I Soprano: Shakespeare, la Mala e la rivoluzione “Made in America”

Sapete qual è il punto forte dei drammi e delle commedie di William Shakespeare? I monologhi. Tramite questo espediente, il drammaturgo è riuscito a mettere a nudo i moti interiori dei propri personaggi, siano essi giovani innamorati di famiglie eternamente rivali o Re scozzesi completamente fuori di testa che bramano solo il potere. Con il monologo aprono le porte del loro animo e lo spettatore conosce ogni cosa che passa per la testa dei protagonisti. Perché lo scrittore di Stratford-upon-Avon, circa 500 anni fa, aveva capito che l’immedesimarsi con i personaggi è fondamentale. Il pubblico ha bisogno di raffigurarsi in questi soggetti complessi, spesso aristocratici o di alto lignaggio, ma pur sempre esseri umani. Al teatro, insomma, il monologo spacca.

La televisione è un’altra cosa. È follia anche il solo pensare di mettere un qualsiasi personaggio davanti a una telecamera e fargli sciorinare monologhi rivolgendosi al pubblico in maniera diretta. Uno spettatore medio spegnerebbe la TV dopo nemmeno cinque minuti. Bisogna creare un ulteriore elemento che permetta tutto questo, parlare da soli non basta, ed è così che comincia la rivoluzione de The Sopranos, serie televisiva prodotta dall’emittente privata HBO e scritta dall’autore David Chase, introducendo sin dalla primissima puntata un elemento nuovo, sia nel teatro “shakespeariano”, perché ancora non esisteva, sia in televisione, perché nessuno l’aveva ancora introdotta come parte integrante della vicenda: la psicanalisi.
Il protagonista è l’italo-americano Anthony “Tony” Soprano, astro nascente della famiglia mafiosa dei DiMeo, che spadroneggia da anni nello stato del New Jersey, Stati Uniti. Un uomo alto, massiccio, un po’ stempiato che veste con camice smanicate e pantaloni di lino. Ha ben due famiglie a cui pensare: la prima è quella composta dalla moglie Carmela, il figlio Anthony Junior e la figlia Meadow; la seconda, non meno importante, è formata dal suo vice Silvio Dante, i luogotenenti Paulie Gualtieri, Sal “Pussy” Bompensieri e il nipote Christopher Moltisanti. Entrambe le famiglie, in un modo o nell’altro, sono causa di forte stress per lui: la prima è da proteggere, la seconda invece è da tenere in piedi. Avere due nuclei da tenere a galla non è semplice, e Tony se ne rende conto a sue spese, dopo un violento attacco di panico durante il compleanno del figlio Junior. Scopre che non è invincibile, che le sue paure e i suoi demoni non possono rimanere ancorati alla sua anima senza conseguenze. Chi glielo doveva dire che sarebbe dovuto andare da una strizzacervelli come la dottoressa Jennifer Melfi, per essere in grado di mandare avanti le baracche?
La famiglia e la psicanalisi. Ecco due punti fondamentali, inscindibili nel personaggio di Tony. Un padre affettuoso da una parte e un Boss duro e spietato dall’altra, due personalità che si incontrano dentro uno studio circolare. La dottoressa Melfi rappresenta il punto di unione, ma anche la valvola di sfogo del nostro protagonista, sullo sfondo dell’America di fine secolo che si evolve e, dopo l’11 settembre, ha paura come lui. Il risultato è anche una serie estremamente onirica, che gioca col sogno in momenti cruciali della trama continuamente.

The Sopranos si è guadagnato l’appellativo di serie televisiva “Pop” non solo per il suo modo di trattare la realtà di un Boss proveniente da Avellino, ma perché racchiude anche elementi meta-cinematografici e dettagli visivi e sonori che hanno fatto la differenza. Per prima cosa la scelta del cast: gran parte degli attori hanno partecipato a film e collaborato con registi che hanno fatto la fortuna del genere gangster movie della New Hollywood: da Il Padrino di Francis Ford Coppola, passando per Prove Apparenti di Sydney Lumet, fino ad arrivare a Quei Bravi Ragazzi di Martin Scorsese. Quest’ultimo in particolare viene sviscerato da continui rimandi e citazioni all’interno della serie, ma anche le altre opere vengono omaggiate, perché The Sopranos è anche questo, un continuo “grazie” al genere cinematografico da cui trae ispirazione. Lo sviluppo dei personaggi, nel corso delle sei stagioni, è calcolato alla perfezione. Attori e attrici come Michael Imperioli, Dominic Chianese, Edie Falco o Lorraine Bracco, solo per citarne alcuni, danno una profonda caratterizzazione e riescono a mettere alla luce i profondi chiaroscuri dei loro doppi televisivi. Ma la vera star è lui, James Gandolfini, che nell’interpretazione di Tony Soprano regala alla televisione un gangster cattivo, impulsivo, forte, ma con molti demoni da combattere che ritornano dal suo passato tormentato e dal rapporto, mai totalmente risolto, con i genitori Johnny e Livia Soprano. Il tutto combinato a una regia notevole, un ulteriore passo avanti rispetto alla televisione precedente. E la musica, anche lei, considerata come “personaggio”, è ricercata in ogni scena in cui appare: si passa dai Rolling Stones a Pavarotti, dai Journey fino a Jovanotti.

In definitiva: una delle più importanti opere “Made in America”, citando il titolo della puntata finale della serie, che ha rappresentato il punto di svolta nella serialità dal 2000 in poi. Parliamoci chiaro: Breaking Bad, Game of Thrones o Stranger Things non sarebbero mai nate, se non fosse stato per The Sopranos. Lo zenit di quella che viene definita “Età dell’oro delle serie TV”. Se non l’avete vista, male: e da vedere, rivedere, e  amare. Perché, di Tony Soprano, ce n’è uno solo.




The Boys – Molto super, poco eroi

Quella di The Boys, la serie televisiva prodotta quest’anno da Amazon e distribuita sulla personale piattaforma di streaming online da quest’estate, deve essere stata una bella sfida. Una gatta da pelare, di quelle con convulsioni e crisi epilettiche continue, che si contorce e annaspa nel proprio vomito.
Quando adatti un fumetto di Garth Ennis una delle preoccupazioni principali è: come riportare la carica di violenza ed estrema volgarità senza che risulti controproducente?Stiamo parlando di un mostro sacro del fumetto contemporaneo, a cui bisogna portare il giusto rispetto, riverenza e devozione. Ma dobbiamo anche essere realisti e accettare una grande verità, da cui non scappa nessuno, che sia un dio o un comune mortale: “adattare” un’opera richiede sempre un compromesso.
Bene, dopo questa premessa, andiamo al dunque: com’è l’adattamento di The Boys?Sorprendente, ecco com’è.

Non ci scostiamo tanto dalla trama del fumetto, che suona più o meno così: i supereroi esistono e vivono in mezzo a noi: salvano vite e combattono il male gestiti dalla Vought America, una potentissima multinazionale che ne pubblicizza le gesta con saghe cinematografiche, comic book, merchandasing e veri e propri eventi organizzati. Ma coprono anche gran parte dei loro casini. Già, perché i nostri cari “Super” ne combinano di cotte e di crude, tra sesso promiscuo, droghe e tutto quello che vogliono per appagare i propri istinti. Inoltre, nelle loro missioni, capita spesso che tanti innocenti tirino le cuoia. Ma proprio tanti. Per questo ci sono loro, i “Boys”, che si occupano di  “tenere in riga” i supereroi, anche con la forza bruta se necessario. E credeteci, se ne servono più del solito.

Nel confronto serie tv/comic, l’autore Erik Kripke (creatore della serie Supernatural) ha dovuto necessariamente smorzare i toni contenuti nel fumetto per cercare di rendere la storia più appetibile a una fascia di pubblico più ampia (e meno impressionabile…). La serie gioca bene le sue carte, riuscendo a offrire una buona dose di gore, ma senza esagerare. A questo si unisce un buon sviluppo dei personaggi durante la storia, meno affrettato rispetto al fumetto ma non per questo meno interessante: se nel fumetto i Boys sono già fatti e completi (a eccezione di Hughie, che seguono dinamiche simili nelle due versioni dell’opera), nella serie televisiva vengono presentati lentamente. Ma non per questo la trama ha un basso ritmo, anzi, permettendo allo spettatore di abituarsi agli elementi della squadra, uno più sciroccato dell’altro.
Anche la regia è decisamente ottima, grazie anche all’uso, da parte di Amazon Prime Video, di un taglio più vicino a quello cinematografico per le proprie produzioni, con inquadrature ben composte e che fanno da contraltare alle sequenze splatter e gore che si dipanano durante la storia. A queste si aggiunge la fotografia, in cui il forte contrasto luce/ombre, anche negli esterni, dona quell’aura di “sporco” che riesce a emanare anche il fumetto.

Anche i personaggi meritano attenzione. In una storia dove i supereroi sono i cattivi e gli eroi della situazione sono ancora più cattivi, è una cosa da non sottovalutare.
La scelta del cast principale è sembra riuscita, con qualche modifica qua e là sempre per esigenze narrative e di adattamento (Tra i personaggi “nuovi” quello di Translucent, supereroe al centro delle prime puntate della serie e interpretato da Alex Hassell). Il nucleo dei Boys rimane inalterato: lo psicopatico e vendicativo Billy “Il Macellaio” Butcher, interpretato da Karl Urban; il timido ma intelligente “Piccolo” Hughie Campbell, interpretato da Jack Quaid; l’esperto d’armi e squilibrato “Il Francese”, interpretato da Tomer Kapon; il nerboruto e composto “Latte Materno”, interpretato da Laz Alonso;  la misteriosa e brutale “Femmina”, interpretata da Karen Fukuhara. Gli attori dunque, incalzano bene non solo la fisionomia dei personaggi originali ma anche la loro natura fuori di testa, riuscendo nell’intento di rappresentare questi grotteschi individui senza andare sopra le righe. Si riesce mantenere inalterata così la loro natura folle, da anti-eroi su tutta la linea.
Una nota di merito va data poi al “Super” più forte, complesso e allo stesso tempo maligno che ci sia in tutta la serie: Il Patriota. La resa da parte di Antonz Starr è davvero d’applausi, riuscendo nel difficile intento di rappresentare il supereroe più forte e psicologicamente pericoloso del pianeta in un’aura di sacro egocentrismo e opportunismo. Rispetto al fumetto, la sua figura viene resa più  “umana” ma poiché prova sentimenti quasi sempre contorti e abominevoli, questo aspetto è un modo per creare maggiore introspezione, forse superando il prodotto originale.

Tralasciando il fumetto da cui è tratto, come si evince, è una serie televisiva molto violenta. Non solo nel gore di alcune scene (non mancano corpi mutilati ed esplosioni di viscere), ma anche nella rappresentazione grottesca che viene data ai supereroi (più da mostri senza scrupoli che da divinità benevole) e di chi li combatte (gente come Butcher, disposto a tutto per raggiungere il suo desiderio di vendetta), oltre a una velata critica alla  “governance” sui comic e cinecomic in tempi recenti, portata alle estreme conseguenze (il paragone Disnez/Vought America nel corso della serie è palese, che però si amalgama bene alla storia e dal suo contesto narrativo)
E con già una seconda stagione annunciata, che siate fan del fumetto o meno, vi suggeriamo di recuperarla. Sporcatevi le mani: I “Boys” vi faranno vedere come si fa.




Etna Comics 2018

Dunque, Etna Comics. La fiera del fumetto più grande della Trinacria, quella che un po’ tutti gli appassionati (siciliani e non) di anime, manga, comics, videogame, film e serie tv aspettano ogni anno per… fare cosa? È una domanda che mi viene posta spesso da parenti o da chiunque non abbia mai partecipato a eventi del genere, e paradossalmente ogni anno diventa sempre più difficile rispondere. Da eventi di nicchia quali erano, queste fiere diventano, anno dopo anno, un fenomeno di massa, dove si fa di tutto, ma allo stesso tempo niente. Quest’anno, tra l’altro, è stato nuovamente battuto il record di presenze: più di 80.000 persone sono state registrate tra gli ingressi al centro fieristico Le Ciminiere dal 31 maggio al 3 giugno. Ma sul tema torneremo più tardi.


Parliamo piuttosto di ciò che ho visto in questa ottava edizione. La struttura della fiera, pur presentando zone leggermente diverse dall’anno scorso, è rimasta pressoché invariata: 11 aree distinte per tematica, all’interno delle quali sono stati organizzati svariati tipi di attività, contornati da persone più o meno famose, spettacoli, e intrattenimento di ogni genere.

Una delle aree, la YouTube Alley, è stata letteralmente inondata da migliaia di persone, grazie agli ospiti che hanno tenuto le loro conferenze all’interno: YouTube Fa Cagare, Tia Taylor, Playerinside, Federic95Ita, Nocoldiz, Link4Universe e molti altri. Tra questi, sono riuscita a fare un paio di domande ai Playerinside e Nocoldiz, una volta concluse le loro rispettive conferenze.
Iniziamo dalla coppia catanese:

«Cosa vi aspettate da questo E3?»

Midna:

«In sostanza ci aspettiamo delle conferme di ciò che è stato annunciato: date di uscita, per esempio di Kingdom Hearts 3, e qualcosa di più su ciò che è stato già visto almeno in parte nei mesi precedenti.»

Raiden:

«Sarà un E3 di transizione in cui vedremo tantissime conferme e magari qualche piccola novità, oppure anche una o due bombe.»

Subito dopo è stato il turno di Paolo, in arte Nocoldiz, diventato famoso sulla piattaforma grazie alle sue YouTube Poop.

«Perché secondo te molti pooper italiani hanno abbandonato YouTube?»
«Una delle cause principali che ha spinto molti pooper ad abbandonare è il freebooting [la pratica di rubare i video da canali YouTube per caricarli altrove senza autorizzazione, NdR], perché dopo che hai lavorato tantissimo e vedi una pagina Facebook rubarti il video, facendo centinaia di migliaia di visual sul tuo lavoro senza neanche citarti, te la prendi così tanto da indurti ad abbandonare tutto. Ho conosciuto veramente tante persone che l’hanno fatto.»

Un must di Etna Comics – potrebbe essere forse definito il suo cuore pulsante – è sicuramente il padiglione F1, tappa fondamentale per qualsiasi tipo di visitatore della fiera, grazie alla moltitudine di stand presenti in ogni angolo e di diverso tipo: in parole povere, è quella parte della fiera dove si tirano fuori i soldi (e dove ho girato per più tempo); si va dall’Area Comics al piano terra che ospitava le grandi case editrici come Panini e Star Comics e gli autori indipendenti, tra fumettisti e scrittori, scuole del fumetto fino ad artisti più conosciuti, come J.M. De Matteis (co-autore di Justice League Internationalfra le altre cose,  nonché autore di alcuni notissimi Spider-Man come L’ultima caccia di Kraven e Il bambino dentro), Hiromi Matsushita e Kazuko Tadano (coppia che ha contribuito alla creazione dell’anime di Sailor Moon).
Salendo al secondo piano, una folta schiera di stand dedicati ai vari gadget han fatto da padrona indiscussa, tra veterani della manifestazione e new entry all’interno della fiera siciliana provenienti da tutta Italia.
Il terzo piano, per quanto di dimensioni minori, ha ospitato attività molto diverse fra loro: dalle dimostrazioni sulle arti marziali al karaoke, dall’escape room ai mini cosplay contest, con un tema diverso a seconda del giorno.
Totalmente diverso rispetto dagli altri anni invece è stato il padiglione C1, che è rimasto sempre prevalentemente dedicato ai videogiochi, ma anche all’Area Altrimondi. All’entrata si viene accolti da dei magnifici pezzi scenografici tratti dalla saga di Harry Potter, con tanto di shop vero e proprio all’interno della bottega di Ollivander; c’è stato anche spazio per ospitare delle piccole zone a tema Ghostbuster, Star Wars e S.H.I.E.L.D. .


Il secondo piano, come già detto, è stato dedicato al gaming, che sia retro, su console o PC: tra vari venditori di giochi nuovi, usati, recenti e non, ho trovato Marco Alfieri, sviluppatore indipendente e creatore di Call of Salveenee e Ruspa League.

«Cosa pensi della scena videoludica Indie italiana?»
«Penso che sia estremamente buona e ci sono dei titoli veramente formidabili, tra cui Remothered e Doom & Destiny, uno dei giochi più venduti sugli store Android e IOS. Ci sono giochi demenziali come Grezzo 2, Super Botte e Bamba II Turbo e poi ovviamente il mio. Abbiamo un sacco di titoli indipendenti, anche meno conosciuti, come Red Rope e Circle of Sumo. Purtroppo abbiamo delle leggi che impediscono di farli a modo. Fai conto che per sbloccare i fondi europei abbiamo dovuto aspettare fino allo scorso anno, quando nei bandi audiovisivi sono stati inclusi i videogiochi.»

In mezzo alle vecchie console polverose e ai televisori a tubo catodico sono riuscita a incontrare MrPoldoAkbar che, nonostante faccia tutt’altro che occuparsi di gaming sul suo canale YouTube, in via eccezionale è stato parte dello staff dell’area retrogaming.

«Il tuo canale YouTube non parla di retrogaming, come è nata questa connessione?»
«Non c’è una vera e propria connessione diretta con il mio canale YouTube: mi trovo in quest’area come vero appassionato di retrogaming anche se non è il format del mio canale, perché comunque possiedo molti oggetti retrò a casa e sono molto attivo in questo ambito. La mia situazione era sempre quella del bambino che aveva la console vecchia. Quando è uscita la PS1 io ero là a giocare col mio Game Boy Advance, quando tutti avevano la PS3 io ho finalmente ottenuto la mia prima PS1, diciamo che mi dilettavo nelle cose vecchie che costavano di meno.»

Anche in questa edizione, la zona all’aperto non è stata risparmiata, ospitando i sempre presenti Progetto Eden, Umbrella Italian Division e Brotherhood of Trinacria, oltre a numerosi punti di ristoro, per non parlare dell’Area Palco, dove si sono svolti gli spettacoli de iSoldiSpicci, Immanuel Casto, Pietro Ubaldi, Miwa, l’immancabile Cosplay Contest e tantissimi altri.
Sempre all’esterno (o quasi), il padiglione Etna ha incluso dentro il suo enorme tendone una moltitudine di postazioni per giochi da tavolo e un piccolissimo corner completamente dedicato a Nintendo Switch, dove ho trascorso ore intere a parlare con chiunque venisse a provare Breath of the Wild e con i promoter stessi, ed è questo uno degli aspetti che amo di più delle fiere: il dialogo libero, e come questo possa instaurarsi facilmente anche tra sconosciuti, perché sotto sotto sai che se quella persona si trova lì è proprio come te, o curiosa, e puoi insegnargli parte di quello che sai, o è appassionata, e può divenire occasione per scambiarsi opinioni o parlare della propria esperienza, in questo caso con la saga di Zelda.


E qui mi ricollego al tema iniziale: è possibile che questa occasione di dialogo venga in qualche modo “macchiata” rendendo le fiere del fumetto qualcosa che può interessare “un po’ a tutti”? Non più solo amanti della cultura pop, ma anche persone che hanno pagato il biglietto solo ed esclusivamente per vedere un determinato ospite, che sostanzialmente con la fiera c’entra poco, come gli stessi Soldi Spicci, Immanuel Casto, Andrea Agresti, Matteo Viviani, Raul Cremona. È come se così facendo, questa fiera, ma anche molte altre che stanno seguendo questa strada, stiano perdendo la propria identità di settore, facendosi sempre più generalista. Resta il divertimento, resta la gran varietà di cose da fare (che, anzi, aumenta) ma forse l’imbastardimento andrebbe dosato: va bene l’apertura, va bene che il mondo nerd e la cultura pop non siano più esclusivo appannaggio di iperappassionati, ma anche l’innesto di novità va fatto mantenendo degli equilibri.  Rischia altrimenti di venire a mancare, di anno in anno, la magia presente nei primi anni, quando questi eventi erano solo un luogo d’incontro per appassionati. E, ripeto, non si vuole questo, non è la critica settaria ed esclusiva di chi vuole un ambiente selezionato e ristretto: ma l’eccessiva apertura rischia di deformare eventi che hanno iniziato avendo un focus ben preciso, e questo comporta negli anni il rischio della perdita d’identità, rischiando di scivolare nell’accozzaglia, o, peggio, di privilegiare il “popolare”, quello che fa numero, a scapito della cultura pop genuina, quella che vede nei fumetti, nei videogame, in certa letteratura, in un certo cinema e serie tv, in manga, anime e quant’altro, il proprio sedimento, quello che ha nutrito un po’ tutti noi che abbiamo amato certi eventi per quel che raccoglievano, e non per i singoli nomi di richiamo.

A ogni modo, anche quest’anno il bilancio può dirsi positivo. Al prossimo Etna Comics!

(Si ringrazia Giovanni Cucuzza per le foto all’aperto)




L’app Mosaic permette di scegliere la narrazione della serie tv

Molte serie tv, negli ultimi tempi sono accompagnate da App che in genere non sono altro che metodi di comunicazione con lo scopo di incrementare gli ascolti della serie.

Il regista Steven Soderbergh sta cercando di stravolgere questo concetto, grazie al suo nuovo progetto Mosaic .

«Mosaic è una narrazione interattiva. Le narrazioni interattive esistono da sempre ma, grazie alla tecnologia, spero in una forma più elegante e semplice di coinvolgimento. Abbiamo trascorso molto tempo su come strutturare il progetto. Volevo assicurarmi che fosse intuitiva e bella, in modo da non rendere la narrazione forzata, dando l’impressione che si fermi. Dunque ci sono state un sacco di prove ed errori su come saremmo riusciti nell’impresa e il risultato è stato molto soddisfacente. La domanda che adesso ci poniamo è la seguente: se un milione di persone si collegheranno contemporaneamente all’interno dell’app, questa si bloccherà? L’uscita è prevista per Novembre.»

Soderbergh specifica che saranno presenti due versioni di Mosaic, una che andrà in onda su HBO a Gennaio, e a seguire la versione principale disponibile sotto forma di App.

Inizialmente il progetto sarebbe dovuto uscire solo per iOS, ma dopo una serie di incontri è stato deciso di includere anche le piattaforme Android e PC.  In Mosaic sono presenti due rami narrativi, uno contemporaneo e l’altro ambientato quattro anni prima, che narra di un caso che tutti pensavano archiviato, ma che successivamente verrà riesaminato mettendo in luce dettagli interessanti. La particolarità di questo progetto è che, a seconda del soggetto che decideremo di seguire, si potrà andare avanti o indietro nel tempo, permettendo all’utente di esplorare nel modo più completo possibile il caso.




Otis: l’abbattimento delle barriere tra serie TV e spettatore

L’interattività, si sa, è alla base del videogioco e, salvo rari casi, unico media a detenerlo. Si è sempre parlato di interattività anche nel cinema o serie TV, portando il pubblico a scegliere determinate situazioni, creando così delle storie del tutto personali. Negli ultimi anni tanti sono stati gli esperimenti in tal senso ma finiti ben presto nel dimenticatoio.
L’ultimo tentativo è stato fatto con Otis, una serie in questo momento online con un episodio pilota, della durata di circa sette minuti, con uscita prevista per il 2018. Otis si presenta come un crime drama dove è possibile letteralmente switchare tra i tre personaggi principali tramite i tasti A, S e D, osservando le loro vite e in che modo esse si intreccino. Facendo un esempio pratico è assimilabile al cambio istantaneo tra Michael, Trevor e Franklin in GTA V in cui, utilizzando i tasti digitali sul pad, potevamo interagire con ognuno di essi senza che questi interrompessero la loro “vita” di tutti i giorni. Se per un puro videogioco è un’innovazione che porta varietà in termini di trama e gameplay, per una serie TV le cose si fanno più complicate, ma andiamo con ordine.
L’intento degli ideatori è quello di portare al pubblico una storia unica per ognuno di noi, non portando delle ramificazioni di trama dovute a delle scelte di dialogo, come per le avventure grafiche, ma con qualcosa di nuovo e di difficile produzione, sulla base del mito biblico di Caino e Abele. Le difficoltà di produrre e dirigere qualcosa del genere sono immense e, a detta di Casey Stein, uno degli ideatori, tutto doveva essere meticolosamente studiato con l’ausilio di un cronometro per fare in modo che tutti i pezzi di puzzle coincidessero senza perdere frame importanti di storia. Infatti, ad un primo sguardo, sembra che le singole storie siano girate in maniera indipendente, ma dopo una manciata di secondi e qualche switch, capirete le difficoltà del caso. Questo significa che bisogna vedere l’episodio almeno un paio di volte per capire bene il tutto; siamo noi ad editare continuamente la puntata e decidere che ritmo deve prendere. Personalmente non mi sono mai trovato davanti ad una cosa così peculiare e diciamo che bisogna prenderci la mano; ma una volte entrati nel mood, le classiche storie vi sembreranno fin troppo “guidate”. Pensate a quante storie ci siamo persi in tutti questi anni, quanti dettagli non ripresi e magari quanto tempo guadagnato. Una serie come True Detective sarebbe finita in una puntata in quanto, con questo stratagemma, avremmo potuto capire subito l’intera situazione. Ed è proprio qui che sorgono delle perplessità; se da un lato questa nuova esperienza porta effettivamente qualcosa di nuovo, scegliendo noi cosa vedere e quando, da un lato può venir meno il trasporto emotivo creato da una determinata storia, sceneggiata con un percorso ben stabilito fino al climax finale e goduto grazie all’empatia generata col protagonista. Può essere, comunque, considerata una strada parallela alle classiche storie monodirezionali che siamo abituati a vedere e che troveranno ulteriore sviluppo in seguito.
In basso, potrete trovare il link che porta al pilota di Otis.

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Game of Thrones: HBO vittima di un leak, ma non è “hacking”

Il prossimo episodio della celeberrima saga di Game of Thrones, che andrà ufficialmente in onda lunedì 7 Agosto in lingua originale sottotitolata in italiano, è stato vittima di un leak; infatti è possibile trovarne già oggi una versione a bassa risoluzione in streaming, oltre che scaricabile, sottotitolata anche in italiano.

Il video dell’episodio presenta diversi watermark, di cui uno familiare alla HBO perché appartenente a un suo partner di distribuzione, quindi proprio per questo motivo si suppone che non sia opera di un attacco hacker.

HBO conferma però di essere stata vittima di un potente cyber-attacco ai propri server; sono stati trafugati oltre 1,5 terabytes di materiale, tra cui anche progetti ancora in fase di sviluppo. Si sospetta che gli autori del crimine vogliano, come accadde in passato per Disney e Netflix, estorcere denaro a HBO per non divulgare il materiale riservato dell’azienda.