SNK 40th Anniversary Collection

Se qualcuno non lo sapesse, cominciamo col ricordare che SNK è stata una delle case videoludiche più influenti e importanti del Giappone in campo hardware e software. La Shin Nihon Kikaku (in inglese “New Japan Project”) fu fondata nel 1973 e cominciarono a produrre videogiochi dal ’79 per tutti gli anni ’80 ma fu negli anni ’90 che diventarono dei protagonisti del gaming di quegli anni. Popolari nell’home market ma soprattutto nelle arcade, la SNK rilasciò il Neo Geo MVS (che sta per Multi Video Sistem) nel 1990, segnando così un punto di svolta nel mercato. Oggi SNK è una delle compagnie più attive nell’ambito del retrogaming, avendo rilasciato molti dei suoi titoli chiave sullo store del Nintendo E-Shop e lo spettacolare Neo Geo Mini, una bellissima mini console che riproduce la forma e le funzionalità di un cabinato MVS.
A fine 2018, il 13 Novembre, SNK ha rilasciato per Nintendo Switch la bellissima SNK 40th Anniversary Collection, approdata lo scorso 29 marzo su PS4, una raccolta di titoli pre-MVS curata da Digital Eclipse e SNK, che racconta le radici di questa nota compagnia giapponese. Non troveremo nessun Metal Slug, King of Fighters, Fatal Fury o Samurai Showdown ma avremo in compenso dei grandi titoli che hanno posto le basi per l’avvenire di SNK e i suoi futuri “big red monster”, i cabinati Neo Geo MVS,  che dominarono le arcade negli anni 90. Vediamo cosa c’è all’interno di questa bellissima collection che celebra la vita e l’eredità di una compagnia giapponese che fronteggiò Nintendo e Sega con risultati veramente eccellenti.

Una notte al museo

Prima di scendere nelle (brevi) analisi dei singoli giochi che compongono questa raccolta, vogliamo analizzare la presentazione della collection in sé. All’avvio avremo la possibilità di accedere alla sezione museo dove poter conoscere la storia dei titoli SNK dal 1978 – pensate –  al 1990, anno in cui fu lanciato il più standardizzato sistema Neo Geo MVS, includendo dunque anche giochi che non sono presenti in questa raccolta. Ogni presentazione include solitamente artwork, manuali di istruzioni, illustrazioni pubblicitarie, screenshot e a volte anche foto dei cabinati, il tutto accompagnato da brevi ma dettagliatissime linee di testo che ci raccontano la storia dello sviluppo del gioco in questione, le innovazioni portate e retroscena esclusivi. Sono così utili e belle che le abbiamo consultate più volte nel compilare questa stessa recensione!
La sezione museo include inoltre le colonne sonore di tutti i giochi presenti in questa collezione, nel caso vorreste ascoltare singolarmente alcuni dei brani dei giochi a cui avete giocato. Nelle opzioni invece potrete guardare i crediti, cambiare la lingua (dei menù, non certo dei giochi), vedere il progresso degli achievement esclusivi di questa collection e scegliere la visualizzazione verticale o orizzontale, come un vero cabinato arcade (ma questa opzione è possibile solo in modalità portatile).
Nei giochi, così come accade per le migliori collection che si rispettino, abbiamo la possibilità di cambiare il ratio dell’immagine, ovvero il classico 4:3 (spesso allungato) centrato, il 4:3 che si lega ai bordi superiori e inferiori dello schermo e 16:9 (le stesse opzioni presenti nella release Sega Ages di Thunder Force IV); poi possiamo cambiare filtro dell’immagine, ovvero il pixel perfect (senza filtro), con gli scalini della TV e il filtro monitor da sala giochi, ai tempi più avanzati rispetto ai monitor casalinghi. Essendo questa collection principalmente indirizzata ai giocatori di una certa età che hanno giocato in passato a questi titoli, e che con buona probabilità hanno sempre meno tempo per giocare ai videogiochi, è stato inserito un tasto rewind, “L”, che permette di mandare indietro l’emulazione dei giochi giocati e dunque giocare al meglio ogni singola partita; un compromesso veramente superiore, e più veloce, dei più comuni save/load state (a ogni modo presenti e utilizzabili dal menù di pausa). Qualora doveste abbandonare per forza la vostra partita potrete tornare al menù principale con l’opzione “salva ed esci”; in questo modo, quando riprenderete la vostra partita, vi ritroverete esattamente nel punto in cui l’avevate lasciata, una scelta semplice, standard, essenziale e perfettamente funzionale. In alcuni dei giochi è possibile cambiare la regione e scegliere le versioni arcade e Nintendo Entertainment System (ove presente). Quest’ultima opzione è una vera e propria manna dal cielo per quegli utenti che non hanno ancora preso in considerazione l’iscrizione al servizio online di Nintendo Switch che permette l’accesso ai titoli NES in streaming. Ma adesso diamo un breve sguardo di dettaglio a buona parte dei giochi inclusi in questa raccolta.
Di seguito vi verranno riportati i titoli (anche alternativi), l’anno di produzione, le versioni regionali (selezionabili dal menù col tasto “X”) e versione hardware, ovvero arcade e/o NES.

  • Alpha Mission/ASO1985US, JPArcade, NES. Uno dei primi shoot ‘em up moderni della SNK, che dunque seguì la rivoluzione lanciata da Gradius nel 1985. Il gameplay si rifà principalmente a Xevious, con obiettivi in volo e in superficie da eliminare coi missili, ma la sua unica meccanica consistente nel raccogliere pezzi di armatura in volo, e dunque creare diverse combinazioni di offesa e difesa, lo accostava tranquillamente ai giochi RPG di cui i programmatori SNK erano ghiotti. È un gioco veramente difficile e tedioso ma grazie alle opzioni inserite in questa collection potremo giocarlo con molta calma, la stessa che mancava tempo addietro quando orde di bambini sudati inserivano le proprie 500 lire per provare a superare anche un solo livello.
  • Athena1986INTArcade, NES. Platform che ha per protagonista la dea greca della sapienza, dell’arte e della guerra (rigorosamente in bikini rosso come da tradizione epica), lo si può considerare come un insolito mix di Alex Kidd in Miracle World, per il design generale, e Ghost ‘n Goblins per la sua incredibile difficoltà. Sebbene il gioco non sia esente da difetti, Athena fu una delle più grandi hit della SNK prima del lancio del Neo Geo MVS; il titolo portò elementi propri del RPG, genere più propriamente legato alla dimensione casalinga, in un semplice platform per arcade tramite la semplice collezione di armi, scudi e pezzi di armatura che apparivano addosso ad Athena una volta raccolti: una vera rivoluzione per l’epoca. La protagonista stessa divenne una delle prime mascotte della SNK, tanto che per il titolo Psycho Soldier (che vedremo più avanti) venne creata Athena Asamiya, una discendente diretta dell’originale Athena, che apparirà più in là anche nella serie picchiaduro King of Fighters, anche con l’iconico bikini rosso nelle schermate di vittoria. Sconsigliato a chi ha poca pazienza e ai puristi dell’epica greco-romana.
  • Crystalis/God Slayer1990US, JPNES. Questo titolo per NES si discosta in tutto e per tutto dallo stile arcade che caratterizza molti dei giochi SNK presenti in questa collection, infatti Crystalis è un iconico gioco d’avventura sullo stile di The Legend of Zelda che provò a colmare la grande fame venutasi a creare dopo il rilascio di Zelda II: The adventure of Link, titolo che lasciò i fan della saga con uno strano amaro in bocca per il suo forte scostamento dal primo capitolo. A differenza dell’iconica saga Nintendo, il design generale di Crystalis ha una spiccata sfumatura sci-fi, più vicina a Phantasy Star, e altre componenti RPG non presenti in The Legend of Zelda, prima fra tutti la crescita livellare. Il gioco ricevette nel 2000 un porting per Gameboy Color ma solamente con l’avvento di internet Crystalis ottenne lo status di cult following. Una vera e propria chicca per NES che difficilmente gli iscritti del servizio online di Nintendo Switch vedranno in tempi brevi (sempre se mai arriverà) in streaming; una vera e propria gemma nascosta che potrete persino giocare offline! Se c’è un titolo che vale l’acquisto di questa collection, Crystalis è esattamente quel gioco.

  • Ikari Warriors/Ikari1986US, JPArcade, NES. Ispirato a film come Rambo e Commando, Ikari Warriors è un gioco simile a uno shoot ‘em up che però ci permette di controllare l’avanzamento dei nostri soldati Ralph e Clark (Paul e Vince al di fuori del Giappone), futuri combattenti in King of Fighters. Sebbene, come Athena, il gioco presentava una miriade di difetti (soprattutto sulla versione per console) il gioco diventò popolarissimo, sia nelle sale giochi che nelle case dei possessori del NES, per via dell’avvincente campagna da giocare in due giocatori contemporaneamente. Dopotutto, come non poteva Ikari Warriors diventare popolare? Insomma, includeva due virili soldati che uccidevano ondate di nemici in una giungla a petto nudo a colpi di fucile (infatti molti giocatori speculavano che i due personaggi giocabili erano proprio John Rambo e John Matrix di Commando, in poche parole Sylvester Stallone e Arnold SchwarzeneggerRambo Commando!), granate ed era possibile anche guidare i carri armati, feature che diventerà essenziale in Metal Slug. La versione per console è decisamente la più difficile in quanto non era possibile includere la feature dello stick rotante presente in sala giochi (oggi fedelmente riprodotta nella la versione arcade col secondo stick del controller del Nintendo Switch, le stesse meccaniche di un twin stick) e non era possibile continuare a giocare dopo la perdita delle due vite; tuttavia, alla perdita dell’ultima vita, potrete riprendere a giocare se digiterete, con i tasti “A” e “B” del NES, il nome di una famosa pop band svedese di quattro lettere… Mamma Mia, che complicazione!
  • Ikari Warriors II: Victory Road1986US, JPArcade, NES. Terminata la prima avventura, Paul e Vince tornano a casa in aereo ma una strana turbolenza li porta avanti nel futuro, in uno strano mondo sci-fi popolato da strane creature e alieni. Il gameplay generale rimase lo stesso del primo capitolo ma furono aggiunte giusto nuove armi, come i bazooka e le spade in grado di uccidere i nemici senza un proiettile, le aree nascoste e sostituiti i carri armati con delle armature. Questo nuovo titolo incluse inoltre delle chiarissime linee di dialogo, uniche per entrambe le versioni. Nonostante i temi più seriosi, in Ikari Warriors II furono inseriti elementi di humor per rendere la fruizione del gioco più leggera. Se giocate a questo gioco in due provate a incrociare le spade come si vede nell’artwork!
  • Guerrilla Wars/Guevara1987US, JPArcade, NES. Inizialmente il gioco fu concepito come un ulteriore sequel di Ikari Warriors ma durante lo sviluppo il presidente della SNK si interessò ai personaggi di Ernesto “Che” Guevara e Fidel Castro dopo aver letto il libro “La Guerra di Guerriglia” scritto dal rivoluzionario cubano, unico libro che trattava la rivoluzione cubana disponibile in Giappone. Fu così che un giorno, a metà dello sviluppo del sequel, si presentò ai programmatori chiedendo che il titolo venisse trasformato in un gioco sui rivoluzionari cubani. Ebbene sì, nella versione Giapponese (in realtà anche quella americana ma i nomi dei personaggi giocabili non vengono mai menzionati) controllerete il guerrigliero Che Guevara e l’ex leader cubano Fidel Castro, come secondo giocatore, intenti a rovesciare il durissimo governo di Fulgencio Batista… altro che lezioni di storia! Il gameplay riprende Ikari Warriors in tutto e per tutto ma aggiunge il salvataggio di ostaggi, che se colpiti da un nostro proiettile comporteranno la perdita di 500 punti, e il miglioramento delle AI dei nemici, ora più furbe e più strategiche. Probabilmente è un gioco che non portò grandi innovazioni, ma era un gioco “rivoluzionario” a modo suo!

  • Ikari III: The Rescue1989US, JPArcade, NES. Stavolta per la rabbia, visto che “Ikari” in giapponese significa proprio “rabbia”, Paul e Vince abbandonano le armi e decidono di far fuori i nemici alla vecchia maniera: “mazzate”! In Ikari III le armi da fuoco si fanno rare, così come i neo-introdotti oggetti contundenti, e il nostro metodo di difesa principale diventano i pugni e i calci – un vero e proprio tributo a Chuck Norris!. Da notare è anche l’abbandono dello stile animato degli artwork in favore di uno più realistico e crudo.
  • Iron Tank1988US, JPNES. Altro titolo sviluppato per NES che non arrivò mai nelle sale giochi ma che, a differenza di Crystalis, conserva un gameplay prettamente arcade. Iron Tank è il sequel di TNK III (che vedremo più avanti), ovvero un gioco simile a Ikari Warriors ma in cui controlleremo un carro armato. I due tasti del NES serviranno a sparare due tipi di fuoco diversi, ovvero uno sparo che segue la direzione del carro armato e uno direzionato nel verso del cannone principale. TNK III era dotato dello stesso stick rotante di cui Ikari Warriors era munito per muovere il cannone principale (dunque si poteva mirare dritto col cannone principale e spostarsi lateralmente continuando a sparare coi cannoni inferiori, sparando così in due direzioni contemporaneamente) ma col controller del NES è tutto un altro discorso: il cannone superiore si muove soltanto quando terremo premuto “B” (layout del NES), ovvero il tasto dei cannoni inferiori, perciò sarà impossibile sparare in due direzioni in questa versione. Nonostante le limitazioni Iron Tank risulta comunque un gioco molto gradevole.
  • P.O.W. Prisoners of War/Datsugoku1988US, JPArcade, NES. Uno dei primi beat ‘em up della SNK, P.O.W. si rifà principalmente a film come Fuga di mezzanotte o Fuga da Alcatraz in cui un protagonista programma, e conclude, una fuga da una prigione di massima sicurezza. La versione arcade di questo gioco ha un sistema di controllo a quattro tasti che includono un calcio e un pugno forte, un tasto per le combo e un tasto per il salto. Nel 1989 P.O.W. uscì per NES e, visti i problemi relativi al controller e alla memoria del sistema, fu semplificato il sistema di combattimento e tolta la modalità per due giocatori; in compenso furono introdotte nuove armi e oggetti contundenti, sub-aree e un nuovo boss finale. Per una volta la versione NES sembra che abbia dato di più rispetto alla controparte arcade!

  • Prehistoric Isle in 19301989US, JPArcade. In questo spettacolare shoot ‘em up sulla scia di R-Type partiremo alla volta di una misteriosa isola per capire cosa si cela dietro allo strano fenomeno della scomparsa degli aerei che le si avvicinano; una volta lì scopriremo che l’isola è abitata da creature preistoriche, dinosauri, cavernicoli e altri esseri ancestrali. Come il rivoluzionario gioco della Irem, avremo una sorta di satellite che rimarrà attaccato al nostro aereo ma potremo posizionarlo in otto posizioni diverse dalle quali partirà un colpo di supporto diverso: in diagonale bassa verrà lanciato un siluro in pieno stile Gradius, se lo posizioneremo sul retro lasceremo delle mine, e così via. I passi avanti rispetto ad Alpha Mission e Chopper I (arrivato in questa collection come DLC) sono evidenti e, fra gli Shmup presenti in questa collection, Prehistoric Isle in 1930 è certamente il più completo e il più avvincente.
  • Psycho Soldier1987US, JPArcade. Sequel spirituale di Athena che include la sua erede Athena Asamiya, Psycho Soldier è un platform a scorrimento automatico che funziona su quattro superfici, un po’ come avviene in City Connection della Jaleco. Ha pochi legami con l’originale Athena, come il poter rompere i blocchi e l’inclusione di Athena stessa, ma offre un gameplay nettamente superiore al suo predecessore, con potenziamenti di vario tipo e persino trasformazioni, e si gioca con molto piacere, soprattutto in cooperativa con un secondo giocatore che comanderà l’amico Sie Kensou, anche lui futuro combattente in King of Fighters. Di degna nota è soprattutto la colonna sonora, la prima nella storia dei videogiochi a includere una traccia con delle linee cantate dalla cantante giapponese Kaori Shimizu; la versione giapponese venne curata con particolare attenzione, tanto che poi per l’uscita di Athena per Famicom venne inclusa una musicassetta con il singolo, ma la versione inglese presenta delle linee “broken english” molto risibili!
  • Street Smart1989US,JPArcade. Il primo esperimento della SNK in ambito picchiaduro. Il genere era ancora agli albori: Street Fighter, uscito nel 1987, pose le basi per i picchiaduro in tutto il mondo, ma non stupì abbastanza da imporre uno standard, e molte compagnie videoludiche ponevano in essere un proprio sistema di gioco sempre diverso. Street Smart mette i giocatori in un area di gioco tridimensionale, ponendosi dunque come una specie di area boss di un beat ‘em up, ma il tutto risulta molto giocabile pur non avendo mosse speciali e tutte quelle feature che faranno grandi i tournament fighter à la Street Fighter II. Al posto della parata, Street Smart offre un tasto per fare una capriola all’indietro e evitare con stile gli attacchi avversari. Gli unici due personaggi disponibili, Karate Man e Wrestler, sono rispettivamente primo o secondo giocatore. L’obiettivo del gioco? Mettere al tappeto gli avversari per la gloria, i soldi… e le ragazze!

  • TNK III/T.A.N.K.1985US, JPArcade. In TNK III si combatte con un carro armato, guidato dal Ralph di Ikari Warriors, e il sistema dello stick rotante, per la prima volta implementato qui, permette di far fuoco col cannone principale in una direzione e muoversi in un’altra facendo fuoco con un altro cannone che segue la direzione dell’autoblindo. Grazie ai controlli di una console moderna come il Nintendo Switch possiamo rivivere l’esperienza autentica di questo storico titolo che non solo ha avviato questo filone di titoli di sparatutto dall’alto con lo stick rotante ma ha anche salvato la SNK da un incombente fallimento. Un vero e proprio capolavoro!
  • Vanguard 1981 INTArcade. Primo grande successo mondiale per SNK, Vanguard era così popolare che Atari ne comprò i diritti per poter fare un porting per l’Atari 2600 che divenne un successo anche nel mercato casalingo. Era uno shooter simile a Scramble, gioco della Konami che pose le basi per gli shmup e la sua stessa saga di Gradius, ma proponeva feature ambiziosissime: aveva quattro tasti per sparare in alto, in basso, a destra e a sinistra, scorreva in orizzontale, in diagonale e in verticale, aveva delle linee di dialogo, rese con una primitiva sintesi vocale simile a quella vista in Berzerk, ed era uno dei primi giochi per sala giochi a includere una funzione di continue (tanto che nei filmati demo, prima di inserire il gettone, veniva spiegata questa futuristica feature). A bordo della nostra navicella dobbiamo arrivare in fondo alla caverna in cui risiede il re Gondo, un alieno che terrorizza le colonie vicine; al termine dell’avventura, come consueto per i primi giochi arcade, il gioco ricomincia a una difficolta elevata e potremo continuare fin quando ne abbiamo voglia (che fortuna non dover più inserire monete in una macchina). Magari ai giocatori più giovani Vanguard potrebbe non dire niente, ma ciò non toglie che è uno dei giochi più importanti della storia del gaming e merita di essere giocato almeno una volta nella vita. L’unica cosa che avrebbe potuto migliorare questo gioco sarebbe stata inserendo un’intonazione di Danger Zone di Kenny Loggins ogni qual volta la voce robotica annuncia l’ingresso in una “danger zone“, ma in fondo va bene così (e poi… non l’aveva ancora scritta)!

Quelli che abbiamo elencato sono i titoli originariamente rilasciati per Nintendo Switch, ma la stessa edizione è stata gratuitamente implementata l’11 dicembre 2018, quando tutti i possessori di SNK 40th Anniversary Collection si sono ritrovati un aggiornamento che aggiungeva ben altri 9 titoli:

  • Bermuda Triangle1987US, JPArcade. Un insolito shoot ‘em up che incorpora le meccaniche dello stick rotante visto in TNK III e Ikari Warrior, Bermuda Triangle permette di controllare una nave madre di grandi dimensioni (simile a una Great Fox della saga di Star Fox, per intenderci) e pertanto, visto che schivare i proiettili non sarà semplicissimo, potremo contare sui caccia che affiancheranno la nostra nave madre, anche per quel che riguarda la potenza di fuoco. Ciò che stupì all’epoca, insieme all’emozionante gameplay che includeva anche meccaniche di viaggio nel tempo, fu anche la sua coloratissima e vibrante grafica, visivamente un grande passo in avanti per SNK.
  • Chopper I/Legend of Air Cavalry1988US, JPArcade. Un moderno shoot ‘em up che ricorda nelle sue fattezze la saga di 19XX di Capcom. Altro grande titolo per SNK, Chopper I offre un gameplay veramente da manuale, con un intensità di proiettili nemici simile ai primi titoli della Toaplan, come Truxton e Zero Wing, famosi per aver – diciamo – lanciato quella tendenza che anni più avanti si sarebbe evoluta nel bullet hell (ma questo titolo è ben lontano dall’esserlo). Un titolo più che mai adatto per gli appassionati degli shmup vecchio stile, non troppo moderno ma neanche troppo datato.
  • Fantasy 1981US, JPArcade. Altro titolo proveniente dall’epoca d’oro delle arcade, per tanto costruito intorno allo stesso hardware di Vanguard e Sasuke vs. Commander (rilasciato in questi DLC), questo titolo offre un gameplay incredibilmente vario che si rifà principalmente ai più popolari Donkey Kong, Jungle Hunt e lo stesso Vanguard, in cui un ragazzo corre dietro alla sua sfortunata ragazza che viene rapita da pirati, scimmioni e tribù di cannibali. Come il precedente successo arcade SNK, Fantasy include l’innovativa feature di continue, chiare (ed esilaranti) linee vocali e persino, in un livello, parte della popolarissima hit disco “Funkytown”! Un altro titolo storico che, come Vanguard, possiede quella magia capace di portarci in un epoca in cui ci si stupiva con poco fatta principalmente di giochi elettronici, code interminabili dietro a un cabinato, senza cellulari e senza internet.

  • Munch Mobile/Joyful Road1983US, JPArcade. In questo strano gioco dai toni “pucciosi” controlleremo un’automobile senziente dalle braccia elastiche, utili per raccogliere mele, ciliegie, pesci, sacchi di soldi e taniche di benzina ai bordi della strada. Munch Mobile è un gioco particolarmente difficile, soprattutto perché la strada è piccola e l’uscita fuori strada comporta la perdita di una vita, ma se si è bravi potremo arrivare addirittura agli uffici della SNK! Il gioco, inoltre, tenta di sensibilizzare i più piccoli riguardo i temi dell’ambiente e dell’inquinamento: una volta raccolto e mangiato un oggetto commestibile possiamo guadagnare molti più punti se getteremo i suoi resti nei cestini della spazzatura riallungando le braccia verso questi oggetti sparsi nei per i bordi della strada. L’ironia sta proprio nel fatto di come un’automobile, un oggetto artificiale, riesca ad essere più pulita di certe persone!
  • Ozma Wars1979 INTArcade. Questo titolo, il più vintage di questa collection, è un fix shooter sulla scia di Space Invaders, il primo gioco che imitò il successo arcade della Taito. Ozma Wars nacque dall’impossibilità di Taito di produrre abbastanza cabinati e tabletop di Space Invaders; SNK, in mezzo alle tante compagnie che acquistarono i diritti per produrre Space Invaders al fine di aiutare Taito con la distribuzione, creò parallelamente sullo stesso hardware un kit di conversione per offrire ai giocatori delle sale giochi, che erano colme di cabinati di Space Invaders, un’esperienza diversa e lanciarsi nel mercato come un nuovo produttore, al pari di Taito, Sega e Nintendo. Anziché far fuori una schiera di alieni come nel popolare arcade, Ozma Wars innova il concetto proponendo navicelle, più dettagliate e sullo stile dei caccia spaziali di Star Wars, che come in uno shooter moderno scendono dall’alto verso il basso, sparano con più frequenza e persino di riducono la loro hitbox mettendosi di taglio (come quando si premono “L” e “R” in Star Fox) o addirittura rendendosi invisibili per qualche secondo; probabilmente, però, l’innovazione più grande di questo titolo fu quella di offrire dei livelli sempre diversi e la barra di energia, che si ricarica attaccando la nostra navicella alla più grande nave madre. Il modesto successo di questo gioco, primo vero loro titolo originale, spinse la SNK a puntare sempre più in alto e Ozma Wars rappresenta in tutto e per tutto l’inizio della compagnia che noi oggi conosciamo e amiamo.
  • Paddle Mania 1988INT Arcade. Probabilmente uno dei primi crossover della storia, ma non come intendiamo oggi un Super Smash Bros.: Paddle Mania mette faccia a faccia, in un campo chiuso in cui la palla non può andare fuori campo, giocatori di tennis, pallavolo, pallanuoto, sumo e persino surfisti! Nonostante le bizzarre premesse lo scopo del gioco è comunque molto semplice: mandare la palla nella porta avversaria, esattamente come in Pong. Sebbene il gioco originale prestava due tasti per muovere la racchetta da destra verso sinistra e viceversa, sul Nintendo Switch si è deciso di optare per dei controlli twin stick che rendono l’esperienza un po’ tediosa e non realmente gradevole. L’esperienza del twin stick è portata avanti in tutta la collection, ma probabilmente Paddle Mania è il gioco a cui meno serve questa feature!

  • Sasuke vs. Commander 1980INTArcade. Altro innovativo gioco arcade della SNK, costruito ancora una volta sullo stesso hardware di Vanguard, Sasuke vs. Commander è ancora una volta un gioco simile a Space Invaders. Invece di conformarsi a uno stile sci-fi, come andava di moda ai tempi, questo titolo offrì al giocatore uno scenario tipicamente giapponese con shogun, il carattere “grande” che si vede in lontananza (che segnala il culmine della festa dei morti di Kyoto) e gli immancabili ninja. Alla fine delle schermate di combattimento, in cui i ninja lanceranno a Sasuke gli iconici shuriken, apparirà un nemico più tenace e più grande; per tale motivo si dice che Sasuke vs. Commander introdusse il concetto di boss al termine di un livello. Un altro gioco che ci racconta le origini delle arcade.
  • Time Soldiers/Battle Field1987 US, JPArcade. Ancora una volta un top-down shooter sulla scia di Ikari Warriors con la differenza che lo stick ruotante qui montato ruota in 16 direzioni anziché in 8 come in tutti i giochi con questa caratteristica che abbiamo visto in questa collection. Time Soldier offre un campo di gioco più ampio e perciò possiamo muoverci in tutte le direzioni che vogliamo. Ovviamente, come il titolo ci suggerisce, questi futuristici combattenti – uno dei quali, dall’alto, sembra Pegasus dei Cavalieri dello Zodiaco – si spostano nel tempo per salvare i loro compagni, alcuni di loro in un’antica Roma popolata da soldati romani e persino creature mitologiche! Anche se il gameplay, dopo aver giocato ai vari Ikari Warriors, Guerrilla Wars e TNK III, può risultare ripetitivo almeno ci consola il fatto che qui il ritmo si presenta un po’ più veloce, con una difficoltà attenuata e una grafica più dettagliata.
  • World Wars1987 INTArcade. Sequel di Bermuda Triangle, il gioco, che gira sulla stessa arcade board, presenta le medesime caratteristiche del suo prequel ma con una navicella più piccola. Il concept della nave madre fu abbandonato in favore di un gameplay più fruibile e classico, con power up e proiettili più facilmente evitabili; viene abbandonata anche la componente del viaggio nel tempo in favore di un più semplice viaggio intorno al mondo, anche se mantiene le stesse componenti sci-fi. Da provare indubbiamente.

The future is now!

Come abbiamo visto, la collection (che include anche Beast Busters e SAR: Search and RescueI) prende in considerazione un periodo poco conosciuto della storia della SNK ma ciò non toglie che sono comunque 32 grandi giochi che vi possono regalare ore e ore di gameplay di stampo prettamente arcade, ormai quasi del tutto perduto. La presentazione e le funzionalità di questa collection sono veramente superbe e ci sono comunque diversi giochi in grado di giustificare l’acquisto per Nintendo Switch e PS4, primo fra tutti Crystalis. Non sarà forse una collection che interesserà ai più giovani (a parte i più virtuosi interessati a “studiare la storia”) ma vi garantiamo che è un gran salto nel passato e, per chi non conosce la SNK, una vera e propria lezione sulla loro storia e sulla loro eredità che ancora oggi influenza il panorama videoludico mondiale.




Flat Heroes

Essere degli eroi al giorno d’oggi è un carico difficile da reggere; richiede una grande forza di spirito e in un certo senso una visione parallela e controtendente al sentire comune. In un periodo dove la maggior parte delle produzioni videoludiche spingono verso la perfezione tecnica e quantità di calcolo sempre più massicce, i ragazzi di Parallel Circles abbracciano la poetica dell’eroe in maniera quanto meno sincera. Forse è da qui che nasce l’esigenza di concepire un gioco come Flat Heroes, abbandonando l’ossessione estetica pomposa senza rinunciare a uno stile asciutto e primordiale che, attraverso una strana alchimia, riaffiora ricordi appartenuti a un tempo passato, quando i sogni dei giocatori venivano cullati da macchine da gioco come l’Atari 2600.

Da grande voglio diventare un cerchio

Alla fine del 1884 un eccentrico scrittore di nome Edwin Abbott descrisse minuziosamente cosa significasse appartenere a un mondo bidimensionale, dove le leggi universali vengono dettate in base al campo cognitivo tipica della dimensione spaziale alla quale si appartiene. In altre parole lo scrittore dichiarava che «noi viviamo secondo quello che percepiamo»; quindi in un ipotetico mondo a due dimensioni dove ogni cosa è piatta (“flat”, nella lingua di Albione), noi saremo il frutto della nostra percezione bidimensionale con ovvie conseguenze sullo stile di vita. La novella in questione è Flatlandia e, come nell’indie dei Parallel Circles tutto è basato su intuizioni geometriche e cromatiche.

Flat Heroes è una bizzarra mescolanza tra puzzle game e platform nel vecchio stile del trial and error, dove sarete chiamati a controllare un piccolo quadrato con l’obiettivo di sopravvivere ai numerosi stage proposti dagli sviluppatori.

Io sono eroe

La modalità single player è suddivisa in campagna classica e modalità eroe, in entrambi i casi il nostro obiettivo è quello di resistere agli innumerevoli attacchi provenienti da altre forme geometriche. Avremo a disposizione la possibilità di poter scattare in qualsiasi direzione attraverso un piccolo dash e di attaccare o difenderci tramite uno scudo dalla durata di pochi attimi. Il nostro quadrato è libero di muoversi in tutte le direzioni, inoltre saremo in grado di scalare le pareti che racchiudono lo spazio di gioco nel tentativo di fuggire dai pericoli creati dagli sviluppatori: proiettili a ricerca automatica, bolle esplosive, raggi laser, frecce direzionali. Ogni nemico ha un suo pattern comportamentale e i Parallel Circles sono abili nel proporre al giocatore situazioni differenti tra uno stage e l’altro. Si gioca a tentativi e a ogni colpo ricevuto ricominceremo dall’inizio fin quando riusciremo a schivare ogni singolo pericolo. Ciascuna modalità è suddivisa in una decina di mondi che comprendono a sua volta 14 livelli base più uno scontro con il boss di turno.
La difficoltà progressiva è in qualche maniera stemperata dalla felice decisione degli sviluppatori di concedere la possibilità di poter passare di livello in qualsiasi momento, evitando l’anacronistica sensazione di frustrazione nel rimanere bloccati e non poter proseguire la partita; starà alla vostra etica da videogiocatore riprendere i livelli saltati e completare al 100%. Tutto dipende dalla vostra abilità con il pad, nel giusto tempismo e nella capacità di prevedere la prossima mossa del nemico. Molto spesso la tecnica di rimanere nascosto dietro una parete in attesa degli eventi si è rivelata inefficace e controproducente; al contrario buttarsi nella mischia e cogliere il momento opportuno per un attacco diretto riesce il più delle volte a risolvere una situazione drastica.

Non contenti dei già numerosi livelli della modalità principale, gli sviluppatori ne hanno inserito altri basati sulla sopravvivenza, dove verranno proposte sfide senza limite di tempo nello scopo di riuscire a stabilire punteggi record raccolti in una classifica online.

Noi siamo eroi

Il bello di essere eroi è anche quello di poter contare sull’aiuto di compagni valorosi, per questo gli sviluppatori non hanno tralasciato nulla al caso: il comparto multiplayer di Flat Heroes è ricco e probabilmente l’approccio migliore per affrontare la sfida lanciata dai Parallalel Circles. Oltre alla possibilità di affrontare la campagna principale con l’aiuto di un amico, il multiplayer si compone di 4 modalità differenti che spaziano dalla classica sopravvivenza, obiettivo, aree e fuggitivo.
Ognuna di esse con le proprie varianti; fino a un massimo di quattro giocatori su schermo contemporaneamente. Niente di rivoluzionario ma che aggiunge altra linfa a un già esaustivo comparto in giocatore singolo.

Poligoni con stile

Per quanto riguarda il comparto tecnico, un plauso va fatto al team di sviluppo che è riuscito a dare personalità e stile a semplici figure geometriche, attraverso una sapiente regia delle animazioni. Il tutto su schermo scorre in maniera fluida e piacevole senza alcun tipo di rallentamento, grazie anche allo stile adottato dagli sviluppatori: minimale e intuitivo, dotato di una simpatica personalità che lo svincola dal pericolo di cadere nell’anonimato. L’accompagnamento sonoro non è da meno con tracce elettroniche orecchiabili e perfettamente in linea con il resto della produzione.

Tirando le fila, si può tranquillamente constatare come Flat Heroes sia consigliabile a tutti quei giocatori che cercano una sfida impegnativa ma mai snervante, un gioco che non lascia nulla alla fortuna ma affida alle mani degli utenti il compito di diventare l’eroe della giornata, guidando verso la salvezza un piccolo quadrato in pericolo. Il prezzo abbordabile di 7,99 € sugli store rende l’occasione ancora più invitante e un giusto tributo al buon lavoro svolto dai Parallel Circles.




vridniX

The Neta-Vark è in pericolo e solo un vero eroe può salvarla, ma non sembra poi tanto semplice. vridniX è un mostriciattolo creato dalle menti di soli due ragazzi francesi, che hanno fondato lo studio di sviluppo Uncanaut.
vridniX è un singolare platform story-driven in 2D, che prende il nome dall’omonimo protagonista, un simpatico, quanto distruttivo, alieno che cerca di salvare il mondo dall’invasione dei Trogogluxes, una razza aliena che tormenta da generazioni i poveri Wamnis. vridniX, grazie a un forte senso di giustizia e di patriottismo decide di andare alla ricerca dello Switch of Destiny, un interruttore capace di annientare ogni pericolo. Purtroppo, nel farlo causa non pochi danni, mettendo sottosopra letteralmente l’intero pianeta.
La peculiarità del titolo non sta tanto nella storia, che passa facilmente in sordina, ma il gameplay, freneticamente snervante: il protagonista non smetterà mai di correre e questo, insieme ai nemici e agli ostacoli, complicherà il tutto.
Per superare i vari livelli si dovranno attraversare dei portali che ci catapulteranno allo stage successivo, stando attenti a non toccare i nemici e soprattutto a non atterrare sull’erba, che ci manderà immediatamente game over. Raggiungere questi strani portali non è un compito semplice: durante i primi livelli sembrerà quasi una passeggiata attraversarli, ma man mano che si arriverà a quelli intermedi, la difficoltà e la sfida cresceranno a dismisura. Il fatto di non potersi fermare e studiare bene gli ostacoli e le varie vie di fuga porta il giocatore a scegliere rapidamente una soluzione, quasi sempre perdendo almeno una decina di volte. Ovviamente questo non giova al divertimento che il titolo cerca di offrire, rendendolo quasi opprimente e frustrante, rendendo più facile l’abbandono da parte del giocaotre.

Durante la nostra avventura per i vari stage incontreremo gli abitanti di The Neta-Vark, che non ci forniranno delle indicazioni utili, ma riescono comunque a rendere più vivace il contesto di gioco. Oltre alla gente del luogo, in ogni livello, si troveranno una o più sfere che permetteranno al piccolo e innocente vridniX di cambiare la gravità del livello, riuscendo a raggiungere il tanto agognato portale. Questa feature poteva essere sfruttata meglio, rendendo il gioco un po’ più simpatico e meno macchinoso; in ogni livello ci troveremo a ruotare il mondo, saltare e attraversare il portale, delle azioni abbastanza monotone e ripetitive, contando che i game over saranno molto comuni.
Queste potenti sfere, oltre a raggiungere i portali, serviranno anche a vridniX per sconfiggere una serie di boss che si presenteranno alla fine di ogni stage, utilizzando solo gli oggetti presenti nell’ambiente circostante.
La grafica e il sonoro non eccellono, ma riescono comunque a creare una piacevole atmosfera durante le nostre lunghe sessioni per completare un livello. Il background in ogni stage, in totale sei, cambia, riprendendo dei colori tipici di ogni paesaggio: la tendenza al marrone e a colori caldi per la città, mentre colori freddi e metallici per i livelli ambientati nella fabbrica e così via.

La soundtrack, invece, sembra essere stata inserita solo per fare compagnia durante i vari livelli. Chiudendo il gioco non si ricorda alcuna melodia – un punto molto importante a parer mio, indispensabile per qualunque titolo.
vridniX è un gioco che ha un progetto di fondo intelligente e divertente, ma che non è stato sfruttato e valorizzato al 100%. Un gameplay semplice per quanto riguarda i comandi e le azioni da compiere, ma allo stesso tempo complesso, che premia la reattività del giocatore e non tanto la singola skill del comandare il nostro mostriciattolo arancione. vridniX offre comunque una buona serie di puzzle che metteranno a dura prova le nostre abilità nel saltare e prevedere i nemici e, in un certo senso allenerà i nostri riflessi.




Mega Man 11

È possibile tracciare in Mega Man 9 l’inizio dei videogiochi retro-ispirati: sebbene alcuni di questi giochi esistevano già prima su internet sotto forma di hack o giochi flash su siti come Newgrounds, Mega Man 9 aprì le porte alla retro-rivoluzione di cui oggi siamo protagonisti poiché per la prima volta un grosso developer come Capcom dava credito e peso a non solo tutti quei fan che volevano un nuovo classico titolo del blue bomber, che in quel periodo era protagonista solamente di miriadi di sub-saghe e spin-off vari, ma anche l’importanza e la bellezza dei platform più tradizionali, la cui emozione veniva trasmessa anche con una grafica datata come quella del NES. Da lì sembrava che per Mega Man si prospettasse un futuro molto florido, visto il tempestivo decimo capitolo per l’anno successivo, ma nel 2010 accadde qualcosa di terribile: Keiji Inafune, direttore creativo della saga di Mega Man, abbandonò Capcom e col suo forfait la saga subì un brutto stop. Ben tre progetti, Mega Man Universe (un gioco che avrebbe potuto anticipare il sistema di creazione di livelli in Super Mario Maker), Mega Man Legends 3 e Maverick Hunter, vennero cancellati e a quel punto il fandom del robottino blu cadde nell’abisso, quasi certo di non rivederlo più.
A sparigliare le carte ci pensò Keiji Inafune, con il lancio nel 2013 su Kickstarter il del progetto Mighty No. 9, annunciato come il sequel spirituale di Mega Man; nonostante la risposta più che positiva da parte dei fan che finanziarono il progetto nel giro di un paio di minuti, per via della mancata comunicazione e un marketing discutibile (nonché alcuni brutti bug presenti nella release finale) il gioco che doveva riportare ai fan di Mega Man una sfida che fosse pane per i loro denti si rivelò un amaro fallimento e non a tutti piacque quello a cui giocarono. Nel frattempo Capcom, visto il successo del Kickstarter del loro ex impiegato, decise di rilasciare Mega Man Legacy Collection, contenente i primi sei titoli classici, insieme a un sacco di extra, ideali per far conoscere ai giocatori più giovani di cosa è fatta la saga del robottino blu. Due anni dopo, nel 2017 arrivò Mega Man Legacy Collection 2 contenente i restanti quattro titoli della serie classica ma nella sezione extra di Mega Man 8 i fan fanno una misteriosa scoperta: negli artwork trovano un misterioso disegno che non appartiene al suddetto gioco, né a nessun altro Mega Man presente nella collezione, e perciò cominciarono le speculazioni. La risposta arrivò un pomeriggio (in Europa) del Dicembre 2017 quando in una live di Capcom su Twitch, per festeggiare il 30esimo anniversario di Mega Man, venne annunciato a sorpresa Mega Man 11, un gioco atteso per 8 anni e che finalmente, dopo richieste su richieste da parte dei fan, arrivò alla luce (e apparve anche un Mega Man sfoggiare le stesse caratteristiche dell’artwork misterioso, ovvero il power-up di Block Man).
Il passo dalla rivelazione del trailer al rilascio ufficiale non fu breve ma, durante questo lasso di tempo, Capcom si assicurò di aggiornare regolarmente i fan e dunque ottimizzare il gioco il più possibile, consegnando così un opera di classe, senza sbavature e che, soprattutto, apriva la strada al futuro della saga che, oggi più che mai, sembra luminoso e pieno di sorprese. Andiamo subito a vedere la versione per PC di questo gioco, uscito ovviamente per PlayStation 4, Xbox One e Switch.

Due colleghi

La lore della saga risiede nei lavori di Thomas Light e Albert W. Wily, due scienziati appassionati di robotica che crearono una serie di robot, fra cui i sei robot di Mega Man (il primo titolo per NES), creati per assolvere lavori comuni, i due fratelli Rock (il nome giapponese del blue bomber) e Roll, creati come assistenti di laboratorio, e Protoman (ma qui è una storia non rilevante). A un certo punto il Dr. Wily, accecato dalla più brillante abilità del suo amico Thomas Light, corrompe i sei robot da lavoro portandoli ad attaccare gli umani e li convince a dominare il mondo sotto il suo nome. Il Dr. Light convince così Mega Man, il robot originariamente concepito per funzioni diverse, a convertirsi in un robot da combattimento e così nasce il blue bomber che oggi conosciamo e amiamo. Il Dr. Wily più in là, nonostante la prima sconfitta, proverà più e più volte con altri robot a dominare il mondo senza mai ottenere nessun risultato (per ben 10 volte, pensate!).
L’opening di questo nuovo Mega Man 11 ci mostra un flashback di Dr. Light e Dr. Wily, giovani, di fronte a una commissione universitaria; si discute sul double gear system, un meccanismo creato da Wily in stato di prototipo che se installato nei robot da lavoro gli permetterà di lavorare il triplo, aumentando la loro forza fisica e rendendoli più veloci. La commissione boccia l’invenzione del Dr. Wily per mancanza di etica in quanto, se il meccanismo finisse nelle mani sbagliate, potrebbe generare un robot inarrestabile in caso di rivolta; scaraventando il meccanismo per terra, lo sconfitto dottore se ne va ma Dr. Light, che comunque credeva nel suo amico, lo raccoglie pensando che un giorno gli possa tornare utile. Nel tempo presente, nel classico anno 20XX, il Dr. Wily, svegliatosi da un sogno che rimembrava i medesimi eventi, si ricorda del double gear system e così ne implementa uno nuovo ma gli mancano i robot; durante il giorno della manutenzione di alcuni robot master del Dr. Light, ovvero di Block Man, Acid Man, Blast Man, Torch Man, Bounce Man, Impact Man, Fuse Man e Tundra Man, il Dr. Wily irrompe nel laboratorio con il suo iconico Ufo e lì ruba sotto gli occhi di Mega Man, Roll, l’assistente Auto e il buon dottore spiegando nel contempo che utilizzerà la sua invenzione che gli fu scartata dalla commissione. Il Dr. Light informa Mega Man che, così com’è, non potrà fronteggiare i robot master senza il double gear system ma, fortunatamente per lui, il Dr. Light conservò la versione di Wily sin da dai tempi dell’università; una volta installata questa nuova miglioria Mega Man è pronto per buttarsi in una nuova avventura.

Due ingranaggi

Questo nuovo Mega Man 11 si concentra dunque sul sistema double gear, una nuova meccanica che dona a questa saga, onestamente un po’ stagna, una sfumatura diversa dal solito e molto originale: col tasto “RT” (“R“, e “R1” nei joypad, rispettivamente, di PlayStation 4 e Nintendo Switch) si attiverà un ingranaggio che renderà più veloce il blue bomber, rallentando dunque l’azione circostante, l’ideale per assestare colpi di precisione o, se siamo muniti di un pollice veloce, concentrare più colpi in poco tempo; con “LT“, invece, attiveremo un altro ingranaggio che, semplicemente, aumenterà la potenza di Mega Man e, se caricheremo un colpo tenendo premuto il tasto per sparare, lanciare ben due colpi di mega buster potenziato, l’ideale per i nemici particolarmente forti e per quei giocatori che conoscono il tempismo perfetto per caricare l’arma e scaricarla al momento giusto. Quando attiveremo una di queste funzioni si riempirà una barra che, se arriverà alla saturazione, impedirà le funzioni double gear fino a quando questa energia non torna a zero, e ci vorranno circa 15 secondi affinché si possa ripristinare; è perciò tanto importante usare queste nuove funzioni quanto saperle economizzarle il più possibile per poi evitare di non ritrovarsele pronte nel futuro immediato. I veterani dei giochi à la Mega Man potranno trovare nel double gear delle similitudini col sistema di corrente elettrica già visto in Azure Striker Gunvolt, senza però la possibilità di ricaricare immediatamente la barra premendo due volte giù, e anche della velocizzazione del tempo in Sine Mora, particolarissimo shooter della Digital Reality e Grasshopper Manufacture. Infine, questo nuovo sistema ha un ultima e potente funzione ma questa si attiverà esclusivamente quando avremo poca energia: premendo entrambi i tasti insieme, “RT” e “LT“, verranno attivate entrambe le funzioni, dunque rendendo Mega Man super potente e super veloce, ma si disattiveranno solamente alla saturazione della barra alla fine della quale ci ritroveremo con un personaggio altamente depotenziato che non potrà sparare più di un proiettile alla volta e non potrà caricare il suo mega buster e perciò sarà molto difficile sopravvivere in queste condizione (ma se ci riusciremo potremo utilizzare questa particolare funzione una seconda volta). Capite le meccaniche del double gear, grazie a un breve tutorial e molto versatile, ci potremo buttare all’avventura vera e propria, ritrovandoci sin da subito nell’iconica schermata di selezione boss tipica della saga.
Al solito, come in ogni capitolo, scegliere il primo stage da affrontare è un po’ difficile sia perché non conosciamo i pattern di attacco del suo boss e sia, se è per questo, perché non conosciamo il suo livello. Una volta trovato “l’anello debole della catena”, ovvero il boss più debole degli 8, otterremo la sua arma speciale che, a differenza del mega buster, consumerà una barra speciale al termine della quale non funzionerà più; il buon giocatore di Mega Man, una volta ottenuta la prima arma speciale, andrà a caccia del boss la cui debolezza è proprio l’abilità appena ottenuta dal precedente e, uno dopo l’altro, debolezza dopo debolezza, sconfiggeremo tutti gli otto robot master fino ad arrivare, come di consuetudine, alla fortezza del Dr. Wily dove ci saranno gli stage finali, di cui uno dei quali sarà un boss rush (in cui dovremmo affrontare tutti gli otto robot master con le solite due vite standard).
La struttura di questo Mega Man 11 è la più classica che ci si poteva aspettare e il blue bomber, a differenza del nono e decimo capitolo, torna a pieni poteri in quanto negli ultimi due giochi era stato privato del colpo caricato; uno dei primi elementi per cui questo nuovo gioco si proietta in avanti e non indietro. Il level design offre esattamente la sfida per la quale la saga è famosa e i nuovi stage riflettono molto bene la personalità del boss che andremo ad affrontare: il livello di Impact Man, che è una sorta di robot che sostituisce le macchine pesanti dei cantieri, è una sorta di area di lavoro/galleria in costruzione, quello di Torch Man è un campeggio in una foresta tendente spesso a prendere fuoco, quello di Block Man ricorda, a larghe linee, le piramidi egiziane e maya, etc. I programmatori hanno veramente voluto trarre il massimo della sfida offrendo dei livelli notevolmente lunghi e irti di nemici, anche se c’è poca varietà all’interno di essi, ma ci hanno dato il minimo per ciò che riguarda i checkpoint, giusto due intermedi e uno finale che, come tipico della saga, è posto nella stanza che precede quella del boss; Mega Man 11 non è di certo un gioco facile, e certamente questo è uno di quei elementi che ne accentuano la piccante difficoltà, ma non sarebbe stato un male se avessero aggiunto giusto almeno un altro checkpoint a metà dei due. Nella schermata di selezione livello è possibile accedere, premendo “LT“, al negozio in-game dove i nostri alleati, il Dr. Light, Roll e Auto, ci riforniranno di oggetti istantanei, come vite, E-tank, i richiami Beat per non perdere una vita quando cadiamo in un fosso e le super armature, e altri permanenti, come chip speciali, anti-indietreggiamento o che aumentano la possibilità di trovare più viti in un livello (che sono la valuta del gioco). Nessun oggetto nel negozio è superfluo o inutile e danno un potenziamento equilibrato che non permette dunque di rendere il gioco nettamente più facile; tuttavia non tutti gli oggetti saranno disponibili sin dall’inizio e dunque si andranno a sbloccare man mano, però non è chiaro qual è il criterio o l’algoritmo (diciamo) per rendere un oggetto disponibile all’acquisto nel negozio. Anche una volta terminata la nostra avventura alcuni oggetti erano ancora bloccati all’interno del negozio e noi non abbiamo ancora capito il perché. Una volta finita l’avventura, però, è possibile ancora spremere ancora delle sane ore di gioco tramite le sfide extra, come sconfiggere i boss nel minor tempo possibile, le corse negli stage facendo scoppiare, sempre più velocemente possibile, dei palloncini blu e evitando quelli rossi, oppure con la bellissima prova del Dr. Light, ovvero 30 stanze in cui adempiere a un obiettivo come distruggere un determinato numero di nemici o semplicemente arrivare al successivo warp per entrare nella successiva.

Questo titolo fa per me?

Al di là di tutto, Mega Man 11, sia in termini di gameplay che in termini di storyline, è un titolo abbastanza semplice: la sfida proposta è, sì, buona, e sicuramente perfetta per i nuovi arrivati, ma particolarmente facile per i veterani che troveranno il tutto un po’ basilare e per loro, se vogliono trovare pane per i loro denti, non rimarrà altro che riavviare una run a difficoltà supereroe che propone dei nemici che si abbattono con più colpi, dei pattern d’attacco da parte dei boss più complessi e difficili da evitare e nessun modo di ricaricare i punti vita e le armi speciali al di fuori delle taniche speciali. La storia proposta non è affatto complessa e pertanto include giusto i personaggi essenziali della saga, dunque niente Bass, Protoman (anche se nulla toglie che li potremo vedere in futuro come DLC, la stessa cosa che è successa a Mega Man 9 e 10) o sgherro parallelo di Dr. Wily; per quanto riduttivo possa sembrare, in fondo questo titolo vuole anche attrarre nuovi fan e, anche se come per The Legend of Zelda questo non è mai stato il caso di questa saga, in questo modo i fan possono tranquillamente giocare a questo nuovo capitolo senza necessariamente aver giocato ai titoli precedenti. Possiamo dunque dire di Mega Man 11 che è un gioco classico che più classico non si può, ma in senso più che positivo in quanto offre sia una vera e propria evoluzione della saga, e dunque porsi come nuovo caposaldo per i capitoli a venire, che un ottimo biglietto da visita a coloro che non hanno mai giocato a un’avventura del blue bomber; vedete quel Mega Man 11 come un Mega Man 1.1, un nuovo luminoso inizio dalla quale poter partire e portare la saga verso nuovi orizzonti.

Il nuovo contesto di Mega Man

Il richiamo nostalgico è indubbiamente presente in questo titolo ma, fortunatamente, non è il fulcro della costruzione del gioco e pertanto, a differenza del suo ritorno nel 2009, Mega Man 11 offre una bellissima nuova grafica 2.5D; il Blue Bomber, i nemici, le piattaforme e i background sono interamente resi in 3D ma il tutto è inserito in un contesto 2D perfettamente funzionale, funzionante e che offre l’azione tipica di cui la saga è famosa, senza alcuni bug o errori di programmazione di alcun tipo. Lo stile dei personaggi e dei nemici è esattamente quello proposto nella serie classica (che differenzia, dunque, da sub-saghe come Mega Man X o Battle Network), dunque con colori molto accesi, nemici robot stravaganti e una “leggerezza” generale. Sfortunatamente per noi, abbiamo ricevuto una chiave per PC scoprendo in corso d’opera che Mega Man 11 richiede, come spesso accade per molti videogiochi per PC provenienti dal sol levante, degli ottimi requisiti minimi. Nonostante siamo riusciti a soddisfarli, il gioco girava molto lentamente e le opzioni per ridurre la qualità della grafica e ottimizzazione del gameplay nel menù opzioni sono veramente pochissime: risoluzione, modalità (di visualizzazione), anti-aliasing e v-sync. Inutile a dirlo, non bastano per ottimizzare il gioco in un pc poco potente e, nonostante lo abbiamo giocato con un i5 e una scheda Radeon AMD, siamo stati costretti a togliere l’anti-aliasing e il v-sync, ridurre la risoluzione a dei meri 800×600 e visualizzare il tutto in modalità windowed per recuperare più dettagli possibili e un framerate più vicino possibile ai 60FPS, il che è tutto abbastanza assurdo visto che stiamo parlando di un gioco la cui grafica girerebbe perfettamente persino in una console di precedente generazione, Wii U o PS Vita; nonostante tutte queste nostre limitazioni, il gioco non andava alla velocità massima (anche se era molto vicino) e ciò lo si poteva evincere nella schermata della selezione dello stage, durante l’animazione della selezione in cui la musica andava avanti rispetto alle animazioni del boss, dunque anticipando effetti sonori inclusi nella traccia audio e entrare in un imbarazzante silenzio prima del tempo; abbiamo avuto modo di mettere a paragone questa schermata con quella del Nintendo Switch, grazie alla demo gratuita sull’E-shop, confermando tutte le nostre preoccupazioni. Se vi considerate dei pc gamer, e pertanto avete un’ottima postazione, allora Mega Man 11 girerà senza problemi ma se non avete un computer potente e, possibilmente, vi ritrovate una delle tre console principali a casa allora vi converrà considerare questo acquisto al di fuori di Steam.
La musica, composta da Marika Suzuki, ricalca lo stile compositivo tipico della serie classica, una sorta di musica elettronica, vicina al J-pop, ma con sfumature anche dance e a tratti anche rock. Al di là dell’alta qualità delle composizione, anche qui non c’è alcun passo indietro e si è optato dunque per uno stile moderno e fresco, con sintetizzatori e drum machine d’avanguardia, senza alcun richiamo nostalgico chiptune con chip sonori del Nintendo Entertainment System o altre retro-console (l’unica cosa presa direttamente dai vecchi giochi è il rumore della navicella del Dr. Wily); da sottolineare, appunto, è l’assenza di temi classici, ancora una volta sottolineando l’importanza di portare questa serie verso nuovi orizzonti e lasciare che il passato diventi semplicemente parte di una nuova forma espressiva. L’unico difetto di queste nuove composizioni è che sono giusto un po’ blande e i temi portanti delle melodie sono un po’ deboli; diciamo che non c’è quel motivetto che ti resta in testa una volta che smetti di giocare. Le voci inglesi e giapponesi, selezionabili nel menù opzioni (ma solo alla schermata del titolo), sono ben curate anche se l’unico lato negativo è il pacing dei dialoghi doppiati; sebbene le scenette rappresentino un ottimo intermezzo, sviluppate correttamente e sempre sottotitolate in italiano (come tutto il gioco del resto), i dialoghi si fermano ogni due righe, fortunatamente completando un periodo, e nonostante la buona qualità dei dialoghi sembrano comunque un po’ finti. Per il resto la voce in-game di Mega Man, quando annuncia l’attivazione di uno dei due meccanismi del double gear o quando cade in un fosso, è niente male anche se verso la fine del gioco ne avrete le orecchie piene; variare la lingua di tanto in tanto può alleviare questi fastidi.

Il pezzo mancante

Prima di chiudere questa discussione vorremo solo parlare di un ultimissimo punto: non abbiamo fatto altro che elogiare questo nuovo capitolo della saga e Mighty No. 9, a paragone, non regge il confronto in quanto a classe e qualità del prodotto consegnato. L’unica cosa che manca realmente a questo capitolo è appunto la mano di Keiji Inafune, il suo level design e le sfide proposte che solo lui sapeva consegnare, cosa che invece è riuscita alla sua creazione inpendente, secondo noi. Per quanto è stata introdotta una nuova bella meccanica bisogna dire che è anche abbastanza scontata, un gol a colpo sicuro, e dunque manca quel po’ di azzardo tipico di Inafune. La storia in fondo, e anche il finale, si concentra sulla separazione fra il Dr. Light e il Dr. Wily, magari simboleggiando proprio la dipartita di Inafune e dunque, forse, questo titolo potrebbe rappresentare un invito da parte di Capcom a tornare a bordo e dare a Mega Man infinite possibilità nel futuro prossimo, sottolineando il fatto che la compagnia e il suo ex dipendente e persino i due universi fittizi hanno entrambi lo stesso obiettivo. Chissà quali saranno i risvolti futuri fra Keiji Inafune e Capcom ma intanto non possiamo fare altro che goderci questo nuovo Mega Man 11 e sperare che il prossimo anno vedremo un Mega Man 12 o, visto il recente rilascio di Mega Man X Legacy Collection 1 & 2, magari un nuovo Mega Man X9… stiamo delirando, è vero, ma siamo semplicemente troppo contenti della riuscita di questo titolo!
Vi raccomandiamo particolarmente questo nuovo titolo Capcom in quanto propone un gameplay vecchio stile con elementi e grafica moderni, una sfida nuova per i più giovani e un capitolo essenziale per i veterani. Solamente, considerate bene i requisiti del vostro PC prima di spendere questi 29,99€ su Steam per Mega Man 11, altrimenti se avete Nintendo Switch, PlayStation 4 o Xbox One acquistatelo lì. Senza dubbio, uno dei giochi più belli di questo 2018!




Crazy Dreamz: Best of

Sviluppato da Dreamz Studio, Crazy Dreamz: Best of è un platform bidimensionale a scorrimento, disponibile su PC, nel quale vestiremo i panni di un gattino intento a salvare la propria nazione dall’assalto dei ratti. Il titolo presenta 100 livelli, la maggior parte, dei quali creati dalla community giocatori tramite il tool free Magicats Builder (disponibile su Steam). Il risultato è complessivamente molto buono, permettendo agli utenti anche di guadagnare qualcosa attraverso le proprie creazioni. Dreamz Studio ha infatti ripagato con parte dei profitti delle vendite chiunque abbia prodotto livelli che siano finiti all’interno del titolo. Fantastico, no? Inoltre, in ogni mondo, che dispone al suo interno di un numero di stage variabili, dopo aver superato con successo 4 livelli sarà possibile combattere il boss.

Dal punto di vista del gameplay, il titolo si presenta abbastanza elaborato: i livelli sono ispirati a grandi classici del platform. Un aspetto negativo riguardo i livelli è che, essendo creati dalla community, non sempre l’insieme risulta ben bilanciato, la difficoltà può variare vertiginosamente, con alcuni livelli facilmente completabili, ma non privi di un ottimo design, e altri che invece richiedono maggior tempo e tentativi mostrando non un livello di sfida ben ragionato, ma limiti derivanti da inesperienza creativa. Un esempio riguarda un livello composto da molte porzioni di terreno fra le quali si girava a caso finché non si trovava l’area che presentava la “casa” che avrebbe portato alla conclusione dello stage. Un altro problema riguarda la sensibilità “sbilanciata” dei salti, portando non poche difficoltà di sopravvivenza in livelli dove si presentavano più salti proprio perché non sempre risulta facile calcolare il punto d’arrivo.

Dal punto di vista stilistico il titolo si presenta invece ben congegnato, con una grafica cartoonesca che è un bellissimo punto in più per il gioco e che si presenta con dei colori ben “marcati”. La colonna sonora è d’accompagnamento, orecchiabile seppur non trascendentale, e, inoltre, i brani sono pochi e scarni artisticamente. Dopo aver terminato uno stage è possibile fare un’offerta all’autore del livello per mostrare il proprio apprezzamento.
Tutto sommato Crazy Dreamz: Best of è un titolo molto accattivante, capace di far trascorrere un paio d’ore di tranquillità con livelli creati da giocatori appassionati e con un art-style piacevole, che difficilmente porterà il giocatore a stancarsi.




Suicide Guy

Dopo l’uscita di videogiochi quali Woodle Tree The Adventures e Woodle Tree 2, la software house milanese, Chubby Pixel Company, ritorna con un nuovo titolo: Suicide Guy.
Si tratta di un action-puzzle game in prima persona che si propone in maniera originale, ponendosi fin dal titolo come un “suicide simulator“.
All’interno del gioco vestiremo i panni di un uomo grassottello che, in un certo senso, poltrirà sul divano per tutta la partita. Il gioco inizia dopo che il nostro personaggio si sarà addormentato lasciando cadere una bottiglia di birra. Noi avremo l’obiettivo di svegliarlo prima che la birra cada sul pavimento e, per centrare la nostra missione, dovremo completare una serie di mini-livelli, 24 in tutto.

Dopo aver terminato il tutorial, ci ritroveremo all’interno di un fast food, che rappresenta l’hub di gioco, ed è lì che si svolgerà il gameplay. Saranno presenti 24 tavoli sui quali spawnerà una miniatura del livello da superare. La complessità risolutiva dei livelli aumenterà gradualmente, ognuno è ben strutturato, con un level design di rango e alcuni di essi fanno riferimento a titoli famosissimi, come Jurassic Park, Mario Bros, Portal e altri ancora. Ogni livello ha anche un obiettivo secondario, quello di trovare una statua d’argento raffigurante il nostro avatar, mentre l’obiettivo primario sarà quello di uccidere il nostro personaggio.

Il gameplay proposto dalla software house italiana è basilare ma efficace, gli enigmi non risultano molto impegnativi, permettendo di superare i livelli in circa quattro ore. Suicide guy è un buon campo per i cacciatori di trofei, alcuni anche fin troppo semplici (per ottenerne uno ci basterà mangiare delle ciambelle), ma presenta un buon level design che tiene lontana la noia.
Il titolo presenta una grafica abbastanza semplice, con modelli non sono molto elaborati ma gradevoli; sfortunatamente alcune parti dell’ambientazioni risultano monche, anche se in piccolissimi punti, ma per fortuna piacevoli, grazie anche a un art-style cartoonesco ben curato. L’audio è molto orecchiabile e originale, e la possibilità di poterlo disattivare tramite una radio presente in ogni livello è una trovata a dir poco meravigliosa.
Un neo sicuramente rilevabile sono i non pochi glitch che ricorrono nel titolo e vari cali di framerate su PS4, ma per fortuna non intaccano in maniera rilevante la godibilità del gioco.
Tirando le somme, il titolo presenta pregi e difetti, ma il team di sviluppo ha certamente fatto un buon lavoro, rendendo Suicide Guy un buon indie proposto a un prezzo di lancio più che congruo (8 € su console, 5 € su Steam) che riesce a tener lontano il giocatore dalla monotonia con alcune ore di divertimento.




Ratchet & Clank: 15 anni e non sentirli

Sono trascorse un paio di settimane dalla GDC (Game Developers Conference), quando il team Insomniac, salì sul palco per parlare dei 15 anni di storia, di una delle loro IP più conosciute: Ratchet & Clank. Ma gli interventi dello stesso team di sviluppo, sono stati tutt’altro che celebrativi per quanto riguarda la famosa saga.

Il regista Brian Allgier dice:

«Protagonista del gioco, in principio, sarebbe dovuto essere una ragazza con un bastone, una sorta di mash-up tra Zelda e Tomb Raider, ma quest’idea purtroppo non era ben vista dal team, che avrebbe dovuto lavorare poi sul gioco. A quel punto Ted Price (Presidente di Insomniac) decise di troncare quel concept che era stato intitolato appunto “Ragazza col bastone”. Era il 2001, Insomniac aveva 35 dipendenti che stavano lavorando al progetto e avevano bisogno di una nuova idea vincente. Il capo-ufficiale creativo, Brian Hasting, annotò una frase molto generica sulla lavagna degli appunti “un alieno, che gira tra i pianeti raccogliendo armi e gadget”, il team accolse positivamente da subito la nuova proposta, era un idea semplice ma aveva funzionato.»

Dopo aver cestinato un paio di concept, il team riesce a concretizzare finalmente i primi progetti di Ratchet, soprannominato “Lombax” da Ted Price, e del suo aiutante Clank. Inizialmente la squadra aveva pensato di metterne uno a capo dell’altro ma poi optarono per porli allo stesso livello. L’intenzione sin da subito, fù quella di creare qualcosa che fosse un mix tra il poliziesco Arma Letale e i cartoni animati del sabato mattina.
Durante la stesura del prototipo, il team non riuscì a far sì che la tecnologia PS2 iniziale gestisse correttamente il gioco, per questo motivo quindi lavorò fianco a fianco con Mark Cerny per ottimizzare la tecnologia della console Sony, che una volta migliorata, permise finalmente a Ratchet & Clank di vedere la luce.

«Il primo gioco era innovativo e fatto bene – dice insomniac alla GDC –  Ma era più un gioco di ruolo e le armi sembravano quasi opzionali. I due personaggi Ratchet e Clank non avevano moltà profondità, anche Ratchet stesso risultava essere borioso, sarcastico e non eccessivamente simpatico».

Insomniac, decise di concentrarsi sul contorno, personaggi, armi e humor, a partire dal secondo capitolo, Fuoco a Volontà (2003). Quando successivamente arrivò anche il terzo, Up your arsenal (2004), fu un vero e proprio successo per il franchise. Finalmente Ratchet & Clank aveva una propria personalità ben definita: era un gioco in perfetto equilibrio tra un platform e uno shooter, che raccontava una vera storia d’amicizia, con un contorno di armi fantasiose e gadget intelligenti, arricchito dalla possibilità di esplorare i pianeti. Un gioco pieno di colori vivaci e umorismo.

Nel corso del GDC, Insomniac ha voluto sottolineare solamente dove e perché, il team ha deluso le aspettative dei propri fan. Dal terzo capitolo in poi, lo studio aveva evoluto con successo la serie da un “platform con un carattere da sparatutto”, a uno “sparatutto con un carattere da platform”.
Eppure, nonostante tutto, Insomniac stava iniziando a preoccuparsi sempre di più che i giorni del “personaggio mascotte” stavano per finire. Sentiva che era necessario cambiare qualcosa per mantenere la serie sull’onda del successo, il tutto racchiuso nelle parole di Brian Allgeier:.

«Adattati o muori, ascolta ciò che i giocatori vogliono, osserva le tendenze e amplifica ciò che contraddistingue il tuo gioco».

Lo studio sentiva di aver raggiunto il vero successo con Up Your Arsenal, ma la filosofia “adattati o muori” applicata da quel momento, avrebbe inevitabilmente portato a un “crollo”. Per evitare che il franchise stancasse i fan infatti, il team di Insomniac, ispirato dalla serie Halo, produsse, nel 2005 sempre per PS2, Ratchet: Deadlocked (conosciuto anche come Gladiator). Era stato rimosso Clank dal nome («non è stato bello», ammette lo studio, che era pesantemente combattuto) e il gioco non includeva il popolare Qwark. Insomma, il titolo non aveva più tutte quelle caratteristiche che avevano reso un successo Ratchet & Clank e il risultato fu infatti, che ai fan non piacque, tanto che sia Allgeier che TJ Fixman (lo scrittore della serie), ammisero di aver commesso un grande errore allontanandosi da quella che era l’idea originale della serie, nello sviluppo di questa nuova veste di gioco non proprio azzeccata.

Insomniac, a quel punto, sapeva che in futuro avrebbe dovuto attenersi il più possibile al DNA del gioco originale, cosa che fece quando nel 2007, sviluppò il quinto capitolo della serie: Ratchet & Clank: Armi di Distruzione, sui sistemi PS3. Fu una sfida ardua per il team, quella di effettuare un restyling completo passando da una generazione a un’altra, ma alla fine riuscì nel proprio intento, creando nuovamente quello che era per i fan il vero Ratchet & Clank di un tempo, ma questa volta con una veste del tutto rinnovata. Praticamente un successo, o quasi, poiché a molti fan non piacque il finale, che vide Clank rapito dal misterioso Zoni. Così il team decise di dare qualcosa ai giocatori per rimediare, sviluppando un anno dopo un breve DLC, chiamato Alla ricerca del tesoro, che mise una pezza al buco creato dalla precedente storia, introducendo anche diverse novità al gioco, come i dialoghi, i puzzle-game e altro.

Proprio perché non era un vero e proprio capitolo di Ratchet & Clank, Alla Ricerca del Tesoro, permise al team di osare sotto alcuni punti di vista tecnici, ma anche di dare un filo logico a quello che poi sarebbe stato il successivo, e ultimo capitolo, della serie, che arrivò poi nel 2009 con A Spasso nel Tempo: un successo indiscusso sotto ogni punto di vista che vide, nel finale, anche l’annientamento del super-cattivo Nefarious in una delle basi spaziali.

L’epilogo della serie andò talmente bene che Sony pretese da Insomniac che si rimettesse a lavoro su un ulteriore capitolo della serie. Inizialmente cercarono di evitare questa forzatura narrativa che aveva visto il suo capolinea nell’ultimo gioco, ma alla fine i fan e Sony ebbero la meglio, convincendo Insomniac a rimettersi in carreggiata e pubblicare nel 2011, Ratchet & Clank: Tutti per Uno, che costrinse anche TJ Fixman a modificare il finale della serie trovando un modo per non far sfuggire Nefarious al suo destino che sembrava essere stato già designato, e che, per volere di Sony, doveva essere presente nel nuovo titolo. Alla fine, Tutti per Uno risultò essere uno dei migliori spin-off della serie, ma purtroppo non ebbe il successo sperato. Successo che arrivò invece due anni dopo, nel 2013, con Nexus, ultimo capitolo della serie, una storia breve ma ben sviluppata.

Da quel momento Insomniac e Sony avevano deciso di comune accordo di mettere da parte il franchise.

Almeno finché, nel 2016, non venne nuovamente tirato fuori da Kevin Munroe e Jericca Cleland che diressero per il grande schermo, Ratchet & Clank: film d’animazione basato sul gioco, ma che si allontanò troppo dalla mitologia originale dell’IP per l’adattamento cinematografico.
Allgeier decise così di sfruttare la corrente e creare al contempo anche un nuovo titolo, per PS4 questa volta: «Un gioco basato sul film basato sul gioco», dice scherzando. Proprio per aggirare il problema creatosi con il filo narrativo della pellicola cinematografica, TJ Fixman decise di affidare la narrazione a un personaggio improbabile e poco raccomandabile,  il capitano Qwark, giustificando così alcune eventuali incongruenze narrative.
Il remake di Ratchet & Clank fù un vero e proprio successo, con numeri che non si vedevano dai tempi dei vecchi titoli su PS2.

Allgeier conclude:

«Dove la serie andrà a parare in futuro non è certo, ma una cosa lo è, “adattarsi o morire” è una opzione, ma allontanarsi da quello che è il DNA del gioco, è un errore. Abbiamo imparato tutto ciò che potevamo sulla chiave del successo di Ratchet & Clank, lo abbiamo migliorato e aggiornato. Adesso ci spingeremo verso l’ignoto!».



Limbo

Il Limbo: un luogo senza pena e senza beatitudine divina, nella concezione dantesca; un vero e proprio Inferno per il protagonista dell’omonimo gioco.
Limbo è un puzzle-platform in 2D firmato Playdead, uscito per la prima volta nel 2010 per Xbox 360, per poi arrivare su PS3, PS4, Xbox One, PC, iOS e da un paio d’anni anche su smartphone e tablet Android. Tirare in ballo Dante non risulta una forzatura, molte sono le similitudini tra le ambientazioni della Divina Commedia e Limbo. A partire dal primo mezzo utilizzato dal nostro protagonista, un’imbarcazione che ricorda quella di Caronte, il traghettatore di anime che conduce Dante e Virgilio nel Limbo, fino alla presenza di soli bambini, probabilmente morti prima di ricevere il battesimo; lo stesso titolo, Limbo, fa riferimento al primo cerchio dell’Inferno e quindi richiama alla memoria direttamente l’opera dantesca. L’approccio al mondo di Limbo è alquanto diretto, e a tratti spiazzante: non ci sono introduzioni che spieghino perché il protagonista si trovi in quell’inquietante mondo in bianco e nero, nel quale si sveglia confuso, disorientato, spaventato, senza alcun preambolo. L’unica cosa che possiamo fare è accompagnarlo in questo viaggio, sperando che quest’incubo finisca presto. Il gioco non presenta alcuna narrazione esplicita, l’unico accenno alla trama lo troviamo nella descrizione del gioco presente in alcuni store: «Incerto del fato della sorella, un ragazzo entra nel LIMBO.» E in effetti nel corso del gioco si incontrerà presto una figura femminile, di cui andremo alla ricerca sino alla fine, muovendoci in un ambiente buio e ostile.

Ogni area è disseminata di trappole e ostacoli, dalle semplici buche iniziali da saltare sino a seghe circolari e complessi macchinari con i quali bisognerà giocare con la gravità per poter andare avanti, passando per alcuni personaggi come bambini armati di frecce e sassi e un minaccioso ragno gigante. Se da un lato il titolo gode di puzzle ben congegnati e di un level design studiato ad arte, quel che fa la differenza in termini di gameplay sta probabilmente in un attento studio della fisica, che induce il giocatore a essere quanto più preciso nell’affrontare determinate fasi di gioco, grazie anche all’engine Box2D, che risulta estremamente efficace allo scopo, e a un’architettura dei rompicapo che non risulta mai frustrante nonostante si basi su un meccanismo “die and try”: alla prima run sarà inevitabile infatti fallire un bel po’ di volte, ma si avrà la soddisfazione di superare anche le zone più difficili una volta fatte proprie le dinamiche e le tempistiche del relativo rompicapo. Limbo non presenta dei livelli o delle pause tra un’ambientazione e l’altra, ma è completamente lineare e il cambio di ambientazione non risulta mai forzato.

Dopo la pubblicazione di Limbo, sono nate diverse teorie sulla trama: c’è chi pensa che il protagonista sia morto e che abbia qualche “conto in sospeso”, rappresentato dalla figura della sorella, chi che entrambi i fratelli siano morti e che lui stia semplicemente cercando di ricongiungersi alla sorella, chi addirittura ipotizza che il mondo di Limbo sia stato creato dalla mente di un bambino che ha subito abusi o traumi. Gli sviluppatori non hanno rilasciato alcuna interpretazione ufficiale, e questi misteri rendono ancora più interessante un gioco che risulta in ogni suo aspetto suggestivo.
Ad amplificare la componente arcana del titolo c’è anche un comparto grafico che porta in scena un mondo di ombre interamente in bianco e nero con sfumature di grigio nel quale tutto appare rarefatto e indecifrabile: neanche il nostro protagonista ha un volto, risultando una mera sagoma vagante in un universo ostile. Nonostante l’uso dei colori risulti dunque estremamente essenziale, non si ha mai un senso di monotonia o di ripetitività, giovandosi di un art style accattivante e con ambienti eterogenei, da fitte foreste nere a fabbriche tetra passando per luminose insegne di Hotel.

Il comparto sonoro fa certamente il paio con quanto detto sinora: non troviamo alcuna pomposa o elaborata soundtrack, l’audio è essenziale ma efficace, basato su ronzii, scricchiolii, rumori ambientali e altri particolari che possono essere goduti al meglio giocando con dei buoni headset alle orecchie. Il principale difetto di Limbo risiede forse in una non sempre lineare armonia nella successione dei puzzle, che si fanno improvvisamente più complessi rispetto ai precedenti in certi punti (specie nella parte centrale); alcuni hanno visto anche dei difetti nella scarsa longevità e nella mancanza di una vera e propria trama, che sono però in realtà due tratti coerenti con le intenzioni dello sviluppatore: se da un lato, infatti, 4 o 5 ore di gioco risultano congrue in un titolo indipendente e zeppo di puzzle sfidanti, dall’altro la scelta di lasciare implicita una storia consente maggior spazio all’interpretazione dei giocatori e accresce il livello di suggestività dell’opera.
Con un’ambientazione accattivante e un sonoro minimale ma ricercato che si amalgamano benissimo in un’atmosfera inquietante e sinistra, Limbo è un titolo che unisce divertimento, ritmo e un buon livello di sfida, risultando uno dei migliori puzzle game degli ultimi anni, superato – fra i pochi – dal suo successore spirituale, l’acclamato Inside che, nella sua bellezza, serba un profondo debito nei confronti del titolo precedente.




Knack 2

Dopo i risultati non troppo esaltanti del primo Knack, Mark Cerny ci riprova: se il primo capitolo offriva poca varietà e un gameplay spesso troppo semplificato, con Knack 2 la musica sembra cambiare: il gioco è migliorato sotto tutti i punti di vista, mostrandosi più divertente, longevo e vario, e avvantaggiandosi anche di un prezzo di lancio più adeguato.

Storie di Goblin e antiche reliquie

Le origini del nostro eroe nel bene e nel male la conoscono ormai in molti: Knack è un essere fatto di antiche reliquie di una misteriosa e antica civiltà messe insieme dal Dottor Vargas, che hanno preso coscienza in un unico essere dai grandi poteri. Nel primo titolo, Knack si erge a paladino dell’umanità contro i Goblin e contro altri antagonisti che minacciano la terra.  La questione qui non è tanto differente: abbiamo una storia adatta alla famiglie, dove gli eroi di turno si trovano nuovamente a dover difendere la terra dal tentativo di dominio dei Goblin, che tornano ancora più agguerriti e in possesso di macchine e robot devastanti. La storia non presenta particolari picchi di originalità, ma scorre lineare e presenta anche una sua discreta solidità, conservando quelli che sono tutti gli elementi tipici del genere, mischiando il tema supereroistico al cartoonesco e non riducendosi a mero pretesto per andare in fondo al gioco: non ci sono particolari colpi di scena, ma il tono leggero risulta piacevole e riesce a offrire svariate ore di svago.

Danzando tra i colori

Non siamo di certo di fronte a un titolo che tende al fotorealismo e, pur non raggiungendo sul piano tecnico le vette di altre esclusive PS4 come Horizon: Zero Dawn o Uncharted 4, Knack 2 offre una grafica di tutto rispetto: l’enviroment è ben curato, ricco di colori, con vari spazi aperti suggestivi e modelli dei personaggi ben studiati, pur adagiandosi su un art-style probabilmente un po’ troppo masticato, elemento che al contrario avrebbe potuto conferire originalità a un titolo da questo punto di vista poco coraggioso. Su PS4 PRO, dove si può scegliere se giocare a 1800p con checkerboard rendering e frame rate variabile, oppure 1080p a 60 fps, il gioco risulta godibile in entrambe le modalità, ma risulta preferibile probabilmente la seconda dove, sacrificando un po’ di risoluzione, si ottiene comunque una buona resa grafica godendo di un frame rate certamente più stabile.

Se quindi sul piano visivo Knack 2 risulta un bel vedere che non va oltre la norma, qualche lode in più può spendersi per il comparto sonoro: le musiche di Anthony Willis, suonate dalla Nashville Scoring Orchestra, risultano molto appropriate ai vari contesti, innestando in temi “eroici” sonorità giocose, in una piacevole alternanza di epico e brioso nella quale la musica si adatta al ritmo dell’azione di gioco e anche al variare della grandezza di Knack, la cui dimensione può andare da 75 cm a circa 10 metri in relazione alle reliquie acquisite. Il doppiaggio italiano risulta ben fatto ed efficace, con voci e intonazioni adatte a ogni personaggio e buone recitazioni che nulla hanno da invidiare a quello originale inglese, confermando che l’ottima scuola di cui gode il Bel Paese nel Cinema ben si adatta anche ai prodotti videoludici.

Agili pesantezze e nuove sfide

Ci sono diverse novità rispetto al primo capitolo anche in termini di gameplay e movenze: il mastodontico Knack si muove più agilmente, la gamma di mosse è più varia, è presente un albero delle abilità da sviluppare nel corso del titolo per potenziare il nostro eroe, le fasi platform sono più numerose e certamente più divertenti; l’inquadratura è rimasta fissa, e la telecamera non presenta problemi neanche quando Knack è alle sue massime dimensioni, risultando invece ben gestita (anche nelle cinematiche: ottima la sequenza a girare quando Knack si introduce nella città dei Goblin con attacco dall’alto). Infine, le fasi action sono migliorate, il gioco non è mai frustrante come accadeva a volte nel precedente capitolo e, pur risultando piuttosto facile per i giocatori più esperti anche al livello di difficoltà massimo, riesce a intrattenere quanto basta chi voglia godersi la storia e, al contempo, giocare a un titolo non troppo impegnativo che mischia l’abilità nelle piattaforme ai combattimenti.
Le modalità non si fermano alla sola Storia: chi abbia infatti completato il gioco, potrà infatti cimentarsi nelle sfide proposte ripercorrendo alcuni livelli del gioco nelle varie modalità: Attacco a Tempo, dove bisognerà completare la sfida entro un tempo massimo, e Attacco Colosseo, che consisterà nel contrastare orde di nemici in un’arena entro un tempo massimo.
Resta inoltre ferma la possibilità di rigiocare i vari livelli alla ricerca dei segreti e delle medaglie che permetteranno di sbloccare tutte le mosse per Knack e le 4 armature colorate che potenzieranno il protagonista conferendogli ognuna un’abilità speciale diversa.
Insomma, molto materiale per un prodotto pensato per intrattenere grandi e piccini, i quali potranno divertirsi giocando anche in cooperativa (altra novità del titolo) e sfruttando lì le combo assenti nel single player. La longevità si attesta tra le 10 e le 15 ore, che variano in relazione a quanto si voglia esplorare e quanti dei numerosissimi segreti si vogliano trovare per ottenere i relativi potenziamenti.

Due, senza tre

Mark Cerny ci ha riprovato, dicevamo, ma forse i risultati non sono quelli che ci si aspettava: nelle intenzioni di Sony vi era fin dall’inizio probabilmente la volontà di creare un’IP di successo che unisse i gamer di ogni età, partendo dai più giovani. Il primo capitolo non ha mai raggiunto i 2 milioni di unità vendute, un risultato tutt’altro che desiderabile in poco più di 4 anni, e il secondo non ha ancora raggiunto le 150.000 unità vendute. Difficile aspettarsi un ulteriore sequel, con questi numeri. Eppure questo Knack 2 non è affatto male: le vendite devono aver sofferto della fama del precedente e di un’accoglienza piuttosto fredda da parte della critica che, se da un lato a buon ragione non lo ha esaltato, d’altro canto lo ha accolto in genere con sospetto, a volte bastonandolo anche eccessivamente in termini di voti proprio in ragione del suo risultare un gioco senza guizzi di sorta, pur presentando oggettivamente pochi difetti. I vizi di dell’IP Sony stanno alla base, e sono quelli che, anche in presenza di un buon prodotto, non le consentiranno di affermarsi nell’immaginario collettivo dei giocatori: Knack è un personaggio piacevole e bonario, ma privo di spessore, un eroe con poca personalità, che risulta a tratti un Frankenstein tenace e un po’ tonto, un braccio armato incapace di infiammare i cuori dei fan. La storia sembrano sempre orientarla gli umani, mentre Knack sta lì a fungere da arma, animato da vaghi ideali di giustizia di cui mostra livello di consapevolezza superficiale e trainato soprattutto dalla fedeltà verso i suoi amici. Non tanto diverso da un cane fedele, insomma, e si capisce bene come di fronte a Nathan Drake, Aloy, Kratos e altri non riesca a stagliarsi nel Pantheon dei personaggi Sony. Altro vizio di fondo è la storia, dicevano, che pur risultando lineare e priva di grosse falle, risulta troppo semplicistica anche per un pubblico giovane più smaliziato e oggi per certi versi più pretenzioso, che faticherà a stupirsi.
Vizi che, come si diceva, indeboliscono un’IP in cui probabilmente Sony non reinvestirà a breve, e che non inficiano però la qualità di fondo di un gioco riuscito, anche grazie all’ottimo lavoro di uno sviluppatore straordinario come Japan Studio, che qua ha svolto un buon lavoro, correggendo i difetti del primo capitolo. Knack 2 è infatti un gioco migliore sotto tutti i punti di vista rispetto al prequel, offrendo tante ore di divertimento rifuggendo la noia e la frustrazione, con ambientazioni varie, un gameplay ben giocabile, con un buon bilanciamento tra action e platform, e, pur non offrendo una grafica memorabile e presentando le maggiori debolezze in termini di screenplay e personaggi, può comunque risultare un buon titolo (dal buon rapporto qualità prezzo, oggi che si trova a 30 €) per tutte le famiglie che vogliano godere insieme alcune ore di divertimento e spensieratezza.

(Si ringrazia Alfonso Sollano per il contributo dato a questa recensione)




Capcom festeggierà il 30esimo anniversario di Mega Man su Twitch

Capcom ha annunciato che trasmetterà in streaming l’evento per il 30esimo anniversario di Mega Man, una delle sue saghe più iconiche.

L’evento prenderà luogo dalle 20:00 del 4 Dicembre fino alle 9:00 del 5 Dicembre (11AM-12PM PST) sull’account della community Capcom su Twitch.

Capcom ha già sparso la voce spedendo gli inviti ai vari organi di stampa con il messaggio in allegato che recita «da non perdere a nessun costo».

Il tutto lascia molto spazio all’interpretazione; che possa essere l’evento per annunciare un nuovo gioco all’interno della serie? Per quanto questo possa riempire di speranza i fan più sfegatati è opportuno ricordare che in molti aspettavano un nuovo gioco di Mega Man per il 25esimo anniversario, ma ciò non accadde.

Tuttavia negli ultimi anni le cose sono un po’ cambiate: anche se non è stato rilasciato alcun nuovo titolo di Mega Man, Capcom ci ha deliziati con Mega Man Legacy Collection 1 & 2 che hanno permesso ai fan di vecchia data di rigiocare i titoli storici in HD e alle nuove generazioni di conoscere la saga del Blue Bomber. Inoltre, a tutto questo, c’è da aggiungere l’ondata di pareri negativi per Mighty No. 9, il sequel spirituale di Mega Man ideato dal suo creatore originale Keiji Inafune. Che sia il momento ideale per rilanciare il caro robottino blu?