturn doveva rappresentare un vero e proprio ritorno alla gloria; stessa gloria avuta agli inizi del Sega Genesis e anche al modesto successo del Game Gear, console portatile di Sega lanciata nel 1991 che, fra grossi pregi e qualche difetto (vedi un consumo di batterie molto rapido), offriva ai giocatori una validissima alternativa al Game Boy di Nintendo. Verso la fine del 1994 arrivarono ottime notizie dal Sol Levante: Saturn aveva esaurito le 200.000 unità del lancio al day one, continuando fino a 500.000 unità vendute a Natale per poi arrivare al milione dopo sei mesi; il Sega Mega Drive in Giappone fece solamente 400.000 unità durante solamente il suo primo anno, rimanendo poi in tutta la sua lifespan terza nel mercato 16 bit nipponico (lì, fra Snes e Mega Drive, il PC-Engine di Nec era incredibilmente popolare). Il successo del Saturn era dovuto principalmente alle code interminabili dietro Virtua Fighter nelle arcade, il primo gioco picchiaduro interamente in 3D, e che gettò le basi per altri titoli picchiaduro come Tekken e Dead or Alive. Si potè dire, senza se e senza ma, che in Giappone il lancio fu un vero successo.
Negli Stati Uniti il discorso era ben diverso, in quanto Sega non solo si sarebbe buttata in una competizione infuocata, ma per giunta in un momento di mercato in cui una sua console 32bit era stata lanciata prima del Saturn. Per ottenere un vantaggio sulla neonata Playstation di Sony, Tom Kalinske, dopo la presentazione del Saturn americano durante l’E3 del ’95, lanciò a sorpresa la console annunciando che Saturn era già disponibile nelle catene di Toys “R” us, Babbage’s, Electronic Boutique e Software ETC. Una mossa apparentemente astuta se non fosse stato che, negli Stati Uniti, tante altre catene di distribuzione vendevano i prodotti Sega finendo per escludere le famosissime catene Wallmart e Best Buy; Sega Saturn, pur riscuotendo un buon successo iniziale, risultò dunque difficile da reperire ìm e senza la stessa line-up di titoli giapponesi: negli Stati Uniti arrivarono infatti solamente Virtua Fighter, che con l’uscita di Tekken nelle Arcade perse l’interesse dei giocatori, Daytona USA, che andava abbastanza forte ma che ebbe un port su Saturn visibilmente carente, Pebble Beach Golf Links e Worldwide Soccer: Sega International Victory Goal Edition, due titoli sportivi basati su due sport per nulla giovanili, e infine Clockwork Knight e Panzer Dragoon Saga, unici giochi che avrebbero potuto attrarre il giocatore medio. Nonostante le terribili aspettative, Saturn registrò un iniziale successo, ma i rapporti fra Kalinske e i dirigenti di Sega of Japan non erano più floridi; così Kalinske, l’uomo che portò Sega a ottenere il 65% di market share negli Stati Uniti, lasciò la compagnia in favore di Bernie Stolar. Stolar inizialmente riuscì a ottenere l’esclusività temporale di alcuni titoli ma, non appena questa scadeva, le versioni per Playstation uscivano velocemente e riscuotevano un successo maggiore. Stolar aveva anche notato quale fosse la difficoltà che gli sviluppatori riscontravano quando lavoravano su un qualsiasi titolo: è parere comune dire che il Saturn fosseuna console più tendente al 2D ma, contrariamente a ciò che si può pensare, Sega aveva consegnato una console addirittura più potente della Playstation, con ben 8 processori di cui 2 principali Hitachi da 28.6 MHz che potevano mostrare ben 800.000 poligoni quadrati (a differenza della controparte cui erano triangolari), RAM espandibile fino a 4MB, qualità delle texture e risoluzione video maggiore; tutto ciò veniva però mal utilizzato in quanto molti degli sviluppatori evitavano l’uso del secondo processore principale e dunque ciò generava port azzoppati e una qualità complessivamente inferiore rispetto la controparte Sony; pensate che ancora oggi esistono dibattiti riguardo l’esistenza degli effetti di trasparenza sul Saturn! Ad ogni modo, la console Sega venne piano piano eclissata dalla console Sony, e Saturn, in assenza di una vera killer app, finì per essere messa da parte, persino da Stolar stesso, il quale, all’E3 del 1997, annunciò che il Saturn «non era più il futuro di Sega».
Al di là dei problemi riguardanti lo sviluppo, i problemi di marketing in Occidente erano evidenti in quanto la console era promossa con pubblicità insulse. Non venne inoltre mai consegnato un vero titolo di Sonic che tutti aspettavano, e nulla di ciò che veniva pubblicizzato sembrava attecchire nell’animo dei giocatori; in Giappone, dove la console rimase competitiva e supportata dagli sviluppatori fino al 2000, il marketing era molto curato e le pubblicità della nuova mascotte Segata Sanshiro aiutarono il Saturn a rimanere rilevante durante questo periodo buio; negli Stati Uniti, per evitare il disastro totale, sempre in questo periodo Stolar si assicurò di portare numerosi titoli Sega su PC. In molti diedero la colpa a Bernie Stolar in quanto molti dei giochi del Saturn rimasero esclusive giapponesi (ben l’80% dei giochi non uscirono dalla terra natia) e i fan di oltremare poterono godere di una libreria di titoli non all’altezza della corrispondente nipponica, o furono costretti a comprare i giochi dal Giappone con spese di spedizione da capogiro. La libreria di giochi del Saturn, specialmente quella giapponese, era comunque una libreria veramente varia e giochi come Nights… into Dreams, Guardian Heroes, Shining Force 3, Saturn Bomberman, Panzer Dragoon Saga o Radiant Silvergun hanno oggi ricevuto un cult following senza precedenti. Purtroppo il tutto era aggravato dalla tendenza della grafica 3D e, anche se molti dei giochi 2D del Saturn eranoeccellenti, molti dei titoli rimasti in Giappone non potevano semplicemente competere in un mercato i cui clienti richiedevano principalmente giochi 3D, a differenza del Giappone dove il divario grafico non era così attenzionato. Stolar, per quanto la sua mossa di abbandonare Saturn fu e continua a essere vista oggi da molti come una scelta sbagliata, si sentì costretto ad abbandonare la console per riuscire ad appellarsi a un pubblico più ampio e tenere la compagnia a galla; a quel punto, Sega, le cui finanze non erano nel momento migliore, dovette immediatamente cambiare strategia di mercato e lanciare non solo una nuova console ma rilanciare la propria immagine che nel tempo si era opacizzata, e soprattutto doveva riguadagnare il rispetto che i fan le riservavano ai tempi del Mega Drive.

La luce in fondo al tunnel

All’E3 del 1998 Sega presentò a porte chiuse ciò che venne annunciato come Katana, e i giornalisti e gli sviluppatori invitati alla presentazione dovettero firmare un accordo per non parlare, nei mesi successivi, di ciò che avevano visto in quella stanza. A tempo debito qualcuno scrisse del Dreamcast e i propositi riguardo questa nuova console sembravano eccellenti: grafica mai vista, avanti anni luce rispetto alla Playstation di Sony e al Nintendo 64, e giocabilità senza precedenti. Il design di questa nuova console, di colore bianco e dal controller con 4 tasti frontali e due grilletti dorsali, serviva a tagliare definitivamente col passato e a dichiarare ad alta voce che si era dinanzi a un nuovo inizio. Nel tardo 1998, Dreamcast arrivò in Giappone e, nonostante la sparuta linea dei titoli di lancio, Sega esaurì le scorte in un giorno; negli Stati Uniti invece i fan erano affamati di una nuova console Sega e i preordini del Dreamcast, previsto per il 9 Settembre 1999 per 199.99 dollari (9/9/99 199,99, numeri da far sbizzarrire ogni appassionato di Cabala), superarono addirittura quelli della Playstation al lancio. Dreamcast avrebbe inoltre lanciato il multiplayer online su larga scala, ai tempi esclusivo appannaggio dei giocatori su PC, includendo un modem di 56k attaccato a Dreamcast e una linea di titoli di lancio era più numerosa rispetto a quella giapponese; le premesse per un successo c’erano tutte e il Dreamcast riuscì a ottenere in effetti un inizio spettacolare. Dreamcast ha potuto godere di una delle linee di lancio più belle mai viste nella storia dei videogiochi: i giocatori americani ebbero a loro disposizione titoli come Sonic Adventure, Soul Calibur, Blue Stinger, Ready 2 Rumble Boxing e più in là avrebbero visto alcuni dei più bei giochi di sempre in una console come Jet Set Radio, Resident Evil: Code Veronica, Phantasy Star Online, Shenmue e tantissimi altri. Sega non aveva più l’accordo d’esclusiva con EA per i giochi di sport come durante i primi anni del Saturn, poiché Sega non riuscì a soddisfare le vendite previste per i loro titoli; Dreamcast, tramite il publisher in house Sega Sport, diede il via alla famosa linea di giochi 2K insieme alla Visual Concepts, linea che ancora vive tuttoggi sotto le licenze NHL, NFL, NBA e persino WWE; questi titoli, dal gameplay semplice e accessibile, fecero avvicinare in anche molti casual gamer e Dreamcast, specialmente all’inizio, ebbe un ottimo impatto sia sui giocatori hardcore sia sui casual. Tuttavia, dopo un lancio che sembrava rischiarire il futuro di Sega, Dreamcast si trovò di fronte a tre principali problemi: un marketing ancora non all’altezza, la pirateria e l’imminente lancio di Playstation 2. Dopo il lancio di Dreamcast, le pubblicità in televisione di Sega, sia in America che in Europa, erano pochissime e poco frequenti, e il grosso pubblico rimase in gran parte inconsapevole dell’uscita di questa meravigliosa console; insieme a pochissimi casi isolati, l’unico grande investimento pubblicitario di Sega, specialmente in Europa, fu il concedere lo sponsor a una squadra calcistiche di Serie A, la Sampdoria, una della Premier League, l’Arsenal, una di Liga, il Deportivo de La Coruna, e una della francese Ligue 1, AS Saint-Étienne. Sega si trovò inoltre impreparata di fronte alle copie dei giochi pirata che cominciavano a imperversare dappertutto: essenzialmente, a differenza del Saturn che aveva un sistema di protezione reale, il Dreamcast si cullava esclusivamente sul media esclusivo della console, ovvero il GD, che a differenza del CD poteva contenere 1GB di memoria. Il media era sì introvabile nei negozi a differenza dei CD ma, con l’avanzare della tecnologia dei masterizzatori, le immagini da 1GB dei dischi Dreamcast potevano essere compresse in un normale CD in overburn (ovvero “stringendo” il più possibile la scrittura del disco e far sì che l’immagine entrasse tutta in un disco di 700MB) e Dreamcast era in grado di leggere questi dischi senza nemmeno l’ausilio di un boot disc. In pratica, se si aveva un computer con un buon masterizzatore e anche una buona connessione per scaricare le immagini dei dischi si poteva accedere all’intera libreria del Dreamcast con il minimo sforzo e in maniera del tutto gratuita, senza contare che molti dei pirati aprivano vere e proprie attività in nero basate sulla vendita dei dischi copiati e backup. Dunque, non solo a Sega non arrivavano introiti dalle vendite sia hardware, per la povera pubblicità, che software, per via della pirateria, ma le cose per Dreamcast stavano per mettersi malissimo: nel 1999 Sony annunciò la nuova Playstation 2, console che non solo era tecnicamente superiore a Dreamcast, ma che utilizzava un media ben superiore al GD, ovvero il DVD che di lì a poco avrebbe gettato le basi persino per il mercato home-video. Dreamcast si trovò in pochissimo tempo ad avere i giorni contati e l’unica cosa che Sega poteva sperare era che i fan supportassero la loro console inferiore di fronte al mostro Sony, cosa che in fondo era successa col Mega Drive per il Super Nintendo; il supporto dei fan c’era, ma non era tale da supportare la console di fronte a un mercato ormai del tutto diverso. Inoltre lanciare un add-on per i DVD, come alcuni oggi ribadiscono, sarebbe semplicemente stato ridicolo dopo quanto successo con Sega CD e 32X, dunque una periferica esterna costruita per salvare il Dreamcast era fuori discussione.

Sega si ritirò dal mercato hardware nel 2001 ma i giochi in Nord America e Europa continuarono a uscire ufficialmente fino al 2002, e in Giappone addirittura fino al 2007. In realtà l’avventura di Dreamcast si può ancora dire non conclusa: infatti diversi sviluppatori, come i tedeschi NG.DEV.TEAM, continuano tuttora a rilasciare giochi per l’ormai defunta Dreamcast; l’ultimo titolo per Dreamcast (anche se non ufficiale) è a oggi NEO XYX, uscito nel 2014. Su Dreamcast Sega puntò tutto quello che aveva, sperando fosse la console che avrebbe portato la casa nipponica in auge ancora una volta: nonostante tutti i buoni propositi e un lancio strepitoso, la console divenne il canto del cigno ma Dreamcast è a oggi ricordata come una delle console più belle mai realizzate.     

Il nuovo volto di Sega

Finita dunque l’avventura nel mercato hardware, Sega pose la sua nuova identità come publisher. Inizialmente l’idea era quella di proporre a Microsoft – visto che era stata realizzata la versione per Dreamcast di Windows CE per navigare in internet – di rendere compatibile la loro macchina d’imminente uscita, la Xbox, con i giochi del Sega Dreamcast ma l’idea fu scartata; tuttavia Microsoft annunciò al Tokio Game Show del 2001 un accordo che vedeva ben 11 esclusive Sega per la nuova console Microsoft quali Panzer Dragoon Orta, Jet Set Radio Future, Sega GT, Shenmue II (che negli Stati Uniti non arrivò ai tempi del Dreamcast) e molti altri. Sega strinse inoltre ottimi rapporti con Nintendo, assicurando più in là alcune esclusive per Gamecube e l’unione con quest’ultima e Namco per la creazione del sistema arcade Triforce che diede i natali a F-Zero AX, Mario Kart Arcade GP e Mario Kart Arcade GP 2. La grande S a oggi non vuole solamente essere l’ombra di ciò che era un tempo: infatti, anche dopo la fine di Dreamcast, Sega si è messa all’opera per la creazione di tante nuove IP come Yakuza, Super Monkey Ball, Vanquish, Valkyria Chronicles, o come publisher per giochi come Hell Yeah! Wrath of the Dead Rabbit, Football Manager e molte altre. A oggi Sega è in perfetta salute finanziaria e un ritorno al mercato hardware, vagheggiato da molti nostalgici, rappresenterebbe una follia; l’unica parentesi che Sega ha avuto nel mercato hardware dopo Dreamcast (e questa è una vera chicca per gli appassionati più estremi) è stato il Sega Vision, un lettore multimediale di 2GB in grado di leggere MP3, MP4, filmati AVI, immagini e persino e-book, ma bisogna essere veramente fortunati ad aggiudicarsi una di queste macchine perché, andando in Giappone, si potranno trovare queste unità all’interno di quelle odiosissime macchine della pesca fortunata (quelle con l’artiglio metallico)… e sempre se nel 2018 saranno ancora al loro interno! Inoltre, anche se questo non riguarda Sega direttamente, la AT Games produce ancora un sacco di prodotti relativi al Mega Drive e Master System, come il recente Sega Genesis Flashback che offre sia 85 giochi al suo interno che uno slot per le cartucce originali; il tutto con un superbo up-scaling in HD. L’inarrestabile popolarità di Sonic e l’uscita di titoli come Sonic Mania e i giochi della serie Sega Forever stanno a testimoniare l’impatto che Sega ha avuto nel mercato mondiale e che i giocatori di tutto il mondo non hanno mai dimenticato il gigante Sega neanche per un secondo.




Yuji Naka, creatore di Sonic, si unisce a Square Enix; nuovo titolo in sviluppo

Yuji Naka ha annunciato oggi sul suo account Twitter che è entrato a far parte di Square Enix. Naka ha anche menzionato che lavorerà nel team di game development  e che il suo obiettivo sarà quello di consegnare un gioco piacevole.

Nella versione giapponese del suo tweet Naka ha anche spiegato che è elettrizzato all’idea di buttarsi in una nuova sfida alla Square Enix, il che fa pensare che il creatore di Sonic potrebbe andare a cimentarsi in un qualche nuovo genere videoludico che non ha mai preso in considerazione.

Yuji Naka è famoso soprattutto per aver portato alla luce Sonic the Hedgehog ma il suo curriculum va ben oltre i giochi del porcospino blu. Dal 1984, anno in cui debuttò in Sega con il suo Girl’s Garden per il Sega SG-1000, il suo contributo come programmatore è stato decisivo per la creazione di alcuni giochi come Phantasy Star I & II, Alex Kidd in Miracle World e, come creatore, in Nights into Dreams e Chuchu Rockets!.

Durante la scorsa decade ha lavorato per lo più come produttore e il suo ultimo gioco è stato Rodea the Sky Soldier per Nintendo Wii, Wii U e 3DS.

Yuji Naka non ha fornito ulteriori informazioni sul gioco alla quale sta lavorando però, il solo sapere del suo ritorno alla programmazione ancora una volta, è certamente molto intrigante.




SEGA: spunta un misterioso countdown

Sega ha aperto oggi una nuova pagina contenente un countdown al termine del quale, con buona probabilità, verrà annunciato un nuovo gioco.

Il sito mostra un ambiente fantasy con isole sospese in aria, un trono e un orologio gigante. Il countdown volgerà al termine per le ore 15:00 giapponesi di giorno 19 Gennaio (che corrisponderanno all’incirca alle ore 7:00 italiane dello stesso giorno).

L’URL del sito web include la parola giapponese “Senki” che in italiano corrisponde a “cronache di guerra”. Questo potrebbe essere un riferimento al titolo RPG Bahamut Senki del 1991, sviluppato e pubblicato da Sega nel 1991 per Mega Drive; tuttavia l’annuncio ufficiale parla di “arcade game” e dunque la possibilità che possa trattarsi di un RPG come Bahamut Senki, o, nelle personalissime speranze di chi scrive, di Phantasy Star o Skies of Arcadia, viste le tematiche dello sfondo, sono in realtà poche. Secondo DualShockers, potrebbe invece trattarsi di qualcosa relativo alla saga di light novel Grancrest Senki, di Ryo Mizuno, la cui serie anime è cominciata lo scorso 5 Gennaio ma, anche queste, sono pure speculazioni.

Il messaggio «Sega rivela un misterioso countdown. Cosa succederà quando arriverà a zero?!» è l’unico indizio fornito in via ufficiale.

Non ci resta che aspettare e vedere di cosa si tratta. Inoltre, la scorsa settimana, Sega ha postato un ulteriore teaser su Twitter, la cui data rimanda a domani. Insomma, sembra proprio che la nota compagnia nipponica voglia proprio riempirci di sorprese!