SEGA AGES: Thunder Force IV

Anche su Nintendo Switch, come in molte altre console prima di questa, arriva la collana di giochi Sega Ages, una serie di release di titoli per le vecchie console Sega migliorati per la nuova generazione e con nuove aggiunte. Per iniziare hanno deciso di rilasciare due dei più grandi titoli per Mega Drive, ovvero Sonic the Hedgehog e Thunder Force IV, gioco della Technosoft uscito nel 1992 che andremo a recensire. La saga è in stallo dal 2008, anno dell’uscita di Thunder Force VI, ma grazie all’acquisto delle proprietà intellettuali Technosoft avvenuta nel 2016, Sega ha adesso modo di poter continuare la loro fantastica saga di shooter e rilasciarne i titoli chiave; dopo l’uscita di Thunder Force III su Nintendo 3DS circoscritta al solo Giappone, questa nuova uscita avvenuta lo scorso 20 Settembre su Switch porta la saga ai più giovani giocatori di tutto il mondo, e quale miglior modo di presentarsi se non con il capitolo più forte e completo della serie? Thunder Force IV, ora come allora, offre un’azione e una colonna sonora in grado di accelerare il vostro battito cardiaco e un gameplay fra i migliori del genere; vediamo cosa rende speciale questo titolo in questa nuova release per l’ultima console Nintendo che ultimamente sta rilanciando un vero e proprio revival degli shoot ‘em up.

Una lotta all’ultimo sangue

La federazione spaziale, dopo gli eventi di Thunder Force III, è riuscita a fermare l’impero Orn ma con forti perdite fra le sue file. Proprio in questo momento, quando sono più deboli, un nuovo nemico si staglia all’orizzonte: i Vios, formati da terrestri e orniani, sferrano un attacco a sorpresa alla federazione registrando ulteriori perdite. Scoperta la loro base sul pianeta Aceria, la Federazione manda in avanscoperta il Rynex per sbarazzarsi della nuova minaccia, nonostante la navicella sia momentaneamente incompleta. Di questi risvolti, i giocatori potranno venire a conoscenza solamente connettendosi a internet e leggendo la trama da un vecchio manuale della versione Sega Mega Drive oppure dalle wikia degli appassionati che da anni archiviano le trame di questi shooter; Thunder Force IV proviene da un’epoca in cui la backstory, qualora non fosse stato possibile inserire ogni risvolto di trama all’interno del media ludico, veniva proposta nel manuale cartaceo e, sfortunatamente, il nuovo manuale online per la versione di Nintendo Switch non include la storia. Una volta letto quel che riguarda la cornice narrativa, ciò che avviene su schermo nelle sezioni “meno dinamiche” potrà avere un senso anche se non sarà necessario capire tutto quanto, visto che lo Shmup è un genere prettamente arcade; sarebbe stato carino poter includere questa backstory nel manuale digitale ma è vero anche che in giochi del genere la narrazione è veramente superficiale.
Ciò che conta in Thunder Force IV è il suo spettacolare gameplay: intricati livelli a velocità più o meno alta, boss battle all’ultimo sangue e ottimizzazione delle proprie risorse, ovvero i cinque power up collezionabili, i satelliti (Claw) e le capsule scudo da raccogliere in volo nonché la velocità modificabile in ogni momento. A tal proposito, è raro non poter trovare i power-up quando più ci servono e perciò, anche nelle sezioni più difficili, avremo sempre modo di cavarcela; il Rynex, se non altro, è ricordato dai fan come una delle navicelle più potenti della saga, specialmente per il fatto che dopo il quinto livello verremo dotati della Thunder Sword, arma speciale che permette un colpo caricato (solo se saremo dotati dei satelliti), perciò, anche con i power up di base (ovvero il twin shot, che spara due file frontali di proiettili ed è potenziabile nella più potente blade, e il back shot che ne spara una davanti e una dietro, potenziabile anch’esso in rail gun) saremo sempre ben equipaggiati per ogni situazione. Ricordiamo che, come da regola della saga, all’esplosione della navicella perderemo il power-up corrente, perciò, proprio quando si usa l’arma più utile per gestire una determinata situazione, quello è anche il momento in cui non ci si può distrarre, neanche per grattarsi il naso. Questo capitolo presenta i livelli più avvincenti della serie, che diventano anche quelli più difficili e avvincenti; premendo “X” e “Y“ all’avvio del gioco (ovvero durante l’apparizione del logo Sega e Technosoft) sarà possibile accedere al menù delle opzioni, e lì si potrà cambiare il livello di difficoltà (da “normale” a “facile”, ma anche da “difficile” o a “maniac”). Selezionare una difficoltà più esigua non comporterà alcuna penalità alla fine del gioco, perciò i meno esperienti del genere shoot ‘em up potranno diventare sempre più bravi per poi poter provare le restanti difficoltà; a supporto del giocatore, inoltre, tornano anche i vecchi cheat per le 99 vite e per ottenere tutti i power-up durante l’azione (che dovrete inserire premendo pausa ma orientandovi ricordando il layout dei tasti del joypad del Mega Drive). Tuttavia, se volete un esperienza autentica ma la normale difficoltà vi sembra un po’ estrema, e non volete neppure utilizzare i cheat, in questa release sarà possibile giocare alla versione parallela Thunder Force IV Kids. Il gioco rimarrà lo stesso sul piano del level design, e interverranno alcuni cambiamenti che renderanno il gameplay meno snervante:

  • i nemici cadranno con meno colpi rispetto alla versione normale.
  • I power-up non verranno persi alla perdita di una vita.
  • Tornando in campo dopo un’esplosione saremo muniti di satelliti, godendo dunque del massimo del raggio d’azione delle armi, e una capsula di protezione all’ultimo stadio (quindi basterà un colpo per perderla).

Se ancora tutto questo non vi basta, oppure conducete una vita che non vi permette di stare troppo tempo davanti ai videogiochi, questa release Sega Ages vi offrirà i save/load state tipici degli emulatori, in modo da salvare i progressi correnti e riprendere la partita quando il tempo ve lo permetterà.
Esattamente come nella versione di Thunder Force IV per Sega Saturn, inclusa nella collection Thunder Force Gold Pack 2, sarà possibile rigiocare l’intero gioco con la Styx, navicella del precedente capitolo, e con essa avremo a disposizione esattamente lo stesso arsenale di power-up di Thunder Force III; per sbloccare questa modalità basterà completare il gioco in qualsiasi difficoltà, a differenza della precedente versione in cui era necessario completare l’intero gioco con un solo credito. La navicella non verrà dotata della Thunder Sword al quinto livello ma i suoi power-up, specialmente se potenziati, saranno abbastanza potenti da abbattere con facilità molti dei nemici; tuttavia, giocando in questa modalità, ci si renderà conto di come i livelli, in realtà, siano stati disegnati per i power-up del Rynex, soprattutto per quelle sezioni in cui non avremo dei veri sostituti per le armi Free Way e Snake (che sono power-up più utili quando si passa per dei cunicoli stretti o ci serve adottare una tattica difensiva che garantisca un attacco mentre si va in ritirata) e perciò sarà più difficile rendere efficaci le armi esclusive dello Styx, ovvero la Wave e la Fire, in certe sezioni. Tuttavia, entrambe le navi possono essere utilizzate anche nella versione Kids perciò questa modalità può rappresentare un ottimo compromesso per la mancata affinità dei power-up dello Styx coi livelli di Thunder Force IV.

Arte classica

Ai tempi, Thunder Force IV fu affidato al team che portò Devil’s Crush su Mega Drive (un gioco pinball sviluppato originariamente su PC Engine) e pertanto il comparto artistico dal terzo capitolo è semplicemente sensazionale; la grafica in sé è una delle più belle mai proposte su Mega Drive e offre sprite dettagliati, proiettili sempre ben visibili e distinguibili, fondali ricchissimi, colorati ma soprattutto profondissimi grazie a un ingegnoso uso dei layer di scorrimento del Mega Drive da parte dei programmatori originali. Sfortunatamente, per via della qualità della grafica, velocità dell’azione e di alcune sezioni in cui più nemici appaiono contemporaneamente, il gioco soffre di rallentamenti che possono essere tuttavia sfruttati dal giocatore per affrontare con più calma le sezioni più difficili. La release Sega Ages, però, ci offre un’opzione per ridurre questi rallentamenti: in questo modo non elimineremo definitivamente il problema ma almeno si presenterà con meno frequenza.
Le opzioni offerte con questa nuova release permettono di visualizzare infatti il gioco nel modo che più ci piace: possiamo scegliere il ratio dello schermo da una gamma che vede un 4:3 centrato, un 4:3 che si lega ai bordi superiori e inferiori della tv/monitor del Nintendo Switch (secondo noi la migliore) e un 16:9 che copre tutto lo schermo; effetti di visualizzazione che permettono di vedere l’immagine in pixel perfect (ovvero visualizzando ogni singolo pixel dell’immagine), con uno smoothing che rende la grafica più omogenea e smussata oppure con gli scalini del tubo catodico (applicabili sia con lo smoothing che col pixel perfect). Bisogna dire che l’HDMI riesce a rendere migliore la grafica del Mega Drive, anche se questa non era la risoluzione pensata per i suoi giochi, e le diverse opzioni di visualizzazioni riescono ad accontentare ogni tipo di retrogamer o giocatore moderno. Inoltre, è possibile cambiare la title screen del gioco da Thunder Force IV a Lightening Force: Quest for the Darkstar, buffissimo titolo contenente un errore ortografico (inspiegabilmente) scelto per vendere il gioco in Nord America; il gioco non subirà alcuna variazione ma è giusto una chicca per gli appassionati.
Infine, è impossibile parlare di Thunder Force IV senza menzionare l’incredibile colonna sonora. Curata da ben tre compositori, ovvero Toshiharu Yamanishi, Takeshi Yoshida e Naosuke Arai, il titolo offre oltre un’ora e mezza di musica che spazia dal rock/metal al jazz/fusion ma anche, a tratti, alla musica elettronica; gli autori di questa colonna sonora hanno saputo trarre il massimo sia dal chip YM2612, che forniva alla macchina la sintesi FM di cui il Mega Drive era tipico, e dal chip PSG primariamente utilizzato per rendere la console retrocompatibile col Sega Master System. Anche se la sintesi FM non reggeva il confronto con l’avanzatissimo chip S-SMP del Super Nintendo, i compositori riuscirono a creare diversi suoni di chitarra elettrica distorta in grado di fornire al Mega Drive delle sonorità che potessero accostarsi tranquillamente all’heavy metal e al rock, rendendo la colonna sonora di Thunder Force IV non solo al passo contro la console Nintendo ma persino al pari delle migliori band metal a livello compositivo; la musica si fonderà perfettamente con le visual futuristiche e le spettacolari battaglie aree e perciò la qualità delle composizioni è semplicemente di qualità altissima. Inoltre, dopo aver completato il gioco per la prima volta, come nell’originale, sbloccherete i dieci pezzi Omake, ovvero dei pezzi scartati che potrete ascoltare solamente dal menù delle opzioni. Grazie alla sua colonna sonora il gameplay viene intensificato al massimo ed è ciò che rende Thunder Force IV un gioco unico nel suo genere.

(Ruin? Una sola? Ma soprattutto: Daser?!)

Un titolo storico

Questo titolo è semplicemente un pezzo di storia che oggi possiamo goderci con soli 6,99€ sul Nintendo E-Shop, un decimo degli osceni prezzi delle cartucce originali per Mega Drive vendute su eBay. Le migliorie per rendere appetibile Thunder Force IV sono ottime e il gioco ci arriva esattamente come è stato concepito in origine insieme alle ulteriori migliorie e alle aggiunte della versione per Sega Saturn, come la modalità con lo Styx e la riduzione dei rallentamenti; non avrà uno storytelling d’avanguardia, fattore che può allontanare coloro che a un videogioco debbano necessariamente una storyline solida, ma questo unico gioco della Technosoft è un vero e proprio esempio di come uno shooter va concepito ed è pertanto una pietra miliare della libreria del Sega Mega Drive. Assolutamente da provare, specialmente se siete appassionati degli Shmup e della favolosa console 16 bit di Sega.




Top 10 giochi NES sottovalutati

Il Nintendo Entertainment System è una console che di certo non ha bisogno di introduzioni: piena di classici che hanno dettato un’infinità di standard per le generazioni a venire. Basti pensare a Super Mario Bros. per i  platform, The Legend of Zelda e Metroid per i giochi d’avventura, Final Fantasy e Dragon Quest per gli RPG, Gradius per gli shoot ‘em up, e poi ancora Mega Man, Castlevania, Contra, Bionic Commando, la lista potrebbe non finire mai. Questi sono indubbiamente giochi che ogni appassionato conosce (o dovrebbe conoscere) ma come accade per ogni generazione ci sono molti altri titoli, davvero al pari dei classici, che semplicemente non spiccano perché possibilmente la data di uscita ha coinciso con qualche altro gioco più grande o, semplicemente, non ha ricevuto l’attenzione delle riviste e soprattutto dei fan. Oggi su Dusty Rooms faremo qualcosa di insolito, un tipo di articolo sicuramente inflazionato ma comunque intriso, soprattutto, della nostra personalissima esperienza come giocatori: una bella Top 10 dei giochi più sottovalutati della libreria del NES. Vi faremo una breve introduzione, vi diremo quali sono le feature più interessanti e anche qual è il miglior metodo per giocarci al giorno d’oggi. La lista includerà anche import di cui siamo certi esistano traduzioni sul web da poter patchare con le rom. Se ci dimentichiamo di qualche titolo fatecelo sapere – educatamente – nei commenti qua sotto.

10. Nightmare on Elm Street

Uno, due, tre, Freddy™ viene da te… Ebbene sì, con l’avvento di internet questo gioco è diventato molto impopolare, specialmente per l’associazione con LJN, il cui marchio, se appare nella title screen, è sinonimo di gioco programmato coi piedi. Tuttavia in molti su internet hanno dimostrato che i loro giochi non sono tutti da buttare e questo non solo è uno dei più interessanti ma e anche uno dei più avvincenti, sebbene non c’è un briciolo di violenza che ha resto la saga famosa sul grande schermo. Il gameplay ha uno strano meccanismo di “dream world/awake world” e una progressione poco dinamica, non intuibile a primo acchito, ma una volta fatto il callo con queste particolarità Nightmare on Elm Street presenta un gameplay abbastanza piacevole: ci sono dei degli stage in cui bisogna collezionare una serie di ossa appartenenti al defunto Freddy Krueger, nel dream world è possibile raccogliere delle carte che permettono al giocatore di diventare un atleta o un mago e i buoni controlli permettono una fruizione di tutto rispetto. Tuttavia, la più bella feature di questo gioco è sicuramente il multiplayer fino a quattro giocatori in contemporanea grazie al NES Four Score; un po’ come in Nightmare on Elm Street 3: Dream Warriors, tutti uniti per sconfiggere Freddy Krueger! Non credete alle baggianate del web, questo titolo merita molto di più.

9. Street Fighter 2010: The Final Fight

Il 2010 è passato e sicuramente non abbiamo visto l’invasione da parte di demoni scorpioni, alieni mutanti a forma di ombrello e occhi intrappolati in capsule di vetro un po’ dappertutto… Se qualcuno di voi sta ancora pensando che questo titolo non ha nulla a che fare con la celeberrima serie picchiaduro Capcom vi sbagliate di grosso; questo è l’ultimo titolo della saga prima che esplodesse con Street Fighter II! La storia vede Ken, in questo titolo uno strano tamarro spaziale, 25 anni dopo il primo torneo di Street Fighter; diventato uno scienziato, il noto combattente dal gi rosso crea il cyboplasma (sarà probabilmente come un ectoplasma con un po’ di “cybo” dentro) insieme al suo nuovo amico e assistente Troy. In seguito Troy viene ucciso e il cyboplasma, che una sostanza in grado di dare alle creature viventi una forza sovrannaturale, viene rubato; ci metteremo dunque sulle tracce dell’assassino del nostro assistente per vendicare la sua morte e recuperare i pezzi della nostra creazione per evitare che finiscano nelle mani sbagliate. Questo titolo è blasonato in primo luogo per i suoi controlli poco intuitivi e per il fatto che non ha nulla a che vedere con Street Fighter (né con Final Fight, visto che è citato nel titolo) ma per quanti difetti possa avere e difficile prendere familiarità coi controlli (vi consigliamo appunto di giocarlo con un controller con tasti turbo), Street Fighter 2010 offre un livello di sfida tosto al punto giusto e un gameplay di tutto rispetto. Le atmosfere sono veramente splendide – oseremo dire un mix fra Salvador Dalí e H.R. Giger – e può regalare delle sane ore di gameplay, specialmente se lo togliamo dal contesto Street Fighter. Indubbiamente da provare, anche se non faremo Shoryuken attraverso lo spazio e il tempo, non faremo la mezzaluna di Guile sulla luna e non romperemo asteroidi con le testate di Honda: al diavolo Street Fighter V, viva Street Fighter 2010!

8. Splatterhouse: Wanpaku Graffiti (Famicom)

La gente conosce la saga di Splatterhouse per la sua violenza e la sua vicinanza con la serie horror Venerdì 13 ma questo spin-off viene spesso trascurato in favore dei più grandi titoli principali. Wanpaku Graffiti (che in giapponese significa graffiti monelli) ha un approccio meno serio rispetto alla saga, infatti Rick, il famoso protagonista che sfoggia la maschera del terrore (che è una scopiazzatura della famosissima maschera da hockey di Jason), la fidanzata Jennifer, i mostri e i boss vengono presentati con uno stile chibi/super deformed, tutt’altro che horror. Il gameplay è molto simile a quello di Splatterhouse ma molto più semplificato e veloce, adatto a coloro che non vogliono una sfida troppo impegnativa, veramente una gemma che merita di essere riscoperta. Il gioco, nonostante sia uscito esclusivamente per Famicom, non presenta linee di dialogo in giapponese, né i prezzi su eBay non sono terribilmente proibitivi; ricordiamo inoltre che esistono anche delle reproduction cartridge che girano anche su i NES americani e europei.

7. Lagrange Point (Famicom)

Non è un RPG di Squaresoft, né di Enix e neppure di Sega, bensì un’avventura futuristica, ispirata primariamente alla saga di Phantasy Star, targata Konami. È un titolo molto raro e dispendioso ma è un titolo che merita di essere giocato e soprattutto ascoltato visto che è l’unica cartuccia del Famicom che monta l’impressionante chip sonoro VRC7, in grado di dare a questo gioco la sintesi FM, dandogli delle sonorità al pari del Sega Mega Drive. In quanto avventura RPG non porta grandi innovazioni, è un’avventura molto classica ma è spesso un titolo dimenticato nonostante le sue molte particolarità, soprattutto sul piano tecnico e sonoro (basta guardare la deforme cartuccia originale). Lagrange Point può sembrare un titolo proibitivo visto il prezzo, generalmente alto e il fatto che l’aspetto testuale del gioco, che in un RPG fa da padrone, è interamente in giapponese; per questi motivi è meglio trovare il gioco in rete e scaricare la patch da applicare alla rom. Non ve ne pentirete!

6. Journey to Silius

Questo titolo Sunsoft ha una storia molto affascinante: inizialmente questa compagnia era riuscita a ottenere i diritti per produrre un videogioco tratto dal film Terminator ma quando gli studio cominciarono a lavorare su Terminator 2 questi furono ritirati per far sì che un’altra compagnia potesse farne un gioco appena dopo l’uscita al cinema. Sunsoft decise tuttavia non staccare la spina all’intero progetto e così salvò il tutto producendo una nuova IP da zero. Nonostante la cancellazione del progetto originale è ancora possibile notare ciò che rimane del progetto originale: il primo livello ricorda esattamente il mondo post-apocalittico dalla quale il Terminator è venuto e il design delle armi, visibili nel menù di pausa, somigliano a quelle impugnate da “Schwartzy”. Licenza o no, questo gioco è una vera bomba: tanti livelli avvincenti, ottimi controlli, una moltitudine di armi per un gameplay molto vario e una colonna sonora spettacolare! Journey to Silius offre una sfida eccezionale, anche se non adatta proprio a tutti per via della sua spiccata difficoltà. Sfortunatamente recuperare questo titolo su NES è molto dispendioso, così come la collection su intitolata Memorial Series: Sunsoft Vol. 5 su PlayStation in cui è presente. Speriamo che appaia presto in streaming su Nintendo Switch, altrimenti… Sapete cosa fare!

5. Cobra Triangle

A che serve una storia quando hai un motoscafo che va a 90Mph, che monta mitragliatori, missili e può persino spiccare il volo grazie a una minuscola elica? Concepito col motore grafico di R.C. Pro-Am, Cobra Triangle è un gioco Rare che mischia principalmente corsa e combattimenti veicolari ma gli obiettivi cambiano in ogni stage: oltre al semplice “arriva al traguardo” avremo stage in cui dovremo disarmare delle mine, proteggere civili, saltare cascate in corsa col nostro motoscafo e persino affrontare delle creature marine giganti (entrambe cose che fanno pensare che all’interno di quel motoscafo ci sia Chuck Norris), il tutto accompagnato dalle magiche composizioni di David Wise, noto soprattutto per aver composto la colonna sonora di Donkey Kong Country. Ai tempi il gioco fu abbastanza popolare ma probabilmente, per via della sua elevata difficoltà (e anche per il fatto che R.C. Pro-Am era molto più accessibile), Cobra Triangle non diventò un titolo molto discusso. Anche se non ha mai avuto un vero cult following, vi è possibile giocarlo nella collection Rare Replay su Xbox One uscita nel 2015. Un gioco per i veri duri!

4. Ducktales 2 e Chip ‘n Dale 2

Entrambi sono i sequel, rispettivamente, di Ducktales e Chip ‘n Dale (in Italia Chip & Ciop: agenti speciali) e anche se rispettivamente ai loro primi capitoli sono un po’ inferiori ciò non toglie che rimangono giochi veramente eccezionali e sopra la media. Non ci sono grosse innovazioni sul piano tecnico ma il level design e il livello di sfida sono al pari dei vecchi giochi; al giorno d’oggi avremmo considerarli come DLC dei giochi precedenti. La critica, ai tempi, espresse ancora una volta dei pareri unanimemente positivi ma essendo usciti fra il 1993 e il 1994 purtroppo non attrassero l’attenzione dei giocatori che ormai erano passati definitivamente alle macchine 16bit; di conseguenza, essendo usciti così tardi, furono prodotte pochissime copie di entrambi i giochi e ciò si traduce, al giorno d’oggi, in prezzi obbrobriosi su eBay. Fortunatamente per noi, così come per Cobra Triangle, questi due giochi sono stati aggiunti in una collection recentissima, ovvero The Disney Afternoon Collection per PC, PlayStation 4 e Xbox One, che include, oltre a Ducktales 2 e Chip ‘n Dale 2, i rispettivi (e superiori) prequel, TaleSpin e…

3 Darkwing Duck

Recentemente riscoperto, questo titolo ha vissuto per anni nell’ombra generata da altri titoli simili, soprattutto Mega Man e i restanti giochi Disney prodotti da Capcom sul NES. Nonostante il termine di paragone, possiamo dire che ha comunque ben poco da spartire con i giochi appena citati e che Darkwing duck si pone come un gioco a sé. Come in Mega Man possiamo selezionare i primi sei stage iniziali, abbiamo un assortimento di armi “a consumo”, ma diversamente dal robottino blu Darkwing Duck può parare alcuni colpi nemici col suo mantello e può aggrapparsi ad alcune piattaforme da sotto (così come può smontare dalle stesse premendo salto e giù contemporaneamente) e ciò sarà una componente fondamentale negli stage del gioco; in aggiunta a un level design veramente eccellente, questo titolo riesce a consegnare delle sanissime ore di gaming grazie a semplicissime meccaniche, tanto classiche quanto avvincenti. Così come per Ducktales 2 e Chip ‘n Dale 2, Darkwing Duck è presente in The Disney Afternoon Collection, perciò potrete godervi questo titolo con pochissimo e in un media recente in definizione HD.

2. Getsu Fūma Den (Famicom)

Questo gioco fu la risposta di Konami a Genpei Toumaden, un gioco Namco ispirato alla storia del primo Shogunato del Giappone. Come la controparte, questo gioco estrae elementi di trama direttamente dall’era Sengoku, una particolare fase della storia Giapponese; al centro della trama c’è Getsu Fūma, il più giovane ninja del clan dei Fūma (ordine esistito realmente), che parte alla volta delle isole demoniache per vendicare i suoi tre fratelli caduti in battaglia, recuperare le loro spade (chiamate Hadouken) e sconfiggere Ryūkotsuki, il demone responsabile della morte dei suoi compagni. Come in Zelda II: the Adventure of Link, ci ritroveremo in una schermata di overworld molto simile e lì possiamo visitare le tende, in cui potremo trovare mercanti o oracoli che ci daranno dei consigli sul dove andare, o attraversare i torii, le famose strutture a forma di portale giapponesi; lì partirà l’azione vera e propria e dovremo pertanto affrontare un breve stage ma irto di nemici e ostacoli di vario tipo. Durante le fasi in 2D possiamo avere l’opportunità di usare qualche oggetto per sfollare le schermate più caotiche, raccogliere un po’ di oro lasciato da i nemici e accumulare punti attacco e difesa per far crescere dinamicamente il nostro personaggio, esattamente come in un gioco RPG. Gradualmente, torii dopo torii, arriveremo a uno dei nostri veri obiettivi, ovvero uno dei tre dungeon sparsi nell’isola: qui, dopo aver avuto modo di provare l’intensa azione 2D, avremo modo di vedere il gioco letteralmente da un’altra prospettiva, alle spalle di Getsu Fūma in un buio labirinto in 3D. Vale a ricordare che, di questi labirinti, non c’è una mappa in game ma, così come per molti altri titoli dell’epoca, è consigliabile munirsi di carta e penna e cominciare ad abbozzare una mappa da noi (orientandoci con la bussola da comprare in un negozio prima di entrare) – che dire? Giochi di altri tempi! –. Il gameplay si farà apparentemente più calmo, ma questa sarà solo una falsa impressione in quanto troveremo, in questa modalità, altri nuovi nemici da affrontare da questa prospettiva 3D, e stavolta ci toccherà usare un po’ più di ingegno. Purtroppo questo titolo, probabilmente per via del gap culturale, non superò mai le sponde del Giappone, nemmeno coi servizi Virtual Console di Wii, Wii U e 3DS per i quali uscì, e Getsu Fūma Den rimane a oggi un fenomeno esclusivamente giapponese, quando in realtà il gameplay soddisfa appieno anche i gusti occidentali. Fortunatamente per noi, la hack scene è venuta incontro ai giocatori di tutto il mondo e da tempo esiste dunque una rom tradotta che permette dunque a noi demoni occidentali di provare questo gioco veramente spettacolare. Da non perdere per nessun motivo!

1. Metal Storm

Questo titolo non è soltanto un gioco veramente divertente ma è anche uno dei giochi più fini della libreria del NES. A tratti, questo gioco Irem, famosi principalmente per R-Type, può ricordare Mega Man per la sua natura che mischia run ‘n gun, platform e avventura, ma Metal Storm si differenzia per due fattori principali: il primo è che il nostro mecha esplode con un solo colpo avversario e il secondo, ed è ciò che rende questo gioco veramente unico, è la gravità che cambia quando premeremo su/giu e salto. Insieme a delle animazioni fluidissime, splendide per una macchina 8 bit, una grafica molto dettagliata e una colonna sonora spettacolare, Metal Storm ha un gameplay difficile ma adatto a tutti, dai principianti ai più navigati (che potranno trovare del vero pane per i loro denti una volta terminata la prima run e avviato la seconda per esperti) e un level design curato in ogni dettaglio e che include anche dei livelli giroscopici. Questo è un titolo esemplare per la libreria del NES ma purtroppo è molto impopolare, persino fra i più affiatati collezionisti: Metal Storm uscì nel Febbraio 1991, lo stesso anno in cui uscirono i più famosi Battletoads, Tecmo Super Bowl, Double Dragon III, Bart vs the Space Mutant e persino il Super Nintendo, che sarebbe uscito ad Agosto. In tutto questo Irem non ha mai avuto realmente lo stesso peso di altre grandi compagnie come Capcom, Konami o Hal e perciò, nonostante questo titolo fu pubblicizzato in una copertina di Nintendo Power, questo titolo non ha mai raggiunto lo status di classico, forse neppure oggi. Recuperate questo titolo oggi e diamo a Metal Storm il riconoscimento che merita!




Sonorità Videoludiche – I Chip sonori e il loro utilizzo

Fin dai tempi antichi, l’uomo ha compreso di poter sfruttare i suoni come forma espressiva, e allo stesso modo i suoni dei primi computer provenivano esattamente dal cuore delle macchine. Modelli come l’Apple ][ e i primi IBM erano dotati di altoparlanti direttamente collegati alla CPU, della quale venivano “temporizzati” gli impulsi per trasformarli in toni. Questo metodo in realtà poteva permettere di riprodurre qualsiasi suono affinché un file sonoro compatibile entrasse nel media fisico; tuttavia, quando questi dovevano essere riprodotti durante un gioco, interrompevano il gameplay poiché la CPU doveva impegnarsi esclusivamente per riprodurre quello specifico suono.

L’arrivo dei chip sonori

Col passare del tempo e con l’avanzare della tecnologia il carico delle CPU di computer e console venne definitivamente alleggerito grazie all’uso di chip sonori dedicati per riprodurre la musica. Le istruzioni musicali che provenivano dal media fisico anziché finire sulla CPU finivano nel chip sonoro dedicato che era in sé come una specie di band che “suonava lo spartito” che gli veniva mandato; le istruzioni provenienti dal media fisico includevano i toni, le durate e il canale da far suonare e, una volta passate dal chip, avrebbero prodotto la musica da incanalare negli altoparlanti. All’interno del chip erano presenti i canali per le forme d’onda, ovvero le voci del chip. Ogni chip aveva pregi e difetti, ovvero forme d’onda diverse, numero di canali, polifonia, assegnabilità, ecc… le caratteristiche dei singoli chip davano al sistema (o arcade board) una sfumatura diversa che serviva a rendere ancora più caratteristico un sistema, dando dunque una voce diversa rispetto le altre scelte sul mercato. L’APU, chip sonoro del NES, aveva cinque canali: due per le onde quadre, le cui ampiezze potevano essere modificate, uno per l’onda triangolare, usata solitamente per i bassi, un generatore di rumore bianco, usato per le percussioni, e un ultimo canale per i campionamenti. Ad occhio potrebbe sembrare che il SID del Commodore 64, che aveva solo tre canali, era un chip inferiore ma invece aveva caratteristiche che l’APU poteva solo sognarsi. A questi tre canali potevano essere assegnati quattro tipi di onde diverse (quadra, triangolare, a dente di sega e rumore bianco) che potevano addirittura essere riassegnate durante un brano, dando l’impressione vi fossero più di 3 voci; l’APU, seppur grazie ai due canali di onda quadra poteva dar l’impressione della polifonia, non poteva fare nulla del genere, i canali erano fissi e le voci erano sempre quelle. Tuttavia era possibile montare nelle cartucce del Nes dei chip aggiuntivi per dare ai giochi un suono diverso: ne sono testimoni giochi come Gimmick! di Sunsoft, che montava il suo FME-7, Castlevania III con il suo VRC6 che metteva ben 3 canali in più e Lagrange Point, uscito solo in Giappone, che montava il chip VRC7, sviluppato da Konami stesso, che emulava la sintesi FM già presente in sala giochi. Spesso nei dibattiti Sega Master System vs NES viene tirato fuori l’argomento “chip sonoro”. La console 8-bit di casa Sega, anche se mostrava una grafica ben più avanzata rispetto alla controparte Nintendo, era azzoppata da un chip sonoro obsoleto, il Texas Instruments SN76489 dai 3 canali di onde quadre più uno di generatore di rumore bianco , che per questioni di programmazione e compatibilità Sega si portava dietro dal Sega SG-1000, la loro vera prima console rilasciata nel 1983; questa console fu costruita con un hardware simile ai computer MSX e al ColecoVision per facilitare la programmazione dei porting ma, evidentemente, Sega puntò sul cavallo sbagliato. L’uscita del Sega Mark III in Giappone, divenuto poi Master System nel resto del mondo, doveva permettere la retrocompatibilità con le vecchie cartucce delle precedenti incarnazioni e perciò non si poté permettere un chip sonoro più moderno; tuttavia Sega, più in là, rilasciò solamente in Giappone l’add-on FM Sound Unit che aggiungeva ben 9 canali e una qualità di suono senza paragoni, basata appunto sulla sintesi FM, processo che permette una modifica sostanziale alla forma d’onda di base. La ricerca di un suono più elaborato dimostrava come i giocatori, insieme al comparto grafico, desideravano un sonoro sempre più realistico e, a partire dal rilascio del FM Sound Unit per il Sega Master System, si andò sempre avanti alla ricerca del suono perfetto.

Perfezionamento e declino

Fu sulla base della sintesi FM che Sega diede voce al Mega Drive grazie al chip YM2612 di Yamaha. Fra gli anni 80 e 90 Yamaha produsse svariati chip sonori che vennero montate sia in computer e console che nelle loro tastiere dando alla musica, sia in ambito videoludico che in ambito pop, un timbro riconoscibilissimo e ben distinto. Fra le tastiere, usate appunto nella musica pop, possiamo ricordare il famosissimo Yamaha DX7, che si pose nel mercato come il primo sintetizzatore digitale, e le orecchie più allenate potranno trovare una certa similitudine con i suoni presenti nel Mega Drive. Tuttavia, nelle band, questi facevano il lavoro di uno strumento solo ma in ambito videoludico questi chip dovevano compiere il ruolo di un intera band! I diversi chip Yamaha furono montati nei Nec PC-8801 e PC-9801, Neo Geo AES, Sharp X68000 e usate come base per la produzione delle schede Sound Blaster per i PC. La storia volle che il creatore della Playstation Ken Kutaragi, vedendo sua figlia giocare con il Famicom, pensò di poter creare un chip sonoro superiore; così, prima in segreto e poi con l’aiuto di Sony, creo un chip sonoro in grado di restituire al pubblico una fedeltà sonora senza precedenti. Sony sviluppò per Nintendo il chip S-SMP che diede un netto punto a favore alla grande N contro la rivale Sega. Il chip si basava sulla sintesi in PCM, ovvero (mantenendoci in un linguaggio alla portata di tutti) tramite la creazione di onde digitali tramite un particolare processo di campionamento; in questo modo il Super Nintendo poté riprodurre dei suoni molto realistici, suoni che neppure i PC con le Sound Blaster potevano permettersi. La tecnologia del chip sonoro tuttavia era destinata a scomparire ed essere sostituita dalla più conveniente e potente tecnologia del Compact Disc: non solo le linee di programmazioni per i giochi potevano essere scritte in un media ben più grandi di una cartuccia ROM ma rimanevano ettari di spazio per incidere delle tracce musicali ed inserire veri e propri filmati. Grazie al CD la musica, anziché essere programmata dal PC, poteva essere tranquillamente registrata in uno studio di registrazione con strumenti veri ed in seguito essere incisa nel disco insieme al gioco vero e proprio ed eventuali filmati. Tuttavia i chip sonori continuarono ad esistere nelle console portatili dei tempi, dai più famosi Game Boy e Game Boy Advance, ai più di nicchia Sega Game Gear, Neo Geo Pocket e Bandai WonderSwan.

La vita dei chip sonori sembrava finita e, come le musicassette, potevano essere dimenticati e lasciati ad ammuffire fino alla loro decomposizione ma, inaspettatamente, questi chip furono utilizzati per diversi scopi, addirittura in mondi ben più vasti della scena videoludica. Di questo ce ne parlera Gabriele Sciarratta nella parte 2.