NOstalgia

Una delle notizie più importanti della settimana è sicuramente la line-up dei venti giochi annunciati per PlayStation Classic: una serie di titoli che, nella comunità videoludica, ha lasciato più dubbi che certezze, soprattutto in base all’elevato costo del prodotto (100€ tondi tondi). Ma andiamo ad analizzarli uno per uno:

  • Battle Arena Toshinden: è il primo picchiaduro 3D uscito per la console di casa Sony. All’epoca generò anche un piccolo interesse (addirittura la rivista Game Power gli diede un pazzesco 105/100!), ma diciamo la verità: era brutto allora, ed è incredibilmente brutto dopo più di vent’anni dalla sua uscita, soprattutto se paragonato a Tekken, che uscì poco dopo. Avrei preferito molto di più Soul Edge, la base dell’odierno Soul Calibur.
  • Cool Boarders 2: il migliore della serie, con molta probabilità… però, se proprio dovevamo buttarci sugli sport estremi, non era meglio un Tony Hawk’s Pro Skater, titolo molto più iconico?
  • Destruction Derby: qua non ho niente da dire. Anche se, preferisco il seguito che migliora le buone cose viste nel predecessore. Però una buona scelta, nel complesso.
  • Final Fantasy VII: capisco enormemente il valore storico di questo titolo per PlayStation. D’altronde, è stato il primo della serie “sbarcato” sulla console Sony dopo anni sulle console Nintendo… però, con un remake in arrivo (ok, non si sa quando, arriverà) avrei preferito una scelta più traversale come un Suikoden II o un Legend of Dragoon. Però, ripeto, capisco la sua presenza.
  • Grand Theft AutoRockstar lo rese abandonware su PC anni fa, insieme al secondo. Scelta illogica sotto ogni punto di vista, anche perché si parla di un titolo che nasce e diventa di culto su PC, per poi esplodere del tutto solamente col passaggio alla terza dimensione su PlayStation 2.
  • Intelligent Qube/Kurushi: qui voglio spezzare una lancia a favore di questo puzzle. Non è il migliore dell’intera libreria PlayStation (a quello ci arriveremo dopo), però apprezzo che abbiano messo un titolo contenuto nella storica Demo One. E poi, è pure un buon puzzle game, anche se non è invecchiato proprio benissimo.
  • Jumping Flash: stesso discorso fatto prima per I.Q., uno dei primissimi titoli PlayStation. Forse non invecchiato benissimo in alcune meccaniche, ma per il valore storico ci può stare.
  • Metal Gear Solid: niente da dire, imprescindibile. Senz’ombra di dubbio uno dei cinque titoli più importanti di tutta la sconfinata produzione PlayStation.
  • Mr. Driller: Bel puzzle, però qui avrei messo un Kula World che avrebbe accontentato molta più gente, essendo forse il puzzle più giocato dei tempi.
  • Oddworld: Abe’s Odyssee: altro titolo storico dell’epoca, e anch’esso contenuto nella Demo One. Peccato solo che Steam lo abbia offerto gratuitamente lo scorso Maggio, ed è almeno la seconda volta che succede.
  • Rayman: considerando la recente operazione remake per Crash Bandicoot, alla fine, proporre la “mascotte” Ubisoft è una saggia scelta. Anche perché, non vedo platform migliori del primo Rayman all’orizzonte, visto che le alternative sono tutte invecchiate malissimo (Pandemonium), sono titoli mediocri (Croc), oppure erano già orrendi ai tempi (Bubsy 3D).
  • Resident Evil: Director’s Cut: anche qui niente da dire. Titolo che ha segnato intere generazioni di giocatori. L’unica cosa che mi fa storcere il naso è che è tutt’ora disponibile sullo store PlayStation anche se solo per PlayStation 3, PS Vita e PSP. Stessa sorte condivisa anche dal sequel, altro titolo importantissimo nella libreria, che probabilmente avrebbe meritato uno spazio maggiore anche in questa lineup.
  • Revelations: Persona: capisco il clamore dato dal quinto capitolo, essendo stato uno dei migliori giochi del 2017, ma alzi la mano chi creda che il primo Persona sia un classico. Non era meglio un titolo veramente generazionale come Wipeout 2097 e che ai fatti rappresenta una delle assenze più gravi di questa line-up?
  • Ridge Racer Type 4: forse per correttezza storica avrei scelto il primo, ma RRT4 con molta probabilità è il migliore della serie. E in assenza di un pezzo da novanta come Gran Turismo, non presente per problemi con i diritti della colonna sonora, non si poteva scegliere altro.
  • Super Puzzle Fighter II Turbo: se proprio bisognava mettere un terzo puzzle (forse troppi?) non si poteva fare scelta migliore di questo spin-off di Street Fighter. Uno dei migliori titoli del genere per la console.
  • Syphon Filter: personalmente, lo ritengo la sorpresa inaspettata della line-up. Una buona mossa da parte di Sony che accontenta i tantissimi giocatori che chiedono ancora a gran voce un remake per PlayStation 4. Per testare le acque in prospettiva futura ci sta.
  • Tekken 3: IL picchiaduro per PlayStation, senza ombra di dubbio. Certo, stona un po’ vedere Tekken 3 insieme a Toshinden… a sfavore di quest’ultimo, ovviamente.
  • Tom Clancy’s Rainbow Six: ecco, questa è una scelta veramente incomprensibile. Davvero non c’erano titoli migliori a disposizione? Che poi, vorrei vedere chi riesce a giocare un FPS tattico con la sola croce direzionale, visto che PlayStation Classic non offre lo storico controller Dual Shock, scartato a favore del primissimo joypad. Schiaffo morale a tutti coloro che speravano in titoli storici come Wipeout, Tomb Raider o Castlevania: Symphony of the Night (sì, è uscito recentemente su Playstation 4 insieme a Rondo of Blood, ma è uno dei titoli più rappresentativi della console).
  • Wild Arms: stesso discorso per Syphon Filter, una gradita sorpresa per un gioco di ruolo che merita di essere riscoperto, visto che all’epoca arrivò in Europa in colpevolissimo ritardo rispetto all’uscita giapponese e americana.

Insomma, una lineup non proprio esaltante, soprattutto rapportata al prezzo elevato della console rispetto alle concorrenti del settore, come NES e SNES Mini di Nintendo o il C64 Mini. È altresì vero che è difficile scegliere venti classici di una libreria vastissima e piena di perle come quella della prima PlayStation, ma vedendo la lista citata poc’anzi, mi viene da pensare che Sony si sia limitata al compitino fatto giusto per entrare nell’ormai affollatissimo mercato delle retroconsole. In pratica, la possibilità di avere una lista fatta a nostro gusto e piacimento è in mano alla comunità hacker, esattamente com’è successo con le mini console di Nintendo. A questo punto la domanda è più che lecita: tralasciando il collezionismo, ha senso spendere 100€ per un oggetto che diventerà godibile solamente quando si apriranno le porte del modding? Se proprio si ha la necessità di rispolverare dei vecchi classici dell’era PlayStation, a proprio piacimento e senza spendere una cifra così alta, non ha più senso buttarsi su un Raspberry Pi, oppure una cara e vecchia PlayStation Portable, console che si trova a prezzi abbordabilissimi e che è considerata una perfetta macchina per l’emulazione? considerando la portabilità di quest’ultima, si ha pure una feature in più, rispetto a PlayStation Classic.
Indubbiamente la mini console di Sony sarà un successo di vendite e magari, in futuro, la casa giapponese ci riproverà con una ipotetica PlayStation 2 Classic. Dopotutto, Nintendo con il successo di NES e SNES Mini ha dimostrato che la nostalgia può trasformarsi in un’opportunità di mercato parecchio ghiotta. Ma, da videogiocatore trentenne che ha vissuto in pieno l’era della prima PlayStation, posso dire di esser rimasto parecchio basito (“F4”) davanti alla line-up della mini console e ho cominciato a pormi una domanda in particolare: qual è il target di PlayStation Classic? I trentenni, come me, che hanno vissuto quell’era? I ragazzini odierni che per motivi anagrafici non hanno giocato i classici di allora e che probabilmente, avranno riscoperto gran parte di essi tramite remake e remaster odierne, oppure tramite la vecchia e cara emulazione, cosa che di fatto offrono queste mini console?
Sono fermamente convinto che l’emulazione sia qualcosa di necessario per la preservazione videoludica, come dimostra il grande lavoro di Nicola Salmoria, creatore del MAME, progetto che continua ancora oggi grazie alla dedizione dell’omonimo team che ha permesso di salvare dall’oblio migliaia di giochi arcade che sarebbero stati persi nei meandri del tempo o come dimostra la grandissima scena abandonware su PC. Bella la nostalgia, ma sulle mini console metto l’enfasi sulle prime due lettere della parola:”no”.




Star Fox Adventures: da Dinosaur Planet al prodotto finale

Sbaglio o ultimamente qui su Dusty Rooms, fra Thunder Force e Ikaruga, abbiamo un po’ la testa fra le nuvole? Che scendere dalle nostre navicelle da combattimento sia la cosa più saggia da fare? Oggi vi racconteremo dello sviluppo di un gioco molto controverso, sviluppato nell’arco di molti anni e arrivato al pubblico con sembianze totalmente diverse da quelle originali e che compromise il solidissimo rapporto fra Nintendo e Rare, facendo diventare quest’ultima compagnia un’esclusiva di Microsoft. Visto il suo 16esimo anniversario dell’uscita (che ricorreva due giorni fa), oggi parleremo di Star Fox Adventures, un gioco dai giudizi contrastanti e che ricordò al mondo che è meglio che Fox McCloud rimanga all’interno del suo Arwing – o magari che scenda solo per prendere a cazzotti i suoi colleghi Nintendo per il Super Smash Bros. corrente. Dunque, la risposta alla nostra precedente domanda è semplicemente: NO!

Uno standard troppo alto

Nel 1997 arriva Star Fox 64 (Lylat Wars in Europa), reboot del già ottimo Star Fox uscito nel 1993 su Super Nintendo, un gioco che riprendeva in parte molti assett di Star Fox 2, titolo essenzialmente pronto già allora ma che vide solo nel 2017 un rilascio ufficiale sullo Snes Classic Mini. Il gioco uscito in bundle col rumble pack, feature che diventò uno standard per la costruzione dei controller nell’industria videoludica, diventò incredibilmente popolare e, fino alla fine dei giorni del Nintendo 64, rimase uno dei titoli di bandiera della console; il gioco metteva i giocatori di fronte a degli stage su rotaie o in all range spettacolari, boss battle infuocate, tragitti ramificati, finali alternativi, sonoro di ottima fattura che includeva peraltro delle linee di dialogo di altissima qualità (come non dimenticare poi la famosa oneliner: «do a barrel roll!»), obiettivi secondari all’interno degli stage stessi, una modalità multiplayer locale consistente in una battaglia all range fra quattro Arwing, l’introduzione della squadra Star Wolf, rivali della Star Fox, il Landmaster, altri personaggi ricorrenti e molto altro. Insomma, Star Fox 64 è un gioco così bello che a tutt’oggi risulta ancora molto attuale e giocabilissimo; ne sono testimoni le re-release su Wii e Wii-U e l’acclamato remake per Nintendo 3DS. Tuttavia, un po’ com’è successo con Metroid dopo la sua entrata per Super Nintendo, un tale successo significa talvolta mettere il franchise da parte e riproporre più in là la stessa IP con un concept ancora più ampio, migliore e innovativo; le idee per un nuovo Star Fox furono messe da parte, almeno per la generazione del Nintendo 64, in attesa di nuove idee per un gioco su una più potente console di nuova generazione.

L’epoca d’oro di Rare

Nel frattempo Nintendo 64 era letteralmente il parco giochi della Rare, una piattaforma in cui potevano sperimentare per poi lanciare titoli di altissimo livello. Donkey Kong Country siglò l’inizio della lunga partnership con Nintendo, che acquistò inizialmente il 25% dello studio per poi salire gradualmente al 49%; dal 1994 in poi cominciarono a rilasciare i loro migliori giochi esclusivamente per le console della casa di Kyoto: Donkey Kong Country 2 e 3, Killer Instinct e Killer Instinct Gold, Blast Corps, Goldeneye 007, Diddy Kong Racing, Banjo Kazooie e Banjo Tooie, Perfect Dark, Conker’s Bad Fur day, tutti titoli eccellenti che riscossero pareri più che positivi tra fan e critica e che rispondevano, a spada tratta, alla concorrenza spietata di Sony PlayStation. Dopo lo sviluppo di Diddy Kong Racing, Rare si mise all’opera su un progetto molto ambizioso intitolato Dinosaur Planet, un gioco open world ispirato a The Legend of Zelda: Ocarina of Time che avrebbe utilizzato l’esclusivo expansion pack del Nintendo 64, in modo da aumentare la potenza RAM fino a 4 MB e permettere dunque delle cutscene doppiate con la grafica in-game, e ospitato in una colossale cartuccia da 512 MB, la più grande che il sistema avrebbe mai visto fino a quel momento. Rare sperava di rilasciarlo come ultimo titolo per Nintendo 64, l’ideale per chiudere una generazione di giochi stellare, ma, verso la fine dello sviluppo, Shigeru Miyamoto fece visita agli studios di Londra e, rimanendo molto colpito da Dinosaur Planet, consigliò agli sviluppatori di portare tutto sul prossimo Nintendo Gamecube; vista la spiccata somiglianza del personaggio principale, Sabre, con Fox McCloud, suggerì di fare del nuovo titolo la nuova entrata per l’universo di Star Fox. I fan della saga, del resto, avevano espresso in passato più volte il desiderio di vedere Fox fuori dall’Arwing e interagire a piedi in nuove missioni diverse dalle classiche lotte veicolari (non dimentichiamo, in aggiunta a tutto questo, l’apparizione di Fox in Super Smash Bros. per Nintendo 64 dove diventò, fra i giocatori, un fan favourite). Rare non accolse positivamente la richiesta di Nintendo, poiché avrebbero dovuto riadattare la storia con l’universo Lylat, ma alla fine lo studio riconobbe il potenziale della saga e perciò, tentando di salvare più elementi possibili aggiungendone al contempo di nuovi, il progetto diventò Star Fox Adventures: Dinosaur Planet.

E venne il giorno…

Il gioco fu rintitolato Star Fox Adventures e uscì il 23 Settembre del 2002 per Nintendo Gamecube. La critica accolse il gioco molto positivamente (su IGN si beccò un bel 9.0) ma i fan, in attesa di trovare il successore di Star Fox 64, ben presto si ritrovarono con l’amaro in bocca: Rare era molto fiera del progetto Dinosaur Planet, e si capiva benissimo che Fox e compagni erano un po’ fuori posto nella visione totale. Il gioco si apriva con Krystal, un nuovo personaggio dalle sembianze di volpe (la declinazione femminile di Fox, insomma), che si imbatteva nella nave volante del generale Scales (altro personaggio che, come Krystal, fu recuperato dal progetto iniziale) mentre si dirigeva al Palazzo dei Krazoa per ottenere delle risposte sulla distruzione del suo pianeta e l’uccisione dei suoi genitori. Dopo un livello tutorial tediosissimo, con puzzle in grado di mettere in difficoltà neanche un bambino di quattro anni, appare finalmente lo squadrone Star Fox e comincia un bellissimo shooter su rotaie in gloriosi 128 bit, molto breve e blando… e senza un boss finale. Fu da subito chiaro come fosse un gioco ben diverso da quello giocato in precedenza per Nintendo 64, e così i giocatori, una volta arrivati su Dinosaur Planet (indovinate che sembianze avevano gli abitanti) e raccolta l’asta di Krystal, l’arma che ci accompagnerà per tutto il gioco, non potevano fare altro che trarre il meglio di questa nuova avventura. I controlli e il design generale si rifacevano quasi interamente a The Legend of Zelda: Ocarina of Time e il tutto era stato congegnato, onestamente, con eleganza e sarebbe dunque ingiusto dire che Star Fox Adventures non ha qualità: la grafica è stata una delle più belle di quella generazione, lo si può notare dalla coda di Fox, dalle scaglie dei dinosauri, dai dettagli nelle rocce ma soprattutto delle bellissime e immense ambientazioni di Dinosaur Planet; la colonna sonora, anche se ben lontana dai temi marziali del precedente Star Fox 64, era molto curata ed eseguita magistralmente con orchestre e cori. Tuttavia, lo stravolgimento della formula generale, per quanto bello potesse essere esplorare questo nuovo mondo, non ha permesso al titolo di brillare e in molti, oggi, non riescono a guardare oltre i tanti difetti. In Star Fox Adventures ci sono tanti elementi eccentrici e fuori posto, come gli scarafaggi che rappresentano la valuta del gioco, e che scappano quando vengono fuori da una roccia; ma ci sono anche le noiose sezioni veicolari, persino quelle sull’Arwing, e le battaglie contro nemici poco interessanti, sempre sgherri del generale Scales tutti uguali e sempre uno alla volta. Ad aggravare la situazione, ci sarà Tricky, il baby triceratopo figlio del re di Dinosaur Planet, la croce che dovremo portarci per tutto il gioco; è, sì, in grado di scavare dei tunnel e dissotterrare alcuni oggetti, ma dobbiamo nutrirlo con dei funghi speciali e quando si annoia, e potrebbe succedere in ogni momento, dobbiamo farlo giocare con una stupida palla, persino se ci ritroviamo sul bordo di un vulcano! Ma il fattore più grave è che il bastardello parla ed è doppiato in una maniera incredibilmente irritante… e non si ferma mai! In definitiva, Star Fox Adventures, anche con i suoi difetti, si lascia giocare ma il problema sta proprio lì, perché il gameplay è semplicemente “ok”, si riduce all’ordinario, e non va bene per un saga il cui capitolo precedente ha stravolto il concetto di gameplay nel mondo videoludico. Il gioco uscì, fu recensito (anche troppo bene) e fu dimenticato per sempre; mai più questo titolo ha visto una re-release: se volete provarlo, vi tocca rispolverare il Gamecube e trovarlo su eBay, dove fortunatamente si trova a dei prezzi onesti.

(Un gameplay dell’utente StrikerTC1)

Goodbye, my friend

Star Fox Adventures fu l’ultimo gioco sviluppato da Rare per una console fissa Nintendo (perché l’accordo con Microsoft non contemplava le console portatili) e l’unico della compagnia a essere apparso per GameCube. Di lì a poco (esattamente il 24 settembre, il giorno dopo il rilascio di Star Fox Adventures in Nord America) Rare venne acquistata da Microsoft e con l’accordo passarono tutte le loro proprietà intellettuali, come Banjo & Kazooie, Conker e Killer Instinct. I fratelli Stamper, fondatori della Rare, erano disposti a vendere l’intera compagnia a Nintendo, e non capirono mai perché non la comprarono per intero, così disse almeno Chris in un intervista al Develop Awards 2015. Il loro acquisto al 49% non permetteva a Rare di avere buoni capitali per lo sviluppo dei loro giochi, e controversie come quella per Dinosaur Planet non fecero altro che girare il coltello nella piaga. Inoltre, a pagare per le decisioni di Nintendo non fu solo Rare ma anche la stessa saga di Star Fox, che da Star Fox Adventures in poi cominciò un filone di giochi iper-sperimentali che di certo non favorirono la volpe spaziale più famosa del gaming. Dopo questo dimenticabile titolo ci fu Star Fox Assault, sviluppato da Namco, che tentò di unire le missioni a piedi con le missioni in volo con un risultato discutibile; poi arrivò Star Fox Command, sviluppato da Q-Games, un passo nella giusta direzione anche se il mix di fasi d’azione e fasi di gioco di strategia non risultò essere la miglior soluzione per questo franchise. Nel 2016 abbiamo visto un discreto Star Fox Zero di Platinum Games, un gioco che finalmente tentava di emulare l’acclamato Star Fox 64 ma non riuscì a comunicare bene con i suoi fan per via dei difficili controlli designati per questa avventura. Fortunatamente Fox, insieme a Falco, non ha mai mancato un appuntamento per Super Smash Bros. e, in un modo o nell’altro, Star Fox è sempre fra i franchise di punta di Nintendo; proprio qualche mese fa, alla conferenza E3 di Ubisoft, è stato annunciato che la squadra Star Fox sarà parte della versione di Starlink: Battle for Atlas per Nintendo Switch. Dunque chissà, vedremo presto la Great Fox volare di nuovo nel sistema Lylat?

(Immaginate un’intera sessione di gioco con lui!)



Dusty Rooms: 32 anni di Metroid

Nel 1985 il Nintendo Entertainment System sanciva una volta per tutte la fine della crisi dei videogiochi in Nord America, sostituendosi ad Atari nel mercato delle console. Col suo spettacolare lancio, prima circoscritto nello stato di New York con i giochi “Black Box” (ovvero quelli con lo stesso box-art nero come Excitebike, Clu Clu Land o Wild Gunman) e poi in tutti gli Stati Uniti in bundle con Super Mario Bros., l’allora semi-ignota compagnia giapponese cominciava la sua scalata al potere e, come Atari lo fu per la precedente generazione, Nintendo si poneva come sinonimo di videogioco. Come il NES fu posto era chiaro a tutti: la nuova console 8-bit era un HI-FI casalingo, da accostare tranquillamente al videoregistratore, mangianastri o giradischi, pensato per tutta la famiglia e, i giochi proposti, riflettevano senza ombra di dubbio queste scelte di mercato. Tuttavia, nel 1986, Nintendo decise di lanciare un gioco più tetro, decisamente molto distante dai tipici colori accesi per la quale il NES stava diventando famoso; oggi, per i suoi bei maturi 32 anni, daremo uno sguardo a Metroid e i suoi sequel, una saga Nintendo diventata con gli anni sinonimo di eccellenza tanto quanto quella di Super Mario eThe Legend of Zelda, se non persino superiore.

Un gioco rivoluzionario

Metroid uscì per il Famicom Disk System il 6 Agosto 1986 ponendo atmosfere ed elementi di gioco mai visti prima. Sebbene l’action-platformer, più comune oggi come metroidvania, fosse già stato implementato in precedenza (anche se non è facile trovare una vera origine) questo è il titolo che lo ha reso famoso e ha messo le basi per tutti quei giochi che avrebbero voluto emulare questo nuovo tipo di gameplay. Metroid presentava un gameplay sidescroller tradizionle à la Super Mario Bros. ma con un overworld immenso completamente interconnesso grazie a portali, bivi, cunicoli e ascensori; per poterlo esplorare interamente i giocatori avrebbero dovuto trovare i diversi power up per l’armatura di Samus Aran per poi tornare in determinate sezioni dell’overworld e usarle per arrivare in dei punti altrimenti inaccessibili. Diversamente dai più colorati Super Mario Bros. e The Legend of Zelda, dalla quale traeva un pizzico della sua componente puzzle solving, il gameplay di Metroid era volto a far sentire il giocatore un vero e proprio “topo in un labirinto”, sperduto e isolato per via dei suoi toni cupi, fortemente ispirati al film Alien di Ridley Scott, e la totale assenza di NPC con la quale interagire; pertanto, il giocatore era spinto a usare tutti i mezzi a sua disposizione, pensare fuori dagli schemi e, in un certo senso, superare la quarta parete che lo separava dal videogioco disegnandosi, per esempio, la mappa dell’overworld in un foglio di carta accanto a lui (visto che non era presente alcuna mappa in-game).
Il gioco sancisce ovviamente la prima apparizione di Samus Aran, il cui sesso rimase ignoto ai giocatori fino al termine dell’avventura. Sebbene la scelta di rendere donna il personaggio principale fu una decisione presa durante le fasi finali dello sviluppo per creare un effetto shock (principalmente perché nel libretto ci si riferiva a Samus come un lui), fu anche una scelta molto saggia per ciò che riguarda la rappresentazione dei protagonisti donna nel mondo videoludico. Per la prima volta, una ragazza veniva messa allo stesso livello dei virili eroi che erano spesso protagonisti dei giochi d’azione; Samus spianò senza dubbio la strada a tante altre audaci protagoniste femminili, come Lara Croft, Jade e Jill Valentine, e grazie a lei il muro che separava gli eroi dalle eroine fu definitivamente abbattuto. Insieme a lei, Metroid introdusse molte delle caratteristiche che definirono il suo gameplay e che sussistono ancora oggi, come le sezioni da percorrere in morfosfera, i passaggi in cui ci servirà l’ausilio di un nemico da congelare col raggio gelo e i mille e mille segreti nascosti nella mappa del pianeta Zebes; non dimentichiamoci inoltre degli iconici nemici Kraid e Ridley, le forme base dei Metroid e la malefica Mother Brain. Giocare oggi con l’originale Metroid per NES è senza dubbio educativo e interessante ma non tutti, forse, possiamo accettare le lunghissime password, che includono lettere maiuscole, minuscole e numeri arabi, l’assenza di una mappa in-game (che ai tempi apparì per la prima volta soltanto nel primo numero di Nintendo Power nel 1988) e di un vero metodo per ricaricare l’energia di Samus. Pertanto, secondo noi, il miglior metodo per giocare alla prima avventura di Samus è senza dubbio il remake Metroid: Zero Mission per Gameboy Advance: in questa versione uscita nel 2004, possiamo godere di uno storytelling moderno, una mappa in-game rivisitata, sezioni inedite e tantissime nuove armi che si rifanno ai successivi capitoli.

Un sequel carente

Il primo sequel di questo gioco per NES arrivò nel 1992 su Nintendo Gameboy e il suo titolo fu Metroid II: Return of Samus. In questo nuovo gioco, Samus arriva sul pianeta SR388 per debellare la minaccia dei Metroid, eliminandoli definitivamente nel loro habitat naturale. In questa nuova avventura conosceremo questi parassiti più nel profondo in quanto affronteremo delle specie che si evolvono dalla forma base e sono decisamente più aggressive e pericolose. Metroid II è un capitolo spesso dimenticato dai fan ma ha comunque dato alla serie altre caratteristiche che hanno decisamente migliorato il gameplay proposto nel primo titolo per NES: per prima cosa, Samus può accovacciarsi senza entrare in morfosfera e può sparare verso il basso quando si trova in aria; vengono finalmente implementate le stazioni di ricarica, che permettono di ricaricare la nostra energia e la scorta di missili, viene fatta una chiara distinzione fra la Power Suit e la Varia Suit, che costituisce a oggi il design tipico della cacciatrice di taglie spaziale, ma soprattutto viene scartato il sistema di password in favore del più comodo salvataggio su RAM. Ciononostante, molte altre caratteristiche hanno limitato le forti potenzialità di questo gioco: la mappa in-game continuò a non essere presente ma la sua assenza fu compensata da un gameplay semplificato. L’azione si svolge nel sottosuolo del pianeta SR388 e dunque, più si scende più andremo avanti nel gioco. Tuttavia, è impossibile procedere fino a quando non bonificheremo una zona dai Metroid perché dei laghi di lava ce lo impediranno; una volta debellato il numero indicato in basso a destra nel menù di pausa,  potremo proseguire verso il livello inferiore, almeno fino al prossimo impedimento. Questa meccanica permette sicuramente a coloro che vogliono approcciarsi alla serie tramite questo gioco, un gameplay graduale, dove si perde quel senso di dispersione infuso col precedente titolo. Per via della memoria del Gameboy, le aree proposte sono abbastanza piccole ma cercare i Metroid presenti in una determinata sezione può risultare tedioso, in quanto si perde facilmente il senso dell’orientamento (sempre per l’assenza di una mappa in-game). Sempre per i problemi di memoria, gli unici boss che incontreremo sono i Metroid e nonostante ci siano diverse forme di tali nemici il gioco, sotto questo aspetto, risulta poco vario (essendo anche questi ultimi abbastanza facili da sconfiggere).
Essendo invecchiato male, Nintendo ha pensato bene di rilasciare giusto l’anno scorso Metroid: Samus Return per Nintendo 3DS che ripropone un operazione di remake simile a quella di Metroid: Zero Mission. A ogni modo, prima dell’intervento di Nintendo, lo sviluppatore indipendente Milton Guasti aveva rilasciato AM2R (Another Metroid 2 Remake), un remake indipendente dalle fattezze grafiche di Zero Mission e rilasciato gratuitamente su Gamejolt; con buona probabilità, la compagnia giapponese stava già sviluppando il remake ufficiale di Metroid II, perciò non poterono fare altro che bloccare i download del gioco. Tuttavia, ciò che viene caricato su internet ci rimarrà per sempre e perciò, con un po’ di fortuna, è ancora possibile trovarlo in siti diversi da Gamejolt (anche se noi vi consigliamo vivamente di giocare al remake ufficiale di Nintendo per 3DS).

L’eccellenza di Super Metroid

Dopo due anni, nel 1994, arriva il terzo capitolo della saga che riprende esattamente la storia dove l’avevamo lasciata. Il finale di Metroid II: Return of Samus vedeva la cacciatrice essere inseguita da un piccolo Metroid larvale in preda a uno strano imprinting; all’inizio di Super Metroid vediamo la nostra cacciatrice di taglie incubare la creatura in una capsula e cederla a un laboratorio scientifico. Una volta allontanata, Samus trova una strage e Ridley intento a rubare la capsula contenente il Metroid. Samus non riuscirà a fermarlo e così lo inseguirà fino al vecchio pianeta Zebes dove scoprirà che i pirati spaziali stanno costruendo una base per poter utilizzare i Metroid per i loro scopi terroristici.
Super Metroid elimina tutto ciò che rendeva tedioso il primo e il secondo capitolo, prendendone i suoi aspetti più riusciti, migliorandoli ulteriormente. In questo capitolo Samus può finalmente sparare in diagonale, vantando anche una maggiore mobilità sin dall’inizio grazie ai wall jump che, se impareremo a utilizzarli come si deve, potranno addirittura rompere le sequenze di gioco e ottenere armi e potenziamenti prima del normale andamento del gioco; non a caso, questo è uno dei giochi più gettonati dagli speedrunner, i cui scopi sono completare determinati giochi nel minor tempo possibile. Tornano tutti i power up dei precedenti titoli insieme ad alcuni nuovi, come la supercinesi, il visore a raggi-x, la giga-bomba e altri, che finiranno per diventare degli standard per tutta la serie. Grazie alla cartuccia di 24MB, la più grande mai prodotta prima dell’arrivo di Donkey Kong Country, è stato finalmente possibile inserire un’immensa mappa all’interno del gioco in grado di segnalare i luoghi già visitati e quelli ancora da scoprire, decretando così la fine dei giorni in cui giravamo a vuoto per Brinstar o ci arrangiavamo con carta e penna. Grazie inoltre alla potenza del Super Nintendo è stato possibile creare una grafica iper-dettagliata (per l’epoca) che finalmente riusciva davvero a dare quelle sensazioni che il primo titolo sperava di dare, ovvero quel senso di profondità, isolamento, e anche paura, dovuto all’isolamento, alla solitudine e al doversi trovare a che fare con specie aliene di cui non sappiamo niente; il tutto accompagnato da una componente di storytelling che si srotola senza alcun dialogo ma sempre chiara: man mano prendono luogo i momenti salienti della trama, specialmente durante l’avvincente finale del gioco, e da una colonna sonora magistrale resa possibile grazie all’impressionante chip sonoro S-SMP. Per tutti questi motivi Super Metroid si annovera fra i migliori giochi mai creati e ancora oggi risulta incredibilmente attuale e intenso, come del resto lo è sempre stato. A oggi ci sono molti metodi per giocare questo gioco: se avete a casa un Nintendo 3DS o un Wii U potrete trovarlo tranquillamente sull’E-Shop, ma se volete un’esperienza più vicina all’originale allora vi converrà comprare uno SNES Classic Edition e giocarlo con il suo controller originale.

Pausa e ritorno in grande stile

Dopo il successo di Super Metroid nel 1994 era normale aspettarsi un nuovo capitolo della saga in 3D per il Nintendo 64, con nuovi controlli e un gameplay ancora più spettacolare del precedente. Tuttavia, Yoshio Sakamoto, il creatore, e Shigeru Miyamoto si ritrovarono senza alcuna idea per la nuova generazione, specialmente per ciò che riguardava i controlli e la prospettiva del gioco. Proprio per questo motivo non vi fu alcun Metroid per questa generazione. la sua unica apparizione su N64 fu per il divertentissimo Super Smash Bros. nel 1999 e poco dopo la sua uscita si riaccese la speranza di rivedere presto la cacciatrice di taglie più famosa di tutta la galassia. I fan dovettero aspettare ancora altri tre anni ma furono premiati con l’uscita di ben due nuovi giochi della saga per due diverse console: il primo fu Metroid Fusion, in 2D e sviluppato dalle stesse persone che lavorarono su Super Metroid e rilasciato su Gameboy Advance. la storia vedeva Samus Aran accompagnare una squadra di ricerca sul pianeta SR388 quando all’improvviso venne attaccata da una specie sconosciuta; mentre stava tornando alla base per ricevere soccorso, il parassita conosciuto come X entrò nel sistema nervoso di Samus arrivando alla stazione di ricerca in fin di vita. I parassiti X, che nel frattempo si stavano moltiplicando, avevano letteralmente fuso alcune parti della sua armatura sul corpo della protagonista, tanto è vero che i medici dovettero operarla con l’armatura addosso, rimuovendo le parti infette, con Samus in fin di vita; fortunatamente qualcuno trovo una cura, ovvero un siero a base del DNA del Metroid, predatore naturale del parassita X. Così, Samus fu salvata, perdendo buona parte dell’armatura, ma in compenso diventò immune ai parassiti X. Un altro prezzo da pagare fu l’avere le stesse debolezze di un Metroid, come la forte sensibilità al freddo; adesso si poneva una nuova avventura davanti a lei: recuperare le parti della sua armatura rimosse chirurgicamente e mandate alla stazione di ricerca B.S.L., luogo da dove ricevette inoltre un preoccupante allarme.
L’altro nuovo titolo, sviluppato da Retro Studios, era invece Metroid Prime, che avviava pertanto la nuova sottoserie in 3D. Il nuovo titolo per Gamecube fu visto all’inizio con molto scetticismo ma con le prime recensioni da parte di critici e fan, il gioco raggiunse presto il successo sperato. Si sentiva nell’aria una sorta di fallimento assicurato: si pensava che potesse succedere alla saga di Metroid quanto accaduto con Castlevania su Nintendo 64 ma fortunatamente, avvenne l’esatto contrario. Ogni elemento che rese grande la saga, come appunto le sezioni in morfosfera, l’esplorazione graduale e il forte senso di isolamento, fu rivisitato e rinnovato per un mondo 3D dinamico che funzionava alla perfezione; persino la mappa in 3D era chiara e capire dove si era stati e dove no era semplice come in Super Metroid. I controlli non si si rifacevano invece asparattutto “pre-dual analog” per Nintendo 64 come Goldeneye 007 o Turok; il secondo analogico, presente comunque nel controller del Gamecube (se è per questo, usato normalmente in altri FPS che uscivano sulla console), veniva usato per scegliere una delle quattro armi disponibili ma il gioco offriva un sistema di puntamento di precisione, a discapito dei movimenti e un sistema di mira automatica durante le battaglie più movimentate, compensando in maniera completa l’assenza di questa opzione. Il sequel Metroid Prime 2: Echoes, uscito nel 2004, presentava lo stesso schema di controlli ma, così come per il primo titolo, non rappresentò per niente un ostacolo per il successo del gioco. L’avventura, in questo capitolo, veniva letteralmente raddoppiata in quanto a un “light world” si sovrapponeva un “dark world“, un po’ come accadeva in The Legend of Zelda: a Link to the Past, e il gioco prese appunto nuove componenti di gameplay mai viste in precedenza: i controlli furono cambiati e in un certo senso ultimati in Metroid Prime 3: Corruption per Wii che sfruttavano, ovviamente, il sistema di puntamento proposto coi Wii-mote, sposandosi al meglio con un gameplay da FPS della saga Prime. Più tardi, nel 2009, tutti i tre titoli Prime furono rilasciati nella collection Metroid Prime: Trilogy, introducendo così i motion controlller anche nei primi due titoli della sotto-saga.

L’ultimo capitolo e i tempi recenti

Dopo la trilogia Prime, acclamata come una delle migliori della scorsa decade, garantire la medesima qualità era una mossa molto ardua, specialmente senza l’aiuto di Retro Studios che si concentrava a ridar vita a un altro franchise Nintendo smesso in disparte: Donkey Kong Country. In una mossa a sorpresa, Nintendo decise di allearsi con Team Ninja, autori delle acclamatissime serie Dead or Alive, Ninja Gaiden e Nioh, per concentrarsi su un Metroid che unisse sia componenti in 2D, sempre molto richiesta dai fan, che elementi in 3D. Ciò che ne venne fuori, nel 2010, fu Metroid: Other M, un titolo ibrido con sezioni in 2D ispirate a Super Metroid e fasi in 3D che presentano un gameplay dinamico, che ricorda in parte Ninja Gaiden, in cui in ogni momento possiamo cambiare la visuale in prima persona (sempre a discapito dei movimenti). Tuttavia, il punto focale era dare a Samus una voce e presentare il suo personaggio in una maniera tutta nuova, con dialoghi e monologhi (tal volta forse troppo lunghi). Il gioco ricevette opinioni discordanti da parte di critici e fan ma in fondo il tutto si riduceva a pareri soggettivi: il gioco in sé era buono e non presentava grosse sbavature ma in molti, di fonte a così tante novità, faticarono ad apprezzare il lavoro di Team Ninja e così Metroid: Other M rimane a oggi un bel gioco ma non imperativo per godere della saga di Samus.
La saga rimase dormiente fino al 2016, anno in cui fu rilasciato Metroid Prime: Federation Force per Nintendo 3DS, uno spin-off che nessuno voleva. All’E3 2015 il trailer ricevette 25.000 dislike e solamente 2500 like su YouTube; partì persino una petizione su Change.org per raccogliere 20.000 consensi per cancellare questo nuovo progetto ma nonostante le 7500 firme in un’ora l’obiettivo non fu mai raggiunto. Il gioco venne rilasciato l’anno successivo e, contrariamente a ciò che si presagiva, il gioco non fu distrutto dalla critica ma semplicemente accettato per quello che era. Fortunatamente, nel 2017, Nintendo si è rifatta, lanciando il già citato remake Metroid: Samus Return e, all’E3 dello scorso anno, un teaser trailer in cui fu annunciato che Metroid Prime 4 è momentaneamente in sviluppo per Nintendo Switch (anche se d’allora non abbiamo più ricevuto notizie).
L’esperienza dei fan con la saga ci insegna principalmente una cosa: Metroid è uno dei brand più importanti di Nintendo ed è proprio per questo motivo che non vediamo uscite frequenti, visto che ogni release, sia per i fan che per la compagnia stessa, deve essere speciale, portando una grande innovazione a livello di gameplay. Basta dare un occhiata al comparto spin-off della saga per niente numeroso: abbiamo solamente Metroid Prime: Hunters, Metroid Prime Pinball e Metroid Prime: Federation Force e ciò dimostra le intenzioni di Nintendo per non far di questa saga una sorta di Call of Duty o Assassin’s Creed; nonostante abbia un fortissimo appeal e grosse potenzialità il brand è intenzionato a mantenere quell’aura di sacro che da sempre l’ha contraddistinta e anche se i fan ogni volta dovranno attendere molto tempo fra un gioco e l’altro almeno si ha la semi-certezza che alla consegna verrà rilasciato un grande gioco, che sia un episodio principale o uno spin-off. Incrociamo le dita e aspettiamo pazientemente il prossimo Metroid Prime 4!




Il valore delle remastered

Il retrogaming fa parte delle nostre vite da diversi decenni, spesso trainati da un forte fattore nostalgico, come recentemente dimostrato dalle classifiche inglesi, dominate dalla rimasterizzazione di Shadow of the Colossus, titolo uscito su Playstation 2 ben 13 anni fa e dalla remastered di Crash Bandicoot. Contando anche il nuovo status di culto raggiunto da Rez Infinite e dalle pazzesche vendite di NES e SNES Mini, stiamo assistendo non a un nuovo boom dominato dalla nostalgia, ma a un cambio di percezione verso il retrogaming.

I tempi sono cambiati da quando bastava mettere una rom del Super Nintendo in un emulatore per iOS, cosa che veniva vista come un metodo facile per guadagnare soldi. Adesso titoli come il succitato Shadow of the Colossus vengono riconosciuti come pietre miliari dell’epoca, e sono in grado di competere commercialmente con le nuove IP. Tutto questo segna un deciso cambio di rotta nell’industria videoludica: dapprima si cercava sempre di puntare sulle novità escludendo tutto il resto, mentre adesso, grazie anche all’aiuto degli store digitali, è più difficile vedere dei titoli del passato sparire completamente dalla circolazione.
C’è anche un forte fattore demografico nel successo delle rimasterizzazioni: nel precedente retro-boom si puntava più ai titoli a 8 e 16 bit. Oggigiorno, invece, si punta più ai titoli dell’era Playstation 2, (e, in misura minore, della prima era Playstation ), generazione che ha segnato la grande esplosione del mercato videoludico, con giochi dal grande successo commerciale.

Stiamo vivendo un cambiamento epocale dell’industria videoludica, dove i videogiochi del passato vengono percepiti come capolavori culturali: il successo commerciale di Shadow of the Colossus dimostra che il gioco viene comprato non solamente dai nostalgici dei tempi che furono, ma da chi vuole provare con mano un gioco fantastico. Esattamente come si usa fare nel cinema, con la riedizione in blu-ray di un Blade Runner o uno Star Wars.




GameCompass #13 – Season Finale

Con questa puntata termina la prima stagione televisiva di GameCompass e si inaugura una serie di mini puntate settimanali estive fino al rientro a fine agosto in occasione della Gamescom di Colonia!