Oppaidius Summer Trouble! – Un’estate indimenticabile

Circa un anno fa avevamo parlato della demo scaricabile su Steam di Oppaidius Summer Trouble!, una particolarissima visual novel, sia per l’art style che per il suo umorismo molto parodistico, con giusto un pizzico di italianità. Ai tempi non abbiamo potuto fare a meno di lodare il già ottimo lavoro del creatore Vittorio Giorgi che è stato capace di consegnare un prodotto di altissima qualità (seppur in uno stadio ancora incompleto). Da Dicembre, dopo un kickstarter di successo, la full version di Oppaidius Summer Trouble! è arrivata su Steam e finalmente abbiamo avuto modo di conoscere la simpatica (e rotondissima) Serafina, una ragazza che appare al protagonista quasi come un miraggio. Come si snoda la nostra avventura grafica? Beh… Scopriamole… Cioè… Scopriamolo insieme!

L’estate non piace a tutti…

In Oppaidius Summer Trouble!, nonostante saremo in grado di scegliere il nome del nostro personaggio, controlleremo un tipo un po’ asociale, abbastanza nerd, che odia l’estate: non si diverte, la vive male per colpa dell’afa e perciò preferisce rimanere a casa a giocare ai videogiochi (con una console che sembra proprio essere un PC Engine Duo-RX). Un giorno però un’improvvisa visita a casa nostra cambierà la vita del protagonista per sempre: ecco Serafina, la nuova vicina appena trasferitasi in cerca di nuove amicizie e giusto di un po’ di Latte! Il nostro protagonista non potrà fare a meno di notare i suoi due ingombranti seni (e il fatto che chieda proprio il latte!) e comincia a non pensare ad altro, al punto di dubitare della sua esistenza. Lo scopo delle conversazioni e delle scelte da compiere, vero fulcro del genere visual novel, sta nell’ascoltarla, capirla ma anche capire il protagonista, sfruttando questa nuova conoscenza per imparare a crescere e superare i nostri limiti. Oppaidius Summer Trouble! in poche parole racconta una storia ed è una visual novel che poco si presta al carattere del giocatore; il personaggio controllato ha delle caratteristiche ben delineate e per tanto, per quanto ci possa divertire il selezionare le risposte in base a un nostro gusto personale, servono delle “risposte giuste” per ottenere il vero finale. Dopo la prima run (in cui si otterrà sempre il finale A) avremo modo di accedere al gioco+ in cui potremo saltare tutti i dialoghi e arrivare direttamente alla selezione delle risposte. Fra i sogni di Serafina, i save/load state e il gioco + il giocatore ha una vasta gamma di metodi che lo possano portare a ottenere il vero finale della storia e ciò non può che essere un grande punto a favore di ciò che riguarda l’interfaccia utente.

È ovvio che i punti focali di questo titolo sono il comparto testuale e quello grafico: le linee dei dialoghi riescono a farci ridere, soprattutto per le possibilità delle nostre risposte che vanno dal normale, all’assurdo e talvolta al pervertito! Non tutte le risposte incideranno sul finale e perciò, di tanto in tanto, potremo divertirci a dare qualche risposta un po’ fuori luogo. Non mancheranno valanghe di easter egg e riferimenti a videogiochi del passato, un tipico tocco di classe per un gioco che, in un modo o nell’altro, offre anche qualche spunto retrò – prima fra tutte la musica resa con il chip sonoro YM2151, utilizzato nei computer Sharp X68000 e in alcune schede arcade Konami e Sega, ma di questo parleremo più avanti –. Di tanto in tanto il gioco svia dalla classica visual novel e ci saranno momenti in cui ci ritroveremo a fare qualcosa di diverso dal leggere e dare risposte, come fare una nuotata a colpi di tasti “destra” e “sinistra”, controllare un ambiente col mouse come un punta e clicca o… Minigiochi di altro tipo! A volte lo storytelling ci offre una sorta di abbattimento della quarta parete, nulla di incisivo come in Undertale ma comunque il tutto è implementato in maniera molto intelligente per quanto semplice: a volte le risposte in un dialogo saranno un po’ “a senso unico”, qualche altra volta il mouse si sposterà da solo, ma su questo argomento non vogliamo dilungarci molto in quanto in generi come questo è molto facile dare spoiler per sbaglio. Il più grande difetto è la scarsa longevità e non ci vorrà molto dopo il primo finale “trovare” le risposte giuste per ottenere i finali B, C, e BC;
In tutto questo, insieme ai finali della storyline, sbloccherete piano piano le immagini della galleria la cui maggior parte saranno artwork utilizzati per segnalare determinate cutscene (in quanto qui non ci sono vere e proprie animazioni). Fra le immagini ce ne saranno alcune da sbloccare tramite il minigioco Oppaidius Poker dalle fattezze di un gioco per Nintendo Game boy. Ogni finale della visual novel ci darà un credito in più al poker (cinque mani) ma vincere, ovvero arrivare al punteggio preposto da un avversario, è tutt’altro che semplice: si gioca col mazzo intero per due persone (quindi costruire una qualsivoglia scala è sempre un grosso rischio) e le coppie al di fuori dei jack, regina, re e asso saranno utili solo per le doppie coppie. Insomma, le migliori strategie per giocare a poker non risultano sempre le migliori e spesso e volentieri si dovranno adottare strategie ben contrarie al senso comune.

Amore o pulsione?

Lo stile di Vittorio Giorgi, creatore, disegnatore e mente dietro Oppaidius Summer Trouble!, accenna sia gli stili più in voga in Giappone, dunque anime/manga, e probabilmente anche un tocco più occidentale visto che vengono a mancare molte di quelle caratteristiche prettamente nipponiche. La sua determinazione nel portare avanti una visual novel, genere dominato principalmente da developer giapponesi e pensato per un pubblico orientale, è veramente da imitare; il panorama videoludico italiano si apre a quello nipponico e lo fa restituendo un genere molto di nicchia e che in Europa (salvo le eccezioni di Phoenix Wright e pochi altri) è sempre stato poco considerato, soprattutto per il gap culturale. Oppaidius Summer Trouble! ha caratteristiche di humor e contesti prettamente italiani e dunque i giocatori occidentali potranno agire senza “sembrare fuori luogo” nonostante le tematiche romantiche/erotiche. Visto che ne stiamo discutendo, questa visual novel cade nel sub-genere ecchi, fatto per la maggior parte di scene “vedo-non vedo” e nessuna scena di sesso esplicito, ma dobbiamo purtroppo anticipare che ci sono scene di topless, quindi, si, rispettate il PEGI 18 o diventerete ciechi, specie se porterete il boobage level a 100 (esatto, è nelle opzioni), a quel punto vi esploderà il cervello – siete stati avvisati –! Per il resto, la grafica include dei bei background dalle fattezze di un gioco per il PC-98 della NEC o il PC Engine, sempre prodotto dalla medesima leggendaria compagnia giapponese, il tutto composto esattamente come se fosse un bel gioco dei primi anni ’90.
Altro punto da tenere in considerazione, che ci riporta all’epoca d’oro delle visual novel giapponesi, sono i temi che si avvalgono del chip sonoro YM2151, utilizzato nei computer Sharp X68000 e in alcune schede arcade Konami e Sega; i temi sono su uno stile synthpop, a cavallo fra anni ’80 e ’90, che si adatta perfettamente a questo genere in voga in Giappone, cresciuto esponenzialmente grazie soprattutto a computer casalinghi come i già citati PC-98, noto per aver ospitato una miriadi di graphic novel a stampo erotico, o il PC Engine. Tuttavia parlare di erotismo, per quanto giusto, non è tutto, specialmente per il fatto che Oppaidius Summer Trouble! tende a riportare (i giocatori più anzianotti) in estati fatte di divertimento spensierato, nuove scoperte ed esperienze, soprattutto in campo sentimentale e non necessariamente carnale, o per lo meno non nel senso più volgare. A testimonianza di ciò è la lettera che Norihiko Hibino, guest musician che ha lavorato in passato per saghe come Metal Gear, Zone of Enders e Bayonetta, ha voluto dedicare allo sviluppo di Oppaidius Summer Trouble! e allo splendido lavoro fatto da Vittorio Giorgi:

«è bello sapere che molte persone in tutto il mondo continuano ad apprezzare questo tipo di contenuti originariamente creati in Giappone. La canzone che ho composto per Oppaidius Summer Trouble! si intitola “One Summer Memory“, ed è un pezzo che rievoca le belle giornate estive. In Giappone le quattro stagioni sono molto distinte fra loro e il godersi la stagione in corso o ripensare a quelle trascorse è una parte molto importante della nostra cultura. Persino una calma mattinata invernale può richiamare un qualche sentimento nostalgico per le stagioni passate in ognuno di noi. Spero che l’ascolto di questa canzone potrà aiutare le persone ad apprezzare qualsiasi stagione in corso e, in particolare, richiamare una bella giornata estiva. Grazie per l’opportunità di essere parte di questo gioco»

Il grosso della colonna sonora stato composto da Luca della Regina, compositore dello SHMUP italiano in corso di lavorazione Xydonia, mentre i restanti guest musician comprendono Masashi Kageyama (Gimmick!, Sunsoft) e Tsuyoshi Kaneko (Segagaga, Yakuza, Thunder Force IV), entrambi compositori di altissimo rango e apprezzatissimi in tutto il mondo. Inutile dire che il lavoro consegnato è di altissimo livello.

(Da adesso… Solo pensieri innocui… Come due bei cuccioli… Due…)

Tempi migliori

Recensire una visual novel dalle nostre parti è molto difficile, principalmente per il fatto che al di fuori della saga di Ace Attorney e pochi altri giochi, questo genere non ha mai attecchito veramente, ma ciò non toglie che il lavoro compiuto da Vittorio Giorgi, che firma il tutto con il marchio SbargiSoft, è senza dubbio di alta qualità già a primo impatto. Sicuramente potevano essere migliorati molti punti come la longevità, e con esso l’aggiunta di più finali, l’interfaccia grafica del menù iniziale e della galleria e la modalità poker, ma rimane comunque un validissimo acquisto e un ulteriore titolo indipendente italiano che si aggiunge alla sua sempre più vasta scena videoludica nostrana, disponibile al prezzo di 6,99€ su Steam. Chissà se vedremo Oppaidius Summer Trouble! presto su altre piattaforme come Nintendo Switch o Sony PlayStation 4. Se siete interessati alle visual novel di stampo nipponico Oppaidius Summer Trouble! è sicuramente un titolo da non perdere: un’ottima prima opera per Vittorio Giorgi alla quale auguriamo un buon proseguimento di carriera!




Bloodstained: Ritual of the Night – Il ritorno del re

L’anno scorso abbiamo dedicato molto tempo per discutere di Bloodstained: Curse of the Moon, inaspettato primo nuovo titolo di questa nuova saga ispirata a quella di Castlevania, dello sviluppo del titolo principale, che abbiamo finalmente giocato, dei battibecchi fra Konami e il creatore Koji Igarashi, dello sviluppo della campagna Kickstarter (il più velocemente finanziato prima del lancio di Shenmue 3), ma anche di Castlevania: Symphony of the Night e dell’eredità che porta con sé. Il caro Iga ha saputo ascoltare i backer del suo progetto e così ha rimandato l’uscita di Bloodstained: Ritual of the Night dal tardo 2018 al primo 2019 per poi essere spostata un’ultima volta per l’estate dello stesso anno. Il titolo, il cui progetto fu lanciato nel marzo 2014, è uscito lo scorso 18 giugno per PlayStation 4, Xbox One e PC e una settimana dopo (25 giugno) per Nintendo Switch. Quest’ultima sarà la versione che prenderemo in considerazione e vedremo insieme un vero e proprio gioco d’autore, uno di quelli in grado di elevare il videogioco a pura arte e decisamente uno dei migliori di questo 2019.

La versione Switch…

Ebbene sì, se avete avete seguito le vicende di Bloodstained: Ritual of the Night allora saprete che la versione per Nintendo Switch sta risultando la peggiore delle versioni uscite. Cominciamo col ricordare che lo sviluppo di questa particolare versione era cominciato originariamente su Wii U, produrre un porting per Switch non è stato facile viste le brutte sorprese in ambito multipiattaforma come Rime o Doom, ma altre volte il risultato si è rivelato al pari delle altre console, come il caso di Mega Man 11. Bloodstained: Ritual of the Night,  non si schioda dai 30 FPS e soprattutto, al di là di piccoli dettagli grafici mancanti, assistiamo a tempi di caricamento inaspettati fra una stanza e l’altra ma soprattutto crash e glitch legati soprattutto alle interazioni con gli NPC non nemici; anche il riprendere a giocare dopo uno stand-by, sembra destabilizzare l’intero andamento del titolo. Un aggiornamento è stato lanciato il 2 Agosto e sembra che il gioco sia più stabile, anche se ancora sussistono alcuni dei problemi sopracitati. Ciononostante i controlli risultano ben reattivi e l’esperienza totale è ben lungi dall’essere ingiocabile.

Il sogno di Koji Igarashi

Dopo le critiche a Castlvania: Symphony of the Night, elogiato come uno dei giochi più belli di tutti i tempi, era normale aspettarsi nuovi sequel ma la verità è che a Koji Igarashi non vennero mai dati fondi e tool a sufficienza per poter produrre un gioco al pari del suo precedente per via delle sue vendite non stellari. Bloodstained: Ritual of the Night è dunque il  suo secondo metroidvania per console, il primo dopo 23 anni in cui Koji Igarashi si è trovato a lavorare senza le limitazioni dei portatili e con la libertà e tool degni del suo genio creativo. Nonostante non possa più continuare le avventure dei personaggi che ha creato, il suo particolare interesse verso l’occulto, la magia e il fantasy si rispecchia in tutto e per tutto in questo nuovo titolo ufficialmente targato ArtPlay e distribuito da 505 Games.

La storia si svolge durante la prima rivoluzione industriale, sono anni di fermento scientifico e culturale e pertanto le arti occulte cominciano a divenire obsolete. Fra le nubi dell’eruzione di Laki del 1783, vulcano sito in Islanda, arrivano in tutta l’Europa centinaia di migliaia di demoni ma il tutto risulta essere uno stratagemma segreto di una gilda di alchimisti per ricordare alla classe dominante la loro importanza e che la tecnologia è impotente di fronte a entità di questo tipo. Per fronteggiare questa minaccia gli alchimisti forgiano gli Shardbinder, dei ragazzi al cui loro interno vengono impiantati cristalli in grado di sintonizzarli con il potere dei demoni e dunque combatterli.
Dopo questo incipit, cominciamo dal Galeone Minerva (quinto livello del precedente Curse of the Moon), e le prime fasi di gioco serviranno a farci prendere confidenza coi controlli e le abilità di Miriam, la protagonista. Grazie all’assorbimento del degli Shardbinder, Miriam potrà utilizzare le abilità chiave dei suoi nemici, che constano di cinque tipi: Attivazione, classica arma secondaria di Castlevania, Direzionale, simile a quello a precedente ma direzionabile con lo stick sinistro, Effetto, Famiglio, che permette l’attivazione di uno Spirito combattente di supporto che ci accompagnerà dal momento della sua selezione (livellabile anche lui come Miriam), e infine Incantato (noi preferiamo “passivo”) che darà ulteriori abilità alla protagonista in background (come resistenza al fuoco, aumento fortuna, velocità dei movimenti, etc…). A questi si aggiungono anche i Cristalli Abilità che permetteranno a Miriam di compiere nuove azioni, come doppi salti e il nuoto, utili per esplorazione del castello. Le abilità dei cristalli potranno essere ulteriormente migliorate portando a Johannes diversi materiali, drop casuali dei vari nemici del castello e collezionando ulteriori cristalli dello stesso tipo. Inutile ricordare dunque che, come un RPG, il personaggio aumenta di livello accumulando EXP a ogni nemico ucciso.
Il gameplay di base non porta grandi innovazioni, ma per quanto classico è semplicemente squisito: la mappa di gioco, è indubbiamente la più grande mai presentata in uno dei suoi giochi precedentemente prodotti ed è composta in modo tale da favorire un backtracking dinamico e tarato per la crescita della protagonista, caratteristica fondamentale di questo genere. Percorrere un tratto a ritroso non risulterà mai tedioso e tornando in aree già visitate avremo modo di controllare se abbiamo collezionato tutto quanto nell’area provando ogni nostra nuova abilità per accedere a luoghi precedentemente inaccessibili; talvolta è incentivato anche il sequence breaking, ovvero la capacità di visitare luoghi alla quale non si potrebbe accedere senza una determinata abilità ma accessibili se utilizzeremo al meglio quelle già acquisite. In ogni caso il vero fulcro di questo gioco è certamente l’esplorazione e in Bloodstained: Ritual of the Night ci viene consegnato un ambiente veramente eccezionale, una mappa che incentiva la curiosità, l’esplorazione, il backtracking e lo spingersi a superare nemici e ostacoli a ogni costo.

Inoltre, per la prima volta, è stato implementato un sistema di slot per salvare un determinato equip e selezionarlo al momento del bisogno in base alla situazione. Potremo trovarci con una spada con un effetto di fuoco e pertanto a esso potremo equipaggiare vestiti, accessori e un cristallo passivo che ne incentivi i danni. L’arma principale di Miram non differisce molto da una spada e il suo raggio d’azione è veramente povero, tutto il contrario di quella vista nel precedente titolo in cui era permesso il tenere una certa distanza tra noi e i nemici.
Insieme alla campagna di Miriam e alla partita+, nonché alle diverse difficoltà proposte, possiamo sin da subito giocare alla modalità Boss Rush e Time Attack ma ben presto verranno rilasciati ben 13 DLC gratuiti che promettono modalità co-op, versus, una Classic Mode e altri due personaggi giocabili, primo dei quali l’ammazza-vampiri nipponico Zangetsu.

Déjà vu?

Coloro che hanno giocato e rigiocato Castlevania: Symphony of the Night non potranno fare a meno di non notare alcune similitudini che si riducono a un autocitazionismo tal volta fuori luogo e semplicemente poco ispirato. Così come per molti altri elementi, a partire soprattutto dai luoghi della mappa ricollegabili ai luoghi del castello di Dracula del celebre gioco per PlayStation, alla Cattedrale di Dian Cecht di Bloodstained: Ritual of the Night accosteremo immediatamente la Royal Chapel di Symphony of the Night, al Giardino del Silenzio la Marble Gallery, alla Livre Ex Machina la Long Library, e così per moltissimi altri luoghi del castello. Tuttavia, la autocitazione più fastidiosa è senz’altro l’abilità Invert che permetterà a Miriam di invertire la gravità e dunque capovolgere la schermata di gioco: per quanto il richiamo di tale abilità sia abbastanza intuitiva e regala al giocatore l’effetto desiderato, questo non è altro che uno stratagemma poco originale per invertire il castello, esattamente come succedeva in Castlevania: Symphony of the Night ma che qui poco regala alla dinamicità del gameplay. Citare le vecchie opere è indubbiamente interessante ma il problema è che Bloodstained: Ritual of the Night sembra voglia farsi carico dell’eredità di Castlevania anziché lanciarne una nuova.

Lost Paintings

Graficamente Bloodstained: Ritual of the Night non è certamente fra le più complessi ma di certo risulta abbastanza curato e intriso dello stile gotico, fuso con quello anime, di cui Iga è famoso. Durante i dialoghi vengono presentati modelli 3D ben dettagliati ma tutto sommato poco espressivi nonostante un buon doppiaggio: le espressioni facciali non rispecchiano necessariamente lo stato d’animo dei personaggi e pertanto avremo preferito, anche se in questo caso saremo ricaduti nell’ulteriore citazione, semplicemente degli artwork alla quale collegare il parlato come avveniva nei suoi titoli precedenti. Anche se il risultato non è fra i migliori, Iga ha voluto azzardare e, per quanto possibile, distaccarsi dalla saga madre. Gli effetti luce e la profondità dei background, rinnovati verso la fine dello sviluppo,sono ben resi anche in questa versione e tutto sommato Bloodstained: Ritual of the Night presenta uno stile grafico e un art style valido anche se non fra i più ispirati.
La colonna sonora invece è stata affidata a Michiru Yamane, storica compositrice della saga madre… e insomma, basterebbe solo questa frase per garantire la qualità della colonna sonora! Probabilmente, ed è un grosso tassello che mancava ai Castlevania: Lords of shadow, la musica è ciò che rende i titoli di Koji Igarashi grandi e semplicemente epici: le composizioni offrono quel ritmo e quelle sonorità in grado di dare la giusta atmosfera ai vari ambienti, sempre molto diversi fra loro. Luoghi come Cattedrale di Dian Cecht o i Laboratori di Stregoneria prediligono composizioni più classicheggianti, con organi a canne e tappeti di archi, mentre in luoghi come l’Ingresso del castello, il Giardino del Silenzio, la Torre dei Draghi Gemelli o la Caverna Infernale presentano composizioni più moderne con un set più da band e sfumature che aprono verso più generi musicali. A differenza di Castlevania: Symphony of the Night stavolta non sono stati commessi grossi errori sui dialoghi con decisamente un buon lavoro da parte dei doppiatori: alcune battute di dialogo sono troppo “spigliate” per il periodo storico preso in considerazione ma in fondo fanno parte di sezioni extra e inserite, chiaramente, a scopo umoristico. Nel cast figurano se non altro doppiatori di spicco come David Hayter, voce storica di Solid Snake qui impegnato nel prestare la voce a Zangetsu e alla narrazione iniziale, Ray Chase, anche lui impegnato in progetti come Final Fantasy XV e NieR: Automata qui impegnato per prestare la sua voce a Gebel, Erika Lindbeck, che presta la voce alla protagonista Miriam, ma soprattutto Robert Belgrade, voce storica di Alucard in Castlevania: Symphony of the Night qui impegnato a prestare la voce al bibliotecario Orlok Dracul, vampiro dalle sembianze molto vicine al suo vecchio personaggio.

… Vicino alla perfezione

I punti che abbiamo criticato in questo Bloodstained: Ritual of the Night non sono pochi e se non altro vive chiaramente dell’eredità della sua saga madre. C’è un autocitazionismo a tratti fastidioso accompagnati da tanti piccoli elementi, relativi principalmente alla versione Switch (laddove si trova il pubblico che più apprezza questo tipo di giochi), che potevano essere migliorati tranquillamente con pochi sforzi. Ciononostante è impossibile negare la grandezza di questo gioco e l’infuocatissimo gameplay che esso propone: non lodarne il gameplay è semplicemente impossibile e criminale! Narrativamente risulta interessante ma purtroppo contornato personaggi a tratti un po’ scialbi, delle ambientazioni meravigliose ma troppo legate al passato. Per un prossimo titolo andrebbe rivisto l’obiettivo di questa saga: vuole semplicemente colmare un sentimento nostalgico o mettere qualcosa di nuovo sul tavolo? Non c’è nessuna grande innovazione e dunque non si capisce se il gioco guardi avanti oppure indietro. Momentaneamente il risultato con questo Bloodstained: Ritual of the Night è più che soddisfacente e sembra davvero di avere in mano (finalmente) il degno erede di Castlevania: Symphony of the Night: un grande titolo e certamente uno dei migliori giochi di questo 2019.




This War of Mine: Complete Edition – La guerra di chi non spara

Capita spesso al telegiornale di sentir parlare di guerra, di studiarla a scuola o addirittura lodare le vicende di chi vi ha combattuto. Nei videogiochi la guerra è un tema più che ricorrente: che sia una riproposizione storica, una battaglia più contemporanea o addirittura futuristica, ci ritroviamo solitamente dietro il fucile per compiere gesta più o meno eroiche senza alcuna conseguenza (tematiche che abbiamo anche affrontato in un precedente articolo). Delle guerre vediamo sempre l’aspetto più adrenalinico, in cui un soldato combatte un nemico: non di rado i protagonisti che impersoniamo li consideriamo eroi, dimenticandoci di chi c’è nel fuoco incrociato, i civili, persone non in divisa che si trovano loro malgrado in mezzo a conflitti sanguinosi. Ed è così che 11 Bit Studios decide di farci vedere quest’aspetto poco considerato, quello di coloro che, inermi e indifesi davanti agli uomini con fucile, non vogliono perdere la speranza e fanno di tutto per sopravvivere di fronte al conflitto che tenta di distruggerli nel corpo e nello spirito; arriva anche su Nintendo Switch l’acclamatissimo This War of Mine, in una Complete Edition, in cui per la prima volta tutti i precedenti DLC (arrivati gradualmente per le versioni PC, PlayStaition 4 e Xbox One) sono presenti sin dall’inizio. Questo titolo ci metterà di fronte a decisioni difficili da prendere, compiere azioni al limite del giusto e dello sbagliato la cui moralità è dettata solamente dal vivere un altro giorno oppure no: le idee dietro alla realizzazione del gioco sono veramente molte e vederemo di fare ordine al meglio che possiamo.

Il mio spirito è ancora vivo

Il gioco è ispirato principalmente agli accadimenti del terribile assedio di Sarajevo (1992-1996), e ci cala nella condizione (con tutti i limiti della simulazione) di chi apra la porta di casa e trova la guerra di fronte a sé. Ci verranno proposti diversi scenari con svariati personaggi, ma le dinamiche di base li accomuneranno tutti: di notte bisognerà raccattare più oggetti possibili in diversi luoghi della città, come materiali per costruire elementi essenziali per la casa e per la nostra stessa sopravvivenza (come un tavolo da lavoro, un letto, un cucinino e così via), utensili, cibo, medicine, armi e, visto che questa versione include anche il DLC The Little Ones, anche giocattoli e libri per tenere alto il morale dei più piccoli che abitano con noi nella stessa casa; di giorno, visto che la città pullula di soldati e cecchini, è importante rimanere a casa per potersi rifocillare, riposare ma soprattutto sfruttare al meglio le risorse che ci siamo procurati durante la notte costruendo nuovi oggetti, rinforzare le mura di casa, utilizzare gli oggetti già costruiti come raccoglitori di acqua piovana, distillatori per produrre alcolici o presse per creare sigarette fatte in casa (entrambi ottima merce di scambio durante la guerra). Sarà dunque fondamentale procurarsi gli oggetti giusti sia per garantire la sopravvivenza fisica e psichica dei nostri personaggi, sia per poter costruire oggetti utili per la casa. Per quanto il raccogliere i materiali fuori casa sia essenziale (soprattutto quelle tante cose che non possiamo produrre come “materiali”, legno, transistor e altro), è bene che la casa funzioni come una sorta di “fabbrica”, in quanto le stazioni di lavoro potranno creare tanti oggetti non solo utili per noi stessi ma anche come merce di scambio: non è raro trovare in mattinata (o in alcuni luoghi di notte) persone intenzionate a scambiare uno o più oggetti con altri. Per tale motivo è importante controllare spesso la radio in quanto ci può dire quali sono gli oggetti più preziosi in fase di scambio in un determinato momento e anche dove poterli andare a trovare durante la notte. Qualsiasi mezzo è lecito per sopravvivere in una situazione del genere… oppure no?
Al calare della notte potremo andare a caccia di preziosissimi oggetti fuori casa. Prima di andar via, è bene “dare un compito” agli eventuali coinquilini che rimarranno a casa, come sorvegliare la casa durante la notte o semplicemente dormire per poi, il giorno dopo, essere produttivi sin da subito (i bambini potranno solamente dormire). È importante, per questi motivi, sfruttare al meglio le capacità delle persone che abitano in casa nostra: potremmo ritrovarci, per esempio, con un ex atleta la cui velocità è superiore a tutti gli altri (e sarà dunque perfetto per i saccheggi), un tuttofare che potrà costruire oggetti con meno materiali necessari, cuochi in grado di cucinare pietanze con meno ingredienti, altri senza delle vere abilità ma con un inventario più grande, etc…

Ovviamente più inquilini in casa significa anche più bocche da sfamare perciò, se qualcuno dovesse bussare alla vostra porta per aggiungersi al vostro “team”, valutate bene le sue qualità, anche se il rifiuto potrà far salire in noi un senso di colpa. Ad ogni modo, il “saccheggiatore” avrà la possibilità di portarsi qualche oggetto da casa, come un piede di porco, una pala o una merce di scambio, anche se ciò significherà sacrificare preziosi slot del nostro inventario personale. Nei luoghi del saccheggio – abitazioni semi-abbandonate, supermercati, scuole, ospedali fatiscenti e molto altro – si concentra il cuore del gameplay (di cui discuteremo in dettaglio dopo), che ci vedrà cercare oggetti nei cumuli delle macerie. Alcune volte capiteremo in luoghi senza occupanti al loro interno, ma il più delle vi troveremo delle persone disposte a tutto pur di proteggere i loro oggetti, oppure troveremo altri saccheggiatori, esattamente come noi. I cumuli non saranno più semplice spazzatura in cui troveremo oggetti poco utili (principalmente materiali per costruzioni) ma saranno le risorse di altre persone che, proprio come noi, stanno sopravvivendo alla guerra con tutte le loro forze. This War of Mine vuole mettere in discussione il codice etico morale del singolo giocatore mettendolo di fronte a come la guerra distrugga ogni residuo di umanità, anche dei civili che rimangono ai margini di essa: dobbiamo rubare? È davvero necessario? E se sì, quanto? E se lasceremo quelle persone senza niente e le abbandoneremo al loro destino? Sopravvivere, in momenti come questi, è realmente una questione di vita o di morte e talvolta può significare soprattutto la vita di uno e la morte di un altro. I personaggi che controlleremo, che ricordiamo sono normalissime persone, verranno influenzati da ogni azione, soprattutto di fronte a decisioni drastiche come queste e perciò “il riempirsi la pancia” non è sempre la giusta cosa da fare: i nostri personaggi cadranno in depressione e ciò si tradurrà in produttività ridotta e morale basso, fattore molto negativo in situazioni come quella che ci viene presentata. Ancora più influenti saranno gli omicidi: in situazioni del genere le persone che saccheggeremo potrebbero essere armate e ucciderle significherà convivere col senso di colpa. Capiteremo anche in luoghi popolati da bande e persone senza scrupoli, ma noi saremo sempre dei normalissimi civili col pad in mano, è dura gestire ciò che si prova togliendo la vita a un’altra persona, anche in un mondo virtuale. Si tratta di un titolo forte ma al contempo edificante, che trasmette quanto la vita sia importante e preziosa e quanto la guerra possa cambiare un essere umano in condizioni estreme, al punto da portarlo a rubare il pane di altri o addirittura arrivare a strappare una vita per la propria sopravvivenza; il vero messaggio di This War of Mine è che in guerra non esistono seconde possibilità per nessuno, il confine fra la vita e la morte diventa incredibilmente sottile e talvolta si dovranno compiere delle scelte così difficili che il nostro codice morale personale verrà messo in discussione accrescendo insoliti sensi di colpa con la quale non abbiamo mai avuto a che fare. La guerra cambia sempre le persone in peggio ma sta a noi resistere e far vivere il nostro spirito.

La più reale guerra in un videogioco

In This War of Mine troveremo principalmente due stili grafici: quello delle fasi di gioco, costituito per lo più in vera grafica 3D, semplice, sterile, quasi monocromatica e che ricorda a tratti dei bozzetti a matita, e foto di persone reali nelle schede dei personaggi. Prima di analizzare la grafica delle fasi di gioco bisogna in realtà apprezzare le fotografie dei personaggi rese con dei corrispettivi nel mondo reale: questa è una scelta di design molto importante perché ognuno di questi non è solo un personaggio fittizio, è una vita, un essere che respira, ha sogni e ambizioni a cui la guerra ha negato tutto in nome della sopravvivenza. I personaggi in questo gioco muoiono “per davvero”, il vuoto che lasciano all’interno della casa è reale, si sente e non verrà mai colmato nel giro di pochi giorni. Anche noi, un po’ come accade certe volte in Undertale, ci sentiremo in lutto per un personaggio che viene ucciso come un cane mentre stava pensando alla sua sopravvivenza, per quella vita strappata dalla legge non scritta del “vivere o morire”. Anche se non c’è un vero abbattimento della quarta parete, questo avviene in qualche modo, le fotografie sono il ponte fra noi – la nostra empatia – e il videogioco.
L’essenziale grafica 3D, che ripropone una Pogoren (città fittizia) distrutta dalla guerra, riesce a restituire quel senso di sporcizia e disordine provocato dai bombardamenti in parte ancora in corso ma soprattutto di perdizione dovuto allo sconvolgimento della normale vita quotidiana della gente comune. In casa, nelle fasi diurne, noteremo soprattutto che l’umore generale dei personaggi influirà sulla grafica: un umore felice, nonché una buona salute e una buona temperatura interna, produrrà una visualizzazione più limpida, al contrario di quando si affronteranno eventi devastanti, in cui la grafica avrà un più evidente effetto bozza a matita, giusto per indicare un cambio dell’umore dei personaggi.
La musica è per lo più un suono struggente che fa da sfondo ai colpi di arma da fuoco che si sentono in lontananza, un lontano eco che descrive perfettamente lo strazio dell’assedio ma che accende, nonostante tutto, una lieve nota di speranza alimentata da ricordi passati di una vita la cui guerra non aveva ancora distrutto la normalità. La scelta di una simile colonna sonora può non piacere a tutti, specialmente a coloro abituati ad ascoltare musica con ritmi calzanti o vere melodie portanti, ma gli amanti di band come i Godspeed You! Black Emperor o gli Ulver di Shadows of the Sun potranno apprezzare i toni decadenti e il minimalismo che bene si adattano ai temi qui proposti. Le chitarre spente e i pad eterei descrivono perfettamente quei giorni bui in cui non si sa se il giorno dopo si è ancora vivi; decisamente un ottima scelta e una colonna sonora degna di un secondo ascolto in sede differente dalla postazione di gioco.

Dalla parte del giocatore

Come abbiamo più volte accennato in questo articolo, lo scopo di ogni scenario è principalmente sopravvivere all’assedio (composto principalmente da tre fasi, non sempre con durate regolari: preparazione alla guerra, fase di attacco/aumento della criminalità e cessate il fuoco), dunque rimanendo vivi a ogni costo, sia fisicamente che spiritualmente. Cominciamo col dire che, un po’ come nella vita reale, non sono presenti veri tutorial che introducano al gioco, e tutto ciò che avremo, all’inizio di uno scenario, è una overview completa dei comandi di gioco e qualche finestrella informativa che si apre di tanto in tanto; una scelta sensata, visto che molti giochi moderni includono dei tutorial fin troppo esplicativi e qui calza anche con il fatto che “in situazioni del genere non esistono tutorial”, ma nemmeno la migliore in quanto, non avendo vere seconde possibilità, non saremo spesso preparati alle difficoltà che incontreremo nelle fasi di saccheggio, ben diverse dalle situazioni in casa dalla quale iniziamo. Ci viene spiegato l’essenziale, ma ciò non basta per godersi il gioco al 100%: spesso e volentieri, visto che rimediare a un nostro errore sarà molto difficile, l’unica cosa da fare sarà far morire tutti i nostri personaggi solo per riavviare lo scenario scelto senza sbagliare una seconda volta.
La nostra schermata di gioco in This War of Mine comprenderà un ambiente con delle icone sparse per eseguire delle determinate azioni. Nella versione PC il giocatore può sfruttare il mouse per cliccare direttamente alle icone senza doversi spostare direttamente sul punto dove sta l’icona; in questa versione per Nintendo Switch le icone nelle immediate vicinanze possono essere selezionate con la croce direzionale ma non tutte possono essere raggiunte con questo sistema, e perciò ci toccherà dunque spostarci verso le icone e attivare l’azione. Nonostante la levetta destra permetta di vedere cosa c’è nelle immediate vicinanze, non sarà possibile selezionare quelle icone per un immediato avvio di quella determinata azione. Di giorno è importantissimo sfruttare al meglio le ore a disposizione prima del saccheggio notturno e perciò un simile sistema di controllo non fa che nuocere alla dinamicità delle azioni da compiere durante il giorno; non è stato neppure implementato un controllo tramite touchsceen, come invece avviene per le versioni iOS e Android, per simulare in parte il mouse in modalità portatile, e ciò non è che un ostacolo per la fruizione del gioco che rimane bloccato ai soli controlli base. Essere veloci al mattino è fondamentale, soprattutto quando la casa è abitata da un bambino a cui, tramite un adulto, si possono insegnare cose come cucinare, accendere la stufa, prendere farmaci in caso di emergenza, cambiare il filtro per l’acqua piovana, sistemare le trappole per gli animaletti e molto altro: entrambi si devono posizionare sulla medesima icona e per farlo dobbiamo prima portare un personaggio all’icona e poi l’altro, sprecando tempo prezioso (vi consigliamo, in questi casi, di portare prima l’adulto in quanto i bambini, soprattutto se di buon umore, tenderanno a non stare fermi sullo stesso punto). Se la casa è popolata da più persone è bene impostare più compiti contemporaneamente a più personaggi ma con questi controlli, chiamiamoli diretti, verrà sprecato troppo tempo solo per portare i personaggi verso le icone. Purtroppo il problema con i controlli non finisce alla sola selezione delle icone ma anche al movimento dei personaggi in quanto ci sono problemi fastidiosi per ciò che riguarda le animazioni legate al fare le scale, sia in salita che in discesa: istintivamente, quando il personaggio controllato finirà di salire o scendere e girerà sul piolo finiremo col muovere la levetta in direzione dei suoi movimenti ma l’animazione legata al salire le scale non è ancora finita e perciò finiremo col riscendere, o risalire, le scale rimanendo “incastrati nell’animazione”. Bisognerà imparare a far concludere l’animazione automaticamente o altrimenti rimarremo in questo limbo proprio quando non potremo permettercelo (ovvero durante le fasi di saccheggio); purtroppo non pensiamo sarà un difetto risolvibile con una semplice patch perché altrimenti ci sarebbe da cambiare l’intero di controllo.

Altro problema legato alle animazioni è quello della mancanza di elemento stealth, componente assente e che avrebbe arricchito il gameplay di questo gioco ancora di più. Sarà forse per la sua natura da gestionale per PC, ma a nulla servirà il piegare di poco la levetta direzionale: i personaggi si sposteranno sempre alla velocità massima e, per quanto nei luoghi esistano dei punti in cui nascondersi, sarà impossibile non far rumore e suscitare i sospetti degli occupanti dei luoghi che saccheggeremo. This War of Mine chiede inoltre una certa reattività nelle fasi di combattimento (come del resto un qualsiasi gioco che implichi armi da fuoco o oggetti contundenti) ma qui i controlli per queste azioni risultano legnosi e poco reattivi: fuggire dalle lotte, anche per un discorso legato all’integrità dei personaggi, sarà spesso la cosa giusta da fare ma il più delle volte il vero motivo per cui si evita di entrare in conflitto con altre persone è perché non si vuole avere nulla a che fare con quei controlli poco reattivi e che potrebbero farci perdere un conflitto, cosa che non possiamo permetterci assolutamente visto che non abbiamo mai seconde chance. La verità di tutti questi piccoli difetti è che, con buona probabilità, il tutto non si traduce bene in un setup da console e tutto ciò che rende immediato il gameplay su PC qui invece e risulta lento e legnoso.
Ad ogni modo, far fronte ai problemi di This War of Mine non è impossibile e può risultare comunque un buon acquisto anche per Nintendo Switch; il suo punto di forza è senza dubbio la sua ottima longevità dovuta non solo ai tanti scenari inclusi, da completare raggiungendo il cessate il fuoco, ma anche all’inclusione di tutti i DLC rilasciati precedentemente. Nella modalità This War of Mine Stories, selezionabile nella prima schermata, ci verranno proposti nuovi scenari, con degli esclusivi obiettivi da raggiungere tramite condizioni diverse, e l’editor delle storie in cui possiamo creare degli scenari da zero scegliendo quali personaggi ne prenderanno parte, la durata del conflitto, la durata e la durezza dell’inverno, quali luoghi saranno disponibili per i saccheggi e molto altro. This War of Mine non è certamente un gioco che manca in longevità, anche se il suo godimento su Nintendo Switch non è la modalità ottimale per scoprire questo titolo, nonostante la completezza della versione.

War is not fiction

This War of Mine è un gioco di rara profondità, è spaventosamente reale e intenso per essere un frutto dell’immaginazione umana, e ogni aspetto della guerra – o dovremmo forse dire “assedio” – è stato riprodotto con cura quasi maniacale. Una recensione non basta per descrivere i tantissimi aspetti che compongono i diversi aspetti del gameplay, dai saccheggi agli umori dei personaggi, dal mantenere la casa a una temperatura ottimale al difenderla dai ladri e molto altro. Oseremmo dire che questo è un gioco che, nonostante il PEGI 18, potrebbe essere preso in considerazione addirittura come parte integrante nei programmi di storia nei licei, in quanto ci fornisce una dura lezione di come sia in realtà una guerra, cosa si vive, cosa significhi avere una sola scatoletta di tonno e due bocche da sfamare ma soprattutto come essa trasforma persino le persone che non la combattono. Il concept dietro a questo titolo 11 Bit Studios è veramente sensazionale e ciò è stato anche dimostrato dal fatto che i costi di sviluppo sono stati recuperati in soli due giorni. Sfortunatamente è evidente come questo comunque splendido This War of Mine: Complete Edition sia un porting da PC non riuscitissimo, con tanti piccoli problemi che nel complesso non permettono una fruizione realmente ottimale. Il prezzo di lancio di 40€ sul Nintendo E-Shop potrebbe risultare un po’ eccessivo solo per questi aspetti, anche se bisogna ammettere che l’inclusione dei DLC può in qualche modo giustificarlo; se non volete aspettare qualche periodo di saldi sullo store Nintendo potrete comunque investire questi soldi nell’esclusiva versione fisica europea. Ricordiamo che oltre alle versioni PC, Xbox One e PlayStation 4 esiste anche un gioco da tavolo di This War of Mine, un altro particolarissimo modo per vivere questa sensazionale esperienza.
Un grande titolo, anche se il suo potenziale non è espresso benissimo.




VR in the Box: la realtà virtuale di Nintendo

Seppur lenta, l’ascesa della realtà virtuale non pare arrestarsi, e anche Nintendo si butta nella mischia con il Toy-con 04 VR Kit, nuovo prodotto della linea Nintendo Labo.
Sulla falsariga dei precedenti kit, un’oretta piena verrà dedicata all’assemblaggio degli stravagantissimi controller “Do It Yourself”, poi basterà inserire la cartuccia e godersi la realtà virtuale in salsa Nintendo.

La grande N sfrutta qui la versatilità di Labo per fornire esperienze che i competitor rendono possibili solo acquistando periferiche esterne: se per avere un fucile in mano giocando con il PSVR è necessario l’acquisto di un AIM controller, qui è possibile costruire da sé un’arma con cui sparare, senza dover ricorrere ai controller classici. La risoluzione di Switch in dock può essere un ostacolo a chi ha già provato altri visori di sicuro più avanzati, ma questo non sembra spaventare la casa di Kyoto, che punta sulla creatività offrendo toy-con di ogni sorta come quello del cigno, le cui ali genereranno addirittura un po’ di vento (regalando agli utenti un ulteriore layer di realismo), quello dell’elefante, che sarà il tool per creare dei disegni in 3D, quello della fotocamera e quello della girandola.

La grande N ha aspettato tanto prima di gettarsi nella mischia del VR, e questo era di certo dettato da ragioni di studio di una tecnologia ancora delicata: il prezzo di lancio di 70€ è di certo il più competitivo a fronte di una VR ancora costosa sul mercato, anche se, come già criticato per i precedenti kit Labo in passato, al momento si tratta di investire di fatto su una sorta di super-demo di 60€ con dei controller DIY venduti per 10€.

Nintendo pare voler mandare un messaggio chiaro: un software, un kit DIY. L’unicità di questa esperienza, legata soprattutto al tenere con mano oggetti simili a quelli utilizzati nei giochi, spinge a credere che Nintendo difficilmente lancerà nei negozi un visore VR dai prezzi simili al Google Cardboard, senza software o controller DIY da accostarvi, non almeno in tempi brevi. Per quanto interessante sia il modellare un controller di cartone attorno al Joycon questo potrebbe costarci una fortuna ogni volta che un titolo debba accostare un’esperienza VR, senza considerare poi lo spazio da dedicare in casa per i controller già costruiti, specialmente se abbiamo collezionato anche i kit precedenti! In questi giorni sono stati rilasciati gli aggiornamenti per The Legend of Zelda: Breath of the Wild e Super Mario Odyssey e in molti non sono rimasti soddisfatti per il fatto che le esperienze VR non aggiungono quasi nulla all’esperienza di base. Tuttavia la scelta di inserire queste nuove opzioni per due capisaldi dello Switch è secondo noi una scelta dettata dalla fretta di rendere il parco titoli per il VR immediatamente vario ma non necessariamente divertente o funzionale: nessuno dei due titoli è stato progettato con un esperienza VR in mente e perciò era comunque difficile aspettarsi un miracolo. Almeno i possessori avranno adesso tre titoli da sperimentare col visore ma per un esperienza VR pensata a 360° bisognerà aspettare ancora un po’. Sappiamo inoltre che lo sviluppo di Metroid Prime 4 è partito da capo: che includerà, visto che il mondo viene letteralmente visualizzato tramite il casco di Samus Aran, un esperienza VR incredibile?

Una domanda sorge comunque spontanea: le compagnie 3rd party potranno offrire in futuro alternative al Kit VR con dei controller più versatili per ogni titolo e senza includere software extra? Se così fosse vedremo molti più visori 3rd Party sugli scaffali, possibilmente costruiti con materiali migliori del cartone, e che potrebbero eclissare l’invenzione originaria Nintendo. Il lancio di questo Kit VR ha senza dubbio ottime premesse, ma adesso Nintendo, se non vorrà che altre compagnie ci pensino al posto suo, dovrà puntare a tutta quella fascia di pubblico che non ha intenzione di possedere il Toy-con Kit 04 di Nintendo Labo, né possedere miriadi di controller di cartone sparsi per casa, e potrebbe farlo con la semplice mossa di offrire un visore VR della qualità e del prezzo del Google Cardboard, con tutto quel che comporta (prima fra tutti l’assenza di ulteriori controller o software, o l’inclusione di accessori più versatili): una strategia semplice, che potrebbe portare ottimi frutti.




Guacamelee 2

Al tempo della sua uscita, Guacamelee è stato acclamato come uno dei migliori metroidvania degli ultimi decenni. Le più grandi innovazione proposte da questo titolo, uscito ormai 6 anni fa, risiedevano senza dubbio nel sistema di combo e di prese, nel continuo passaggio fra due mondi e nella possibilità di giocare l’avventura in co-op locale fino a quattro giocatori, tutte caratteristiche mai implementate insieme in un genere definito come l’action-platformer e che finirono per dare un’insolita sfumatura arcade a un gameplay tipicamente casalingo. Guacamelee rimase ragionavolmente impresso nella memoria di milioni di giocatori nel mondo grazie al suo esilarante humor intriso di riferimenti ad altri videogiochi classici, meme e allo splendido art-style che rende la già particolarissima cultura messicana, nonché il vero e proprio culto dedicato alla lucha libre e ai luchador, ancora più frizzante e colorata – insomma, diciamo che dopo averlo completato viene voglia di visitare il Messico! Oggi Guacamelee 2, disponibile per PC, PlayStation 4, Xbox One e Nintendo Switch (la versione che prenderemo in considerazione), ci fa rivivere le stesse sensazioni e la stessa gioia che il primo titolo portò quasi cinque anni fa e si pone come un incredibile sequel di uno dei metroidvania più avvincenti degli ultimi anni. Vediamo insieme cosa Juan, Tostada e compagni hanno in serbo per noi in questo nuovo titolo DrinkBox Studios.

Nelle puntate precedenti

Esattamente come in Castlevania: Symphony of the Night, la primissima schermata di gioco è una rievocazione dell’ultima battaglia avvenuta in Guacamelee, con tanto di «what is a luchador? A miserable little pile of secrets», giusto per rendere il rimando al fantastico metroidvania Konami ancora più chiaro. Juan sconfigge il temibile Calaca, libera Lupita, la figlia del sindaco, e la maschera del coraggioso lucador si sgretola permettendo così ai due di vivere una vita tranquilla nei tranquillissimi campi di agave accanto alla tranquilla cittadina di Pueblucho… forse fin troppo tranquilla! Juan subisce i terribili effetti della vita da sposato, non è più in forma e possente come un luchador ma vive una vita felice insieme la sua bella moglie e i suoi adorabili figli. Quella che sembrava essere una normale giornata, in cui Lupita aveva chiesto a Juan di andare al mercato a comprare qualche avocado per fare una buona salsa guacamole, si è rivelata invece l’inizio di un disastro senza precedenti; Uay Chivo, l’iconico sciamano dello scorso titolo in grado di trasformarsi in una capra, spiega a Juan che in un’altra timeline, in cui Juan e Lupita venivano uccisi da Calaca, un luchador corrotto di nome Salvador, responsabile invece della fine di Calaca, si era messo alla ricerca della guacamole sacra per diventare l’essere più potente del mondo, ignaro del fatto che ciò avrebbe distrutto l’intero mexiverso. La guacamole sacra fu creata con meticolosa cura da Tiempochtli, dio del tempo, e siccome tutti la desideravano decise di nascondere la sua magica salsa nel Otromundo, accessibile solamente collezionando le tre reliquie sacre a forma di nachos, solitamente disposti a piramide (dunque triangoli… Tre triangoli… Due alla base e uno in alto… Dove li abbiamo già visti?). Dopo essere finiti in due timeline sbagliate, una sorta di purgatorio e una timeline “Nes-osa”, arriviamo alla timeline più oscura (si chiama proprio così!) dove ci riuniremo con la maschera e Tostada, la luchador che rappresenta lo spirito di quest’ultima, e ciò ci farà trasformare — esattamente come Sailor Moon con lo scettro magico — nel possente luchador di sei anni fa; da qui comincerà l’avventura vera e propria e sarà anche possibile far partecipare un secondo giocatore che prenderà il comando di Tostada (fino a un totale di quattro che potranno usare, all’inizio, Uay Chivos e X’tabay). Ci si renderà subito conto, anche nelle sezioni prologo, di come i comandi siano incredibilmente reattivi e, senza mezzi termini, perfetti per il sistema di combattimento e combo che Guacamelee 2 pone; per questo motivo, per quanto sia possibile giocare questo titolo in due giocatori con un set di Joy Con, raccomandiamo di giocare in multiplayer con un set per giocatore, in quanto la mappatura dei tasti in questa modalità rappresenta la migliore scelta di gioco (al giocatore servono immediatamente alla pressione 7 degli 8 tasti del controller, in modalità Joy Con singolo uno di questi sarà “L”, dunque alla sinistra o alla destra del vostro controller, dipende da quale avete. a disposizione Una vera tortura!). Se volete giocare con questo gioco in multiplayer allora vi converrà giocarci con un amico che come voi possiede Switch, altrimenti dovrete abituarvi a questa astrusa mappatura.

(La frenetica prima parte di Guacamelee 2!)

Well! Agilità fra i non agili qui!

Prenderemo presto dimestichezza coi controlli e presto cominceremo, come tipico di questi generi, a collezionare gradualmente le abilità che permetteranno a Juan di superare ostacoli e rompere barriere per accedere a zone precedentemente inaccessibili. Il fattore backtracking, fondamentale per il genere metroidvania, è tarato alla perfezione e ciò potrà permettere al giocatore di accedere ad aree segrete o semplicemente liberare un passaggio alla volta di creare una scorciatoia. Troveremo spesso, come succedeva nel precedente titolo, delle aree che metteranno alla prova, man mano, tutte le abilità che andremo acquisendo con dei percorsi a ostacoli veramente folli e alla fine verremo ricompensati con un baule contenente soldi, porta cuori, costumi alternativi o “porta abilità”, quest’ultimi necessari per eseguire le mosse speciali eseguibili col tasto “A”: ci toccherà fare montanti in aria (dai, a chi vogliamo prendere in giro? Sono degli Shoryuken!), fare doppi salti, wall-jump, sfruttare delle “catapulte volanti” (dopo vi spiegheremo) e soprattutto cambiare la polarità dell’ambiente, altra meccanica fondamentale di questo gioco. Esattamente come in Guacamelee, Juan ha il potere di spostarsi dal mondo dei vivi al mondo dei morti e viceversa (prima trovando degli appositi portali e poi, trovata la specifica abilità, comodamente premendo il tasto “L” o “ZL”) ed entrambi i mondi presentano spesso delle caratteristiche ambientali diverse (come ad esempio la presenza/assenza di un muro o nemici, nel mondo dei morti un geyser di lava diventa un pilastro nel mondo dei vivi, e così via). Guacamelee 2, così come il suo predecessore, chiede al giocatore di padroneggiare al meglio questa abilità senza la quale non si potranno superare gli ostacoli più astrusi del gioco; spesso e volentieri si finisce bloccati nello stesso punto, soprattutto il quelle aree extra in cui la ricompensa è un baule, ma questo titolo, in fondo, non fa che incarnare lo spirito dei titoli classici degli anni ‘80, ‘90 e un po’ anche 2000 in cui il trial & error era spesso la meccanica che permetteva a un gioco, spesso senza sistema di salvataggio, di essere più longevo possibile. A ogni modo, con la giusta pazienza, superare una di queste aree è solamente una questione di pratica, e ogni giocatore riuscirà, con più o meno tentativi, sempre a ottenere l’ambito premio di queste stanze.
Juan troverà le abilità di cui ha bisogno nelle varie aree del gioco (rigorosamente all’interno delle statue ChoozoVi dice niente?) ma potrà renderle ancora più efficienti grazie all’implementazione del nuovo albero delle abilità in uno dei menù di pausa: qui, con i soldi collezionati, potrete rendere ancora più potenti i vostri colpi singoli, abilità varie di schivate e combo, prese di wrestling, mosse speciali e mosse pollo (sì, per offrire un qualcosa di simile alla morfosfera di Samus, Juan e Tostada potranno trasformarsi in polli!). Parlando di abilità, Guacamelee 2 introduce le nuove catapulte volanti, simili a quelle presenti in Castlevania: Order of Ecclesia: queste sono come dei ganci sospesi in aria dalla quale Juan e Tostada potranno aggrapparsi e catapultarsi verso la direzione opposta premendo “X” (un po’ come fa Spider-Man con le ragnatele). Tuttavia l’implementazione non può considerarsi riuscita al 100%, e i veterani che hanno giocato all’appena citato capitolo di Castlevania se ne renderanno conto facilmente: Shanoa attivava una sorta di aura che le permetteva di gravitare verso “il gancio” per poi stabilire meglio la direzione caricandosi verso la direzione opposta desiderata con la croce direzionale. In Guacamelee 2 invece sarà tutto più immediato: la direzione verrà stabilità dall’angolo del salto con la quale ci lanciamo verso questi ganci e una volta premuto “X” non sarà più possibile correggere l’angolo. Tante volte l’angolo risulterà corretto come quante volte, per via della fretta, sbaglieremo il lancio, costringendoci a riprovare il salto da capo. Fortunatamente in Guacamelee 2 non ci sono vite e i checkpoint sono abbastanza vicini fra loro, perciò nonostante le difficoltà che questi ganci possono dare si può riprovare infinite volte una stessa sezione. Tuttavia, la cosa più importante da padroneggiare in Guacamelee 2 è senza dubbio il sistema di combo; imparare a combattere per ottenere la combo più alta, il che significa assestare tanti colpi e schivare gli attacchi come un ninja. Schivando gli attacchi si conserva la combo e più è alta più saranno i soldi che otterremo alla fine del combattimento; ma come gonfiamo una combo? Da qui si capisce quanto complesso, intricato ma soprattutto divertente sia il sistema di combo in Guacamelee 2: i colpi a nostra disposizione saranno una hit combo semplice con “Y”, le 5 mosse speciali con il tasto “A” e i lanci/prese con “X” (quest’ultime da sbloccare dall’albero delle abilità). Frequentando la scuola di Faccia di fuoco (che scopriremo qui essere il cugino di Grillby, il barista dell’omonima locanda in Undertale!) impareremo man mano degli esempi di combo ma nel campo di battaglia daremo sfogo alla nostra creatività concatenando questi attacchi principali come vorremo; cosa c’è di meglio di partire con un bel uppercut semplice, poi una combo di jab con “Y” in aria, super montante con “A+ su, altra combo di Jab, poi un pugno a siluro, altra combo e per finire un bel piledriver o una frog splash se il nemico è un gigante? Una di quelle situazioni in cui Dan Peterson, iconico cronista della WWF/E negli anni ‘80 e 2000, non potrebbe fare a meno di gridare: «mamma, butta la pasta!». Nuovi campi di battaglia significano nuove possibilità di combo e perciò, sotto questo aspetto, ogni sezione di combattimento necessità di nuove strategie e nuovi metodi per far fuori più nemici velocemente conservando nel processo la combo; Guacamelee 2 in questo offre un sistema di lotta mai stancante e divertente come pochi altri giochi del suo genere.

Lo llamaban Juan

Per coloro che non lo sapessero, il wrestling in Messico, rigorosamente chiamato lucha libre, si discosta totalmente dal suo omologo americano o giapponese (per il quale si trova un ottimo rappresentante videoludico in Fire Pro Wrestling World), sia per lo stile di lotta nei match, sia per l’importanza che questi eventi hanno a livello sociale. I luchador in Messico sono dei veri e propri eroi in carne e ossa, e un’avventura come Guacamelee 2 non fa che rappresentare quello che è l’immaginario collettivo messicano quando si parla di questi eroi fuori dal comune, trasfigurato con stravaganze e leggerezze qui e là. Pensate che tempo addietro, negli anni ‘40, ci fu un wrestler chiamato El Santo che venne venerato esattamente come un dio: di lui, oltre ai suoi spettacolari match nel quadrato, venivano venduti fumetti e film in cui lui interpretava se stesso e agiva esattamente come un eroe, soltanto che lui a differenza dei vari Batman e Spider-Man esisteva veramente! A testimonianza del suo status d’eroe El Santo si toglieva la maschera per pochissime occasioni (nessuna delle quali in pubblico) e, alla sua morte, fu sepolto con la sua preziosissima maschera. L’atmosfera e l’epicità della storia prova, anche spiritosamente, a rievocare le leggendarie imprese di questi personaggi mascherati, un misto fra storia e leggenda che viene tramandato con vivacità. Guacamelee 2 ci presenta un Messico policromo, con una moltitudine di colori inebriante, un luogo frizzante e pieno di vita grazie a un 2D splendido animato ad hoc, esattamente come nel primo capitolo. Ci sono in più giusto un paio di elementi in 3D nei background che reagiscono perfettamente alla luce e donano un filo di profondità in più rispetto al primo episodio. In poche parole, la grafica risulta sempre chiara al giocatore e anche la mappa in game, abbastanza diversa dalla disposizione a blocchi di molti altri metroidvania, risulta sempre chiara e mai astrusa; talvolta permette pure di capire dove sono le aree segrete!
Altro plauso va fatto ovviamente alla colonna sonora: come il primo capitolo, anche Guacamelee 2 non presenta alcuna linea di dialogo doppiata (giusto qualche lamento, sforzi, etc…) ma in compenso abbiamo dei bellissimi brani che ci accompagneranno in questa coloratissima avventura. Torna qualche tema familiare, come quello della città di Pueblucho (in chiave minore), ma ovviamente abbiamo tante belle musiche nuove. Le melodie attingono dalle più iconiche tradizioni musicali folkloristiche messicane, soprattutto quelle dei mariachi fatte di trombe squillanti e chitarre scanzonate che definiscono il ritmo, ma attingono molto da generi moderni come la musica elettronica e, essendo un gioco abbastanza “old school”, anche e soprattutto dalla chiptune. In realtà nulla che sia davvero degno di nota, ma neppure una colonna sonora da scartare.

Uno, due, tre, Vittoria!

Guacamelee 2, così come una bella terra come il Messico, è un gioco in grado di trasmetterti il più puro buon umore e l’allegria grazie alla sua coloratissima grafica, alla sua storia un po’ strampalata e ovviamente alle migliaia di citazioni ad altri giochi, cartoni animati, meme, cultura internettiana, film e quant’altro in giro per le città delle sue lande piene di vita. Il divertimento inoltre non si ferma solo con l’avventura principale: è possibile integrare con il contenuto aggiuntivo acquistabile Terreni di Prova, dove sarà possibile competere in nuove modalità e affrontare nuove sfide. Abbiamo certamente un sequel all’altezza delle aspettative, anche se, dispiace dirlo, un po’ inferiore al primo titolo; elementi come le nuove catapulte volanti non sono il massimo, come del resto alcune sfide poste nelle stanze extra, le quali, laddove si deve prendere un baule, risultano spesso un continuo trial and error dettato in parte dal caso. Si perde molto tempo nelle sezioni extra e meno nelle sezioni principali e ciò, per quanto possa incentivare la longevità, talvolta risulta un prolungamento affatto necessario.
Tuttavia, il gameplay di base, non è per nulla cambiato e Guacamelee 2, così come il suo predecessore, è un validissimo titolo in grado di regalare ore e ore di divertimento da soli o in compagnia (diremmo anche doppio, visto che, una volta completato verrà sbloccata la modalità difficile). Non ci si può aspettare di meglio da un titolo indie di prima categoria e il suo prezzo di lancio di 19,99€ è più che giustificato.

Botte, nachos e azione caliente… una volta terminato non potrete fare a meno di gridare: «Ay, caramba!». Non potevamo aspettarci di meglio da DrinkBox Studios.




Hi, my name is… Hideki Kamiya

Dopo una breve pausa, riprende la nostra consueta rubrica sulle più importanti personalità del mondo del Game Design. In occasione dell’uscita del quinto capitolo della saga action più apprezzata degli ultimi anni, Devil May Cry 5, ci occupiamo della mente che ha dato i natali alle avventure di Dante: Hideki Kamiya. Classe 1970, Kamiya ha avuto l’arduo onere di provocare un violento scossone all’interno del genere d’azione in terza persona, da anni ormai stagnante nelle sue vecchie meccaniche logore e non al passo con i tempi. Facciamo però qualche passo indietro.
Kamiya inizia la sua gavetta in casa SEGA e successivamente passa alla Namco ma, nonostante una buona partenza nel settore, il nostro Hideki non si sente pienamente realizzato, costretto dalle case produttrici a lavorare come semplice artista senza alcuno spazio nelle scelte di game design. Decide così di migrare verso altri lidi di sviluppo, riuscendo a ricoprire il ruolo di designer in Capcom nel 1994. Il suo primo incarico con la casa di Osaka comporta una notevole dose di responsabilità sulle spalle di Kamiya, il quale si ritrova a dover portare avanti una saga che si preannunciava iconica già fin dal primo titolo: il designer viene affiancato al maestro Shinji Mikami nella lavorazione di Resident Evil 2, sequel dell’apprezzatissimo capostipite, ricoprendo il delicato ruolo di director.
Il nuovo capitolo della saga horror di Capcom doveva rivoluzionare le meccaniche alla base del precedente capitolo ed espandere l’universo di gioco, pur rimanendo fedele a se stesso. Mikami in prima persona era stato messo al comando dello sviluppo ma i vertici di Osaka non rimasero soddisfatti del lavoro compiuto, motivo per cui il team venne affidato al giovane Kamiya alla sua prima esperienza come direttore. Il prototipo di Mikami, lo storico Resident Evil 1.5, viene messo da parte dal nuovo team di sviluppo e il progetto prende una piega completamente diversa. Viene rivisto il gameplay, rendendolo più dinamico rispetto al primo episodio, viene stravolto l’impianto scenografico conferendogli un respiro hollywoodiano e ampliato enormemente il numero di nemici su schermo superando il limite di 7 zombie per schermata, aspetto che mette a dura prova le capacità tecniche della prima PlayStation. Vengono introdotti nuovi personaggi per dare continuità ai fatti raccontati nel primo capitolo, grazie all’apporto in sceneggiatura di Noboru Sugimura e per la prima volta fanno la comparsa i temibili Licker , divenuti presto le icone di Resident Evil 2.
Il gioco è apprezzato dai capoccia di Capcom e anche in termini di vendite e critica viene accolto positivamente, stabilendo numeri che permisero al lavoro di Kamiya di entrare a far parte della lista dei best seller Playstation. Uscito nel 1998, Resident Evil 2 è stato il primo grande passo per il designer che ha saputo dimostrare all’intero mercato il suo valore e la grande capacità di unire novità e tradizione, incontrando anche i favori di un pubblico che si faceva sempre più esigente e diversificato.

La carriera del giovane Kamiya è soltanto agli albori e l’esperienza al fianco di Mikami non è del tutto archiviata. Agli inizi degli anni 2000 gli viene affidato il compito di lavorare al quarto capitolo della saga di RE con l’obiettivo primario di dare una svolta totale alle meccaniche di gioco; ripartire da zero nel tentativo di allargare sempre di più l’utenza senza rinunciare all’altissimo livello qualitativo richiesto dal publisher. Un compito per niente facile a cui il nostro Hideki non si sottrae.
Aiutato un’altra volta da Sugimura alla scrittura, il progetto prende una piega totalmente diversa rispetto alle idee iniziali. Lo scenario di gioco viene stravolto a favore di una ambientazione più gotica e medioevale; le meccaniche da survival horror abbandonate per fare spazio a un approccio più votato all’azione e al dinamismo, gli sfondi prerenderizzati che caratterizzavano i capitoli precedenti vengono del tutto sostituiti da ambientazioni completamente in 3D, e di conseguenza anche la telecamera fissa lascia il posto a una camera più attiva e veloce. Del classico Resident Evil insomma rimane veramente poco ed è Mikami a suggerire di dare la luce a una nuova IP, sfruttando le grandi potenzialità del nuovo progetto e mettendo la sua creatura al sicuro da possibili contaminazioni che avrebbero portato la serie verso altri lidi.

Il team capitanato da Kamiya viene soprannominato Team Little Devils ed è proprio da qui che il director prende spunto per battezzare il suo ultimo lavoro: Devil May Cry. Uscito esclusivamente su PS2, il gioco diventa subito una devastante killer application per la casalinga di Sony e con il tempo raggiunge lo status di vero e proprio cult riuscendo a stupire per l’incredibile audacia di Kamiya nel saper unire alla perfezione meccaniche hack’n’slash con l’azione in terza persona. Adrenalinico, divertente e con un forte carisma, la prima avventura di Dante ha dato il via a una saga che oggi conta 5 episodi e un reboot distribuiti su tre generazioni di console. Tra alti e bassi, Devil May Cry è diventato velocemente un titolo di punta per la casa di Osaka, anche se il suo padre ideatore ne ha curato solamente il primo episodio per poi focalizzarsi su altri progetti.

Dopo il grande successo ottenuto con DMC, Capcom ripone piena fiducia nelle capacità del giovane designer tanto da concedergli carta bianca per i futuri progetti, ma non abbastanza da affidargli esosi budget. Così Kamiya mette in cantiere un prodotto atipico, unendo la sua passione per i vecchi giochi a scorrimento orizzontale con quella per i supereroi. Nasce un gioco talmente bizzarro da riuscire a trovare soltanto una piccola fetta di pubblico entusiasta, ma viene totalmente ignorato dalle grandi masse. Previsto inizialmente come esclusiva per Nintendo Game Cube e un anno dopo approdato anche sui lidi PlayStation, nel 2003 la Capcom distribuisce Viewtiful Joe. Seguendo le vicende di Joe e della sua compagna Go-Go Silvia, Kamiya imbastisce un beat’em up a scorrimento orizzontale che fa della sua cifra stilistica il maggior punto di forza. Tra citazionismi da otaku e scelte di gameplay atipiche, basate su una sorta di slowmotion controllato dal giocatore, il gioco racchiude in sé un potenziale che verrà fuori pienamente soltanto con il secondo capitolo. Purtroppo la saga non avrà lunga vita e dopo due capitoli principali, uno spin off sulla falsa riga del picchiaduro Super Smash Bros. e qualche exploit su portatile, Viewtiful Joe e soci sono stati presto dimenticati dal pubblico e da Capcom stessa, che riserverà al supereroe in calzamaglia rossa soltanto sporadiche apparizioni in altri titoli, come a dire “sì, ci piaci ma non così tanto da concederti un’ulteriore possibilità”.

Intanto, nei corridoi di Capcom, alcuni sviluppatori cominciano a sentire una certa insofferenza verso la casa produttrice, riguardo le sue scelte aziendali. Molti dei progetti in cantiere in quel periodo sono indirizzati con l’obiettivo di rischiare il meno possibile in termini di risorse ed investimenti. La dirigenza preferisce spendere budget in sequel di saghe che hanno dimostrato un ricavo sicuro e le creazione di nuovi brand non viene neanche preso in considerazione. Autori come lo stesso Mikami, Keiji Inafune, Atsushi Inaba e Masafumi Takada cercano di svincolarsi dal controllo dei vertici attraverso la creazione di team di sviluppo interni che rivendicano la loro indipendenza concettuale. Nasce così il leggendario Clover Studio, una piccola bottega delle meraviglie dove presero vita, oltre a Viewtiful Joe lo sfortunato God Hand e un secondo gioco di Kamiya: Okami.
È il 2006 quando il gioco viene pubblicato e fino ad oggi risulta essere il titolo tecnicamente più ispirato di tutta la produzione del designer giapponese. Okami è un vero e proprio tributo d’amore alle saghe preferite di Hideki, prima fra tutti un immancabile The Legend of Zelda, se non altro per le meccaniche di gameplay che strizzano continuamente l’occhio al capolavoro Nintendo; Kamiya non si limita a una vuota riproposizione degli stilemi classici della serie, ma aggiunge tasselli nuovi e originali, come la capacità del giocatore di pennellare letteralmente gli oggetti su schermo e di attaccare i nemici tramite questo magico strumento. E se un solidissimo adventure non dovesse bastare, i ragazzi Clover regalano ai giocatori uno spettacolo per gli occhi prendendo a piene mani dall’arte tradizionale del Sumi-e, ovvero la pittura a inchiostro e acqua. Uscito come esclusiva PS2, Okami non ha mai realmente brillato sul piano delle vendite, ma è stato così apprezzato nel lungo periodo che sono stati numerosi i porting operati da Capcom nel corso degli anni, portandolo su Wii e su tutte le console di attuale generazione attraverso i corrispettivi store digitali, dando la possibilità agli utenti di poter giocare a questa piccola gemma senza tempo.

Dopo la parentesi Okami, Clover Studio viene chiuso definitivamente da Capcom e gran parte del team si riunisce sotto un nuovo nome: lo stesso anno infatti viene fondata PlatinumGames, oggi famosa nell’intero globo per aver dato i natali ai migliori action degli utlimi anni. Grazie alla nuova indipendenza conquistata, i membri di Platinum iniziano a sviluppare giochi multi piattaforma sotto diversi publisher, mantenendo un buon margine di libertà creativa. Nel 2009 è sega la casa a finanziare i primi giochi del nuovo team a partire dal divertente Mad World uscito in esclusiva su Wii, passando per lo strabiliante Vanquish su PS3 e X-box 360.
Ed è sotto la nuova software house che Kamiya concepisce, a giudizio di chi scrive, il suo capolavoro: pubblicato per le console casalinghe di Sony e Microsoft, Bayonetta sarà la summa totale di ciò che il designer ha sempre cercato di raggiungere, l’action game definitivo. Il gioco è l’esatta evoluzione di quanto fatto con Dante su PS2: con un colpo di spugna Kamiya setta un nuovo standard per tutta la concorrenza e crea un manuale perfetto per le software house che da quel momento in poi vogliano cimentarsi nello sviluppo di un gioco d’azione. Con un palese riferimento allo storico Team dei “piccoli diavoli”, il designer chiama a raccolta i suoi migliori sviluppatori e crea il Team Little Angels lanciando più di una frecciatina alla sua ex compagnia, la Capcom. Kamiya alleggerisce i toni rispetto al più serioso e oscuro Devil May Cry: i personaggi si prendono meno sul serio e la storia, nonostante raggiunga momenti drammatici, non risulta mai pesante. Il gamepla è d’altro canto quanto di meglio si possa desiderare da un gioco di questo genere, la componente di attacco è incredibilmente bilanciata con la pericolosità e velocità dei nemici. Inoltre per poter uccidere un determinato tipo di avversari sarà necessario sbloccare il climax, ovvero una sorta di dimensione parallela dove Bayonetta può indistintamente colpire senza dare la possibilità al nemico di difendersi. Stilisticamente il gioco si discosta dalle avventure di Dante, preferendo un’ambientazione gotica che convive con strutture Liberty in grado di dare eleganza e un giusto tocco di femminilità e grazia. Tutto il gioco è un continuo ammiccare verso il giocatore e più di una volta vi ritroverete a parlare direttamente con la protagonista come se fosse cosciente della vostra presenza al di là dello schermo del televisore, una rottura della quarta parete inserita con intelligenza e grazia. Al momento della sua uscita il gioco riscosse un discreto successo di pubblico, purtroppo limitato dalla sventurata versione PS3 convertita in fretta e furia e senza le adeguate attenzioni. Il risultato fu talmente disastroso da inficiare il gameplay, con FPS ballerini e una resa grafica mediocre. Nel corso del tempo, e grazie alla mano vigile di Nintendo sul brand, il capolavoro di Kamiya ha ritrovato una seconda giovinezza passando da multi piattaforma a esclusiva totale per le console della casa di Tokyo, fatto che ha portato Bayonetta 2 (diretto da Hirono Sato) a essere una killer application per WiiU nel 2014 e che vedrà un terzo capitolo in esclusiva per la ibrida Nintendo nei prossimi anni.

L’ultimo gioco diretto da Kamiya risale però al 2013 ancora una volta su WiiU e rappresenta l’esperimento più bizzarro dell’ex Capcom: The Wonderful 101, un particolare incrocio tra un RTS e un gioco d’azione, basato sui riflessi e la coordinazione del giocatore. Il gioco chiama in causa un gruppo di supereroi determinati a salvare la terra dall’attacco di terroristi alieni nominati Geathjerk. Assurdo e improbabile, il gioco è un concentrato di idee geniali che sfruttano pienamente il paddone del WiiU. Graficamente piacevole e dal ritmo sfrenato, purtroppo non è stato considerato dal pubblico relegandolo nel girone dei giochi dimenticati troppo velocemente. È notizia recente però la volontà del designer giapponese di riportare la sua creatura all’attenzione del mercato attraverso un porting su Switch, occasione perfetta per incontrare il favore del pubblico su una piattaforma molto più popolare della precedente.

Il lavoro e la grande passione di Hideki Kamiya hanno portato una importantissima rivoluzione all’interno del genere action , creando due brand che hanno spinto i limiti fino ad allora raggiunti e che ancora oggi sono considerati dei veri e proprio cult nel settore. Nonostante la sua versatilità, il designer non sempre è riuscito a catturare l’attenzione del mercato mondiale pur continuando a regalare ai suoi sostenitori prodotti di una qualità estremamente elevata. In attesa di farci stupire ancora una volta dal padre di Dante non possiamo fare altro che augurare un futuro radioso all’intero team, abbracciando pienamente la loro filosofia di sviluppo che ha saputo donarci più di una soddisfazione da videogiocatore.




Valkyria Chronicles 4

Nonostante gli episodi usciti su PSP, Valkyria Chronicles 4 si collega direttamente al primo episodio uscito nel lontano 2008 in esclusiva su PS3, un ibrido tra JRPG e strategico a turni con una grafica in cel-shading molto gradevole ai tempi dell’uscita. Nonostante le ottime recensioni, il gioco non fu un vero e proprio successo, e i seguiti furono dirottati sulla console portatile di casa Sony, i quali ebbero ottimi riscontri in Giappone ma non in Occidente, e dopo le scarse vendite del secondo episodio, uscito nel 2010, SEGA decise di non distribuire il terzo episodio se non in terra nipponica. Dopo anni la tendenza sembra essere cambiata, e oltre ad aver rilasciato l’intera saga di Yakuza e la remaster dei primi 2 Shenmue, nonostante il deludente spinoff Valkyria Revolution, SEGA ci riprova con il quarto episodio della saga principale di Valkyria Chronicles.

Il gioco non è un vero e proprio sequel: si svolge parallelamente al primo episodio, ma con un punto di vista differente, l’ambientazione è collocata in una realtà alternativa nella quale l’Europa del 1935 è al centro di una guerra che vede come antagonisti non più la Gallia e l’Impero del primo episodio, ma l’Impero e la Federazione Atlantica (di cui noi faremo parte). A differenza del primo episodio però non dovremo più difenderci dall’impero ma saremo impegnati ad attaccarlo (almeno nelle prime fasi di gioco), nei panni del comandante Claude Wallace, il quale essendo molto giovane commetterà degli errori che si ripercuoteranno nei rapporti con il resto della squadra, i personaggi sono caratterizzati dal tipico stile anime, presente anche negli altri episodi, e anche la storia si adatta benissimo a questo stile, alternando situazioni comiche ad altre dure e tragiche come solo gli anime giapponesi riescono a fare.

Lo stile grafico si rifà ai precedenti episodi, proponendo un cel-shading convincente, anche se con poche migliorie rispetto al prequel uscito su PS3, la conta poligonale non fa gridare al miracolo, ma la direzione artistica di gran livello permette di passare sopra a questo difetto, di certo non è un titolo per gli amanti della grafica ultra pompata.
Sul fronte sonoro ci troviamo anche vicini al prequel, con il quale il titolo condivide buona parte della colonna sonora insieme ovviamente a brani originali, anche gli effetti sonori sono molto simili, e il doppiaggio in inglese fa un discreto lavoro (questa volta però sono presenti i sottotitoli in italiano per la gioia di chi non mastica bene la lingua anglosassone), per chi invece volesse il doppiaggio in giapponese dovrà scaricare un dlc gratuito per poterlo attivare.

Purtroppo le similitudini (negative) con il primo capitolo non si riscontrano soltanto sul piano tecnico: il gameplay è praticamente invariato, con poche novità; è presente come nel prequel la “modalità libro“, dove possiamo sfogliare le pagine contenenti cutscene che sono fondamentali per capire la storia ma anche prendere parte alle missioni principali e secondarie, nonché accedere alla caserma, dove possiamo personalizzare la nostra squadra e addestrare i soldati, i quali possono aumentare di livello e apprendere nuove abilità grazie all’esperienza accumulata in battaglia. Risulta importante formare una squadra con dei membri che abbiano affinità tra di loro: non tutti vanno d’accordo fra loro, e questo può essere deleterio per la riuscita delle missioni.
Nelle missioni dovremo prima schierare la squadra esattamente come nel primo capitolo, e dovremo scegliere tra varie classi, anch’esse invariate rispetto al prequel con l’unica eccezione rappresentata dal granatiere, il quale può lanciare granate a lungo raggio con una potenza devastante, ma deve perdere molto tempo a ricaricare.
Le missioni si svolgono a turni, le unità possono muoversi fin quando la barra del movimento non si consumerà e poi attaccare, ognuna di loro avrà delle abilità uniche a seconda della classe e anche a seconda del personaggio stesso (ci sono ad esempio personaggi che potranno avere dei malus quando sono presi dal panico e via dicendo).
Il gameplay è quindi rimasto sostanzialmente invariato rispetto al primo capitolo, dicevamo, con leggerissime differenze, ma questo non deve necessariamente essere considerato un difetto, in quanto stiamo parlando di un ottimo gioco, con un bel ritmo e missioni molto impegnative, quindi anche se non innova rimarremo comunque soddisfatti dalla lunga campagna che dovremo affrontare.

In conclusione, Valkyria Chronicles 4 è un ottimo titolo che ci riporta alle origini della saga, sia perché è contemporaneo al primo capitolo, ma anche perché ha un gameplay sostanzialmente in continuità, seppur con qualche eccezione: il gioco è impegnativo al punto giusto, la storia è  ben raccontata e ci terrà incollati fino alla fine dell’avventura di Claude Wallace e della sua squadra.




L’ascesa femminile nel mondo del gaming

Con il passare degli anni, sempre più ragazze e donne cominciano ad avvicinarsi al mondo del gaming e, inoltre, moltissime di loro sono accanite spettatrici di esport.
Recentemente, la società britannica The Insights People, ha eseguito 5,000 interviste su soggetti femminili con età inferiore ai 18 anni fra i mesi di Luglio e Settembre. Secondo i risultati molte ragazze sono più interessate a determinati fattori dei videogiochi che ad altri; infatti, rispetto al 75% registrato nello scorso anno, la percentuale di ragazze che passano il loro tempo libero giocando è arrivato addirittura a una soglia dell’84%. Secondo i dati raccolti il 15% di queste ragazze guarda gli e-sport, e, soprattutto, ci sono più ragazze tra i 13-18 anni che guardano queste partite dal vivo rispetto ai ragazzi della stessa età.
Infine, i videogiochi sono riusciti a superare lo shopping arrivando ottavi nella classifica degli hobby preferiti dalle ragazze. Sfortunatamente però, quelle che giocano a livello competitivo è infimo. Vedremo mai una parità di genere all’interno dei vari team e-sport?




Top 10 giochi NES sottovalutati

Il Nintendo Entertainment System è una console che di certo non ha bisogno di introduzioni: piena di classici che hanno dettato un’infinità di standard per le generazioni a venire. Basti pensare a Super Mario Bros. per i  platform, The Legend of Zelda e Metroid per i giochi d’avventura, Final Fantasy e Dragon Quest per gli RPG, Gradius per gli shoot ‘em up, e poi ancora Mega Man, Castlevania, Contra, Bionic Commando, la lista potrebbe non finire mai. Questi sono indubbiamente giochi che ogni appassionato conosce (o dovrebbe conoscere) ma come accade per ogni generazione ci sono molti altri titoli, davvero al pari dei classici, che semplicemente non spiccano perché possibilmente la data di uscita ha coinciso con qualche altro gioco più grande o, semplicemente, non ha ricevuto l’attenzione delle riviste e soprattutto dei fan. Oggi su Dusty Rooms faremo qualcosa di insolito, un tipo di articolo sicuramente inflazionato ma comunque intriso, soprattutto, della nostra personalissima esperienza come giocatori: una bella Top 10 dei giochi più sottovalutati della libreria del NES. Vi faremo una breve introduzione, vi diremo quali sono le feature più interessanti e anche qual è il miglior metodo per giocarci al giorno d’oggi. La lista includerà anche import di cui siamo certi esistano traduzioni sul web da poter patchare con le rom. Se ci dimentichiamo di qualche titolo fatecelo sapere – educatamente – nei commenti qua sotto.

10. Nightmare on Elm Street

Uno, due, tre, Freddy™ viene da te… Ebbene sì, con l’avvento di internet questo gioco è diventato molto impopolare, specialmente per l’associazione con LJN, il cui marchio, se appare nella title screen, è sinonimo di gioco programmato coi piedi. Tuttavia in molti su internet hanno dimostrato che i loro giochi non sono tutti da buttare e questo non solo è uno dei più interessanti ma e anche uno dei più avvincenti, sebbene non c’è un briciolo di violenza che ha resto la saga famosa sul grande schermo. Il gameplay ha uno strano meccanismo di “dream world/awake world” e una progressione poco dinamica, non intuibile a primo acchito, ma una volta fatto il callo con queste particolarità Nightmare on Elm Street presenta un gameplay abbastanza piacevole: ci sono dei degli stage in cui bisogna collezionare una serie di ossa appartenenti al defunto Freddy Krueger, nel dream world è possibile raccogliere delle carte che permettono al giocatore di diventare un atleta o un mago e i buoni controlli permettono una fruizione di tutto rispetto. Tuttavia, la più bella feature di questo gioco è sicuramente il multiplayer fino a quattro giocatori in contemporanea grazie al NES Four Score; un po’ come in Nightmare on Elm Street 3: Dream Warriors, tutti uniti per sconfiggere Freddy Krueger! Non credete alle baggianate del web, questo titolo merita molto di più.

9. Street Fighter 2010: The Final Fight

Il 2010 è passato e sicuramente non abbiamo visto l’invasione da parte di demoni scorpioni, alieni mutanti a forma di ombrello e occhi intrappolati in capsule di vetro un po’ dappertutto… Se qualcuno di voi sta ancora pensando che questo titolo non ha nulla a che fare con la celeberrima serie picchiaduro Capcom vi sbagliate di grosso; questo è l’ultimo titolo della saga prima che esplodesse con Street Fighter II! La storia vede Ken, in questo titolo uno strano tamarro spaziale, 25 anni dopo il primo torneo di Street Fighter; diventato uno scienziato, il noto combattente dal gi rosso crea il cyboplasma (sarà probabilmente come un ectoplasma con un po’ di “cybo” dentro) insieme al suo nuovo amico e assistente Troy. In seguito Troy viene ucciso e il cyboplasma, che una sostanza in grado di dare alle creature viventi una forza sovrannaturale, viene rubato; ci metteremo dunque sulle tracce dell’assassino del nostro assistente per vendicare la sua morte e recuperare i pezzi della nostra creazione per evitare che finiscano nelle mani sbagliate. Questo titolo è blasonato in primo luogo per i suoi controlli poco intuitivi e per il fatto che non ha nulla a che vedere con Street Fighter (né con Final Fight, visto che è citato nel titolo) ma per quanti difetti possa avere e difficile prendere familiarità coi controlli (vi consigliamo appunto di giocarlo con un controller con tasti turbo), Street Fighter 2010 offre un livello di sfida tosto al punto giusto e un gameplay di tutto rispetto. Le atmosfere sono veramente splendide – oseremo dire un mix fra Salvador Dalí e H.R. Giger – e può regalare delle sane ore di gameplay, specialmente se lo togliamo dal contesto Street Fighter. Indubbiamente da provare, anche se non faremo Shoryuken attraverso lo spazio e il tempo, non faremo la mezzaluna di Guile sulla luna e non romperemo asteroidi con le testate di Honda: al diavolo Street Fighter V, viva Street Fighter 2010!

8. Splatterhouse: Wanpaku Graffiti (Famicom)

La gente conosce la saga di Splatterhouse per la sua violenza e la sua vicinanza con la serie horror Venerdì 13 ma questo spin-off viene spesso trascurato in favore dei più grandi titoli principali. Wanpaku Graffiti (che in giapponese significa graffiti monelli) ha un approccio meno serio rispetto alla saga, infatti Rick, il famoso protagonista che sfoggia la maschera del terrore (che è una scopiazzatura della famosissima maschera da hockey di Jason), la fidanzata Jennifer, i mostri e i boss vengono presentati con uno stile chibi/super deformed, tutt’altro che horror. Il gameplay è molto simile a quello di Splatterhouse ma molto più semplificato e veloce, adatto a coloro che non vogliono una sfida troppo impegnativa, veramente una gemma che merita di essere riscoperta. Il gioco, nonostante sia uscito esclusivamente per Famicom, non presenta linee di dialogo in giapponese, né i prezzi su eBay non sono terribilmente proibitivi; ricordiamo inoltre che esistono anche delle reproduction cartridge che girano anche su i NES americani e europei.

7. Lagrange Point (Famicom)

Non è un RPG di Squaresoft, né di Enix e neppure di Sega, bensì un’avventura futuristica, ispirata primariamente alla saga di Phantasy Star, targata Konami. È un titolo molto raro e dispendioso ma è un titolo che merita di essere giocato e soprattutto ascoltato visto che è l’unica cartuccia del Famicom che monta l’impressionante chip sonoro VRC7, in grado di dare a questo gioco la sintesi FM, dandogli delle sonorità al pari del Sega Mega Drive. In quanto avventura RPG non porta grandi innovazioni, è un’avventura molto classica ma è spesso un titolo dimenticato nonostante le sue molte particolarità, soprattutto sul piano tecnico e sonoro (basta guardare la deforme cartuccia originale). Lagrange Point può sembrare un titolo proibitivo visto il prezzo, generalmente alto e il fatto che l’aspetto testuale del gioco, che in un RPG fa da padrone, è interamente in giapponese; per questi motivi è meglio trovare il gioco in rete e scaricare la patch da applicare alla rom. Non ve ne pentirete!

6. Journey to Silius

Questo titolo Sunsoft ha una storia molto affascinante: inizialmente questa compagnia era riuscita a ottenere i diritti per produrre un videogioco tratto dal film Terminator ma quando gli studio cominciarono a lavorare su Terminator 2 questi furono ritirati per far sì che un’altra compagnia potesse farne un gioco appena dopo l’uscita al cinema. Sunsoft decise tuttavia non staccare la spina all’intero progetto e così salvò il tutto producendo una nuova IP da zero. Nonostante la cancellazione del progetto originale è ancora possibile notare ciò che rimane del progetto originale: il primo livello ricorda esattamente il mondo post-apocalittico dalla quale il Terminator è venuto e il design delle armi, visibili nel menù di pausa, somigliano a quelle impugnate da “Schwartzy”. Licenza o no, questo gioco è una vera bomba: tanti livelli avvincenti, ottimi controlli, una moltitudine di armi per un gameplay molto vario e una colonna sonora spettacolare! Journey to Silius offre una sfida eccezionale, anche se non adatta proprio a tutti per via della sua spiccata difficoltà. Sfortunatamente recuperare questo titolo su NES è molto dispendioso, così come la collection su intitolata Memorial Series: Sunsoft Vol. 5 su PlayStation in cui è presente. Speriamo che appaia presto in streaming su Nintendo Switch, altrimenti… Sapete cosa fare!

5. Cobra Triangle

A che serve una storia quando hai un motoscafo che va a 90Mph, che monta mitragliatori, missili e può persino spiccare il volo grazie a una minuscola elica? Concepito col motore grafico di R.C. Pro-Am, Cobra Triangle è un gioco Rare che mischia principalmente corsa e combattimenti veicolari ma gli obiettivi cambiano in ogni stage: oltre al semplice “arriva al traguardo” avremo stage in cui dovremo disarmare delle mine, proteggere civili, saltare cascate in corsa col nostro motoscafo e persino affrontare delle creature marine giganti (entrambe cose che fanno pensare che all’interno di quel motoscafo ci sia Chuck Norris), il tutto accompagnato dalle magiche composizioni di David Wise, noto soprattutto per aver composto la colonna sonora di Donkey Kong Country. Ai tempi il gioco fu abbastanza popolare ma probabilmente, per via della sua elevata difficoltà (e anche per il fatto che R.C. Pro-Am era molto più accessibile), Cobra Triangle non diventò un titolo molto discusso. Anche se non ha mai avuto un vero cult following, vi è possibile giocarlo nella collection Rare Replay su Xbox One uscita nel 2015. Un gioco per i veri duri!

4. Ducktales 2 e Chip ‘n Dale 2

Entrambi sono i sequel, rispettivamente, di Ducktales e Chip ‘n Dale (in Italia Chip & Ciop: agenti speciali) e anche se rispettivamente ai loro primi capitoli sono un po’ inferiori ciò non toglie che rimangono giochi veramente eccezionali e sopra la media. Non ci sono grosse innovazioni sul piano tecnico ma il level design e il livello di sfida sono al pari dei vecchi giochi; al giorno d’oggi avremmo considerarli come DLC dei giochi precedenti. La critica, ai tempi, espresse ancora una volta dei pareri unanimemente positivi ma essendo usciti fra il 1993 e il 1994 purtroppo non attrassero l’attenzione dei giocatori che ormai erano passati definitivamente alle macchine 16bit; di conseguenza, essendo usciti così tardi, furono prodotte pochissime copie di entrambi i giochi e ciò si traduce, al giorno d’oggi, in prezzi obbrobriosi su eBay. Fortunatamente per noi, così come per Cobra Triangle, questi due giochi sono stati aggiunti in una collection recentissima, ovvero The Disney Afternoon Collection per PC, PlayStation 4 e Xbox One, che include, oltre a Ducktales 2 e Chip ‘n Dale 2, i rispettivi (e superiori) prequel, TaleSpin e…

3 Darkwing Duck

Recentemente riscoperto, questo titolo ha vissuto per anni nell’ombra generata da altri titoli simili, soprattutto Mega Man e i restanti giochi Disney prodotti da Capcom sul NES. Nonostante il termine di paragone, possiamo dire che ha comunque ben poco da spartire con i giochi appena citati e che Darkwing duck si pone come un gioco a sé. Come in Mega Man possiamo selezionare i primi sei stage iniziali, abbiamo un assortimento di armi “a consumo”, ma diversamente dal robottino blu Darkwing Duck può parare alcuni colpi nemici col suo mantello e può aggrapparsi ad alcune piattaforme da sotto (così come può smontare dalle stesse premendo salto e giù contemporaneamente) e ciò sarà una componente fondamentale negli stage del gioco; in aggiunta a un level design veramente eccellente, questo titolo riesce a consegnare delle sanissime ore di gaming grazie a semplicissime meccaniche, tanto classiche quanto avvincenti. Così come per Ducktales 2 e Chip ‘n Dale 2, Darkwing Duck è presente in The Disney Afternoon Collection, perciò potrete godervi questo titolo con pochissimo e in un media recente in definizione HD.

2. Getsu Fūma Den (Famicom)

Questo gioco fu la risposta di Konami a Genpei Toumaden, un gioco Namco ispirato alla storia del primo Shogunato del Giappone. Come la controparte, questo gioco estrae elementi di trama direttamente dall’era Sengoku, una particolare fase della storia Giapponese; al centro della trama c’è Getsu Fūma, il più giovane ninja del clan dei Fūma (ordine esistito realmente), che parte alla volta delle isole demoniache per vendicare i suoi tre fratelli caduti in battaglia, recuperare le loro spade (chiamate Hadouken) e sconfiggere Ryūkotsuki, il demone responsabile della morte dei suoi compagni. Come in Zelda II: the Adventure of Link, ci ritroveremo in una schermata di overworld molto simile e lì possiamo visitare le tende, in cui potremo trovare mercanti o oracoli che ci daranno dei consigli sul dove andare, o attraversare i torii, le famose strutture a forma di portale giapponesi; lì partirà l’azione vera e propria e dovremo pertanto affrontare un breve stage ma irto di nemici e ostacoli di vario tipo. Durante le fasi in 2D possiamo avere l’opportunità di usare qualche oggetto per sfollare le schermate più caotiche, raccogliere un po’ di oro lasciato da i nemici e accumulare punti attacco e difesa per far crescere dinamicamente il nostro personaggio, esattamente come in un gioco RPG. Gradualmente, torii dopo torii, arriveremo a uno dei nostri veri obiettivi, ovvero uno dei tre dungeon sparsi nell’isola: qui, dopo aver avuto modo di provare l’intensa azione 2D, avremo modo di vedere il gioco letteralmente da un’altra prospettiva, alle spalle di Getsu Fūma in un buio labirinto in 3D. Vale a ricordare che, di questi labirinti, non c’è una mappa in game ma, così come per molti altri titoli dell’epoca, è consigliabile munirsi di carta e penna e cominciare ad abbozzare una mappa da noi (orientandoci con la bussola da comprare in un negozio prima di entrare) – che dire? Giochi di altri tempi! –. Il gameplay si farà apparentemente più calmo, ma questa sarà solo una falsa impressione in quanto troveremo, in questa modalità, altri nuovi nemici da affrontare da questa prospettiva 3D, e stavolta ci toccherà usare un po’ più di ingegno. Purtroppo questo titolo, probabilmente per via del gap culturale, non superò mai le sponde del Giappone, nemmeno coi servizi Virtual Console di Wii, Wii U e 3DS per i quali uscì, e Getsu Fūma Den rimane a oggi un fenomeno esclusivamente giapponese, quando in realtà il gameplay soddisfa appieno anche i gusti occidentali. Fortunatamente per noi, la hack scene è venuta incontro ai giocatori di tutto il mondo e da tempo esiste dunque una rom tradotta che permette dunque a noi demoni occidentali di provare questo gioco veramente spettacolare. Da non perdere per nessun motivo!

1. Metal Storm

Questo titolo non è soltanto un gioco veramente divertente ma è anche uno dei giochi più fini della libreria del NES. A tratti, questo gioco Irem, famosi principalmente per R-Type, può ricordare Mega Man per la sua natura che mischia run ‘n gun, platform e avventura, ma Metal Storm si differenzia per due fattori principali: il primo è che il nostro mecha esplode con un solo colpo avversario e il secondo, ed è ciò che rende questo gioco veramente unico, è la gravità che cambia quando premeremo su/giu e salto. Insieme a delle animazioni fluidissime, splendide per una macchina 8 bit, una grafica molto dettagliata e una colonna sonora spettacolare, Metal Storm ha un gameplay difficile ma adatto a tutti, dai principianti ai più navigati (che potranno trovare del vero pane per i loro denti una volta terminata la prima run e avviato la seconda per esperti) e un level design curato in ogni dettaglio e che include anche dei livelli giroscopici. Questo è un titolo esemplare per la libreria del NES ma purtroppo è molto impopolare, persino fra i più affiatati collezionisti: Metal Storm uscì nel Febbraio 1991, lo stesso anno in cui uscirono i più famosi Battletoads, Tecmo Super Bowl, Double Dragon III, Bart vs the Space Mutant e persino il Super Nintendo, che sarebbe uscito ad Agosto. In tutto questo Irem non ha mai avuto realmente lo stesso peso di altre grandi compagnie come Capcom, Konami o Hal e perciò, nonostante questo titolo fu pubblicizzato in una copertina di Nintendo Power, questo titolo non ha mai raggiunto lo status di classico, forse neppure oggi. Recuperate questo titolo oggi e diamo a Metal Storm il riconoscimento che merita!




Zeus’ Battlegrounds

Sviluppato da Industry Games, Zeus’ Battlegrounds è un battle Royale free to play che, a differenza di colossi come Fortnite e PUBG, propone uno stile di combattimento basato principalmente sul combattimento melee (corpo a corpo).
Il titolo è ambientato nell’antica Grecia, dove vestiremo i panni di un combattente che tenterà di prevalere sugli altri così da guadagnarsi il suo posto d’onore nell’Olimpo.

Fin dalla schermata iniziale avremo la possibilità di scegliere il sesso del nostro personaggio, e di personalizzarlo a nostro piacimento così da creare qualcosa di più vicino alla nostra forma ultra-terrena. Una volta finita l’attesa nella piattaforma dove ci “accoglierà” Zeus, verremo catapultati fuori e come meteore ci schianteremo sulla terra. Una volta atterrati ci ritroveremo disarmati. L’obiettivo primario sarà quello di cercare delle armi fra le molte all’interno del titolo, da asce, martelli, doppie spade e altro ancora. Inoltre, sarà possibile trovare armi da lancio, e anche delle magie elementari consumabili. Per facilitarci i movimenti gli sviluppatori hanno inserito anche le cavalcature, infatti, in svariati punti della mappa sarà possibile trovare dei cavalli da poter usare come mezzi di trasporto. Tuttavia, il controllo di quest’ultimi è abbastanza impreciso ma, fortunatamente, essendo un gioco in early access tutto può ancora variare. Inoltre, come in ogni titolo del genere potremo scegliere diverse modalità quali solo, duo e team.

Durante la nostra permanenza nel battleground, potremo dotarci di vari tipi di armi, grazie all’enorme quantità di varianti presenti. Anche le armature non sono da meno: infatti, potremmo trovare 4 livelli d’armatura e vari tipologie di quest’ultime. Come ogni altro titolo del genere, ogni tanto per la mappa verrà “inviato” un forziere sacro che conterrà armi di tutt’altro livello, in una parola “divine”. Inoltre, all’interno della mappa saranno presenti i templi di dei come Atene e Zeus, dei quali, una volta raggiunti, si otterrà il loro favore, che conferirà un’abilità temporanea atta a favorire il nostro personaggio con alcuni vantaggi. Al momento, il titolo necessita di alcuni bilanciamenti su alcune armi che risultano troppo forti, o altre dove l’hit box è pessima. Infatti, in alcuni casi, mi sono ritrovato realmente in difficoltà nell’effettuare delle lotte con determinate armi.

La mappa di gioco è veramente gigantesca e molto variegata, talmente grande che è come se si giocasse a nascondino. Il titolo presenta una coerenza ammirevole, non sono presenti forzature visibili, ogni scelta stilistica risulta congrua. Un punto in suo favore è sicuramente la possibilità di poter giocare il titolo sia in prima che in terza persona. Il FOV è ben regolato in entrambi i casi. Una delle pecche è la resa grafica, vedere tante di magnifiche ambientazioni semplificate nella definizione è veramente uno strazio per gli occhi, spero vivamente che la migliorino al più presto, anche se da quel punto di vista c’è da dire che il team di sviluppo ha fatto un buon lavoro con la gestione dei modelli e delle texture. Dal punto di vista del sonoro, la OST è orecchiabile e gli effetti sono discreti.

Per gli amanti del genere battle royale, il titolo è assolutamente da consigliare, Zeus’ Battlegrounds merita sicuramente una possibilità. Togliendo i vari bug e la grafica di medio livello, questo gioco ha grandissime chance di riuscire a farsi valere con la grande quantità di opportunità che un titolo del genere, se migliorato, può proporre. Infine, vi ricordiamo che il titolo sarà disponibile su PC e PS4.