Samurai Warriors: Spirit of Sanada

Sebbene sembri, a un primo sguardo, il solito musou che Koei Tecmo Omega Force ci propinano da circa 20 anni, Samurai Warriors: Spirit of Sanada offre delle chicche che, a suo modo, lo rendono unico.
Il gioco in questione è uno spinoff della serie Samurai Warriors, che a sua volta è uno spin-off della serie Dinasty Warriors (Shin Sangoku Musou in Giappone, da quì ha origine appunto la parola che ne identifica il genere di appartenenza).

Storia

La storia è incentrata sulla vita di Masayuki Sanada, e ne percorre le varie fasi fino alla morte, per poi incentrarsi sulla vita del più famoso figlio Yukimura; verremo a conoscere quindi il loro punto di vista nella guerra per il dominio del Giappone dell’epoca Sengoku, oltre a molte personalità del periodo che potremo utilizzare come alleati, o che saranno nostri nemici nelle battaglie secondarie (in tutto ci sono 61 personaggi giocabili). Di ogni personaggio potremo leggere una scheda dettagliata che ci racconterà la loro storia, e peccato che nel gioco non sia disponibile la lingua italiana, perché una simile mole di testo in sola inglese può rappresentare un vero problema per chi non ha dimestichezza con la lingua.

Gameplay

Le novità principali rispetto agli altri musou consistono nell’esplorazione di villaggi o città e nei mini giochi all’interno di esse: si può pescare, coltivare, visitare il dojo per imparare nuove tecniche, prendere il tè con un alleato per rafforzare il legame, visitare l’archivio per rivivere eventi passati, visitare il fabbro per aumentare la potenza delle armi e, infine, visitare vari negozi.
Un’altra importante novità è rappresentata dai cosiddetti “six coins (che raffigurano il simbolo del clan Sanada): parlando con gli alleati a volte guadagneremo dei punti che riempiranno le sei monete, ognuna delle quali rappresenta uno stratagemma da usare in battaglia, il quale ci faciliterà la missione che stiamo affrontando, a volte curando le nostre ferite o quelle degli alleati, a volte dandoci un bonus alla velocità, e via dicendo.
Il combat system invece è quello a cui siamo abituati da sempre, che si incentra più sulla spettacolarità che sulla tecnica vera e propria: sebbene sia possibile imparare tantissime tecniche, si può completare il gioco facendo sempre le stesse combinazioni di mosse, il che può risultare alla lunga monotono per chi è nuovo al genere o non lo ama.

Grafica e Sonoro

L’aspetto tecnico del gioco non è dei migliori: la modellazione dei personaggi è discreta, mentre tutto il resto è piatto e con una densità poligonale bassa, le textures sono spesso in bassa risoluzione, insomma, se non fosse per la presenza di centinaia di nemici presenti contemporaneamente, per il frame rate solido e per la spettacolarità degli scontri, ci troveremmo ampiamente sotto la sufficienza.
Il gioco è disponibile su PC e Ps4 e gira a 1080p su PS4 e 4k nativi (uno dei pochissimi giochi a supportarli) su PS4 pro.
Per quanto riguarda il sonoro: è stato fatto un discreto lavoro sulle musiche, epiche al punto giusto ma nulla di trascendentale.
I dialoghi sono di buona fattura e ben recitati, anche se disponibili solamente nella lingua giapponese, e gli effetti sonori durante le battaglie sono quelli classici, fra suoni di mischia, cavalli e sferragliare di armi e armature.

Conclusioni

Samurai warriors: Spirit of Sanada è un gioco ricchissimo di contenuti ed è caldamente consigliato a chiunque sia appassionato di storia giapponese e ami il genere musou (e conosca la lingua inglese); la storia principale ci terrà impegnati per una ventina di ore ma, se si vuole completarlo al 100%, ce ne vorranno almeno il doppio.
Se non si ama il genere invece conviene starne alla larga, le novità che apporta il titolo in questione non sono abbastanza a renderlo appetibile a un pubblico più eterogeneo.




Nioh: Drago del Nord (DLC)

È passato ormai qualche mese da quando vi abbiamo lasciato la nostra primissima recensione riguardo Nioh e la sua patch 1.05 e non possiamo certo dire che i nostri punti di vista e criteri non siano cambiati. Il dlc Drago del nord e la nuova patch 1.09 hanno stravolto sicuramente diversi aspetti del gameplay: ma siamo sicuri che ciò abbia apportato giovamenti al gioco?

Una ventata di novità

Il primo dlc Drago del nord ci invierà nella regione di Oshu, nel quale il sovrano Masamune Date (Jena Plissken, per gli amici) non disdegnerà di palesare quanto il suo sguardo sia frutto di doppiogioco. Da parte del Team Ninja reputo sia una scelta molto coraggiosa rendere giocabile la nuova espansione, strettamente collegata al finale, solo una volta terminata la storia: mossa commercialmente rischiosa, che fa intendere di aver le spalle molto larghe e nello stesso tempo lungimiranza riguardo la storyline dei prossimi dlc. Il nuovo contenuto contiene 3 nuove mappe, 4 boss (di cui solo uno particolarmente ispirato), armi e armature inedite, diversi yōkai ( con la straordinaria partecipazione di Las plagas di RES 4), la possibilità di tenere in battaglia fino a 2 spiriti guardiani potendo scegliere di cambiarli a proprio piacimento e, infine, la nuovissima tipologia di spada Odachi, un lunghissimo spadone scalante principalmente sulla statistica forza che ci divertirà non poco col suo moveset AoE. L’espansione ha un livello di difficoltà nettamente più alto rispetto al resto del gioco, fattore che può potenzialmente portare frustrazione a chi abbia appena finito La via del samurai.

Non è tutto Amrita ciò che luccica

Ritornando alle patch, non si può certo dire che il Team Ninja non risponda ai feedback, poiché i cambiamenti al fine di appoggiare la fanbase non sono stati pochi. Un pesante lato negativo che ha afflitto Nioh è stato l’annullamento del contesto gdr e della difficoltà a causa dell’estrema facilità della farm di Amrita: i giocatori potevano raggiungere il level cap (il livello 750) in una manciata di giorni grazie al giusto equipaggiamento, e ciò sottraeva quel sapore di individualità e sfida nelle missioni. Oggi un simile eclettismo è stato ridimensionato abbassando il level cap a 400 e aumentando sensibilmente le Amrita necessarie per livellare, sono state nerfate parecchie armi ed eliminato tutto ciò che boostava il nostro William fino a renderlo il maestro del Giappone in poche ore di gioco. Ricalcando il fattore difficoltà, sono ben lieto di aver trovato La via del demone (o NG++,  a voler semplificare). Ora finalmente le missioni sono tarate per un livello superiore al nostro cap, rendendo tutto estremamente ostico e realmente minaccioso anche nel caso in cui il personaggio sia buildato glass cannon; i vecchi yōkai verranno buffati al punto che questi potranno shottare chiunque ostenti una difesa leggera; d’altro canto si potranno trovare equipaggiamenti ben superiori al livello 150, riequilibrando il tutto.

Pvp? No grazie

Parlando invece di come non si strutturi un pvp, il Team Ninja ha pienamente centrato il bersaglio: le arene sono strutturate in modo da ottenere un grado di valutazione nella classifica che va dal D- al AAA, non valutando, invece, il vero combat rating durante il matchmaking: questo ha portato a pesanti dislivelli duranti gli scontri, elemento che, miscelato con la componente lag, rende il tutto così superficiale e mal pensato. La patch 1.09 ha portato dei miglioramenti nel versante pvp non ancora appaganti, ma il Team Ninja ha dimostrato di prediligere i litri di caffè piuttosto che dormire sacrificando le ore notturne a favore del soddisfacimento della fanbase: questo rende ben speranzosi riguardo al fatto che presto troveranno il giusto equilibrio.

Aspettative

In conclusione, si può intuire che il prodotto non verrà abbandonato presto poiché a ogni aggiornamento si percepisce quel sentore di freschezza che allontana la noia e la ripetitività. Ogni patch fa emergere quanto la casa di sviluppo sia minuziosa e sia attenta ai particolari, rielaborando, se necessario, i propri fallimenti al fine di farli rivivere di luce propria. Si ha la percezione platonica di sentirsi presi per mano, mai abbandonati, supportati in risposta a ogni possibile critica riguardo il gioco; il team Ninja in questi mesi non ha fatto altro che alimentare la mia speranza nel giusto riequilibrio del titolo, pregustando già da oggi quello che probabilmente diverrà Nioh domani.




For Honor

Ok brava gente di Nottingham è tempo di bilanci (???) e di nuove (e buone, e cattive) notizie quindi eccoci a parlare della nuova fatica Ubisoft, chiedendoci: sarà ancora la solita tempesta di merda e bug dei loro precedenti lavori e, in tal caso, sotto tutto quanto, ci sarà qualcosa di buono?
(Se ve lo state chiedendo: sì, la frase introduttiva è totalmente inutile)

Uh, mi ricorda qualcosa?

For Honor, nuovo gioco targato Ubisoft, pone la risposta a un quesito che nessuno si è mai veramente posto: il sistema di combattimento di Assassin’s Creed, potrebbe essere utilizzato per un gioco di combattimento online? E se si quanto ci possiamo marciare sopra?
Nato nel lontano 2000 – non ci interessa davvero ricordarlo – la serie di Assassin’s Creed (che rispondeva ad altre domande mai veramente poste a proposito di Prince of Persia) ci portava tra stradine polverose, torri, mura di pietra e minareti a guidare un muslim-nigga-ninja-parkour tra le strade di Medina (no, Medina non credo sia stata nemmeno mai menzionata, ma va bene come nome per luogo esotico e mediorientale) squarciando gole a irritanti figure politiche locali e mettere in atto nuovi e divertenti modi per morire o castrarsi arrampicandosi un po’ ovunque.
E mostrando, in mezzo a tutto questo, un sistema di combattimento tanto semplice quanto effettivamente accattivante e divertente.
No, davvero, quel sistema di parate a tempo che si traduceva in perfetti colpi mortali, quel meccanismo di colpi susseguiti con il giusto tempismo per inanellare esecuzioni letali (più preciso era il tempo, più velocemente terminava il duello), un sistema per rompere la guardia dell’avversario che aggiungeva quel gusto di tattica in più, rendevano veramente piacevole affrontare nemici armati di spade d’acciaio brutalmente affilate e protetti da armature rose dalle sabbie dei deserti in un gioco che in teoria puntava tutto sull’esplorazione dinamica e sulla corsa fra tetti e minareti morendo in modi buffi e divertenti.
Il sistema di combattimento rimase sostanzialmente invariato per la quasi decina di capitoli della saga principale, a parte alcune stronzate nel mezzo poi eliminate con uno “scusate-ci-siamo-sbagliati-fate-finta-di-niente”, mietendo regolari apprezzamenti (via via in quantità minore, ma solo perché a secco di novità dagli esordi) finché alla Ubisoft probabilmente qualcuno avrà detto: ma farci un gioco di combattimenti su?

E così fu

Alla Ubisoft quindi si chiesero: ok, abbiamo, chissà come, un sistema di combattimento all’arma bianca in un videogioco semplice e accattivante per alcuni, ma che pretesto usiamo per far scannare la gente tra sé?
Ipotesi 1) Un reame magico vuole invadere il nostro mondo, allora, per scongiurare il pericolo, vengono indetti una decina di tornei dove i nostri campioni dovranno affrontare i lor…
No no, già fatto, cazzo dici…
Ipotesi 2) Un tizio a capo di un’organizzazione terroristica o di ecoterroristi – non abbiamo ben capito questa parte ancora – va in giro per il mondo a fare danni e tizi palestrati da ogni parte del mondo si menano a cas…
No, no! Già fatto anche questo.
Ipotesi 3) Ok, sentite qua: padre, figlio e il figlio del figlio, quindi il nipote, si menano e, non si sa perché, cercano di ammazzarsi da quarant’anni, peggio di Beautiful, ma per farlo scomodano multinazionali, organizzazioni terroristiche cyborg, burdell…
No! Già visto cazzo!
Ipotesi 4) Allora. Medioevo basso, Rinascimento, non abbiamo nemmeno mai capito questo, una spada maledetta va in giro a seminare il caos per il mondo e un manipolo di guerrieri da ogni parte del mondo cerca di impossessarsene per motivi personali finc…
NO! Già visto! Ottima storyline, comunque.
Cerchiamo qualcosa di più semplice!
Mmh… Pirati vs. Ninja?
Ma non dire cazzate.
Cavalieri vs. Barbari?
Mh, forse ci siamo, ma manca ancora qualche cosa…
Cavalieri vs. Barbari vs. Samurai?
GENIOH!

E così nacque questo gioco

Questo gioco, in buona sintesi, si basa su un meme medio-grosso dell’internet, su due meme distinti volendo, e cerca di ricavarci sopra un qualcosa di robusto e soprattutto credibile.
Le basi del gioco sono le seguenti:
Uno dei meme più vecchi del panorama ludico della nostra generazione – parliamo di anni ottanta, roba molto vecchia, roba da D&D prima edizione – si basa sul conflitto tra la figura del cavaliere in armatura massiccia e spadone a due mani, da un lato, e il barbaro mezzo nudo con ascione bipenne e tanta frenesia di sangue, dall’altro; è un po’ un sottotesto nemmeno troppo esplorato che può apparire in qualsiasi tentativo di creazione artistica di genere, partendo da D&D, appunto, con la conflittualità tra la classe guerriero vs classe barbaro, e su quale sia la migliore (guerriero ovviamente, lo dice la parola stessa, guer-rie-ro, se c’è una tecnica o un modo che serve per accoppare meglio un’altra persona in combattimento allora lui DEVE conoscerla), ma anche passando in maniera nemmeno troppo evidente per Warcraft, con, per esempio, i paladini dell’Alleanza in armatura spada e scudo contro gli orchi selvaggi dell’Orda, fino ad altre decine di giochi di ruolo e produzioni artiche e letterarie di genere: in Conan, ad esempio, dove vediamo il nudo cimmero disprezzare armature e orpelli mentre massacra decine di cavalieri di Aquilonia.
Un principio volendo anche più profondo della natura narrativa moderna affondando le sue radici culturali nel passato, quando gli ordinatissimi e disciplinati soldati romani si scontravano contro le tribù barbariche del nord che calavano nude, feroci e gioiose nella battaglia, i romani vincendo solitamente, perché andare nudi in battaglia era un po’ un’idea del cazzo di solito.
Fino alla figura estremamente antica del cavaliere cristiano, che, erede del mondo apollineo greco, schiavizzato nella Sacra Chiesa Romana, si scontrava contro i Berserker indomiti e sanguinari, invasati da Odino, nelle estreme regioni del nord dell’Europa Medievale.
Ecco, un tema così ricco, vasto e potente per la nostra memoria collettiva risolto in venti secondi di pretestuosità videoludica.

E i samurai invece?

Ecco, se per il primo conflitto For Honor attinge da un’idea che affonda nella radice stessa della nostra cultura il secondo conflitto è basato su un meme molto più moderno e molto più fesso che è: “ma è migliore la spada occidentale o la katana?”, dove legioni di bimbominkia che compongono la fanbase di questa ultima – che ha l’unico pregio di aver avuto un’ottima campagna pubblicitaria– si scontrano contro la dura realtà dei fatti, cioè che una spada Reitschwert ad una katana la distruggeva sempre e comunque.
Con tali e tante premesse creative che genere di gioco salterà fuori direte voi?
Boh, onestamente ce lo stiamo chiedendo anche noi.
For Honor si basa sostanzialmente su alcuni conflitti e meme nati o portati su internet e un sistema di combattimento divertente ma di certo non innovativo, che punta sostanzialmente tutto sulle dinamiche di puro gameplay tra giocatori tesi a volersi scannare nella maniera più caciaronissima e metallara possibile, quindi, al netto di una cornice narrativa apparentemente ancora più scarna, e che definire pretestuosa pare addirittura già pretestuoso in partenza, il fulcro del gioco pare essere quello di menarsi solo e menarsi duro. E a questo punto conviene addentrarci in quello che è il sistema di gioco.

Classi e poste

Allora molte altre considerazioni del gioco, a questo punto sono partite a parlare per prima cosa del sistema di classi che, come abbiamo detto più sopra, dovrebbe incarnare quello che è l’anima del gioco.
Noi noi, a noi c’è rompe er cazzo partire così perché A) non lo reputiamo interessante, lo sappiamo già, tre tipi diversi che se vojono menà B) il vero punto di interesse, per me, in un gioco di combattimento è il sistema di combattimento.
For Honor si avvale, come abbiamo già detto, di un sistema di combattimento preso di peso da Assassin’s Creed in generale (anche perché è bene ricordare che nemmeno il sistema di AC è rimasto sempre coerente con se stesso), con alcune importanti innovazioni, diciamo che, anche se non uguale, se avete giocato ad AC vi troverete con la sensazione di stare provando qualcosa di già conosciuto.
La base principale del sistema di gioco sono le pose, che, mutuando un termine dalla scherma reale, potremmo chiamare “poste”, per utilizzare un termine più specifico e caro ai ricostruttori della scherma storica o, più semplicemente, e per farlo meglio comprendere a tutti potremmo utilizzare il termine “guardie”, sicuramente più usato e riconoscibile e legato alle arti marziali in generale, anche se originario proprio della scherma.
Il gioco quindi pone la scelta fra tre “poste” o “guardie” principali. Si parte da una modalità che potremmo definire “a riposo”, dove potremmo semplicemente correre, camminare ed arrampicarci, a una modalità di “puntamento” dove designeremo un bersaglio specifico da aggredire e colpire in tutta similitudine rispetto ad AC dove, appunto, si passa da una modalità di corsa ad una modalità di combattimento. Una piccola nota di gameplay fatto di non poter puntare i “minions” ovvero i NPC di basso livello presenti nel gioco, i soldati semplici, insomma, il cui unico scopo designato è fare da carne da macello per i nostri avatar per raggiungere determinati obiettivi di gioco (far avanzare il nostro fronte e far arretrare il fonte nemico), per ricaricare abilità personali o per semplice sadica soddisfazione personale.
Quindi, tolti i minions da macellare con spensierata allegria, ci troveremo a puntare solo i soldati di più alto livello, ovvero quelli gestiti dagli altri giocatori o, in mancanza di questi, da una IA decisamente più aggressiva e agguerrita.
Ed è nella scelta della “guardia”, della “posta” che si impernia tutto il nucleo del gioco. L’aspetto principale di questo gameplay risiede, come dicevamo, infatti nel poter scegliere tre guardie differenti, una guardia alta che intercetta i colpi portati dall’alto, una guardia sinistra ed una guardia destra che intercettano rispettivamente i colpi portati lateralmente a destra e a sinistra; ed è principalmente qui che ruota tutta la meccanica di gameplay perché noi, in uno scontro 1 contro 1, dovremo cercare di intercettare l’esatta direzione dei fendenti che ci verranno scagliati contro cercando di prevedere, anticipare e gareggiare in riflessi contro il nostro oppositore.
Tutto qui.
Questa innovazione diciamo che tanto innovazione non è, un sistema del tutto simile lo si può trovare ad esempio nell’indie game War of the Roses, uscito nel 2013 e sostanzialmente con le stesse basi di For Honor, se si esclude un’ambientazione storicamente accurata e ricercata, una profondità di spirito maggiore, e un’esecuzione frenata però da un’inevitabile mancanza di mezzi, duelli all’arma bianca in multiplayer tra schiere di cavalieri con visuale in terza persona. Dove la dinamica dei duelli era determinata dal dover intercettare la direzione della lama dell’avversario muovendosi nella sua stessa direzione. Reso molto molto più complicato da un gioco dal tempismo più dinamico e con nessun tipo di sistema di “avviso” se non quello puramente visivo.
Quindi l’idea di dover intercettare la direzione dei colpi di spada non è nemmeno così nuova come si potrebbe pensare, ma sicuramente in questo gameplay viene resa in maniera dinamica e divertente.
Un’altra nota piacevole è che, partendo dal primissimo tutorial, si potrebbe essere indotti a pensare che il giochino di intercettare la direzione dei colpi sia estremamente semplificato, visto che la traiettoria del fendente ci viene indicata non solo dall’animazione, ma anche dal grosso h.u.d. centrale, i cui tre settori si coloreranno di rosso in corrispondenza della direzione del colpo; ecco, niente di tutto ciò – la velocità dei colpi del nostro avversario e la rapidità con cui potrebbe cambiare direzione – può rendere la sfida decisamente impegnativa, come è facilmente intuibile fin dalle primissime missioni di tutorial.
Questo si traduce, almeno da come si è visto nelle prime esperienze con le demo e le beta, ad esempio in una ricerca del puro attacco, nell’essere i primi a colpire, una situazione dinamica del tutto vicina a quella di uno scontro reale dove, mancando la capacità tecnica di intercettare o schivare i colpi (considerando comunque che è più semplice passare all’attacco che cercare di parare oltre un certo limite di tempo) si preferisce attaccare forsennatamente e con foga.
Ora, che questa modalità di gioco sia frutto solo dell’inesperienza dei giocatori nuovi a questo tipo di gameplay, e che magari in futuro un sistema di gioco più tecnico venga maggiormente impiegato e premiato non possiamo saperlo, ma sarà sicuramente un ottimo punto di partenza per dinamiche di gameplay più particolari e studiate.

L’arte della guerra

Un buon motivo per sperare per il meglio, da questo punto di vista, è il sistema di perks e talenti che è stato allestito attorno al gioco: ci riferiamo al così detto sistema “arte della guerra”, un sistema che, in teoria, dovrebbe permetterci di calibrare la potenza dei nostri colpi, la cadenza e la velocità, anche in merito a un preciso metodo di gioco (ad esempio difensivo, rispetto a uno offensivo.)
Staremo a vedere.
Bisogna ammettere che, a questo punto dell’esperienza di gioco, sia l’hype che l’effettivo divertimento tendono a salire parecchio: le prime esperienze beta, i primi scontri all’arma bianca contro un IA o un’altra persona reale dall’altra parte regalano un divertimento che da molto tempo non si provava, il cercare la tattica giusta, allenare l’occhio a prendere le misure dell’avversario, crearsi la propria build personale ottimizzando nella maniera più efficiente il proprio sistema di gioco, sono esperienze che al primo impatto possono ben definirsi esaltanti ma resta da vedere se dopo la fase di esaltazione iniziale rimanga qualcosa di solido. Penso che solo il tempo potrà dirlo.
Quello è un ottimo sistema di bilanciamento se possibile.
Per intenzioni e realizzazione, For Honor sembra non avere falle nelle sue ambizioni; se poi ci spostiamo su considerazioni meramente grafiche, non ci vengono riservate brutte sorprese nemmeno lì, anzi.
Il motore AnvilNext sembra dare il meglio di sé dopo le numerose esperienze, anche molto negative, con i precedenti AC, le animazioni sono assolutamente fluide e dinamiche, le texture nitide, l’environment e lo sviluppo dei modelli 3D è, ovviamente, tutto all’altezza di casa Ubisoft, forse una delle migliori software house dal punto di vista della creazione artistica di personaggi e ambienti virtuali. Certo il concept design (essendo anche l’idea alla base non proprio originale) non brilla per innovazioni, anzi, in molti punti fa proprio pesare una sensazione di già visto ma alla fine è, indubbiamente, un “già visto” come dio comanda e un assoluta gioia per gli occhi.
Unica nota possibile di scazzo per quanto riguarda il comparto tecnico possiamo farla su come alla Ubisoft abbiano deciso di strutturare il multiplayer, con un sistema di hosting server riservato esclusivamente ai giocatori, dispensando quindi mamma Ubisoft dal mettere a disposizione dei server per i suoi, si prospetta, numerosi giocatori, ma le partite saranno di volta in volta hostate dai giocatori, con tutte le crisi isteriche e l’ internet rage che è possibile prevedere e che fanno nascere seri, serissimi dubbi, sulla longevità del brand che la Ubisoft sta evidentemente cercando di creare.

Huzzah! Huzzah! Huzzah!

Tirando le somme For Honor sembra essere un gioco che vuole puntare dritto al sodo, senza perdersi per strada in obbiettivi che non intende evidentemente raggiungere e con l’onestà, bisogna dirlo, di non voler nemmeno fare finta di provarci o di voler abbindolare qualcuno. É un gioco di combattimento puro e semplice dove si chiede al giocatore semplicemente di godersi l’esperienza nel miglior modo possibile. Se è quello che cercate (e sono in molti a cercarlo) allora avrete il vostro gioco dell’anno.
E per il futuro magari non è detto che si possa evolvere in qualcosa di ancora più profondo al quale potervisici affezionare meglio.
In alto le spade e che il sangue scorra a fiumi allora, e speriamo che basti per sostenere il tutto.