Auto Age: Standoff

Auto Age: Standoff, sviluppato da Phantom Compass, è un gioco d’azione  e sparatutto nel quale ci ritroveremo nel 2080 in un’America in rovina, dove sono le gare di automobilismo a stabilire “le regole”. Il titolo presenta un’ampia varietà di veicoli che si distinguono fra loro per forza, armatura e velocità, i quali possono essere equipaggiati con vari tipi di armi primarie e secondarie in base alla propria preferenza. All’interno del gioco è presente un tutorial: non è obbligatorio, ma risulta di certo utile, la grande varietà di veicoli non influisce molto sulla loro “giocabilità” e ci vorranno un paio di partite prima di riuscire a trovare una buona combinazione d’armamenti.

Il problema principale di Auto Age, a oggi, è il suo essere basato quasi completamente sul multiplayer: i server sono deserti. Il gioco aveva molte possibilità di essere un buon titolo, vedendo anche i numerosi premi vinti ma, sfortunatamente, l’essere stato abbandonato nel 2017, data di rilascio dell’ultimo aggiornamento, non aiuta molto. Vista la mancanza della sezione online saremo costretti a giocare in versione single player contro l’ IA. Quindi, gli sviluppatori hanno inserito le modalità di gioco basilari per un titolo sparatutto ( deathmatch, conquista la bandiera ecc ecc). L’intelligenza artificiale è di medio livello il che trasforma il tutto in una sfida abbastanza godibile.

Il titolo presenta una grafica cartoon in stile anni ’80, molto carina ma non molto “dettagliata”, con modelli ben fatti.  La colonna sonora è originale, ma tende a stancare dopo poco, mentre i vari effetti sonori risultano appropriati. Tuttavia, la “semplicità” della grafica e le poche modalità di gioco (affiancate da un comparto online deserto), non ci permettono di consigliare a oggi il gioco, il quale “non vale la candela”. Per chi è interessato, Auto Age: Standoff è disponibile su Steam, e ci auguriamo che in futuro possa essere popolato da giocatori che possano valorizzarne le caratteristiche.




Battlefield V includerà la campagna single player

Nuovi dettagli ci attendono in vista dell’uscita dell’FPS principale di Electronic Arts, la cui software house, ha rivelato la presenza di una avvincente campagna in single-player, che sembra seguire lo stile già introdotto in Battlefield 1, mirando alle battaglie su vasta scala. Al contrario della serie Battlefield, il suo concorrente Call Of Duty, sembra aver tralasciato, almeno per Call of Duty: Black Ops 4, la modalità in single-player, ma DICE ed EA non sembrano condividere l’idea. Il CEO EA, Andrew Wilson, ha dichiarato a proposito:

«Con il nostro prossimo Battlefield, il team di DICE sta dando vita all’intensità del combattimento in modi totalmente nuovi e inaspettati. Ogni battaglia è unica e ogni modalità porta le sue sfide, dal modo in cui interagisci con l’ambiente intorno a te, ad avvincenti storie per single-player, al multiplayer su larga scala che si estende su più mappe e modalità. »

Questo titolo, che secondo alcune fonti si ambienterebbe all’interno dei maggiori conflitti della Seconda Guerra Mondiale, dovrebbe includere (anche se non si hanno conferme ufficiali) una modalità Battle Royale, seguendo dunque la moda del momento. Non ci resta che aspettare le novità che verranno sicuramente annunciate all’E3 2018 che si terrà il 9 giugno.




Brothers: A Tale of Two Sons

C’era una volta un regista, esordirebbe questo scritto se fosse una fiaba. Ma questo scritto parla di una fiaba, e tutto sommato quest’incipit può andar bene.
C’era una volta un regista, che girava film indipendenti di buona fattura. Un giorno, nel 2010, venne chiamato da una scuola di Örebro – cittadina svedese che accolse dal Libano la sua famiglia quando aveva soltanto 10 anni – per tenere una lezione in un corso di game design, parlando dalla prospettiva del filmmaker. La lezione ebbe successo, al punto che gli fu chiesto se non volesse cimentarsi ad abbozzare un videogame. Poteva essere un buon passatempo prima del sesto film, un Balls che aveva avuto un’accoglienza più tiepida rispetto a opere come Jalla! Jalla! o Zozo.
Fu così che, in breve tempo, prese forma un mondo fantastico dai contorni immaginifici, sospeso tra l’immaginario dei fratelli Grimm e la mitologia scandinava.
Come ogni fiaba che si rispetti, anche questa non manca di un lieto fine, e fu così che l’idea di Brothers: A Tale of Two Sons, dopo alcuni dinieghi, venne sposata e sviluppata da Starbreeze Studios, per poi trovare distribuzione sul mercato nell’agosto 2013 grazie al publisher nostrano 505 Games.
A pochi giorni dall’uscita della seconda opera di Fares, il cooperativo A Way Out, rispolveriamo una storia dalle forti emozioni e che offre al giocatore, oltre a un gameplay unico, un viaggio per molti versi difficile da dimenticare sul piano visivo.

Padri e figli

Ogni fiaba che si rispetti riserva ai propri protagonisti un sentiero da percorrere.
La storia di Brothers inizia all’ombra di un albero, su un costone di roccia a strapiombo sul mare, con un ragazzino in ginocchio dinanzi a una lapide. Il sospetto che si tratti della tomba della madre trova immediata conferma grazie a un flashback nel quale vediamo la donna annegare in mare, scivolando da una barca durante una tempesta, mentre il ragazzo tenta invano di salvarla. Da quel momento, il piccolo Naiee svilupperà un enorme terrore dell’acqua, e potrà immergersi soltanto aggrappandosi alle salde spalle del fratello maggiore, Naia, con il quale intraprenderà ben presto un incredibile viaggio. I due, infatti – ed è qui che il gioco ha veramente inizio – si troveranno sin da subito a dover portare il padre dal medico del villaggio, che gli diagnosticherà un terribile male, curabile soltanto dalle acque raccolte nel cuore dell’Albero della Vita che si trova dalla parte opposta del regno.

In cooperare in single player

Fin dai primi passi, il giocatore si ritroverà dinanzi a un sistema di controlli totalmente inedito: il tragitto che va dal punto di partenza alla casa del medico è un buon momento per familiarizzare infatti con un sistema che ci permette di governare i due fratelli contemporaneamente sullo stesso pad, ma separatamente con i due stick analogici. Con lo stick destro controlleremo il giovane Naiee, mentre il sinistro ci permetterà di direzionare Naia. L’operazione all’inizio difficilmente risulterà agevole, specie se si vuol andare avanti spediti: i giochi ci hanno abituato a focalizzarci sul controllo di un singolo personaggio, con il quale al massimo ci rapportiamo ai vari NPC e alle intelligenze artificiali, anche in termini cooperativi. Qui dovremo costringerci a scindere abilmente il pensiero, sincronizzando i movimenti per superare i singoli puzzle: ci sarà la necessità di sollevare oggetti pesanti in due, bisognerà muoversi in modo da trasportarli aggirando gli ostacoli, si incontreranno puzzle dove sarà richiesto effettuare in sincrono movimenti totalmente diversi. In tal senso Brothers: A Tale of Two Sons rappresenta un’esperienza musicale: è come imparare un giro d’accordi su un nuovo strumento, la coordinazione fra mano destra e mano sinistra aumenta con la pratica, e il risultato si fa sempre più armonico.
Parimenti, prenderemo confidenza con le singole caratteristiche dei due fratelli e impareremo a sfruttarle nei singoli puzzle in cui incapperemo: il più grande è più alto, più forte, può nuotare (e trasportare il fratellino sulle spalle) e interagire meglio con gli adulti, mentre il minore può adattarsi agli spazi stretti (dove spesso l’altro non passa) e ha maggior empatia con bambini e animali. Muoversi in questa maniera non risulterà complesso, a lungo andare, ma bisogna concedere alla mente il giusto tempo per abituarsi, avere un approccio paziente soprattutto quando, credendo di aver ormai il controllo della situazione, ci si potrebbe trovare a mischiare i comandi e a doverne rapidamente tirare le fila.
Da questo punto di vista, Brothers: A Tale of Two Sons è un vero gioiellino, con un sistema di controlli altamente gestibile, efficiente ed efficace, che fanno gioco a vari puzzle dalle meccaniche elaborate, raramente di difficile risoluzione, ma che mettono alla prova il giocatore in termini di abilità.

Grammelot

Quel che rende straordinario il control system non è soltanto l’aspetto riguardante la gestione dei personaggi nella loro interazione con gli ambienti e nei singoli puzzle. I controlli qui sono una forma di linguaggio, prendere confidenza con la gestione dei personaggi ci mette in relazione diretta con i due fratelli, è il primo mezzo per instaurare un rapporto sinergico tra i character e sentirne anche noi l’affetto, gli attriti, le tensioni, le emozioni. Il legame in tutta la sua profondità, insomma. Un meccanismo fondamentale in un titolo sostanzialmente privo di dialoghi. O meglio, i dialoghi fra i personaggi ci sono, ma non fanno riferimento ad alcun linguaggio codificato o conosciuto. Quel che vediamo nella mise-en-scene di Brothers: A Tale of Two Sons è un vero e proprio grammelot: né voci, né linee di testo, nessun sottotitolo, solo il teatro dei gesti, della mimica e dei versi inscenato in un vasto palcoscenico fiabesco, dove tutto risulta miracolosamente comprensibile, dai dialoghi fra i due fratelli a quelli con i vari NPC che incontreremo nel percorso. Intuiremo i dissapori con un dispettoso ragazzo del villaggio, l’amarezza di un troll a cui è stata rapita la compagna, fino ai momenti di emozione più intensa che si scopriranno nel corso di questo straordinario racconto odeporico.

Echi norreni

Dal punto di vista visivo, non si può non ammirare lo straordinario lavoro del Concept Artist e illustratore Bradley Wright, che restituisce su schermo scenari che sembrano presi a piene mani dai fratelli Grimm in una fantasmagoria di fogliame dai colori tenui, ruscelli abbacinanti, alte vette e orizzonti lontani.
È un libro di fiabe illustrato che prende vitaBrothers, e il suo impatto su schermo è straordinario, con una policromia ben dosata che si stende in immagini eleganti e quiete come un’acquarello; anche nei paesaggi più crudi, dove si rappresenta la ferocia della guerra e dove regnano ormai soltanto morte e silenzio, il tratto dei disegni tende a deformare ogni evento tragico sotto la lente lenitiva del fiabesco, con un effetto di lieve straniamento nei confronti di tutto quel che vediamo.
L’art-style è straordinario sotto molti aspetti, e ci rende facile passare sopra alcuni dettagli tecnici poco curati e certamente perfettibili: del resto è il comparto artistico qui a farla da padrona, e non quello strettamente tecnico.
A far da appropriato corredo alle immagini del gioco è certamente la colonna sonora di Gustaf Grefberg che non risulta mai fuori luogo, ed è anzi curatissima nella sua orchestralità, ma che alla lunga può risultare a tratti monotona nel ripetersi dei principali leitmotiv e nell’eccessivo indugiare su un certo lirismo che dovrebbe invece rappresentare un suo punto di forza. Il comparto musicale ha certamente una sua solidità e supporta egregiamente il divenire della storia, ma all’ascolto solitario non riesce a risultare incisivo nonostante sia certamente ben elaborato.

La perdita, la crescita, la vita

Come tutte le grandi fiabe, Brothers: A tale of Two Sons tratta argomenti importanti attraverso un racconto dai contorni quasi infantili. Ma chi ha letto le storie dei Grimm o di Andersen sa bene che dietro a quel fiabesco stava anche un mondo per niente confortevole, con finali spesso tutt’altro che lieti.
Brothers non fa eccezione in tal senso, ma un finale tutt’altro che lieto non è affatto casuale né a effetto, contribuendo invece alla funzione formativa della fiaba.
Come scrive lo psicanalista austriaco Bruno Bettelheim nel suo Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe: 

«Soltanto uscendo nel mondo l’eroe della fiaba (il bambino) può trovare se stesso; e quando trova se stesso trova anche l’altra persona con cui potrà vivere felice per il resto dei suoi giorni, cioè senza dover più provare l’angoscia di separazione. La fiaba è orientata verso il futuro e guida il bambino. La fiaba è orientata verso il futuro e guida il bambino — in termini che egli può comprendere sia nella sua mente conscia, sia in quella inconscia — aiutandolo ad abbandonare i suoi desideri infantili di dipendenza e a raggiungere una più soddisfacente esistenza indipendente.»

Da Brothers usciamo formati noi, e anche il bambino che è in noi. Brothers è un racconto d’amore – filiale e fraterno – un racconto sulla crescita, sulla perdita e sulla scoperta di se stessi: è un racconto di formazione e, come tale, porta con sé il suo preziosissimo insegnamento.

È una storia intensa e dilaniante, in cui la compenetrazione negli stati d’animo dei personaggi è quasi totale, portandoci a viverne i dolori più intensi. È un viaggio attraverso paesaggi immaginifici e creature fantastiche che in qualche modo gioca con gli emisferi cerebrali, scissi e al contempo in continua interazione, come i due fratelli, un racconto che tende a unire il nostro lato emotivo e il nostro lato razionale, che ci invita a imparare a governarli entrambi e ad armonizzarli, proprio come è necessario per i due piccoli fratellini. Per poter vivere e sopravvivere. È un gioco in cui non si guidano solo Naia e Naiee, ma la nostra stessa mente, che in qualche modo si fa protagonista tramite i due personaggi.
Tre ore scarse, ma estremamente intense in un un titolo che ci insegna l’importanza della cooperazione, anche con quel piccolo fratello (maggiore o minore) che si nasconde da qualche parte dentro la mente di ognuno di noi.




Bethesda investe per rilanciare il single-player

Conosciamo principalmente Bethesda per titoli come Fallout 4 o Skyrim: The Elder Scrolls, ma recentemente lo sviluppatore ha attirato l’attenzione dei giornali per aver fatto la più grande donazione nella storia della Software Entertainment Foundation, ben 100.000 $. Ai Game Awards, Bethesda ha dato un’anticipazione riguardo la campagna “Save Player 1“, che si pone l’obiettivo di salvaguardare l’esperienza single-player. A dispetto della più recente tendenza che vede i titoli multiplayer come i più richiesti sul mercato, Bethesda si è detta intenzionata a finanziare i titoli single-player e ha pubblicato un post sul proprio blog su come questo avverrà, spiegando che la donazione sovvenzionerà 33 borse di studio indirizzate a donne e studenti delle minoranze che perseguono corsi di informatica e di sviluppo videoludico. Lo scopo di tutto questo è «supportare la prossima generazione di sviluppatori di giochi».
«Salvare la modalità single-player non significa solo fare grandi giochi», scrive Bethesda «Diamo a tutti la possibilità di comprare i nostri giochi a un prezzo molto speciale. Per questo fine settimana, il nostro recente catalogo di giochi single-player è in svendita fino al 50% nel formato digitale, così come presso determinati rivenditori. C’è la possibilità di fare scorta e di risparmiare, e di intraprendere un epico viaggio in single-player durante le vacanze di Natale.»




Einar

Qualche settimana fa sullo store di Steam, si è aggiunto alla sezione Free To Play, un nuovo interessante gioco, che con un buon sviluppo e con il giusto tempo potrebbe anche risultare un titolo innovativo. Einar è una beta sviluppata e rilasciata da DreamPunks, sviluppatore indie dei Paesi Bassi, è un gioco single-player di genere hack ‘n’ slash basato sulla mitologia norvegese. Nel gioco il giocatore assume il ruolo del guerriero Einar, che sta cercando di uccidere gli abitanti di un villaggio di pescatori infetti da un meteorite misterioso schiantatosi nei paraggi. Nel gioco vi sono diverse armi di cui si è in possesso dall’inizio della beta come l’arco, il martello e l’ascia con lo scudo che ci serviranno a liberare il villaggio dai mostri, affrontando anche dei boss. Questa piccola beta è nata come demo universitaria e creata insieme a un team di 40 studenti universitari del NHTV University of Applied Sciences di Breda come esperimento per capire come vengono creati i giochi AAA. Come detto in precedenza, nel gioco assumiamo il ruolo di un guerriero vichingo di nome Einar che nella beta dovrà farsi strada da una spiaggia fin dentro al villaggio, per arrivare a una piccola arena dove finirà la beta del gioco. Sono disponibili solo 3 tipi di mostri, quelli “base”, alcuni nemici da affrontare a distanza che ci lanceranno contro palle infuocate, e infine i boss, che incontreremo in sole due occasioni. La demo dimostra che usando un buon motore grafico, avendo un buon team e la voglia di creare qualcosa di buono e di nuovo è possibile creare un gioco che non sfiguri al confronto con i tripla A anche non avendo a disposizione un grosso budget.

Combattimento

Einar è un gioco d’azione dal sapore soulslike, con roll, parate e attacchi in pieno stile; se giocato con mouse e tastiera risulta molto legnoso, è consigliabile usare un pad. I combattimenti risultano ben fatti: vi sono solo 2 tipi di attacchi per ogni arma, l’ascia con lo scudo permette di dare dei colpi a ripetizione veloci e potenti e si può finire il gioco anche usando questo solo attacco; lo scudo dopo aver ricevuto un paio di colpi, si distrugge e bisognerà aspettare alcuni secondi perché si rigeneri. Il martello è l’arma pesante e viene usata o con il colpo normale o con il colpo caricato che, grazie alle rune, rende l’arma magica e capace di arrecare maggior danno; l’arco ha anch’esso il colpo normale e il colpo caricato e, come per il martello, anche qui le rune possono potenziare il colpo: l’utilizzo di quest’arma risulta buggato e non ben congegnato, non sempre i colpi possono andare a buon fine (e non sarà per forza colpa del giocatore).

Grafica e Sonoro

Il motore grafico del gioco viene gestito da Unreal Engine 4, le texture sono ben curate, dall’erba, agli alberi sino all’ambiente circostante, compresi i colori, gli effetti e i filtri; a voler essere pignoli, un risultato non ottimale si è avuto nella cura dei capelli del personaggio, i quali risultano poco belli da vedere nonostante l’antialiasing accentuato, e anche in alcune texture che presentano risultati di scarsa qualità – le assi di legno risultano ad esempio sgranate e sfocate – ma non sono molte le sbavature di questo tipo. Il gioco non è esente da bug e glitch, notiamo vari glitch grafici, linee che sembrano artefatte, una fisica del gioco che a volte pare deliberata: un esempio su tutti, i mostri che, una volta morti, volano in aria non appena attacchiamo altri nemici vivi nei paraggi, senza alcuna giustificazione. Un altro piccolo problema – anche se qui non si può parlare propriamente di bug – riguarda ancora i mostri che quando sono in modalità “pacifica” – e quindi non ci vedono – laggano non poco nella camminata, finendo col “teletrasportarsi” di qualche passo. Sul piano sonoro invece è stato fatto un buon lavoro, ogni traccia audio è stata creata in collaborazione con Moana Production e il risultato pare appropriato all’ambiente di gioco.

Ottimizzazione

Sul piano dell’ottimizzazione è stato fatto un lavoro notevole, e il risultato non era scontato con un motore che, se non gode di un buon lavoro, risulta pesante e rischia di penalizzare il gameplay. Giocato al massimo delle prestazioni, con dettagli “Epic” da scegliere tra le impostazioni, in 1080p, si è avuta una media di 70/80 FPS con dei minimi di 50 FPS, parametri normali, considerando anche che il gioco pesa solo 1,15 GB e la zona giocabile è piccola, con pochi caricamenti da effettuare nonostante le texture siano ben fatte.
Doppiaggio e testo sono 
solo in inglese, l’unica voce che si sente è quella del personaggio che useremo, una voce molto corposa che rende l’idea di uomo forte e ricorda vagamente quella di Duke Nukem.

Conclusioni

Tirando le somme, la demo beta di Einar da ben sperare, e fa piacere un simile risultato – pur non esente da difetti – considerando che si partiva da un esperimento universitario. Il tempo di completamento è di quasi 1 ora e mezza, tempo che si allunga se si vogliono cercare gli Easter Egg di cui il gioco è pieno. Con del lavoro adeguato, si potrà avere un prodotto finale interessante e vario. Einar ricorda in qualche modo Dark Souls in versione nordica, e proprio l’ambientazione nelle terre norrene sarebbe una ventata di aria fresca in giochi di questo genere.
Aspettando la versione definitiva,
Einar è consigliabile a chiunque voglia provare dei nuovi indie e cerchi un gioco d’azione divertente e dall’ambientazione non consueta.

Processore: Intel Core i5 6600K @4,60 GHz
Scheda video: NVIDIA GeForce GTX 960 2 GB Gigabyte Mini ATX OC Version
Scheda Madre: MSI z270 Gaming M7
RAM: G.SKILL Trident Z RGB 2×8 GB 3200 MHz DDR4
Sistema Operativo: Windows 10 Home 64 Bit