Dusty Rooms: la saga di Thunder Force

Come abbiamo ribadito in molti altri nostri articoli, la retromania è in piena attività; molti titoli vengono riscoperti e sempre nuovi modi per giocarli, che riguardino nuovi hardware come le retroconsole, le console originali o altri discussi nella precedente rubrica, vengono proposti ai giocatori più nostalgici. Oggi, specialmente su Nintendo Switch e Steam, un vecchio genere videoludico sta tornando di moda e i più appassionati sperano ogni giorno nel ritorno delle loro saghe preferite, che siano sequel, remake o remastered: parliamo degli shoot ‘em up, uno dei generi più antichi del gaming e uno dei più iconici. Negli anni ‘80 e ’90, sia nelle arcade che a casa, titoli come Gradius, R-Type, 1943, Darius, Pulstar e molti altri erano sulla cresta dell’onda e appassionati e casual hanno sempre apprezzato questo genere per la sua natura avvincente e tosta difficoltà; nonostante il genere fosse in continua evoluzione (vedi l’avvento, più tardi, dei Bullet Hell) e continuavano a uscire titoli sempre più raffinati, come Radiant SilvergunEinhänder, Darius Gaiden, Ikaruga, Gradius V e R-Type Final, in occidente fu messo da parte poco per volta e molte nuove uscite furono riservate al giappone dove gli SHMUP (abbreviazione comunissima di “shoot ‘em up”) sono sopravvissuti nonostante il calo nelle arcade (che per loro non fu destabilizante). A oggi il genere è abbastanza in fermento grazie alle uscite indie, come Crimzon Clover: World Ignition e Super Hydorah, e ai colossi del genere, come CAVE , G.Rev e Treasure, che allietano gli appassionati con vecchie e nuove uscite, di questi tempi in tutto il mondo grazie a piattaforme come Steam, ma le sage storiche degli anni ’90, soprattutto Gradius e R-Type, sembrano in stallo.
Una delle saghe di cui si sente di più la mancanza, e una fra le più amate degli appassionati degli SHMUP, è certamente Thunder Force di Technosoft, un developer che regalò ai giocatori molti shooter come Herzog Zwei, Hyperduel e Blast Wind ma anche altri titoli come Devil’s Crush, che era un gioco pinball, e Nekketsu Oyako, un beat ‘em up; a ogni modo, Thunder Force era certamente il loro franchise di punta, una saga di titoli in grado di dettare legge sul fronte degli SHMUP e uno di quei tanti titoli della libreria del Sega Mega Drive/Genesis in grado di far voltare la testa ai possessori del Nintendo Entertainment System e persino Super Nintendo.

Le umili origini e il Mega Drive

Al contrario di ciò che si possa pensare, il primo Thunder Force uscì nel 1983 su molti computer giapponesi come lo Sharp X-1 e il NEC PC 8801, anni prima di Gradius e R-Type (cui, solitamente, vengono considerati gli innovatori del genere); nonostante il precoce arrivo sul mercato, il gioco era un semplice “top down shooter”, sulla scia di Bosconian e Sinistar ma con i bersagli in superfice come in Xevious (dunque ben lontano da ciò che il genere sarebbe diventato più in là), e l’obiettivo era volare nell’area di gioco, con la nostra navicella della federazione spaziale, per distruggere le basi dell’Impero Orn. Un po’ come Steet Fighter (l’omonimo titolo che diede il via alla nota saga picchiaduro), il primo Thunder Force non ebbe grande risonanza nel mondo degli shooter e ciò che avrebbe reso grande la saga Technosoft doveva ancora arrivare.
Quattro anni dopo arrivò il sequel Thunder Force II, prima sul (fantastico) computer giapponese Sharp X68000 e poi su Sega Mega Drive, dove in Nord America fu inserito nella linea dei titoli di lancio. L’arrivo sulla console 16-bit fu molto importante non solo perché la saga arrivò ai giocatori di oltreocenao ma anche perché Technosoft fu uno dei primi developer a firmare per Sega ed erano pronti a evidenziare tutte le grandi caratteristiche del Mega Drive. Il titolo introdusse tantissime novità che caratterizzarono la saga di fronte alla spietata concorrenza delle altre case videoludiche: gli stage top-down vennero affiancati da degli stage sidescroller tradizionali (alla Gradius), venne inserito il sistema di power up tipico della saga ma soprattutto il nuovo timbro caratteristico dell’audio e delle composizioni (su uno stile molto rock/metal) contribuì a dare al gioco una colonna sonora, per l’epoca, spaventosa. La strategia chiave del gioco, ma più precisamente di tutta la saga, si cela soprattutto nel tirar fuori le giuste armi nel momento più propizio: come ogni SHMUP che si rispetti, in Thunder Force II bisogna collezionare i power up in volo ma, a differenza di molti altri titoli simili, tutti rimangono disponibili al giocatore ed è dunque possibile riselezionarli, durante il gameplay, a seconda della situazione che ci viene posta davanti; ogni arma, che variano a seconda del tipo di gameplay, ha i suoi pregi e difetti e pertanto conoscere ogni singolo power up (e dunque icona del gioco) è essenziale per gestire ogni tipo di situazione anche perché, se verremo colpiti, perderemo ogni power up collezionato ripartendo col pattern d’attacco base. Le due versioni sono semi-identiche ma preferire l’una o l’altra è questione di gusti personali: la versione per Sharp X68000 ha una grafica migliore, delle cutscene di presentazione, qualche power up in più e alcune clip vocali tagliate dalla versione per Mega Drive (come la famosa: «Shit!»); la seconda presenta degli stage sidescroller più ampi in larghezza, qualche arma esclusiva, una difficoltà più abbordabile e, a oggi, è possibile reperirlo con più facilità. Dopo un inizio un po’ sottotono il nuovo titolo della Technosoft era decisamente più definito e l’occidente accolse più che positivamente Thunder Force II (seppur nessuno giocò mai al primo titolo) rimanendo affamato per un nuovo titolo.

Thunder Force III e l’arrivo nelle arcade

Nel 1990 arriva Thunder Force III e anche questo, come il predecessore, porta diverse novità: ci fu un grosso miglioramento sul fronte del comparto grafico, quando si perde una vita viene perso solamente il power up che si stava usando al momento dell’esplosione, è possibile cambiare la velocità della navetta durante il gameplay e, il più importante, i livelli top-down vengono soppiantati definitivamente in favore di dei livelli sidescroller eccellenti.
Il successo di Thunder Force III, sempre fortemente caratterizzato dalle “sonorità Technosoft”, fu tale da ricevere un porting per il mercato arcade che prese il nome di “Thunder Force AC”, il primo titolo della compagnia per le sale giochi. Questo titolo era più o meno un porting della versione per Mega Drive ma furono cambiate alcune cose come l’interfaccia grafica per la selezione dei power up e i punteggi (che adesso si trovavano in basso) e due stage che furono ridisegnati e accompagnati da nuovi brani; Thunder Force AC uscì più in là per Super Nintendo con il nome di Thunder Spirits ma il porting che ne uscì fu problematico e certamente non all’altezza né del cabinato né dell’originale per Mega Drive. Il gioco soffriva di rallentamenti quando le schermate erano troppo “affollate” (chiamarli cali di framerate è errato per questo tipo di console) e, nonostante il superiore chip sonoro, non riuscì a restituire le sonorità tipiche della saga; titoli come questo confermarono con più decisione che lo SNES era, sì, una macchina superiore al Mega Drive ma il suo processore (più lento rispetto alla concorrenza) non riusciva a restituire l’azione frenetica tipica degli SHMUP e pertanto la console Sega ne ospitò diversi, uno più bello dell’altro. La migliore versione casalinga è indubbiamente quella per Mega Drive e Thunder Force III rimane a oggi uno dei migliori shoot ‘em up per il sistema.

L’eccellenza di Thunder Force IV

Thunder Force IV, rilasciato nel 1992, perfezionò un concept già eccellente di suo, portando il Sega Mega Drive, per cui ne era esclusivo, al limite delle sue capacità. Gli sviluppatori trassero il massimo sia in termini di potenza, mantenendo un azione sempre al massimo della velocità, che in termini di qualità grafica grazie a un ingegnosissimo uso dei diversi layer di scorrimento della console Sega, dando una sensazione di profondità come pochi altri titoli per i tempi; inoltre, Thunder Force IV fu uno dei pochissimi titoli del Mega Drive a essere ottimizzato per il 50Hz, il che significa che la versione PAL non solo girava a 60HZ, come un gioco NTSC, ma non aveva neppure le bande nere al di sopra e al di sotto dello schermo. I tre compositori della colonna sonora (Toshiharu Yamanishi, Takeshi Yoshida e Naosuke Arai) composero ben oltre un’ora e mezza di musica, sempre dalle sonorità rock, metal, jazz e fusion, e si avvalsero non solo del chip FM, tipico del Mega Drive, ma anche del chip PSG che era presente all’interno della macchina per permettere la compatibilità con i titoli per Master System; il risultato che ne uscì fu semplicemente strabiliante!
Thunder Force IV non fu un gioco soltanto un gioco impressionante in termini di potenza ma anche in termini di gameplay, in quanto presenta, probabilmente, i livelli più belli della serie e una nuova arma che si ottiene dopo il livello 5, e anche in termini di storytelling in quanto la scena finale lasciò i fan della saga nel dubbio più totale in quanto non si capì esattamente cosa successe al Rynex, la nave pilotata dai giocatori, al termine della cutscene di chiusura. Secondo molti, anche tenendo conto delle specifiche dell’hardware e delle tecniche utilizzate per svilupparlo, questo titolo rappresenta il punto più alto della serie; l’unica pecca di questo gioco, circoscritta solamente per il mercato Nord Americano, è il cambio del titolo in Lightening Force: Quest for the Darkstar, scritto per altro con un errore ortografico (la grafia corretta è “lightning“), e perciò, nonostante le ottime recensioni e riscontri nei negozi, pochi fan sapevano che questo titolo era in realtà il sequel di Thunder Force III.

Il salto al 3D

Con l’arrivo del Sega Saturn, prima di rilasciare il successivo episodio della saga, Technosoft decise di rilasciare nel 1996, in Giappone, una bellissima collezione, divisa in due volumi, contenente tutti i titoli della serie (escluso il primo): Thunder Force Gold Pack 1 conteneva Thunder Force II e III, mentre il Gold Pack 2 conteneva Thunder Force AC e VI. Il nuovo Thunder Force V, uscito nel 1997 per la console 32-bit di Sega, fu il più profondo in termini di storyline: il Rynex vagò per secoli nello spazio in condizioni critiche e fu trovato da dei terrestri che ripresero il controllo della nave grazie a un’intelligenza artificiale sulla luna che, più avanti, si sarebbe ribellata e avrebbe dichiarato guerra alla terra. In termini di gameplay fu introdotta una bellissima nuova arma chiamata “Free Range” e la possibilità di mandare il propri power up in “over weapon”, rendendoli temporaneamente più potenti ed efficaci rispetto alla loro forma base. La maggior parte degli elementi sullo schermo, soprattutto la nave pilotata e i nemici, furono resi in 3D ma il gioco mantenne il suo stile 2D e ciò lo rese impopolare di fronte al nuovo scenario videoludico più interessato in giochi esplorabili in tre dimensioni; neppure la versione per la più popolare Sony PlayStation, rilasciata l’anno successivo in tutto il mondo, sembrò attecchire con i fan, specialmente con i più casual di cui solitamente la saga riusciva ad attrarre facilmente a sé.
Thunder Force V è un titolo a ogni modo solidissimo e la sua colonna sonora è fra le più spettacolari della sua saga, specialmente grazie supporto ottico che permise una qualità audio nettamente superiore ai chip sonori delle console della vecchia generazione. Anche qui, come un po’ per Thunder Force II, scegliere l’una o l’altra versione è questione di gusti: la versione per Sega Saturn (uscita solo in giappone) ha la migliore grafica, migliori effetti grafici e qualità sonora mentre quella per PlayStation, seppur soffre nei comparti in cui la concorrenza è migliore, ha un miglior rendering dei filmati, effetti sonori più complessi, modalità di gioco, artwork e easter egg aggiuntivi e può vantarsi di meno cali di framerate.

Un ritorno sottotono e tardivo

Un sesto Thunder Force era in programma per il Sega Dreamcast ma con il fallimento della console il progetto fu scartato; tuttavia, nonostante non esista uno screen di questo progetto, la colonna sonora fu rilasciata con il nome di Broken Thunder.
A ogni modo, Technosoft si tirò fuori dall’industria videoludica e chiuse i battenti nel 2001 reincarnandosi nella società “Twenty-one company” che si occupa di ricerca e sviluppo e detiene i diritti delle loro IP; Sega riuscì ad acquisire i diritti per Thunder Force VI e in seguito fu sviluppato per PlayStation 2 e rilasciato esclusivamente in Giappone nel 2010. Nonostante contenesse numerosi riferimenti ai vecchi titoli, Il gioco, che uscì abbastanza tardi per essere un gioco della generazione dei 128-bit, fu ampiamente criticato per la facilità generale del gioco, dal momento che il giocatore aveva accesso a tutte le armi sin dall’inizio, per la mitezza degli stage e dei movimenti della telecamera poco curati. Il rilascio per una console considerata obsoleta e circoscritta al Giappone non aiutò la serie a riemergere dal dimenticatoio.

Nuovi propositi

Dopo questa breve riapparizione della saga, Sega ha annunciato nel 2016 di aver comprato le IP della Technosoft dalla Twenty-one company e perciò possono sviluppare le loro IP per dei futuri progetti; quello stesso anno Thunder Force III prese parte all’ultima parte di Sega 3D Classic Collection per Nintendo 3DS ma di recente, esattamente lo scorso aprile, hanno annunciato che Thunder Force IV sarà parte della collana Sega AGES per Nintendo Switch. Visti dunque gli ultimi risvolti, avremo presto un Thunder Force VII?
Beh, noi non lo sappiamo (e forse non è ancora il momento) ma vi possiamo dire con certezza che se c’è un momento per recuperare questa fantastica serie shoot ‘em up è proprio adesso. Ogni titolo di questa saga contiene sempre il giusto equilibrio fra azione e difficoltà e pertanto è una serie adatta sia ai veterani che ai neofiti del genere. Se volete affacciarvi al panorama SHMUP i giochi Thunder Force (specialmente il terzo e il quarto) rappresentano un ottimo punto di partenza e vi offriranno una sfida che, al giorno d’oggi, è semplicemente assente.




Sega History

Come Nintendo, le radici di Sega si pongono in un epoca pre-gaming. Contrariamente a quanto si possa pensare, Sega era all’inizio una compagnia americana: fu fondata negli anni ’50 a Honolulu e il suo obbiettivo era provvedere all’intrattenimento dei militari dell’esercito americano. I loro prodotti principali erano slot machine, cabine fotografiche ma soprattutto giochi elettromeccanici. In uno scenario in cui ancora i videogiochi su schermo non esistevano Sega, negli anni ’60, produsse Periscope, un gioco elettromeccanico considerato da molti un pilastro sul quale si sarebbe costruita intorno l’intera scena arcade. Periscope, insieme ad altri titoli come Duck Hunt e Missile, attrassero l’interesse di un gruppo di investitori giapponesi che presto investirono nella compagnia e comprarono grossa parte degli asset.

L’era arcade e il Master System

Arrivano gli anni 80 e si assiste al boom delle arcade e di Atari nel mercato casalingo. Sega, visto il successo con i giochi elettromeccanici, decide di entrare nel mercato dei giochi elettronici, e comincia rilasciare i suoi primi giochi quali Head On, Monaco Gp, Zaxxon e Pengo che si rivelano, sia nelle arcade che nelle console casalinghe, dei veri successi commerciali. Sega, sin dagli inizi, dimostrò di essere una vera e propria pioniera dell’innovazione: in un periodo in cui Pac Man, Centipede e Galaga spopolavano, Sega era già all’opera con gli scaling, in Buck Rogers: Planet of Zoom, e persino con i Laserdisc, anticipando l’uscita di Dragon’s Lair con Astron Belt in tutto il mondo (tranne negli Stati Uniti, dove il popolarissimo gioco con i disegni di Don Bluth arrivò per primo). L’investimento sui videogiochi si rivelò vincente, ma il mercato, come crebbe a dismisura in pochi anni, crollò improvvisamente; la crisi dei videogame del 1983 prese piede ma Sega, nonostante alcuni dipendenti se ne tirassero fuori, decise di sfruttare la propria popolarità nell’arcade per rilanciare il mercato dei videogiochi. L’impresa non era assurda: i cabinati Sega andavano fortissimo nelle sale arcade e i loro giochi erano anche molto popolari nel mercato casalingo, ma purtroppo un gigante sfruttava una popolarità ben più grande di quella loro. Nintendo cavalcava infatti l’onda del successo con Donkey Kong dal 1981, e il lancio del Famicom nel 15 Luglio del 1983 in Giappone oscurò del tutto il lanciò del Sega l’SG-1000, lanciato lo stesso esatto giorno. Il Sega SG-1000 era un sistema valido ma semplicemente era una console che non poteva minimamente competere col Famicom: la console era molto simile al Colecovision, più vecchia della controparte Nintendo, e ovviamente presentava caratteristiche più datate, come il sonoro del Texas Instrument SN76489 e l’incapacità di produrre uno scrolling fluido come poi Super Mario Bros. dimostrò. Dopo alcuni restyling con i SG-1000 II e SC-3000, quest’ultimo un vero e proprio computer, Sega capì che non poteva competere contro Nintendo con un sistema inferiore, così la compagnia aggiornò l’hardware della propra console definitivamente e, nel 1985, rilasciò finalmente il Sega SG-1000 Mark III, ovvero il Master System prima in Giappone e poi, l’anno successivo, nel resto del mondo. Il Mark III offriva una CPU, GPU e RAM migliori del modello precedente e ciò significava ben 32 colori visualizzabili da una palette di 64 e un’azione più veloce su schermo; tuttavia la console fu azzoppata drasticamente dal suo chip sonoro che rimase lo stesso per garantire la compatibilità dei giochi del vecchio catalogo in Giappone. Sega, più in là, solo in Giappone, rilasciò l’add-on FM Sound Unit che offriva al giocatore un range di suoni superiori al chip sonoro di base, dunque un suono ben superiore alla controparte Nintendo. La console Sega offriva un catalogo di giochi veramente interessante come Alex Kidd, Wonder Boy, Phantasy Star, Operation Wolf, ma ritagliarsi una fetta in quel mercato dominato da Nintendo era un impresa ardua; in Nord America Nintendo, firmando con le case produttive americane, si assicurava anche l’esclusiva per la propria console lasciando dunque il Master System con i soli Activision e Parker Brothers. La morsa di Nintendo sul mercato nordamericano spinse Sega a puntare su altri continenti, come l’Europa e il Sud America, dove riuscì addirittura a superare il Nes; specialmente in Brasile, il Master System divenne sinonimo di videogioco, e Tec Toy, la compagnia dietro la distribuzione della console, produce tuttoggi la console Sega vendendo approssimativamente circa 100.000 console l’anno. I propositi per una nuova console c’erano e fu su queste conquiste che Sega decise di lanciare una console in grado di superare Nintendo una volta e per tutte.

The peak of popularity

Come già scritto in La Grande Guerra: Sega Genesis vs Super Nintendo, Sega lanciò così nel 1989 il Sega Mega Drive (o Genesis in Nord America), hardware basato sul sistema arcade Sega System 16; in questo modo Sega riuscì a ottenere un vero e proprio vantaggio contro Nintendo. Il nuovo sistema prometteva una grafica superiore al Nes, un migliore sonoro ottenuto dalla sintesi FM, e una giocabilità comparabile alla qualità arcade. Questa fu la prima strategia adottata da Sega per vendere il suo Genesis: portare i titoli da sala giochi a casa e superare il muro che separava il mercato casalingo dal mercato arcade. La strategia all’inizio sembrò andar bene, spinta anche dal fatto che la console, al lancio, fu venduta in bundle con Altered Beast, un gioco arcade niente male e in grado di sottolineare la differenza fra il Nes e il Genesis. Tuttavia i giocatori non erano ancora convinti della nuova macchina a 16 bit di Sega: l’uscita di Super Mario Bros. 3 fece capire a Sega come i giocatori fossero ancora attratti dall’ormai vecchio Nes e, anche se le arcade erano ancora il punto di riferimento tecnologico per la comparazione degli hardware, questi non servivano a nulla se un gioco casalingo, seppur con una grafica mediocre, si rivelava divertente e adatto alle case. Tuttavia, già a questo punto, il Genesis aveva comunque una solida fanbase: nonostante Super Mario fosse insuperabile in casa propria (Giappone), non si può negare che la linea di titoli iniziale del Genesis era comunque competitiva. Non dimentichiamo anche che molte third parties cominciavano a interessarsi alla nuova console Sega per via delle sue caratteristiche superiori e in cerca di nuovi accordi commerciali meno rigidi di quelli di Nintendo; già nel 1989 Capcom mise sulla nuova piattaforma Sega il suo Ghouls ’n Ghosts, sequel di Ghost and Goblin, sorprendendosi della facilità di programmazione sulla console, di quanto fosse bello sviluppare per unmercato casalingo di giochi così simili alle arcade e compiacendosi perciò di quanto fosse buono il loro nuovo accordo con Sega. Il coinvolgimento di molte celebrità sportive, come il pugile James “Buster” Douglas, il giocatore di football Joe Montana, il golfista Arnold Palmer, aveva già attirato a sé una fascia poco considerata nella vita del Nes, ovvero gli appassionati dei giochi sportivi, e sottolineò come il Genesis potesse puntare a una fascia di pubblico più adulta. Michael Jackson: Moonwalker fu uno dei titoli più discussi e diede al Genesis una attitude che la console mantenne per tutto il suo ciclo vitale. La discussione sulla qualità della libreria di titoli rispetto alla concorrente giaceva spesso su un punto morto: il Genesis aveva 16 bit, il Nes solo 8. Con l’assunzione di Tom Kalinske nel 1990 come CEO di Sega of America furono lanciate in TV delle nuove pubblicità aggressive e dirette a Nintendo che miravano a sottolineare l’arretratezza tecnologica del Nes. Il nuovo slogan «Genesis does what Nintendon’t» parlava chiaro e la console si aprì verso quella fascia di pubblico cresciuta sì col Nes, ma che ormai era grande e andava al liceo. Il Genesis poteva dar loro giochi sportivi, giochi d’azione, giochi puzzle, porting dei giochi presenti in arcade, in poche parole giochi adatti alla loro personalità. L’ultima cosa che mancava era una mascotte in grado di poter competere con Mario, icona dei videogiochi e che sembrava essere imbattibile. Kalinske aveva bisogno di un personaggio non solo carismatico ma che rappresentasse anche la cultura giovanile dei tempi e che potesse dare a Nintendo il colpo di grazia. In Giappone Yuji Naka, ispirato dalla propria capacità di completare ripetutamente e velocemente il primo livello di Super Mario Bros, voleva creare un gioco veloce, pieno di azione e mozzafiato. Il personaggio di questo gioco sarebbe stato destinato a diventare la nuova mascotte Sega e, dopo tante bozze, la scelta cadde su un insolito porcospino: gli fu dato un bel colore blu cobalto, una schiena spinosa che si rifacesse le capigliature mohawk in voga in quegli anni, delle scarpette rosse in contrasto con il blu e soprattutto un caratterino frizzante e “figo”. Sonic The Hedgehog incorporò tutti questi aspetti già dal primo titolo, che fu subito messo in bundle con la console: il suo arrivo sul mercato scosse il mondo. Il nuovo bundle del 1991, lanciato  con un price drop visto che la console era già sul mercato da due anni, fu un successo strepitoso e il cammino di Sonic verso la gloria era solo all’inizio. In questo contesto, Nintendo rilasciò il Super Nintendo in bundle con Super Mario World e, anche se non ebbe il successo sperato e molti giocatori erano in favore di Sega, Kalinske sapeva di avere la console più debole, e non voleva assolutamente che il Sega Genesis si rivelasse un fuoco di paglia; così corse ai ripari e tentò di capire come vendere la propria console nonostante concorresse con un’altra più potente. Si decise di far leva sull’unico vero punto a favore del Genesis contro lo Snes, un punto non da poco: il processore di 7.6 MHz contro quello di 3.7MHz dello Snes, e su questo fu costruita tutta la nuova campagna pubblicitaria di Sega. Le nuove pubblicità parlavano di un fantomatico “blast processing”: non era altro che un modo per sottolineare la più rapida velocità di calcolo del Sega Genesis, ma fu una parola così “cool”, studiata appositamente per essere utilizzata fra i giovani durante i dibattiti sulla console migliore senza necessariamente puntare sui fatti matematici, che funzionò. La pubblicità ebbe successo e servì non solo a infuocare il dibattito, ma anche a infuocare la competizione fra le due compagnie, intente a dare il massimo. Nel Gennaio del 1992 ,Sega aveva in mano il 65% del mercato dei videogiochi: per la prima volta Nintendo non era più sovrana del mercato videoludico ma questo servì alla grande N per ripensarsi e prepararsi a stracciare la competizione. Sega, per portarsi un passo avanti, seguì le orme del PC Engine di Nec e, dopo qualche anno sul mercato, lanciò un add-on per i Compact Disc: l’avvento del Sega CD, o Mega CD nel resto del mondo, avrebbe dovuto eclissare una volta e per tutte lo SNES grazie alla capacità superiore del compact disc che poteva offrire ai giocatori dei giochi più grandi e una qualità audio insuperabile. Tuttavia le grosse capacità del Sega CD non furono mai sfruttate veramente al massimo e quello che fu lanciato su Sega CD furono titoli mediocri, punta e clicca da PC (che storicamente non si sono mai adattati veramente bene alle console) e giochi le cui scene in full motion video non finivano mai. Tutto questo, commisto al prezzo addirittura superiore al modello base del Sega Genesis, comportò che il Sega CD vendette solamente 2.24 milioni di unità in tutto il mondo fino al 1996, ma questo fu solo l’inizio per i guai di Sega. Durante questo periodo, la casa nipponica si diede la proverbiale “zappa sui piedi” lanciando il suo ultimo add-on per il Sega Genesis, ovvero il 32X. Questa periferica era solamente un add-on che leggeva delle cartucce più avanzate con grafica a 32 bit e con un processore aggiuntivo; la scelta delle cartucce sembrò essere un passo indietro dopo la spavalda promozione dei CD ma il vero problema fu lanciare il 32X a pochi mesi dal lancio del Sega Saturn, la console Sega per la nuova generazione e già lanciata in Giappone. Persino i fan più sfegatati di Sega decisero che era meglio aspettare la nuova console Sega e lasciare il 32X da parte e così questa periferica, di cui rivenditori dovevano liberarsi per l’arrivo del Saturn, finì per essere svenduta a 20 dollari nel cesto delle offerte; per Sega questo non fu solamente un errore ma anche un vero e proprio motivo di vergogna.

Una console poco convincente

Tuttavia si dice: «anno nuovo vita nuova». Il lancio del Saturn doveva rappresentare un vero e proprio ritorno alla gloria; stessa gloria avuta agli inizi del Sega Genesis e anche al modesto successo del Game Gear, console portatile di Sega lanciata nel 1991 che, fra grossi pregi e qualche difetto (vedi un consumo di batterie molto rapido), offriva ai giocatori una validissima alternativa al Game Boy di Nintendo. Verso la fine del 1994 arrivarono ottime notizie dal Sol Levante: Saturn aveva esaurito le 200.000 unità del lancio al day one, continuando fino a 500.000 unità vendute a Natale per poi arrivare al milione dopo sei mesi; il Sega Mega Drive in Giappone fece solamente 400.000 unità durante solamente il suo primo anno, rimanendo poi in tutta la sua lifespan terza nel mercato 16 bit nipponico (lì, fra Snes e Mega Drive, il PC-Engine di Nec era incredibilmente popolare). Il successo del Saturn era dovuto principalmente alle code interminabili dietro Virtua Fighter nelle arcade, il primo gioco picchiaduro interamente in 3D, e che gettò le basi per altri titoli picchiaduro come Tekken e Dead or Alive. Si potè dire, senza se e senza ma, che in Giappone il lancio fu un vero successo.
Negli Stati Uniti il discorso era ben diverso, in quanto Sega non solo si sarebbe buttata in una competizione infuocata, ma per giunta in un momento di mercato in cui una sua console 32bit era stata lanciata prima del Saturn. Per ottenere un vantaggio sulla neonata Playstation di Sony, Tom Kalinske, dopo la presentazione del Saturn americano durante l’E3 del ’95, lanciò a sorpresa la console annunciando che Saturn era già disponibile nelle catene di Toys “R” us, Babbage’s, Electronic Boutique e Software ETC. Una mossa apparentemente astuta se non fosse stato che, negli Stati Uniti, tante altre catene di distribuzione vendevano i prodotti Sega finendo per escludere le famosissime catene Wallmart e Best Buy; Sega Saturn, pur riscuotendo un buon successo iniziale, risultò dunque difficile da reperire ìm e senza la stessa line-up di titoli giapponesi: negli Stati Uniti arrivarono infatti solamente Virtua Fighter, che con l’uscita di Tekken nelle Arcade perse l’interesse dei giocatori, Daytona USA, che andava abbastanza forte ma che ebbe un port su Saturn visibilmente carente, Pebble Beach Golf Links e Worldwide Soccer: Sega International Victory Goal Edition, due titoli sportivi basati su due sport per nulla giovanili, e infine Clockwork Knight e Panzer Dragoon Saga, unici giochi che avrebbero potuto attrarre il giocatore medio. Nonostante le terribili aspettative, Saturn registrò un iniziale successo, ma i rapporti fra Kalinske e i dirigenti di Sega of Japan non erano più floridi; così Kalinske, l’uomo che portò Sega a ottenere il 65% di market share negli Stati Uniti, lasciò la compagnia in favore di Bernie Stolar. Stolar inizialmente riuscì a ottenere l’esclusività temporale di alcuni titoli ma, non appena questa scadeva, le versioni per Playstation uscivano velocemente e riscuotevano un successo maggiore. Stolar aveva anche notato quale fosse la difficoltà che gli sviluppatori riscontravano quando lavoravano su un qualsiasi titolo: è parere comune dire che il Saturn fosseuna console più tendente al 2D ma, contrariamente a ciò che si può pensare, Sega aveva consegnato una console addirittura più potente della Playstation, con ben 8 processori di cui 2 principali Hitachi da 28.6 MHz che potevano mostrare ben 800.000 poligoni quadrati (a differenza della controparte cui erano triangolari), RAM espandibile fino a 4MB, qualità delle texture e risoluzione video maggiore; tutto ciò veniva però mal utilizzato in quanto molti degli sviluppatori evitavano l’uso del secondo processore principale e dunque ciò generava port azzoppati e una qualità complessivamente inferiore rispetto la controparte Sony; pensate che ancora oggi esistono dibattiti riguardo l’esistenza degli effetti di trasparenza sul Saturn! Ad ogni modo, la console Sega venne piano piano eclissata dalla console Sony, e Saturn, in assenza di una vera killer app, finì per essere messa da parte, persino da Stolar stesso, il quale, all’E3 del 1997, annunciò che il Saturn «non era più il futuro di Sega».
Al di là dei problemi riguardanti lo sviluppo, i problemi di marketing in Occidente erano evidenti in quanto la console era promossa con pubblicità insulse. Non venne inoltre mai consegnato un vero titolo di Sonic che tutti aspettavano, e nulla di ciò che veniva pubblicizzato sembrava attecchire nell’animo dei giocatori; in Giappone, dove la console rimase competitiva e supportata dagli sviluppatori fino al 2000, il marketing era molto curato e le pubblicità della nuova mascotte Segata Sanshiro aiutarono il Saturn a rimanere rilevante durante questo periodo buio; negli Stati Uniti, per evitare il disastro totale, sempre in questo periodo Stolar si assicurò di portare numerosi titoli Sega su PC. In molti diedero la colpa a Bernie Stolar in quanto molti dei giochi del Saturn rimasero esclusive giapponesi (ben l’80% dei giochi non uscirono dalla terra natia) e i fan di oltremare poterono godere di una libreria di titoli non all’altezza della corrispondente nipponica, o furono costretti a comprare i giochi dal Giappone con spese di spedizione da capogiro. La libreria di giochi del Saturn, specialmente quella giapponese, era comunque una libreria veramente varia e giochi come Nights… into Dreams, Guardian Heroes, Shining Force 3, Saturn Bomberman, Panzer Dragoon Saga o Radiant Silvergun hanno oggi ricevuto un cult following senza precedenti. Purtroppo il tutto era aggravato dalla tendenza della grafica 3D e, anche se molti dei giochi 2D del Saturn eranoeccellenti, molti dei titoli rimasti in Giappone non potevano semplicemente competere in un mercato i cui clienti richiedevano principalmente giochi 3D, a differenza del Giappone dove il divario grafico non era così attenzionato. Stolar, per quanto la sua mossa di abbandonare Saturn fu e continua a essere vista oggi da molti come una scelta sbagliata, si sentì costretto ad abbandonare la console per riuscire ad appellarsi a un pubblico più ampio e tenere la compagnia a galla; a quel punto, Sega, le cui finanze non erano nel momento migliore, dovette immediatamente cambiare strategia di mercato e lanciare non solo una nuova console ma rilanciare la propria immagine che nel tempo si era opacizzata, e soprattutto doveva riguadagnare il rispetto che i fan le riservavano ai tempi del Mega Drive.

La luce in fondo al tunnel

All’E3 del 1998 Sega presentò a porte chiuse ciò che venne annunciato come Katana, e i giornalisti e gli sviluppatori invitati alla presentazione dovettero firmare un accordo per non parlare, nei mesi successivi, di ciò che avevano visto in quella stanza. A tempo debito qualcuno scrisse del Dreamcast e i propositi riguardo questa nuova console sembravano eccellenti: grafica mai vista, avanti anni luce rispetto alla Playstation di Sony e al Nintendo 64, e giocabilità senza precedenti. Il design di questa nuova console, di colore bianco e dal controller con 4 tasti frontali e due grilletti dorsali, serviva a tagliare definitivamente col passato e a dichiarare ad alta voce che si era dinanzi a un nuovo inizio. Nel tardo 1998, Dreamcast arrivò in Giappone e, nonostante la sparuta linea dei titoli di lancio, Sega esaurì le scorte in un giorno; negli Stati Uniti invece i fan erano affamati di una nuova console Sega e i preordini del Dreamcast, previsto per il 9 Settembre 1999 per 199.99 dollari (9/9/99 199,99, numeri da far sbizzarrire ogni appassionato di Cabala), superarono addirittura quelli della Playstation al lancio. Dreamcast avrebbe inoltre lanciato il multiplayer online su larga scala, ai tempi esclusivo appannaggio dei giocatori su PC, includendo un modem di 56k attaccato a Dreamcast e una linea di titoli di lancio era più numerosa rispetto a quella giapponese; le premesse per un successo c’erano tutte e il Dreamcast riuscì a ottenere in effetti un inizio spettacolare. Dreamcast ha potuto godere di una delle linee di lancio più belle mai viste nella storia dei videogiochi: i giocatori americani ebbero a loro disposizione titoli come Sonic Adventure, Soul Calibur, Blue Stinger, Ready 2 Rumble Boxing e più in là avrebbero visto alcuni dei più bei giochi di sempre in una console come Jet Set Radio, Resident Evil: Code Veronica, Phantasy Star Online, Shenmue e tantissimi altri. Sega non aveva più l’accordo d’esclusiva con EA per i giochi di sport come durante i primi anni del Saturn, poiché Sega non riuscì a soddisfare le vendite previste per i loro titoli; Dreamcast, tramite il publisher in house Sega Sport, diede il via alla famosa linea di giochi 2K insieme alla Visual Concepts, linea che ancora vive tuttoggi sotto le licenze NHL, NFL, NBA e persino WWE; questi titoli, dal gameplay semplice e accessibile, fecero avvicinare in anche molti casual gamer e Dreamcast, specialmente all’inizio, ebbe un ottimo impatto sia sui giocatori hardcore sia sui casual. Tuttavia, dopo un lancio che sembrava rischiarire il futuro di Sega, Dreamcast si trovò di fronte a tre principali problemi: un marketing ancora non all’altezza, la pirateria e l’imminente lancio di Playstation 2. Dopo il lancio di Dreamcast, le pubblicità in televisione di Sega, sia in America che in Europa, erano pochissime e poco frequenti, e il grosso pubblico rimase in gran parte inconsapevole dell’uscita di questa meravigliosa console; insieme a pochissimi casi isolati, l’unico grande investimento pubblicitario di Sega, specialmente in Europa, fu il concedere lo sponsor a una squadra calcistiche di Serie A, la Sampdoria, una della Premier League, l’Arsenal, una di Liga, il Deportivo de La Coruna, e una della francese Ligue 1, AS Saint-Étienne. Sega si trovò inoltre impreparata di fronte alle copie dei giochi pirata che cominciavano a imperversare dappertutto: essenzialmente, a differenza del Saturn che aveva un sistema di protezione reale, il Dreamcast si cullava esclusivamente sul media esclusivo della console, ovvero il GD, che a differenza del CD poteva contenere 1GB di memoria. Il media era sì introvabile nei negozi a differenza dei CD ma, con l’avanzare della tecnologia dei masterizzatori, le immagini da 1GB dei dischi Dreamcast potevano essere compresse in un normale CD in overburn (ovvero “stringendo” il più possibile la scrittura del disco e far sì che l’immagine entrasse tutta in un disco di 700MB) e Dreamcast era in grado di leggere questi dischi senza nemmeno l’ausilio di un boot disc. In pratica, se si aveva un computer con un buon masterizzatore e anche una buona connessione per scaricare le immagini dei dischi si poteva accedere all’intera libreria del Dreamcast con il minimo sforzo e in maniera del tutto gratuita, senza contare che molti dei pirati aprivano vere e proprie attività in nero basate sulla vendita dei dischi copiati e backup. Dunque, non solo a Sega non arrivavano introiti dalle vendite sia hardware, per la povera pubblicità, che software, per via della pirateria, ma le cose per Dreamcast stavano per mettersi malissimo: nel 1999 Sony annunciò la nuova Playstation 2, console che non solo era tecnicamente superiore a Dreamcast, ma che utilizzava un media ben superiore al GD, ovvero il DVD che di lì a poco avrebbe gettato le basi persino per il mercato home-video. Dreamcast si trovò in pochissimo tempo ad avere i giorni contati e l’unica cosa che Sega poteva sperare era che i fan supportassero la loro console inferiore di fronte al mostro Sony, cosa che in fondo era successa col Mega Drive per il Super Nintendo; il supporto dei fan c’era, ma non era tale da supportare la console di fronte a un mercato ormai del tutto diverso. Inoltre lanciare un add-on per i DVD, come alcuni oggi ribadiscono, sarebbe semplicemente stato ridicolo dopo quanto successo con Sega CD e 32X, dunque una periferica esterna costruita per salvare il Dreamcast era fuori discussione.

Sega si ritirò dal mercato hardware nel 2001 ma i giochi in Nord America e Europa continuarono a uscire ufficialmente fino al 2002, e in Giappone addirittura fino al 2007. In realtà l’avventura di Dreamcast si può ancora dire non conclusa: infatti diversi sviluppatori, come i tedeschi NG.DEV.TEAM, continuano tuttora a rilasciare giochi per l’ormai defunta Dreamcast; l’ultimo titolo per Dreamcast (anche se non ufficiale) è a oggi NEO XYX, uscito nel 2014. Su Dreamcast Sega puntò tutto quello che aveva, sperando fosse la console che avrebbe portato la casa nipponica in auge ancora una volta: nonostante tutti i buoni propositi e un lancio strepitoso, la console divenne il canto del cigno ma Dreamcast è a oggi ricordata come una delle console più belle mai realizzate.     

Il nuovo volto di Sega

Finita dunque l’avventura nel mercato hardware, Sega pose la sua nuova identità come publisher. Inizialmente l’idea era quella di proporre a Microsoft – visto che era stata realizzata la versione per Dreamcast di Windows CE per navigare in internet – di rendere compatibile la loro macchina d’imminente uscita, la Xbox, con i giochi del Sega Dreamcast ma l’idea fu scartata; tuttavia Microsoft annunciò al Tokio Game Show del 2001 un accordo che vedeva ben 11 esclusive Sega per la nuova console Microsoft quali Panzer Dragoon Orta, Jet Set Radio Future, Sega GT, Shenmue II (che negli Stati Uniti non arrivò ai tempi del Dreamcast) e molti altri. Sega strinse inoltre ottimi rapporti con Nintendo, assicurando più in là alcune esclusive per Gamecube e l’unione con quest’ultima e Namco per la creazione del sistema arcade Triforce che diede i natali a F-Zero AX, Mario Kart Arcade GP e Mario Kart Arcade GP 2. La grande S a oggi non vuole solamente essere l’ombra di ciò che era un tempo: infatti, anche dopo la fine di Dreamcast, Sega si è messa all’opera per la creazione di tante nuove IP come Yakuza, Super Monkey Ball, Vanquish, Valkyria Chronicles, o come publisher per giochi come Hell Yeah! Wrath of the Dead Rabbit, Football Manager e molte altre. A oggi Sega è in perfetta salute finanziaria e un ritorno al mercato hardware, vagheggiato da molti nostalgici, rappresenterebbe una follia; l’unica parentesi che Sega ha avuto nel mercato hardware dopo Dreamcast (e questa è una vera chicca per gli appassionati più estremi) è stato il Sega Vision, un lettore multimediale di 2GB in grado di leggere MP3, MP4, filmati AVI, immagini e persino e-book, ma bisogna essere veramente fortunati ad aggiudicarsi una di queste macchine perché, andando in Giappone, si potranno trovare queste unità all’interno di quelle odiosissime macchine della pesca fortunata (quelle con l’artiglio metallico)… e sempre se nel 2018 saranno ancora al loro interno! Inoltre, anche se questo non riguarda Sega direttamente, la AT Games produce ancora un sacco di prodotti relativi al Mega Drive e Master System, come il recente Sega Genesis Flashback che offre sia 85 giochi al suo interno che uno slot per le cartucce originali; il tutto con un superbo up-scaling in HD. L’inarrestabile popolarità di Sonic e l’uscita di titoli come Sonic Mania e i giochi della serie Sega Forever stanno a testimoniare l’impatto che Sega ha avuto nel mercato mondiale e che i giocatori di tutto il mondo non hanno mai dimenticato il gigante Sega neanche per un secondo.




Yuji Naka, creatore di Sonic, si unisce a Square Enix; nuovo titolo in sviluppo

Yuji Naka ha annunciato oggi sul suo account Twitter che è entrato a far parte di Square Enix. Naka ha anche menzionato che lavorerà nel team di game development  e che il suo obiettivo sarà quello di consegnare un gioco piacevole.

Nella versione giapponese del suo tweet Naka ha anche spiegato che è elettrizzato all’idea di buttarsi in una nuova sfida alla Square Enix, il che fa pensare che il creatore di Sonic potrebbe andare a cimentarsi in un qualche nuovo genere videoludico che non ha mai preso in considerazione.

Yuji Naka è famoso soprattutto per aver portato alla luce Sonic the Hedgehog ma il suo curriculum va ben oltre i giochi del porcospino blu. Dal 1984, anno in cui debuttò in Sega con il suo Girl’s Garden per il Sega SG-1000, il suo contributo come programmatore è stato decisivo per la creazione di alcuni giochi come Phantasy Star I & II, Alex Kidd in Miracle World e, come creatore, in Nights into Dreams e Chuchu Rockets!.

Durante la scorsa decade ha lavorato per lo più come produttore e il suo ultimo gioco è stato Rodea the Sky Soldier per Nintendo Wii, Wii U e 3DS.

Yuji Naka non ha fornito ulteriori informazioni sul gioco alla quale sta lavorando però, il solo sapere del suo ritorno alla programmazione ancora una volta, è certamente molto intrigante.




GameCompass – SEGA (02×12)

Puntata dedicata a un grande pezzo della storia dei videogame: Gero Micciché ripercorre la storia di SEGA con Andrea Celauro e Gabriele Sciarratta in una puntata dedicata al meglio della casa nipponica. All’interno la recensione di Yakuza Kiwami scritta da Alfonso Sollano, uno speciale su SEGA scritto da Andrea Celauro e la consueta top dei 5 migliori titoli del mese appena trascorso secondo la redazione di GameCompass a cura di Marcello Ribuffo!




La grande guerra: Sega Genesis vs Super Nintendo

La rivalità fra Nintendo è Sega non è cosa nuova. Sin dalla nascita delle due compagnie queste sono sempre state in un modo o nell’altro antagoniste l’una dell’altra. Già negli Anni 80 Sega rispondeva a Donkey Kong con Congo Bongo, al Famicom con la serie SG-1000, prima col Mark I, Mark II e poi col Mark III che poi divenne il Master System al di fuori del Giappone, e così via. Le vendite del Master System furono buone ma, anche se in alcuni paesi divenne più popolare del Nes, non erano minimamente comparabili alle vendite totali della controparte. Su questa base Sega mise le fondamenta sulla quale lanciare la sua nuova console a 16, il Sega Mega Drive o Genesis in Nord America. Da ora in poi adotteremo il termine Genesis e relativi termini americani visto che la vera battaglia, sulla quale Sega basò le sue strategie di mercato, fu più propria del Nord America.

Genesis vs Nes

Con l’uscita del nuovo hardware Sega, basato sul sistema arcade Sega System 16, Sega riuscì ad ottenere l’attenzione dei giocatori. Il nuovo sistema prometteva una grafica superiore al Nes, un migliore sonoro ottenuto dalla sintesi FM ed una giocabilità comparabile alla qualità arcade. Questa fu la prima strategia adottata da Sega per vendere il suo Genesis: portare i giochi da salagiochi a casa e superare il muro che separava mercato casalingo dal mercato arcade. La strategia all’inizio sembrò andar bene, spinta anche dal fatto che la console, al lancio, fu venduta in bundle con Altered Beast, un gioco arcade niente male ed in grado di sottolineare la differenza fra il Nes ed il Genesis. Tuttavia i giocatori non erano ancora convinti della nuova macchina a 16 bit di Sega; l’uscita di Super Mario Bros 3 fece capire a Sega come i giocatori fossero ancora attratti dall’ormai vecchio Nes ed anche se le arcade fossero ancora il punto di riferimento tecnologico per la comparazione degli hardware questi non servivano a nulla se un gioco casalingo, seppur con una grafica mediocre, fosse divertente ed adatto alle case. Tuttavia, già a questo punto, il Genesis aveva comunque una solida fanbase; nonostante Mario fosse insuperabile a casa non si può negare che la linea di titoli iniziale del Genesis fosse comunque competitiva. Non dimentichiamo anche che molte 3rd party cominciavano ad interessarsi alla nuova console Sega per via delle sue caratteristiche superiori e in cerca di nuovi accordi commerciali meno rigidi di quelli di Nintendo; già nel 1989 Capcom mise sulla nuova piattaforma Sega il suo Ghouls’n Ghost, sequel di Ghost and Goblin, sorprendendosi della la facilità di programmazione, quanto fosse bello sviluppare per il mercato casalingo dei giochi così simili alle arcade e quanto fosse buono il loro nuovo accordo con Sega. Il coinvolgimento di molte celebrità sportive, come il pugile James “Buster” Douglas, il giocatore di football Joe Montana, il golfista Arnold Palmer, aveva già attirato a se una fascia poco considerata nella vita del Nes, ovvero gli appassionati dei giochi sportivi, e sottolineò come il Genesis avesse già attirato a se una fascia di pubblico più adulta. Michael Jackson Moonwalker fu uno dei titoli più discussi e diede al Genesis una attitude che assunse per tutto il suo ciclo vitale. La discussione sulla qualità della libreria di titoli rispetto un’altra giaceva spesso su un punto morto: il Genesis ha 16 bit, il Nes solo 8. Con l’assunzione di Tom Kalinske nel 1990 come CEO di Sega of America furono lanciate in TV delle nuove pubblicità aggressive e dirette a Nintendo che miravano a sottolineare l’arretratezza tecnologica del Nes. Il nuovo slogan “Genesis does what Nintendon’t” parlava chiaro e la console si aprì verso quella fascia di pubblico cresciuta sì col Nes ma che ormai era grande ed andava al liceo. Il Genesis poteva dar loro giochi sportivi, giochi d’azione, giochi puzzle, porting dei giochi presenti in arcade, in poche parole giochi adatti alla loro personalità. L’ultima cosa che mancava era una mascotte in grado di poter competere con Mario, icona dei videogiochi e che sembrava essere imbattibile.

Una nuova nemesi

In tutto questo Nintendo non era assolutamente sprovvista. Il Nes durò ben oltre le loro aspettative ma, come anche le campagne pubblicitarie sottolineavano, era arretrato ed era ora di lanciare il nuovo sistema a 16 bit, in grado di poter competere col Sega Genesis. La nuova macchina Nintendo aveva una palette di colori più ampia del Genesis, un vero sonoro 16 bit digitale e la nuova grafica Mode-7 che permetteva al background di essere rotato e scalare di dimensioni dando la sensazione di un 3D rudimentale. Ne sono esempi i primi giochi come Pilotwings, in cui il giocatore può buttarsi da un aeroplano col paracadute, ed F-Zero in cui il mondo ruota attorno alla macchina da corsa futuristica. In tutto questo, dopo 3 giochi di successo della saga di Super Mario, ci si poteva solo aspettare che la nuova console Nintendo doveva essere in bundle con un nuovo gioco dell’idraulico più famoso al mondo. Kalinske aveva bisogno di un personaggio non solo carismatico ma che rappresentasse anche la cultura giovanile dei tempi e che potesse dare a Nintendo il colpo di grazia. In Giappone Yuji Naka, ispirato dal suo completare ripetutamente e velocemente il primo livello di Super Mario Bros, voleva creare un gioco veloce, pieno di azione e mozzafiato. Il personaggio di questo gioco sarebbe stato destinato a diventare la nuova mascotte Sega e, dopo tante bozze, la scelta cadde su un insolito porcospino: gli fu dato un bel colore blu cobalto, una schiena spinosa che si rifacesse le capigliature mohawk in voga in quegli anni, delle scarpette rosse in contrasto con il blu e soprattutto un caratterino frizzante e “figo”. Sonic The Hedgehog incorporò tutti questi aspetti nel suo gioco, che fu repentinamente messo in bundle con la console, e il suo arrivo nel mercato scosse il mondo. Il nuovo bundle del 1991, lanciato per giunta con un price drop visto che la console era già nel mercato da due anni, fu un successo strepitoso e il cammino di Sonic verso la gloria era solo all’inizio. Nintendo non fu da meno infatti, poco dopo, lanciò la sua nuova console a 16 bit in bundle con Super Mario World, il Super Nintendo, sulla carta migliore in quasi ogni aspetto (ricordatevi di quel quasi). Super Mario World, all’uscita, sembrò un gioco già visto con poca innovazione ed un gameplay per nulla rinnovato; questo titolo col tempo venne rivalutato ma purtroppo questo fu dovuto alla presenza sempre più forte di Sonic e la sua nuova console a 16 bit. Anche se Nintendo non fu pronta all’impatto Nintendo era fiduciosa del fatto di riottenere le luci della ribalta, sicura del fatto di avere il miglior hardware e le migliori IP. Kalinske non voleva assolutamente che il Sega Genesis fosse un fuoco di paglia, così corse ai ripari e tentò di capire come vendere la sua console di fronte ad una console onestamente più potente. Si scoprì l’unico punto di vantaggio a favore del Genesis contro lo Snes, ovvero il processore di 7.6 MHz contro quello di 3.7MHz dello Snes, e su questo punto si costruì tutta la nuova campagna pubblicitaria di Sega. Le nuove pubblicità parlavano di un fantomatico “blast processing”: non era altro che un modo per sottolineare la più rapida velocità di calcolo del Sega Genesis ma fu una parola “cool” studiata appositamente per essere utilizzata fra i giovani durante i dibattiti sulla console migliore senza necessariamente puntare sui fatti matematici. La pubblicità ebbe successo e servì non solo ad infuocare il dibattito ma ad infuocare la competizione fra le due compagnie, intente a dare il massimo.

Schieramenti

Nel Gennaio del 1992 Sega aveva in mano il 65% del mercato dei videogiochi: per la prima volta Nintendo non era più sovrana del mercato dei videogiochi ma questo servì a Nintendo per ricostituirsi e prepararsi a stracciare la competizione. Il parco titoli dei primi anni del Super Nintendo era già superbo: giochi come Sim City, F-Zero, ActRaiser, Gradius 3, Super Mario Kart, Super Ghouls’n Ghosts, Final Fantasy II e The Legend of Zelda: a link to the past erano giochi che da soli valevano l’acquisto di un Super Nintendo. Da come si può notare il Super Nintendo era indirizzato a chi veramente cercava una sfida in un videogioco, un gioco che ti mettesse di fronte una difficoltà risolvibile con un po’ di acume. Il Sega Genesis, del canto suo, era più per chi cercasse giochi più frenetici, sportivi ed immediati: il successivo Sonic 2, Shinobi, Stryder, la serie di Thunder Force, Streets of Rage e Gunstar Heroes. Questi giochi invece hanno in comune la velocità d’azione nonché d’animazione, temi un po’ più maturi e che possano coinvolgere più giovani e più facili da capire. Entrambe le console si appellavano ad una fascia di pubblico diversa nonché personalità diverse ed entrambe le compagnie diedero il massimo per compiacere il loro pubblico ideale. Consegnare un titolo in entrambe le piattaforme ai tempi era un’impresa più ardua: le due console avevano palette di colori diversi, processori diversi, sintesi sonore diverse e tutto ciò era ben visibile agli occhi dei giocatori. I programmatori dovevano spendere molte più ore davanti alle loro postazioni solo per poter tradurre un gioco al meglio per i possessori delle due console ma fortunatamente, ciò che veniva consegnato, era più o meno lo stesso gioco da entrambe le parti. Alcune compagnie, come Konami e Capcom, decisero invece di consegnare giochi diversi da entrambe le parti: Konami ad esempio consegno sullo Snes Super Castlevania 4 mentre sul Genesis consegnò Castlevania: Bloodlines. Il primo è un titolo più difficile, che si rifà ai classici sul Nes, e sul punto di vista dei controlli perfetti dopo averli imparati; il secondo invece è un titolo più facile, meno complesso nel comparto dei controlli ma più sbalorditivo sul comparto grafico, non solo per i dettagli ma anche per il fatto che mostrasse il sangue, un taboo nei Castlevania per Nintendo. Capcom consegnò a Nintendo nuovi titoli di Mega Man, come appunto il celebre Mega Man X, mentre per a Sega riservò una collezione dei vecchi titoli che i fan Sega potevano non conoscere. Aladin, sempre di Capcom, era un platformer in entrambe le console ma l’aspetto generale era ben diverso ed in questi casi vince il gioco più intuitivo e “flashy”; appunto la versione per Genesis è considerata la migliore.

Punto di svolta

Le cose per Sega giravano per il verso giusto e Nintendo, anche se a tentoni, si faceva sempre più spazio nel mercato dei videogiochi. Le cose per Sega però cominciarono a mettersi male verso la fine del 1992 più o meno parallelamente con il lancio dell’add-on Sega CD, periferica che permetteva di leggere i giochi su compact disk, all’epoca la tecnologia più potente e persino meno costosa. Nintendo vide una minaccia ma le cose non si misero male per la grande N… si misero male per Sega! Il Sega CD poteva essere un vero e proprio successo  in grado di spazzare una volta per tutte lo Snes; quello che fu lanciato su Sega CD furono titoli mediocri, punta e clicca dal PC (che non si adattano bene per le console) e giochi le cui scene in “full motion video” non finivano mai. Sega non riuscì mai a lanciare bene il Sega CD e per via delle scarse vendite la Nintendo, che stava per ricorrere ai ripari, si tranquillizzò. Come ormai è noto, grazie ad internet, la Nintendo era in contatto con Sony e Phillips per costruire un nuovo add-on per lo Snes in grado di leggere i CD ma, al di là del fallimento del Sega CD, il progetto non andò mai ad una vera conclusione e Nintendo finì col lasciare alcune licenze a Phillips per usare alcune sue IP sulla sua nuova console, il Phillips CDI, e a Sony le basi per la Playstation. Vista questa debolezza Nintendo, nel 1993 attaccò e ricordò ai giocatori chi aveva l’hardware più potente. Star Fox (o Starwing in Europa) fu il primo vero gioco 3D casalingo e il tutto era consegnato in un’arretrata cartuccia. È vero, Star Fox è famoso proprio per il suo FX chip, componente sviluppato dalla Argonaut Games che permetteva l’aggiunta di un processore extra, ma Nintendo mostrò come la loro console riusciva a superare Sega in ogni aspetto. Successivamente Nintendo implementò anche la grafica 3D prerenderizzata per il suo Donkey Kong Country, presentandolo, per scherzo, come un gioco per il successivo Nintendo 64; dopo aver rivelato che quelle immagini invece appartenevano allo Snes i fan esplosero e Donkey Kong Country finì col diventare uno dei giochi più venduti del 1994. In tutto questo Sega provò anche ad imitare queste imprese senza però raggiungere lo stesso traguardo di Nintendo. Virtua Racing, gioco di corse con grafica poligonale lanciato nel 1994, aveva un processore aggiuntivo nella cartuccia come Star Fox, il chip SVP; Sega prese la cattiva decisione di sviluppare il chip per conto loro e Virtua Racing finì per avere un sovrapprezzo nei negozi. Vectorman invece giocava sullo stesso piano di Donkey Kong Country, ovvero con la Grafica 3D prerenderizzata, ma nonostante il più veloce processore del Genesis permetteva un’azione più rapida Vectorman non fu semplicemente all’altezza della controparte. Il processo del 1993 vide l’industria dei videogiochi imputata nel processo contro la violenza nei videogiochi: Nintendo, grazie al neo introdotto sistema ERSB, si sentì libera di consegnare giochi più maturi, come il loro Super Metroid del 1994, più oscuro e spaventoso dei precedenti, e tal volta persino violenti, come Mortal Kombat 2 del 1994 e l’ottimo porting di Doom del 1995. Nintendo stava battendo Sega al suo stesso gioco, ovvero quello di accaparrarsi il pubblico maturo e alla ricerca dello stupore. Sega, nonostante stesse perdendo terreno, continuava a fare uscire ottimi giochi pubblicando anche le migliori versioni di Earthworm Jim, NBA Jam ed il primo Mortal Kombat. Tuttavia Sega si diede la proverbiale “zappa sui piedi” lanciando il suo ultimo add-on per il Sega Genesis, ovvero il 32X. Questa periferica era solamente un add-on che leggeva delle cartucce più avanzate con grafica a 32 bit e con un processore aggiuntivo; la scelta delle cartucce sembrò essere un passo indietro dopo la spavalda promozione dei CD ma il vero problema fu lanciare il 32X a pochi mesi dal lancio del Sega Saturn, la console Sega per la nuova generazione e già lanciata in Giappone. Il misto fra 32X e Sega CD fu un vortice che risucchiò milioni e milioni di dollari per investimenti che non portarono a nulla e che invece fecero sembrare lo Snes più potente che, da parte sua, non sviluppò alcun add-on.

La fine?

La  console war fra Snes e Genesis finì con i seguenti numeri: 49.10 milioni di SNES venduti e 30.75 milioni di console vendute per Sega (cifre stimate). La differenza non è poca ma i fan, specialmente di Sega, preferiscono vedere un pari; la battaglia fra Nintendo e Sega degli anni 90 è ancora soggetto di dibattito e ad oggi la guerra e tutto meno che finita. Moltissimi Youtuber ancora parlano di questa battaglia, chi giornalisticamente e chi da fan boy preferendo una parte rispetto ad un’altra. Sega, dopo un poco rilevante Sega Saturn ed un ingiustamente fallimentare Dreamcast, si è ritirata dal mercato delle console e oggi è un ottimo sviluppatore 3rd party che immette nel mercato titoli validissimi come la serie di Yakuza, Football Manager e i migliaia di titoli di Sonic, segno che i fan non hanno mai dimenticato Sega e che il loro impatto sul mercato è ad oggi importantissimo. C’è chi spera un ritorno di Sega sulle scene del mercato hardware ma tutto questo è solamente un utopia… alla quale però non smettiamo di credere.