Nintendo: anno nuovo, nuovi propositi

Dopo un anno dal lancio di Switch, rivolto a tutti i veri fan della grande N, con l’ingresso del nuovo anno fiscale la casa nipponica ha deciso di focalizzarsi su quei giocatori meno “tradizionali”. Questo è quello ha detto il presidente uscente di Nintendo, Tatsumi Kimishima.

«A partire dal nostro secondo anno, abbiamo deciso di sfidare noi stessi nel riuscire a far finire la nostra Nintendo Switch anche nella mani di quei consumatori che non hanno mai avuto una piattaforma Nintendo o che magari non giocano ormai da parecchio tempo. Tra gli obiettivi di questa nostra iniziativa, è inclusa una line-up di titoli pensati proprio per attrarre un pubblico più vasto e generico»

Continuando Kimishima dice:

«Se tutto ciò vi sembra familiare, è perché questo fu lo stesso linguaggio che Nintendo utilizzo per descrivere la strategia “Blue Ocean” dietro l’ormai trapassato Wii, più di dieci anni fa. Questa stessa strategia ci portò a sviluppare giochi come Wii Sports e Wii Fit, titoli che miravano ad attrarre giocatori di ogni genere ma anche e soprattutto i “non-giocatori”.»

Wii, ovviamente, è diventatla console più venduta di Nintendo, con all’attivo ben oltre 100 milioni di unità vendute in tutto il mondo. Durante l’intervista Kimishima, ha affermato che l’utilizzo di una simile strategia, sarà la base per soddisfare l’ambiziosa proiezione della società mirata all’aumento delle vendite di Switch di almeno 20 milioni di unità in questo secondo anno  fiscale.

Ma durante il suo cammino, Wii, ha maturato anche una non proprio buona reputazione, per tutti quei software prodotti a basso costo e per quelli con un pessimo sistema di motion-control. Questo, combinato a un hardware sottodimensionato che aveva messo da parte la tecnologia HD, ha fatto sì che molti giocatori abbandonassero  Wii, e in seguito anche Wii-U, a favore delle console prodotte da Sony o da Microsoft. È proprio su questi giocatori che Switch sta puntando con la sua nuova strategia di mercato.

Il nuovissimo Nintendo Labo, o 1-2-Switch (uscito al lancio della console), danno un’idea di come potrebbero essere i giochi “casual” per Switch. Ma ovviamente non verranno deluse le aspettative degli affezionati fan Nintendo, che avranno presto la possibilità di giocare su Switch a titoli del calibro di Smash Bros, Pokémon e Metroid Prime, per non parlare inoltre dei sequel di Bayonetta e Fire Emblem.

Insomma, stando a quelli che sono i piani di Nintendo sulle prossime uscite per Switch, è difficile vedere i segni di tutti i buoni propositi di Kimishima per questo fantomatico riavvicinamento di tutti quei “non-giocatori”. In ogni caso qualcosa potrebbe accadere per il prossimo E3, magari l’annuncio a sopresa di Wii Sports per Switch o simili? Staremo a vedere.




NieR Automata in arrivo su Xbox One?

Secondo vari rumor anonimi vicini al sito Jeuxvideo, pare che NieR Automata possa arrivare anche su Xbox One. L’RPG di Platinum Games, sviluppato dall’eccentrico Yoko Taro, è uscito lo scorso anno per PC e Playstation 4, ottenendo un successo sia di vendite che di critica.
Considerando che non esiste un accordo di esclusività tra Sony e Square Enix, publisher del titolo, e che il sito francese in passato abbia beccato alcuni giochi in arrivo sulla console di casa Microsoft, le voci potrebbero presto diventare realtà. Senza dimenticare che fra qualche settimana si svolgerà l’E3 2018, non è impossibile aspettarsi un annuncio ufficiale da parte della casa giapponese, magari direttamente dal palco del Los Angeles Convention Center.




Cartucce speciali in edizione limitata per il 30esimo anniversario di Mega Man

Capcom collaborerà con iam8bit per produrre cartucce funzionanti per NES e SNES di Mega Man 2 e Mega Man X in occasione del 30esimo anniversario della saga del Blue Bomber; i preorder sono già aperti ma queste chicche arriveranno solamente a Settembre 2018. Le cartucce saranno prodotte in serie limitata e costeranno 100$ a pezzo: 7500 cartucce di Mega Man 2 saranno color blu opaco e altrettanto numero in bianco opaco per quanto riguarda Mega Man X, mentre altre 1000, per entrambi i prodotti, saranno di un blu semi-trasparente, fosforescente più scuro e saranno distribuite in maniera casuale all’interno di scatole non numerate. Ricevere l’una o l’altra versione delle cartucce è solo questione di fortuna!

La forma della cartuccia di Mega Man X ci suggerisce che, forse, queste funzioneranno esclusivamente su NES e SNES americani; non ci sono informazioni riguardo alla compatibilità ma, con buona probabilità, potrebbero funzionare solamente su console d’oltreoceano.

La scatola di Mega Man 2 ha una copertina apribile in due parti mentre quella di Mega Man X si apre in tre (un po’ come le confezioni di alcuni LP); entrambi i prodotti includeranno un booklet, rispettivamente con le prefazioni del collezionista Salvatore Pane e lo youtuber Jirard Khlil (più noto come “The Completionist“), e altre “retro-sorprese” che saranno note agli acquirenti solamente una volta ricevuto il prodotto.

Questo annuncio avvia il “Mega May” promosso da Capcom, indicando che, durante questo mese, ci saranno ben altre sorprese per i fan del Blue Bomber, specialmente con l’E3 dietro l’angolo. Il robottino più famoso del gaming ritornerà in questo 2018 con Mega Man 11, un gioco inedito che uscirà più tardi per PC, Playstation 4, Xbox One e Nintendo Switch.




Reverse: God of War al contrario

Reverse è una nuova rubrica ricavata da un’idea presa in prestito da un format dello Zoo di 105 di qualche anno fa. Prendete il vostro videogioco preferito e immaginatene la trama partendo dalla fine. Un Benjamin Button delle trame videoludiche, insomma, con alto contenuto di spoiler, che troverete da qui in poi.
L’uscita del nuovo God of War pare l’occasione ideale per esordire ripercorrendo a ritroso la saga, che ha al centro le vicende di Kratos, il quale, pur di vincere una battaglia, fu disposto a dare la sua anima ad Ares, il Dio della Guerra. Questo finì per consumarlo gradualmente, portandolo a uccidere sua moglie e sua figlia, atto che mise le basi per la sua sete di vendetta verso Ares, del quale prese il posto dopo averlo ucciso.
Storia bella, anche se forse un po’ banale, ma che ha decisamente segnato un’epoca, portando il concetto di epicità nei videogame a livelli mai visti. Ma proviamo a leggerla al contrario:

Kratos, il Dio della guerra, decide di alzarsi dal trono per noia, facendo lo stesso giochetto del Principe cerca moglie: vuole essere accettato per quello che è realmente e non come Dio. A un certo punto esce dal mare, con le sue spade che si trasformano senza motivo, trovandosi improvvisamente nel tempio dell’Oracolo di Atene. Una luce lo pervade, agglomerandosi e trasformandosi in un tizio con i capelli di fuoco e una lunga spada conficcata in gola. Kratos decide di estrarla e i due cominciano a lottare, forse perché il Dio è stato disturbato nel suo sonno.
A un certo punto Kratos ne ha abbastanza e decide di punto in bianco di chiudere il Vaso di Pandora e di riportarlo al proprio posto. La via più breve è morire: quindi, si infila  in una tomba per raggiungere l’Ade. Al suo risveglio, sente un leggero bruciore allo stomaco, forse a causa di qualcosa che ha mangiato la sera prima, ma più probabilmente a causa del palo conficcato nel suo ventre. Gentilmente delle arpie riportano il vaso ai suoi piedi e il tizio con i capelli di fuoco contro cui aveva lottato poco prima riesce a togliere il palo da Kratos con la sola forza del pensiero. Il Dio guerriero così è libero di recarsi in varie stanze camminando in stile “Moonwalker” e a riportare il vaso al suo posto. Nel frattempo tornano in vita bestie e mostri di vario tipo, fioccando direttamente dalle mani o dalle spade del protagonista, forse divenuto più magnanimo nel corso dell’avventura.
Scendendo dal Titano Crono, Kratos trova una fanciulla ignuda ad Atene, ma è così indispettito dal suo petto a bassa definizione che la appende in alto dandola in pasto alle arpie. Continuando a camminare col moonwalk, si ritrova su una nave in pieno Mar Egeo, dove salva l’Idra dai pericolosissimi alberi dell’imbarcazione e salva a sua volta un uomo dallo stomaco della bestia con la sola forza del pensiero.
Dopo aver passato “una notte da chimere” con un paio di procaci ancelle, vede improvvisamente il suo corpo sbiancarsi e dalle sue lame comparire una bambina e una donna, della quale si innamora all’istante, senonché un’orda di Barbari interrompe il suo sogno d’amore.

Il suo desiderio è però ormai esaudito, Kratos è stato finalmente accettato come umano, ma c’è un’ultima cosa da fare: sconfiggere i Barbari. Per non rendere le cose troppo facili, decide di restituire la testa al loro Re e di farsi togliere le Spade del Caos e, cavalcando al contrario, farà capire a entrambi gli schieramenti che la guerra è inutile, convincendoli a tornare tutti a casa. Nel finale, riabbraccia la donna e la figlia, abbandonando per sempre le ire e i tumulti di un Dio della guerra.

Non trovate che sia più bella così? Basta solo invertire il punto di vista per creare storie totalmente nuove. God of War è solo il primo di una lunga lista ma, se vi è piaciuta (o se non vi è piaciuta), fatecelo sapere.




Il cross-play interessa veramente ai videogiocatori?

Secondo quanto riportato da Gamesindustry.biz, il cross-play, potrebbe non essere così importante per i giocatori come molti nel settore credono. Ad avvalorare questa ipotesi, sono i dati raccolti dal sondaggio effettuato nel quarto trimestre del 2017 da GameTrack, che mostra una generale indifferenza a interazioni tra la varie console.
I rumor che vedrebbero PlayStation, Xbox e PC permettere agli utenti di “giocare sulla stessa spiaggia, partendo da oceani diversi” sono stati molteplici negli ultimi 12 mesi: Microsoft, come sappiamo, ha fatto del cross-play tra console e PC una delle caratteristiche fondamentali nella sua strategia aziendale, mentre Sony, al contrario, è stata più volte ampiamente criticata per la sua apparente riluttanza a consentire un eventuale “condivisione” tra i consumatori PlayStation e quelli Xbox.
Tuttavia, all’interno del sondaggio, il 58% degli intervistati ha ammesso di essere totalmente indifferenti a tale questione. Essendo una percentuale così elevata possono entrare in scena anche altri fattori, come la reale conoscenza del cross-play ed eventuali implicazioni derivanti, oppure una certa soddisfazione nell’attuale modus operandi dell’attuale sistema – che non è da cosiderare per forza “malvagio”–.
Minecraft, Rocket League, Ark: Survival Evolved e Fortnite, tra gli altri, sono stati al centro di un lungo dibattito proprio riguardo il cross-play nell’ultimo anno e spesso, a causa della netta mancanza di interesse da parte di Sony nel permettere ai suoi utenti di condividere l’esperienza anche con i giocatori di Microsoft.

A quanto pare inoltre, il cross-play non è nella maniera più assoluta un fattore decisivo per il quale i giocatori possano essere più propensi o meno all’acquisto di una console: solo una piccolissima percentuale (13%) ha dichiarato di potersi lasciar influenzare da questo fattore durante l’acquisto.
Allo stesso modo, sempre e solo il 13% del campione è d’accordo che, avendo la possibilità di giocare in cross-play, possano essere più propensi alla sottoscrizione di un eventuale abbonamento per giocare online su console o PC.

La stessa tendenza era evidente tra i partecipanti al test, nelle domande inerenti al software: il 48% degli intervistati è in disaccordo che questa caratteristica possa influire sull’acquisto di uno specifico titolo, contro il 17% che si lascerebbe influenzare da questo fattore; inoltre il 49% degli intervistati, non è d’accordo che tale funzionalità li renderebbe più propensi a giocare online più di quanto facciano normalmente.

Phil Spencer, noto vicepresidente della sezione gaming di Microsoft, è stato molto franco riguardo il suo enorme desiderio di unire le comunità Xbox e PlayStation, commentando anche la riluttanza incessante di Sony in diverse occasioni:

«So che esiste questo genere di visione: “se i miei amici hanno questa console, non potranno giocare con persone che ne acquistano una diversa, e questo è il motivo per cui acquistano la mia console”.»

Che il cross-play abbia o meno il potenziale di influenzare le decisioni di acquisto tra i consumatori, non cambia il fatto che all’interno del settore, vi sia una visione generale che l’abbattimento delle barriere tra le piattaforme avverrà presto. Come potete leggere nel nostro precedente focusTim Sweeney di Epic Games, ha parlato di Fortnite e dei livelli di interazione cross-play senza precedenti, che consentiranno  agli utenti di giocare allo stesso gioco su console, PC e dispositivi mobile. Le uniche piattaforme che non lo consentono tuttora sono Xbox e PlayStation, ma Sweeney è convinto che sia solo una questione di tempo:

«Affinché Sony e Microsoft supportino completamente i loro utenti, devono aprire le porte anche ai loro amici del mondo reale, altrimenti staranno solamente disgregando dei gruppi realmente esistenti.»



God of War: Vita e Morte di un Deicida

Lira incontrollabile, la sete di vendetta e il sacrificio, sono tre delle innumerevoli sfaccettature di Kratos, la personificazione della potenza e della rabbia, protagonista di una delle saghe che è entrata con prepotenza nell’Olimpo dei videogiochi. In questo articolo ripercorreremo le vicende del “fu” Dio della Guerra, dai concept sino all’imminente God of War su PlayStation 4. Attenzione a possibili spoiler.

Sviluppato da Sony Santa Monica, God of War ebbe una gestazione particolare e il cui successo fu del tutto inaspettato. God of War non fu il primo progetto di Santa Monica: tutto iniziò con un gioco meno ambizioso ma capace di dare i primi asset ed esperienza al team che avrebbe realizzato il noto titolo d’ambientazione mitologia, Kinetica. Fu proprio uno degli sviluppatori di Kinetica, David Jaffe, a divenire capo del nuovo team che, ispirandosi a titoli come Ico e Devil May Cry volle portare sulla nuova console Sony qualcosa che non si era mai visto e dal tono epico. Due aspetti erano fondamentali: il contesto e il protagonista. L’ambientazione scelta fu quella della antica Grecia, con quell’immancabile epica che permetteva di prendere innumerevoli spunti sia dal punto vista dei nemici, della trama e delle sezioni platform. Se questa fu relativamente semplice, la scelta del protagonista non lo fu altrettanto: il team di sviluppo era deciso a creare un personaggio originale, carismatico e brutale ma lontano dagli stilemi dell’epica classica. Furono passati in rassegna diversi modelli, come soldati con maschere ma abbastanza anonimi, guerrieri dalla spiccata vena africana fino a un personaggio che portava sulle spalle un bimbo o un cane, ma anche qui nulla di fatto, grazie a Zeus. Fu così deciso di realizzare un personaggio a torso nudo e che al posto dell’armatura avrebbe avuto un grosso tatuaggio per dare un tocco di colore. Inizialmente blu, il tattoo divenne rosso dopo che fu notata un’eccessiva somiglianza con un personaggio di Diablo II. Anche le armi hanno caratteristiche particolari: sono due lame, denominate Spade del Chaos, fuse con una lunga catena direttamente sulle braccia del protagonista, per gentile concessione di Ares. A questo punto manca solo il nome: visto che nella mitologia greca spesso ogni personaggio personificava una qualità (una virtù o un vizio), al personaggio in questione fu affibbiata la Potenza, che in greco antico si traduce appunto con Kratos (Κράτος). Il corpo bianco di Kratos è dovuto alle ceneri della moglie e della figlia da lui uccise mentre si trovava sotto il controllo di Ares, e attaccate per sempre alla sua pelle – di base scura –, attraverso una maledizione dell’Oracolo della sua stessa città.

L’inizio della fine

Dopo tre anni intensi di sviluppo venne presentato finalmente il nuovo titolo: God of War. Il gioco si apre con il potente Kratos, pronto a gettarsi dalla montagna più alta della Grecia. Ma le vicende interessate cominciano tre settimane prima. Kratos è tormentato dai molti mali che ha causato, ma soprattutto uno gli impedisce di dormir bene la notte: l’aver ucciso sua moglie e sua figlia, nonostante in quel momento fosse sotto l’influsso di Ares, è il suo peccato più grande. Proprio il Dio della Guerra sarà il principale antagonista del primo capitolo e darà filo da torcere al nostro paladino. Molti saranno i momenti esaltanti e ci troveremo a interagire con molti degli Dei che abbiamo studiato a scuola – o che, al limite, abbiamo visto in Pollon : Zeus, Artemide, Ade, Poseidone e Atena consegneranno a Kratos i loro poteri, tornando molto utili durante il corso del gioco, soprattutto una volta circondati da orde di nemici. Ares è ormai nemico dell’Olimpo e del mondo intero e sarà proprio Kratos a sconfiggerlo in una boss fight ben coreografata. Nonostante la vittoria, Kratos non avrà pace, succedendo ad Ares come nuovo Dio della guerra.
God of War fu un successo su vasta scala, apprezzatissimo dalla critica e amato dal pubblico, e dalla sua uscita costituì uno dei pilastri del grande tempio Sony. Tanta sana violenza viene immersa in un contesto – quello della mitologia greca – assolutamente originale e credibile e con una trama che a poco a poco lascia intravedere tutti gli aspetti del mondo di gioco e di Kratos, un antieroe che all’inizio faremo fatica a comprendere ma che col tempo impareremo ad apprezzare. Era dai tempi di Devil May Cry che non si vedeva un hack ‘n slash di tale potenza, perfetto sotto tutti i punti di vista e originale grazie all’impiego delle Spade del Caos e dei vari poteri messi a disposizione dagli Dei, il tutto contornato da una reattività dei comandi fuori scala. Oltre ai combattimenti, erano in scena anche sezioni platform e qualche puzzle ambientale da risolvere; un esempio su tutti è quello del Tempio di Pandora. Importante è anche la possibilità di potenziare Kratos e le sue armi, dando così un forte senso di crescita all’interno del gioco.
God of War ha anche il merito di aver sdoganato i quick time event, trasformando l’eliminazione dei nemici e soprattutto dei boss in scene altamente coreografiche e suggestive, e la particolarità della telecamera fissa, perfetta in tutte le situazioni e che in un gioco del genere fa davvero la differenza, essendo gestita direttamente dal motore di gioco, dando sempre il punto di vista migliore e rendendo l’azione cinematografica e adrenalinica.
Sul piano tecnico, GoW era quanto di più bello visto su PlayStation 2: modellazione certosina di personaggi principali e comprimari così come gli ambienti di gioco, tutti ricchi di dettagli e accompagnati da ottimi filtri, e soprattutto senza caricamenti di sorta. Ottimi particellari ed effetti speciali sono arricchiti da un comparto artistico d’eccezione e da un comparto sonoro perfetto sia nelle musiche che nel doppiaggio.
God of War rimane senza dubbio uno dei migliori videogiochi della storia. Allo Spike Video Game Award 2005 ha ricevuto il premio “Gioco d’azione dell’anno” e David Jaffe, il suo creatore, ha ricevuto il premio “Sviluppatore dell’anno“. Cominciarono anche a farsi vivi rumor su un lungometraggio cinematografico, ma non si ebbero più notizie.

Non solo monolite

Sorpresi? Esiste anche un God of War per smartphone denominato Betrayal, che cronologicamente si interpone tra Chains of Olympus e il secondo capitolo. Kratos, ormai vero e proprio Dio della Guerra, conquista, grazie al suo esercito spartano. Una volta giunto al suo prossimo obbiettivo, Rodi, viene fermato da Argo, un mostro mandato dalla regina degli Dei, Era, per dissuaderne i piani di conquista. Kratos, lo imprigiona senza ucciderlo, ma la bestia troverà comunque la morte per mano di un misterioso assassino. Kratos darà la caccia a quest’individuo in lungo e in largo senza riuscire a prenderlo. Il piano prevedeva di screditare Kratos agli occhi degli Olimpici, cosa che accade comunque per la stessa mano del nostro eroe, il quale uccide il nipote di Zeus, Ceryx (anche figlio di Hermes). Sarà proprio in questo momento che a Kratos verrà affibbiato il titolo di “uccisore degli Dei“, ponendo le basi per la guerra totale che si scatenerà di lì a poco.
La caratteristica di Betrayal è la sua grafica 2D e il suo essere più un platform game che altro. I combattimenti sono presenti ma ovviamente non hanno nulla a che vedere con quanto visto su console. Essendo un titolo per cellulari si son dovuti fare dei sacrifici, a cominciare dal sistema di controllo – in certi casi fastidioso – fino al comparto tecnico e sonoro. Resta un buon titolo, ma ovviamente i God of War a cui si riferisce il grande pubblico e la critica sono ben altri.

La maledizione di Kratos

Lo sviluppo di God of War II era ampiamente previsto, e la palla passò da David Jaffe al responsabile delle animazioni, Cory Barlog, aprendo anche di fatto la leggenda della “maledizione di God of War”: un nuovo capitolo, un nuovo producer. Il team era diviso in due: chi voleva sviluppare il titolo sulla nuova e più potente console (PlayStation 3), e chi voleva sfruttare al massimo l’ampio numero di unita vendute di PS2. Fu Yoshida, presidente Worldwide di Sony, a prendere la decisione: God of War II fu sviluppato su PlayStation 2.
Le vicende si aprono sempre a Rodi, con Kratos, nelle vesti di Dio della guerra che porta distruzione nella città con lo scopo di conquistarla. Un’aquila appare dal nulla dando vita al Colosso che sarà il nostro super avversario nella prima parte del gioco. L’unico mezzo per sconfiggerlo è la Spada dell’Olimpo, una potentissima arma forgiata da Zeus per sconfiggere i Titani anni addietro. Grazie a essa Kratos configgerà il Colosso di Rodi ma, nel farlo, perderà tutti i suoi poteri, tornando mortale. L’aquila si rivela essere Zeus stesso, che uccide Kratos portando così ordine nel caos. Ma il nostro eroe troverà soccorso nei Titani, che l’aiuteranno a compiere la sua vendetta ai confini del tempo e dello spazio. Solo la sequenza finale vale il prezzo d’acquisto del titolo.
Il secondo capitolo rappresenta un affinamento di quanto visto in precedenza: il sistema di combattimento è rimasto pressoché invariato nella forma ma con un miglioramento della risposta ai comandi e feeling con armi. Le nuove armi e magie rappresentano le vere novità in ambito di gameplay, cosi come il Vello d’Oro, capace di respingere gli attacchi se usato con il giusto tempismo, e le Ali di Icaro, che permette di coprire grandi distanze e modi più fantasiosi di uccidere i nemici. Anche la trama risulta meglio raccontata, grazie anche a bellissime cutscene in CGI, ricca di colpi di scena e momenti drammatici, arricchita da molte più boss fight e con una durata maggiore. Il comparto tecnico è eccezionale, probabilmente la produzione migliore su PlayStation 2, con ottime texture e, in generale, una pulizia maggiore rispetto al primo capitolo. Sempre nel 2007, God of War II vinse i Premi Bafta come Technical Achievement e Story and Character.

Il brand ebbe un tale successo da essere trasposto, sotto forma di prequel, nella portatile Sony: PSP. Con il sottotitolo Chains of Olympusil God of War su handheld avrebbe raccontato quanto accaduto prima degli eventi di nostra conoscenza, fornendo uno sguardo più ampio su Kratos. Sviluppato da Ready at Down (sviluppatore che vanta anche il discusso The Order 1886), questo titolo mostra tutte le potenzialità della portatile Sony, toccando vette d’eccellenza un po’ dappertutto. Il motore base è quello utilizzato per Dexter ma è servito un aggiornamento apposito del firmware di PSP per far fruttare tutte le idee che aveva in serbo il team di sviluppo.
Qui si assisterà al piano – un po’ contorto, a dir la verità – di Persefone in cerca di vendetta nei confronti di Ade, reo di averla imprigionata, e degli Dei, che non avevano in alcun modo interferito. Il suo obbiettivo è quello di distruggere il pilastro che sorregge la Terra grazie al potere di Elios, grazie anche all’allontanamento di Kratos verso i Campi Elisi, dove il nostro protagonista, rinunciando alla malvagità e i suoi poteri, ha potuto finalmente ricongiungersi alla figlia. Kratos, compiendo una difficile scelta, riuscirà a fermare Persefone e a portare di nuovo la luce nel mondo.
Il team di Ready at Down è riuscito a trasporre un titolo perfetto anche sulla console portatile, a cominciare dal comparto tecnico, impressionante visto il contesto, aiutato sicuramente dallo schermo più piccolo per la pura resa grafica. Gli ambienti, le animazioni e tutto il resto è da primato, portando la PSP ad avere una sua killer application. Anche i comandi, sulla cui resa si temeva non poco, sono stati adattati regalando quasi le stesse sensazioni del DualShock. Ovviamente, rispetto ai titoli principali, questo capitolo ha qualche mancanza, come la durata della campagna tra le 6-8 ore, puzzle e boss più semplici, ma il tutto è comunque rigiocabile per sbloccare i numerosi extra.
È presente anche una specie di trollata: sul libretto d’istruzioni figura un invito a cercare le cosiddette Urne del Potere, in grado di conferire poteri inauditi e difficili da trovare. Peccato solo che nel frattempo gli sviluppatori decisero di eliminarle dal gioco completo per cui, chi non era a conoscenza di ciò, probabilmente ha vagato in cerca di urne che effettivamente non erano presenti.
In ogni caso, Chains of Olimpus fu il gioco piu venduto e con i voti piu alti presente su PSP.

Niente sarà più come prima

Nuovo God of War, nuovo producer, dicevamo: si passa da Cory Barlog a Stig Asmussen, l’art director di God of War II. Siamo al primo salto generazionale per questo franchise, approdando, nel 2010 su PlayStation 3, God of War III, in grado di mostrare tutta la sua potenza in una delle sezioni introduttive migliori di sempre.
Il Monte Olimpo è assediato da Kratos e dai Titani; Poseidone sarà il primo Dio a cadere per mano del deicida ma, subito dopo, Zeus, ricordandosi improvvisamente del suo ruolo, usa tutto il suo potere per ostacolare la scalata del Titano Gaia e il nostro pelatissimo eroe. Proprio quando Kratos si appresta a chiedere aiuto capisce di essere stato una pedina in mano dei Titani, interessati solo alla loro volta vendetta nei confronti degli Dei. Kratos partirà alla ricerca della sua doppia vendetta, eliminando chiunque si opponga alla sua strada, siano essi Dei o Titani, fino allo scontro finale con Zeus che vedrà il protagonista redimersi utilizzando il vero potere del Vaso di Pandora, utilizzato nel primo capitolo per sconfiggere Ares. Si scoprirà come e quando gli Dei divennero malvagi, pieni di istinti omicidi nei confronti di Kratos, e i veri piani di Atena.

Con il terzo capitolo, visto anche un nuovo e più potente hardware, si vantano diverse novità anche dal punto di vista del gameplay. Innanzi tutto magie e armi non sono più elementi separati: ogni arma infatti possiede la sua magia intrinseca, selezionabile grazie alla croce direzionale, con la quale è possibile cambiare arma rapidamente, continuando così le combo senza interruzioni. Inoltre, sono state modificate anche  postura e animazioni del protagonista e l’introduzione di una barra apposita per l’utilizzo di alcuni oggetti come l’Arco di Apollo e gli Stivali di Hermes, oltre che un maggior numero e varietà di nemici.
A livello tecnico è essenzialmente un capolavoro, capace di lasciare sbalorditi ancora oggi nonostante siano passati otto anni. L’utilizzo del nuovo hardware ha permesso un boost spaventoso in tutti gli aspetti del gioco regalando una perla di pregevole fattura. Come detto, è la prima ora di gioco che risulta assolutamente straordinaria e picco più alto di tutta la produzione, difficilmente replicabile. In quell’ora di gioco si è avvolti da God of War alla massima potenza.
Oltre all’eccezionale comparto tecnico non si è badato a spese anche nel sonoro, che si fregia di ben quattro compositori differenti, che sono riusciti ad arrangiare brani dal tono epico in grado di esaltare ogni situazione possibile. Assolutamente impeccabili.
Durante lo sviluppo molte idee furono scartate come una modalità multiplayer o la possibilità di utilizzare gli Stivali di Hermes per correre sui muri alla stessa maniera di Prince of Persia.

Ascensione e declino

Sempre nel 2010 arriva un altro capitolo per PSP, ancora una volta realizzato da Ready at DownGhost of sparta, cronologicamente posto tra il primo God of War e God of War: Betrayal. Qui entrano in scena la madre di Kratos e il fratello, Deimos, apparsi in una visione del neo Dio della Guerra molto sofferenti. Kratos cercherà di trovare spiegazioni nella Città di Atlantide, eretta in nome di Poseidone e culla della conoscenza umana. Durante il suo pellegrinaggio verso il tempio del Dio dei Mari, Kratos “ritroverà” sua madre e avrà varie informazioni sul fratello, scoprendo che è stato rapito da Atena ed Elios per via di una profezia che narrava di come un uomo con la faccia dipinta avrebbe posto fine agli Olimpici. Essendo Deimos l’unico con queste caratteristiche, viene rapito causando anche la famosa cicatrice di Kratos sull’occhio. Deimos è prigioniero di Tanatos, il Dio della Morte, e, dopo una bellissima  e coreografica boss fight in coop, e una volta “uccisa” la Morte, Kratos diventa un vero “Distruttore dei Mondi” – una sorta di Robert Oppenhaimer  ma con la faccia dipinta–. Nel frattempo scopriamo anche che il padre di Kratos è Zeus.
Ghost of sparta rappresenta il canto del cigno di PSP, una gioia per gli occhi sia dal punto di vista meramente tecnico che artistico, anche se purtroppo non raggiunge le cifre di vendite degli altri capitoli.
Questo capitolo e Chains of olympus furono poi rimasterizzati nella Origin Collection per PS3.

Nuovo God of War, nuovo producer, come da tradizione: la palla passa da Stig Asmussen a Todd Papy. Arriviamo all’utimo God of War uscito finora, Ascension, un prequel di tutto quanto visto fino a questo momento.
Avendo tradito il patto siglato con Ares, Kratos è prigioniero di tre Furie, esseri impegnati nel “gestire” traditori e colpevoli.  In questo meno riuscito capitolo, vediamo Kratos agli inizi, subito dopo aver siglato il patto con Ares e tormentato in maniera violenta dalle visioni. Kratos verrà aiutato da un’altra Furia, Orkos, che, resosi conto della crudeltà del patto, aiuterà il protagonista fino al sacrificio finale che renderà finalmente Kratos libero.
Ascension non vanta una trama che lascia il segno: sì, è ben raccontata, ma avara di colpi di scena risultando piuttosto prevedibile. Ovviamente il comparto tecnico anche qui è fuori scala, nonostante PS3 sia ormai sul viale del tramonto, con qualche piccola innovazione dal punto di vista del gameplay come avvenuta sul tasto cerchio del pad, non più adibito alle prese ma alle armi secondarie, che è possibile raccogliere durante il gioco. Anche i diversi amuleti, che potremmo utilizzare lungo il corso dell’avventura, diventano fondamentali ai fini del gameplay: quello di Uroboro, per esempio, permetterà di distruggere o ricostruire elementi dello scenario, mentre quello di Orkos permetterà di sdoppiarsi. Tutte ciò regala una boccata d’aria fresca alle sezioni platform, molto lunghe e costruite sulla base dei suggerimenti degli sviluppatori di Uncharted. Ma la vera novità è il comparto multiplayer, sia competitivo che cooperativo: una volta scelto il personaggio ci verrà richiesto a quale divinità votarci, avendo così da parte di queste un potere unico. Le modalità di gioco sono molte e permettono una buona progressione. Forse il multiplayer risulta a conti fatti un po’ forzato, visto che il franchise ha sempre puntato forte sul single player, ma è anche vero che David Jaffe ha sempre desiderato includere una modalità cooperativa sin dal primo capitolo, modalità che fu sempre scartata poiché Kratos rischiava di essere snaturato.
In Ascension, sono presenti tante novità ma, complice una trama non particolarmente ispirata ed elementi che sanno di già visto, questo God of War risulta il meno riuscito dell’intera saga.

Sei davvero tu?

Siamo nel 2018 e come al solito tocca a un nuovo producer, ma questa volta a una vecchia conoscenza: Cory Barlog è pronto a rilanciarsi con un nuovo capitolo dal semplice titolo di God of War che sposta parecchi focus su altrettanti elementi. Si passa infattidalla mitologia greca a quella norrena, in un futuro in cui Kratos ha ormai una certa età, prendendosi cura di Atreus, suo figlio. Cambiano completamente anche il combat system e il sistema di telecamere, non più fisso, ma spostato direttamente alle spalle del protagonista. Tutti questi cambiamenti rendono questo God of War effettivamente un altro gioco e difficilmente paragonabile ai titoli precedenti ma, da quanto abbiamo potuto vedere, di qualità sembra essercene tanta e non vediamo l’ora di reimpersonare la Potenza, ancora una volta.

Dopo sei giochi, uno mobile, un romanzo, una serie a fumetti, un lungometraggio sempre in cantiere, remastered e un nuovo capitolo pronto a stravolgere tutto, con Kratos apparso un po’ in giro in diversi altri media, ci si rende conto di quanto God of War sia entrato nella storia di questo mondo. Pensate che tra i piani di Santa Monica la serie doveva concludersi con il secondo capitolo, quando Kratos, dopo aver sterminato gli Dei greci avrebbe continuato la sua caccia ad altre deità di altre mitologie come quella nordica e addirittura quella cristiana. Infatti, riferimenti in tal senso, sono presenti in God of War II, in un dipinto che raffigurava i Tre Magi e un’arma, chiamata Lancia del Destino, come quella che trafisse Gesù crocifisso. Dopo tutto ciò, Kratos sarebbe diventato la Morte in persona, con le sue due lame che sarebbero diventate una falce, appunto come quella della morte.
Il nuovo Kratos è ora pronto a sfidare gli dèi nordici, e non più da solo.

 




Ratchet & Clank: 15 anni e non sentirli

Sono trascorse un paio di settimane dalla GDC (Game Developers Conference), quando il team Insomniac, salì sul palco per parlare dei 15 anni di storia, di una delle loro IP più conosciute: Ratchet & Clank. Ma gli interventi dello stesso team di sviluppo, sono stati tutt’altro che celebrativi per quanto riguarda la famosa saga.

Il regista Brian Allgier dice:

«Protagonista del gioco, in principio, sarebbe dovuto essere una ragazza con un bastone, una sorta di mash-up tra Zelda e Tomb Raider, ma quest’idea purtroppo non era ben vista dal team, che avrebbe dovuto lavorare poi sul gioco. A quel punto Ted Price (Presidente di Insomniac) decise di troncare quel concept che era stato intitolato appunto “Ragazza col bastone”. Era il 2001, Insomniac aveva 35 dipendenti che stavano lavorando al progetto e avevano bisogno di una nuova idea vincente. Il capo-ufficiale creativo, Brian Hasting, annotò una frase molto generica sulla lavagna degli appunti “un alieno, che gira tra i pianeti raccogliendo armi e gadget”, il team accolse positivamente da subito la nuova proposta, era un idea semplice ma aveva funzionato.»

Dopo aver cestinato un paio di concept, il team riesce a concretizzare finalmente i primi progetti di Ratchet, soprannominato “Lombax” da Ted Price, e del suo aiutante Clank. Inizialmente la squadra aveva pensato di metterne uno a capo dell’altro ma poi optarono per porli allo stesso livello. L’intenzione sin da subito, fù quella di creare qualcosa che fosse un mix tra il poliziesco Arma Letale e i cartoni animati del sabato mattina.
Durante la stesura del prototipo, il team non riuscì a far sì che la tecnologia PS2 iniziale gestisse correttamente il gioco, per questo motivo quindi lavorò fianco a fianco con Mark Cerny per ottimizzare la tecnologia della console Sony, che una volta migliorata, permise finalmente a Ratchet & Clank di vedere la luce.

«Il primo gioco era innovativo e fatto bene – dice insomniac alla GDC –  Ma era più un gioco di ruolo e le armi sembravano quasi opzionali. I due personaggi Ratchet e Clank non avevano moltà profondità, anche Ratchet stesso risultava essere borioso, sarcastico e non eccessivamente simpatico».

Insomniac, decise di concentrarsi sul contorno, personaggi, armi e humor, a partire dal secondo capitolo, Fuoco a Volontà (2003). Quando successivamente arrivò anche il terzo, Up your arsenal (2004), fu un vero e proprio successo per il franchise. Finalmente Ratchet & Clank aveva una propria personalità ben definita: era un gioco in perfetto equilibrio tra un platform e uno shooter, che raccontava una vera storia d’amicizia, con un contorno di armi fantasiose e gadget intelligenti, arricchito dalla possibilità di esplorare i pianeti. Un gioco pieno di colori vivaci e umorismo.

Nel corso del GDC, Insomniac ha voluto sottolineare solamente dove e perché, il team ha deluso le aspettative dei propri fan. Dal terzo capitolo in poi, lo studio aveva evoluto con successo la serie da un “platform con un carattere da sparatutto”, a uno “sparatutto con un carattere da platform”.
Eppure, nonostante tutto, Insomniac stava iniziando a preoccuparsi sempre di più che i giorni del “personaggio mascotte” stavano per finire. Sentiva che era necessario cambiare qualcosa per mantenere la serie sull’onda del successo, il tutto racchiuso nelle parole di Brian Allgeier:.

«Adattati o muori, ascolta ciò che i giocatori vogliono, osserva le tendenze e amplifica ciò che contraddistingue il tuo gioco».

Lo studio sentiva di aver raggiunto il vero successo con Up Your Arsenal, ma la filosofia “adattati o muori” applicata da quel momento, avrebbe inevitabilmente portato a un “crollo”. Per evitare che il franchise stancasse i fan infatti, il team di Insomniac, ispirato dalla serie Halo, produsse, nel 2005 sempre per PS2, Ratchet: Deadlocked (conosciuto anche come Gladiator). Era stato rimosso Clank dal nome («non è stato bello», ammette lo studio, che era pesantemente combattuto) e il gioco non includeva il popolare Qwark. Insomma, il titolo non aveva più tutte quelle caratteristiche che avevano reso un successo Ratchet & Clank e il risultato fu infatti, che ai fan non piacque, tanto che sia Allgeier che TJ Fixman (lo scrittore della serie), ammisero di aver commesso un grande errore allontanandosi da quella che era l’idea originale della serie, nello sviluppo di questa nuova veste di gioco non proprio azzeccata.

Insomniac, a quel punto, sapeva che in futuro avrebbe dovuto attenersi il più possibile al DNA del gioco originale, cosa che fece quando nel 2007, sviluppò il quinto capitolo della serie: Ratchet & Clank: Armi di Distruzione, sui sistemi PS3. Fu una sfida ardua per il team, quella di effettuare un restyling completo passando da una generazione a un’altra, ma alla fine riuscì nel proprio intento, creando nuovamente quello che era per i fan il vero Ratchet & Clank di un tempo, ma questa volta con una veste del tutto rinnovata. Praticamente un successo, o quasi, poiché a molti fan non piacque il finale, che vide Clank rapito dal misterioso Zoni. Così il team decise di dare qualcosa ai giocatori per rimediare, sviluppando un anno dopo un breve DLC, chiamato Alla ricerca del tesoro, che mise una pezza al buco creato dalla precedente storia, introducendo anche diverse novità al gioco, come i dialoghi, i puzzle-game e altro.

Proprio perché non era un vero e proprio capitolo di Ratchet & Clank, Alla Ricerca del Tesoro, permise al team di osare sotto alcuni punti di vista tecnici, ma anche di dare un filo logico a quello che poi sarebbe stato il successivo, e ultimo capitolo, della serie, che arrivò poi nel 2009 con A Spasso nel Tempo: un successo indiscusso sotto ogni punto di vista che vide, nel finale, anche l’annientamento del super-cattivo Nefarious in una delle basi spaziali.

L’epilogo della serie andò talmente bene che Sony pretese da Insomniac che si rimettesse a lavoro su un ulteriore capitolo della serie. Inizialmente cercarono di evitare questa forzatura narrativa che aveva visto il suo capolinea nell’ultimo gioco, ma alla fine i fan e Sony ebbero la meglio, convincendo Insomniac a rimettersi in carreggiata e pubblicare nel 2011, Ratchet & Clank: Tutti per Uno, che costrinse anche TJ Fixman a modificare il finale della serie trovando un modo per non far sfuggire Nefarious al suo destino che sembrava essere stato già designato, e che, per volere di Sony, doveva essere presente nel nuovo titolo. Alla fine, Tutti per Uno risultò essere uno dei migliori spin-off della serie, ma purtroppo non ebbe il successo sperato. Successo che arrivò invece due anni dopo, nel 2013, con Nexus, ultimo capitolo della serie, una storia breve ma ben sviluppata.

Da quel momento Insomniac e Sony avevano deciso di comune accordo di mettere da parte il franchise.

Almeno finché, nel 2016, non venne nuovamente tirato fuori da Kevin Munroe e Jericca Cleland che diressero per il grande schermo, Ratchet & Clank: film d’animazione basato sul gioco, ma che si allontanò troppo dalla mitologia originale dell’IP per l’adattamento cinematografico.
Allgeier decise così di sfruttare la corrente e creare al contempo anche un nuovo titolo, per PS4 questa volta: «Un gioco basato sul film basato sul gioco», dice scherzando. Proprio per aggirare il problema creatosi con il filo narrativo della pellicola cinematografica, TJ Fixman decise di affidare la narrazione a un personaggio improbabile e poco raccomandabile,  il capitano Qwark, giustificando così alcune eventuali incongruenze narrative.
Il remake di Ratchet & Clank fù un vero e proprio successo, con numeri che non si vedevano dai tempi dei vecchi titoli su PS2.

Allgeier conclude:

«Dove la serie andrà a parare in futuro non è certo, ma una cosa lo è, “adattarsi o morire” è una opzione, ma allontanarsi da quello che è il DNA del gioco, è un errore. Abbiamo imparato tutto ciò che potevamo sulla chiave del successo di Ratchet & Clank, lo abbiamo migliorato e aggiornato. Adesso ci spingeremo verso l’ignoto!».



Scribblenauts Showdown

Dopo la disastrosa cancellazione di Scribblenauts: Fighting Worlds, 5th Cells ci ritenta con Scribblenauts Showdown. Rilasciato su Nintendo Switch, Ps4 e Xbox One il 9 Marzo del 2018, nuovo capitolo di una saga di gran successo tra i giocatori del Nintendo DS, si tratta di un puzzle game con l’aggiunta della componente da party game. Ma l’aver trasformato la saga in un party game è stata una buona idea?
L’originalità del titolo stava proprio nel poter risolvere i vari indovinelli del gioco con soluzioni fuori dal comune, vista la possibilità d’invocare qualsiasi oggetto in nostro soccorso, e questo elemento viene a mancare, ma vedremo meglio più avanti.
Partiamo dal menù iniziale, che ci riserva un’ottima accoglienza con una bella varietà di colori. All’interno della schermata ci ritroveremo a dover scegliere tra tre modalitàdue basate su minigiochi e l’ultima la tipica modalità sandbox.
La prima modalità si chiama Versus, è giocabile da massimo due giocatori, può essere eseguita contro un amico o contro l’intelligenza artificiale. Sarà possibile scegliere se la sfida debba essere basata sulle “parole” o sulla “velocità” o su tutte e due. Se si scelgono le parole come criterio, si dovrà competere utilizzando quello che viene scritto. Per esempio, nella sfida di cucina, il gioco chiede di scegliere che cosa dovranno mangiare i due contendenti. Alcune parole portano evidenti vantaggi, in relazione alla grandezza e lunghezza di quello che si scrive. Le sfide proposte in questa modalità sono godibili e rapide. Versus è ottima in una tipica serata tra amici, anche se la quantità di mini giochi offerta non è così ampia e alla lunga può diventare abbastanza ripetitivo.

La seconda modalità di gioco proposta è probabilmente la migliore sul piano competitivo: si tratta del Gioco dell’Oca con le carte al posto dei dadi. Ad ogni turno il giocatore dovrà pescare una carta e, di conseguenza, dovrà toglierne una dalla propria mano di gioco. L’obiettivo finale è quello d’arrivare alla fine prima degli altri giocatori. Esistono diverse tipologie di carte: alcune carte ci faranno avanzare, altre fanno retrocedere gli avversari e altre potrebbero ribaltare completamente la situazione. Tuttavia, per attivare la carta, dovremmo vincere il minigioco proposto, anche perché in caso di sconfitta il bonus sarà utilizzato dalla nostra controparte. Questa è la modalità che sta alla base di questo titolo. Gli sviluppatori sembrano aver puntato il tutto per tutto su questa modalità ma, pur essendo questa molto elaborata, risulta manchevole in qualche aspetto: non rende infatti granché se giocata singolarmente, e l’aggiunta di una modalità multi giocatore online era d’obbligo.

Starite?STARITE?? Ebbene sì, eccoci arrivati alla terza e ultima modalità, chiamata sandbox. Pensavate che il team di 5th Cells avesse dimenticato la modalità principale dei predecessori della serie Scribblenauts? Sandbox è strutturata in una serie di livelli dove dovrete “esaudire” i desideri di chi li esprimerà. Tutti i desideri saranno posti in maniera enigmatica, ed è qui che entra la componente da puzzle game, e il giocatore sarà chiamato a risolvere gli enigmi in qualsiasi modo voglia. L’obiettivo principale sarà quindi quello di ottenere tutte le starite, stelle luminose usate come “merce” di scambio. All’interno di questo capitolo ci sono ben 8 livelli. Gli enigmi non sono molto difficili, e in vostro soccorso potrete usufruire di suggerimenti “a pagamento”. Se ogni desiderio espresso correttamente vi garantirà 10 starite, ogni suggerimento richiesto ve ne sottrarrà 5. Un’ottima aggiunta è data dalla possibilità di assegnare degli aggettivi a qualsiasi cosa animata, così da rendere un minotauro “docile” o “aggressivo”. Inoltre, sarà possibile scambiare le starite raccolte con vestiti/accessori ed è possibile acquistare oggetti così da aggiungerli tra quelli che si possono già evocare (oggetti esotici presi dai vari livelli). Infine, i vestiti e accessori acquistati potranno essere utilizzati nella personalizzazione del vostro personaggio.

Il titolo si presenta con una grafica colorata e cartoonesca, il team di sviluppatori è riuscito a utilizzare e migliorare nel tempo lo stesso motore grafico utilizzato sin dal primo capitolo della saga, migliorando i colori, i modelli poligonali e le varie rese grafiche, non tradendo l’art style originario ma rendendo il titolo, graficamente parlando, valido ancora oggi.
Il sonoro non è certamente di alto rilievo, ma i suoni e le musiche sono molto orecchiabili, le riproduzioni sonore dei vari animali e delle armi e ben rese, anche se tutto l’insieme è un riciclo preso dai capitoli precedenti.
Una grande mancanza rispetto al passato è probabilmente  quella della free-mode, dov’era possibile trascorrere del tempo evocando qualsiasi cosa vi passasse per la ment (per esempio era possibile far combattere 10 militari contro un drago).
Tirando le somme, Scribblenauts Showdown, non riesce a tenere alto l’onore del franchise, visto che il team di sviluppo ha tentato di proporre qualcosa che è abbastanza lontano da quello che rappresenta il marchio originario.
Il titolo rimane comunque abbastanza godibile e, per chi volesse comunque usufruire di un gioco simpatico da tirar fuori in una serata con gli amici, l’acquisto può essere consigliabile, ancora meglio quando si troverà a un prezzo leggermente inferiore.




Super Seducer: il videogioco che insegna come rimorchiare le ragazze

Uno dei temi del momento, è quello dell’impiego della VR nelle relazioni sentimentali: se da un lato è sempre in auge il tema del rapporto con la pornografia, al punto da far ipotizzare che la realtà virtuale venga utilizzata con i sex robot, recentemente non sono mancati i primi modelli di app di dating, sorta di “Tinder” virtuali atti a favorire l’incontro fra persone. Al di fuori di questi casi, in ambito videoludico cresce sempre più il genere del dating-sim tanto caro soprattutto ai giocatori giapponesi, ma che sta facendo non pochi proseliti anche in Occidente. Se da un lato parte di questi erano destinati a un pubblico prettamente femminile, si è fatto ultimamente attenzione anche agli interessi dell’utenza maschile. Un titolo che ha di recente fatto scalpore – al punto da indurre Sony alla sua rimozione dal PSN – insegna come far colpo e come rimorchiare una ragazza: parliamo di Super Seducer, pubblicato su Steam lo scorso 6 marzo.
Si tratta di un videogioco a fini “didattici”, con l’obiettivo di illustrare agli uomini come conoscere una ragazza, conquistarla e soprattutto come uscire dalla friendzone. Lo sviluppatore, nonché protagonista del videogame, è Richard La Ruina, dating coach e “rimorchiatore professionista“, un Pick-Up Artist, un vero esperto dell’approccio con il gentil sesso.
Il gioco si presenta come una serie di video interattivi in cui il protagonista tenta, in 10 diverse situazioni, di rimorchiare una ragazza; durante le cutscene appariranno varie opzioni a schermo che permetteranno al protagonista di comportarsi in diversi modi con la ragazza in questione: alcune di queste scelte sono davvero prive di senso e semplicemente  volgari mentre altre, stranamente, sembrano un po’ più sensate.
Dopo aver dato la nostra risposta, potremo assistere alla reazione della ragazza e in base a come è andata comparirà lo stesso Richard, nelle vesti di una specie di coach accompagnato da due belle e poco vestite ragazze, che ci dirà cosa abbiamo sbagliato o ci spiegherà perché l’opzione da noi scelta era quella giusta.
Super Seducer, oltre a essere demenziale, è anche abbastanza sessista ed emerge anche un qual certo maschilismo durante i video e le situazioni presenti nel gioco, che esce in un periodo in cui sessismomolestie sessuali sono temi caldi.
Se Sony, come dicevamo, ha proibito la distribuzione del gioco tramite il suo store online, ritenendolo inadatto, lo stesso non è accaduto su Steam, dove il videogame è ancora acquistabile.
Super Seducer ha ricevuto, oltre al definitivo no da parte di Sony, anche moltissimi commenti e recensioni negative da parte di migliaia di utenti in tutto il mondo, nonostante lo sviluppatore abbia dichiarato di voler solamente «offrire agli uomini ottimi consigli su come avvicinare le donne in modo rispettoso e divertente». A ben vedere, di rispetto (e anche di divertimento) pare ce ne sia poco: i modi con cui lo stesso La Ruina approccia le ragazze, il trattamento a loro riservato, paiono tutt’altro che educativi. Sembra che il videogioco serva solo a denigrare la figura della donna e a valorizzare i soliti stereotipi creati dalla società contemporanea.
Super Seducer, che La Ruina dice di aver creato dopo anni di “ricerche” e fatica – e non ne dubitiamo – pare una mossa atta sfruttare il mezzo videoludico per far presa sulla “debolezza” di quella fascia di utenti che hanno difficoltà nell’approccio con l’altro sesso, e sfrutta purtroppo le tecniche più becere per la risoluzione del problema dei potenziali fruitori. Che il videogame possa avere una funzione formativa e istruttiva oggi è fuor di dubbio, al punto che si ricorre sempre più alle tecniche della gamification negli ambiti della formazione; in tal senso, il titolo sviluppato da RLR Training Inc. costituisce un’occasione mancata per affrontare un tema tutt’altro che banale, risultando invece un prodotto dal quale esce sconfitta l’immagine delle donne, ancora una volta assottigliate al rango di oggetti, come quella degli uomini, per i quali si ritorna invece al trito stereotipo di predatori nel campo di caccia della modernità.




The Inpatient

The Inpatient

The Inpatient il nuovo gioco per Playstation VR, targato SuperMassive Games, può essere annoverato tra gli horror psicologici.
La software house inglese, dopo averci affascinato con la coinvolgente storia di Until Dawn (qui la recensione) ed entusiasmato, lanciandosi nel mondo della realtà virtuale, con lo spettacolare shooter su binari Until Dawn: Rush of Blood (qui la recensione), che rappresenta uno spin-off del primo, adesso ci presenta quello che è un vero e proprio prequel del capitolo d’esordio.
Non c’è quindi da meravigliarsi se l’hype di tutti i fan della serie è stato elevato sin dall’annuncio ma, se già doversi confrontare con un primo titolo di rango non risultava un’operazione semplice, questo The Inpatient presenta non pochi problemi che ne inficiano la qualità.

Blackwood Pines Sanatorium

Ambientato 60 anni prima gli eventi di Until Dawn, in un manicomio/casa di cura a BlackWood Pines, The Inpatient ci vede vestire i panni di un paziente affetto da amnesia. Durante tutto il gioco ci troveremo sempre in compagnia di qualche personaggio con cui dialogheremo (nel vero senso della parola).
Prendendo in prestito dalla Teoria del Caos l’effetto farfalla, la SuperMassive Games, come già  in Until Dawn, ce ne offre la propria versione: le risposte che sceglieremo di dare influenzeranno il corso della storia, saranno decisive per la vita o la morte dei personaggi incontrati e ci condurranno a finali differenti.

Cosa si poteva fare meglio

Come accennavamo, i difetti legati a questo titolo sono diversi e coinvolgono molti settori chiave.
Il secondo  difetto, non da poco in ordine di fastidio arrecato al gamer, è rappresentato dalla programmazione dell’ambiente che ci circonda. L’intero scenario, compresi il 99% degli oggetti, si presenta infatti come un unico gigantesco blocco immobile: ciò vuol dire che non solo non saremo in grado di far muovere niente sbattendovi contro, perdendo in realismo ma, per di più, qualsiasi oggetto, persino quelli dotati di ruote, ci bloccherà il cammino, impedendoci di proseguire, obbligandoci a una macchinosa manovra di aggiramento. Per compire questa farraginosa operazione dovremmo spostare l’analogico di destra per tre o quattro volte nella direzione della rotazione che vorremo effettuare prima che la manovra vada a buon fine.
Qualche “illuminato” sviluppatore della casa britannica, ha ben pensato di mettere una bella toppa a questo inconveniente creando quello che rappresenta il primo dei difetti del gioco.
Il più grave problema è infatti proprio legato al sistema di controllo.
I programmatori della SuperMassive Games hanno dimostrato la propria maturità in ambito VR, studiando un sistema di controllo che evita completamente, qualsiasi problema legato al “motion sickness”, posizionando il movimento in avanti sull’analogico sinistro e la rotazione di 30/45/60 gradi sull’analogico destro.
Fin qui un ottimo lavoro. Purtroppo qualcuno, probabilmente in uno stadio particolarmente avanzato dello sviluppo del gioco, o addirittura in fase beta testing, ha avuto la “geniale” idea di mettere sempre sull’analogico destro la “feature” per l’inversione di visuale a 180°. Questa inopportuna funzione di controllo ci perseguiterà per tutto il gioco e ci capiterà in continuazione di azionarla involontariamente. Malauguratamente, neanche dalle impostazioni è possibile disattivarla, e saremo così condannati per l’intero gioco a doverci voltare nuovamente nella giusta direzione, diminuendo ancor di più la già scarsa immersività di questa esperienza VR.
Lo stress e il senso di insoddisfazione causati dalle già citate incaute scelte di programmazione ci inducono a sperare almeno in una storia avvincente e dal finale ricco di suspense. Anche qui veniamo amaramente delusi: ci mettiamo veramente poco a capire la storia e i suoi risvolti, e il gioco si riduce a seguire qualche personaggio per interminabili corridoi nei quali non succede assolutamente niente, e quasi speriamo in un jumpscare per movimentare un po’ la noia generata da questi lunghi tratti soporiferi.

Cosa ci è piaciuto

Assolutamente da lodare, invece, è l’esperimento relativo al controllo vocale dei dialoghi fatto dagli sviluppatori della SuperMassive Games.
Durante i colloqui con i vari personaggi, ci verranno poste delle domande e proposte a schermo due risposte possibili: ci basterà pronunciare la frase scelta e verrà automaticamente interpretata dall’intelligenza artificiale che si occupa del riconoscimento vocale.
L’eccellente lavoro degli sviluppatori britannici fa sì che l’algoritmo di riconoscimento vocale abbia un ottimo livello di accuratezza, pari quasi al 90% di corretta identificazione della risposta. È saggiamente stata anche prevista la possibilità di selezionare la risposta, semplicemente guardandola e premendo il tasto X.
In breve, risulta abbastanza naturale parlare con i personaggi del gioco sebbene sia necessario pronunciare esattamente la frase mostrata come risposta e non sia possibile dire qualcosa di simile o di significato analogo, come avviene nelle odierne AI di riconoscimento vocale.

Analisi Tecnica

Le texture sono belle, dettagliate e di grande effetto, sia quelle relative all’ambiente sia quelle che delineano l’aspetto dei personaggi. Il titolo sarebbe graficamente eccellente se non fosse per una miriade di bug grafici che, a scapito del realismo, fanno brillare anche in totale oscurità tutti gli oggetti, evidentemente aggiunti in un secondo momento, come i contorni delle finestre, delle porte, alcune parti della pavimentazione ecc.
Le animazioni dei personaggi sono abbastanza fluide e credibili, mentre quelle legate al nostro personaggio lasciano alquanto a desiderare. La velocità con cui ci muoviamo è a dir poco ridicola, anche nei momenti più concitati di imminente pericolo siamo lenti come una tartaruga assonnata e, se ci guardiamo i piedi, per altro scalzi, notiamo una specie di “moon walking” con scivolamento frontale del tutto inverosimile.
Il comparto audio è buono: i dialoghi, in italiano, sono ben doppiati, quasi al livello di quelli dello spin-off Rush of Blood, e le musiche accompagnano abbastanza bene le varie parti della storia. Gli effetti audio, seppur d’effetto, sono spesso temporizzati con troppo anticipo, rovinando così la sorpresa dei, tra altro rari, jumpscare.
L’estrema lentezza del personaggio, le lunghe camminate per gli interminabili corridoi che attraversiamo del tutto indisturbati e le poche emozioni che regala questo titolo, fanno sì che la scarsa longevità di sole 2-4 ore diventi un pregio piuttosto che un difetto.
Per quanto riguarda il “motion sickness”, problema sempre in agguato quando si tratta di realtà virtuale, possiamo tranquillamente affermare che i ragazzi di SuperMassive Games lo hanno totalmente scongiurato, tramite l’ormai collaudato sistema di rotazione a scatti.

The Inpatient

Impressioni Impazienti

Purtroppo The Inpatient delude sotto molti aspetti, la storia lenta e superficiale, il sistema di controllo stressante e tutt’altro che funzionale, la longevità di sole 2/3 ore e qualche bug grafico, fanno scendere il giudizio generale del gioco ben al di sotto della sufficienza. L’impressione generale che si ha giocando a The Inpatient è che la SuperMassive Games abbia puntato davvero in alto con un titolo graficamente bellissimo, e aggiungendo l’innovazione del controllo vocale dei dialoghi, al già apprezzato sistema di narrazione dell’effetto farfalla, abbia cercato di raggiungere l’olimpo delle IP. Purtroppo evidentemente, a uno stadio avanzato dello sviluppo, forse per problemi di budget, o a causa di qualche deadline da rispettare, abbiano dovuto accelerare la conclusione del titolo, lasciando bug grafici un po’ ovunque e rattoppando alla meno peggio i bug più importanti.