Crush Your Enemies

Giochini artistici per mammolette, tutti grafica stilizzata e ghirigori per gente delicata e sensibile. Dove sono finiti sangue, birra, parolacce, riferimenti ai Motörhead e pestaggi a mani nude che si fanno ancora più violenti per via del moonshine? Se avete una folta barba, puzzate, siete ciucchi e assetati di sangue, allora Crush Your Enemies è il gioco che fa per voi! Si tratta di un bellissimo gioco di strategia in tempo reale vecchio stile della Vile Monarch, studio polacco che ci ha già sorpreso con Oh… Sir! The Hollywood Roast, e la qualità tipica dello studio ritorna per questo titolo per Nintendo Switch già apparso su PC, Mac, Android e iOS. Affilate le vostre armi, bevete un bel litro di birra e partiamo alla volta di villaggi inermi che non temono la nostra furia!

Sei sbronzo? Allora all’attacco!

Come abbiamo già menzionato, la battaglia scorre in tempo reale ma differisce fortemente da titoli come Clash Royale o Clash of Clans in quanto il gioco non ha alcuna microtransazione e la crescita in-game si basa esclusivamente su i punti di esperienza (le birre) che potranno essere spesi per le migliorie per il proprio esercito, come truppe fantoccio, capannoni, mine esplosive, moonshine per rinforzare temporaneamente un battaglione sul campo e così via. Prima di cominciare a giocare ci è permesso dare un’occhiata al campo di battaglia, che si divide in quadranti colorati che stanno a segnare il nostro territorio, quello nemico e quello neutro, e cominciare a organizzare le proprie mosse per raggiungere gli obiettivi della missione, uno principale (che possono variare dall’uccidere tutti i nemici sul campo al conquistare tutti gli edifici sul campo di battaglia o, semplicemente, sopravvivere per un tempo limitato) e altri due facoltativi per ottenere più punti reputazione, necessari per saccheggiare i villaggi più piccoli (che rappresentano, in un certo senso, le side mission); una volta ottenuta qualche miglioria con le birre, possiamo solo portare in campo solamente tre tipi di migliorie acquistabili. Avviata la battaglia dobbiamo trovare un modo per soddisfare gli obiettivi proposti e per raggiungerli possiamo avvalerci degli elementi che troviamo sul campo di battaglia: nei campi troviamo, solitamente, delle locande in cui verranno reclutati sempre più uomini (per un massimo di 50), e dunque da lì possiamo far partire più plotoni per attacchi su più fronti, delle scuderie per dare a un plotone una determinata classe, come cavalieri, arcieri, scudieri o scout, o delle torri in cui mettere degli uomini e riuscire a difendere tutto il territorio circostante. Gli scontri plotone contro plotone si basano esclusivamente sul numero degli uomini: come già visto in molti titoli mobile, nello scontro di un gruppo di guerrieri base contro uno uguale vincerà il plotone col numero più alto che sopravvivrà con un numero di uomini pari alla differenza. La sorte, però, può variare qualora i due gruppi hanno classi diverse: i guerrieri base sono buoni contro altri della loro stessa categoria ma cadono vittima della potenza dei cavalieri che ne uccidono il doppio, gli arcieri sono eccellenti per uno scontro a distanza, e dunque per prendere possesso degli edifici, ma soffrono nel combattimento ravvicinato, persino contro i soldati base, gli scudieri riescono a riflettere le frecce degli arcieri, gli scout conquistano territorio molto velocemente anche con un plotone di pochi uomini, etc… tutti questi elementi di gameplay, fortunatamente, ci verranno spiegati man mano andremo avanti nella bizzarra campagna single player, che vede le scorribande del temibile Brut il barbaro, il suo ciucco figlio Fuzgut il distruttore e il resto della sua tribù un po’ sbarazzina; il tutto spiegato con semplici testi che appaiono durante l’azione e senza mai interrompere l’azione infuocata di questo titolo. Il gioco dà inoltre la possibilità di giocare in multiplayer locale o online contro un amico o sconosciuti, dunque nella stessa modalità proposta nella campagna per il giocatore singolo; purtroppo non siamo riusciti in alcun modo a provare l’efficienza delle battaglie in rete in quanto non abbiamo trovato un singolo giocatore nei server. Al di là del semplice fatto che questo gioco non è un titolo mainstream e non è dotato di cross-play (così sembra stando alla sua pagina del sito Nintendo) il motivo principale è, secondo noi, il matchmaking manuale; anziché collocare il giocatore in un rango che possa permettere di trovare giocatori alla sua altezza, la ricerca dell’avversario si basa sull’autodichiarata esperienza col gioco, che va da “wimpy” (la più bassa) a “insane“, e la scelta di una specifica modalità di battaglia che stabilirà le classi di soldati che saranno presenti sul campo. Ci sono dunque fin troppe combinazioni fra abilità e modalità di gioco e perciò, complice la scarsa utenza, non ci è stato possibile trovare alcun avversario per testare il multiplayer online (e probabilmente il titolo non è nemmeno supportato dal crossplay).
Crush Your Enemies è un gioco che, indubbiamente, mette alla prova le vostre doti strategiche e dunque ci chiede, imprescindibilmente, di pensare in fretta e bene. Ci sono stati nel tempo strategici tipicamente da PC (e dunque lontani da giochi del calibro di Fire Emblem, Shining Force e Final Fantasy Tactics, che sono giochi designati per girare su una console) che hanno avuto un buon riscontro sulle loro piattaforme, primo fra tutti Starcraft 64: purtroppo Crush Your Enemies non è fra questi. Il problema non si pone per nulla con l’interfaccia utente: il gioco, nonostante la sua natura da PC, rende molto bene sia in dock che in modalità portatile o da tavolo. Per muovere le truppe dobbiamo usare il puntatore con la levetta ma, nonostante la divisione in quadranti della mappa, è incredibilmente impreciso, dato che gli sviluppatori non hanno programmato una zona morta. Quando dobbiamo muovere il puntatore dalla nostra posizione a un paio di caselle a destra è possibile che questo esegua un’assurda deviazione in diagonale o che non si riesca a farlo cadere nel punto desiderato. A quel punto le uniche cose che ci rimarranno da fare saranno o rifare la strada al contrario per cancellare gli errori commessi, sperando di non sbagliare e fare un papocchio ancora più grande con le nostre mosse, oppure, saggiamente, cancellare la strada col tasto “B” e ritracciare un percorso. Per via della mappa suddivisa in quadranti, e dunque poiché e necessario conquistare i quadranti del nemico, è importantissimo che le truppe seguano un percorso ben definito (lo dice anche il tutorial in-game) e perciò la mancanza di precisione da parte del puntatore collegato alla levetta rovina un’esperienza che poteva essere sistemata col minimo sforzo; le battaglie saranno pertanto resettate più volte, ricominciate con la speranza di compiere tutte le azioni che servono sperando che il puntatore collabori col giocatore. In alternativa, Crush Your Enemies per Nintendo Switch offre la possibilità di muovere le truppe con il touch screen in modalità portatile, disegnando col dito il percorso da seguire per attaccare il nemico o liberare le sue aree, ma di tanto in tanto servirà l’ausilio di qualche tasto fisico, specialmente per utilizzare e di conseguenza piazzare un oggetto, e perciò ci si accorgerà quanto sia carente anche questo metodo di controllo e quanto sia invece perfetto il mouse per questo tipo di giochi (come avviene per la versione per PC). Se volete giocare con questo gioco, e dunque portarvelo con voi per un viaggio, dovrete abituarvi al suo sistema di puntamento poco affidabile.

L’oracolo ha parlato. Egli disse: botte e birra!

Crush your Enemies è intriso di uno humor veramente speciale che si rifà a quello inglese, con una forte inclinazione scozzese, pertanto molti termini, a primo acchito, non saranno riconoscibili per via del fatto che devono restituire quell’inflessione linguistica tipicamente scottish, e perciò, per comprendere lo humor di questo gioco, è necessaria un’ottima base di inglese. Non sono solo i dialoghi, che raccontano delle scorribande di questa tribù di barbari intenti a spodestare il regno di Generia, a sorprendere il giocatore, ma anche le schermate di caricamento e i menù, con sempre una battuta atta a far scompisciare il giocatore. Mettete in pausa l’azione e sul menù ci saranno domande del tipo: «tua mamma ti ha chiamato?», «devi dar da mangiare al gatto?» oppure «è cominciato Game of Thrones?». Troverete lo stesso tipo di humor nelle sezioni di caricamento con espressioni del tipo:«sfoltendo la barba», «oliando il pacco da sei (gli addominali)», «guardando un porno hobbit» e tanto altro. Mai una schermata di caricamento è stata così divertente! Come ciliegina sulla torta, i dialoghi sono doppiati “a modo loro”: nessuna vera parola uscirà dalle loro bocche, solamente borbottii e rumori da macho.
Il titolo offre l’essenziale per quel che riguarda la grafica: tutto è sempre ben distinguibile, colorato e funzionale per l’utente che interagisce con la battaglia. L’art-style invece, ben distante dalla grafica in-game, ricalca perfettamente lo humor proponendo un design dei personaggi simile ai cartoni animati di Cartoon Network o, ancor di più, di Adult Swim; non si poteva chiedere di meglio per un gioco con dialoghi così bizzarri. Le musiche all’interno del gioco si fanno primariamente alla musica celtica e classica marziale di una certa pomposità, l’ideale per un titolo che pone certi temi e un gameplay simile; ciò che ci viene proposto è veramente di altissima qualità, ben registrato e ben composto, la colonna sonora ideale per delle sanguinose battaglie à la Braveheart. Sarà la soundtrack ideale per i vostri trionfi, come un esame all’università superato o una scommessa con un amico vinta!

[Insert beer joke here]

Vile Monarch ci offre un bel titolo con modalità di gioco che cambiano stage dopo stage, colmo di humor inglese maturo (per il quale serve una solidissima base di inglese) e un modello di real time strategy veramente intelligente; Crush Your Enemies è dunque un bel gioco… ma non per Nintendo Switch! Quante e quante volte abbiamo ricominciato le missioni per via di una mossa strategica andata a male perché la levetta non ha fatto il suo dovere, quanto avremmo voluto incontrare altri giocatori per giocare online, ma soprattutto quanto abbiamo desiderato avere un mouse a nostra disposizione. Portare un gioco di strategia su una console è un rischio, non sempre il salto dal PC riesce con buoni risultati e Crush Your Enemies finisce in una zona grigia; ricordiamo che è possibile controllare l’azione in modalità portatile con il touch screen, praticamente proponendo gli stessi controlli per Android e iOS, ma purtroppo bisogna ammettere che le nostre dita non sono un buon sostituto del mouse e dunque, per un gioco che richiede precisione, ritmo e velocità, non rappresentano la migliore alternativa per controllare le truppe sul campo di battaglia. Con buona probabilità, la scena sul PC sarà molto più movimentata, avrete più possibilità di incontrare altri giocatori per delle battaglie online, ma soprattutto avrete la possibilità di controllare il campo di battaglia con un mouse; la versione per Switch, in fondo, è godibile ma dovrete aver a che fare con i suoi molti difetti.




Culturalizzazione: migliorare i contenuti nel rispetto di tutti

Il rosso in Cina è il colore della fortuna e della prosperità, dunque un colore positivo, ma in termini di gaming questo colore è spesso associato ai danni o a un qualcosa di negativo; il lutto, in Asia, è rappresento dal bianco anziché dal nero ed è inoltre inappropriato avere degli scheletri come nemici in un gioco perché ciò è visto come inappropriato verso i defunti. Questi sono solo alcuni esempi di come il contesto di un videogioco possa cambiare a seconda della popolazione che lo gioca; non si può consegnare un gioco, che possa soddisfare tutti, senza considerare le diverse credenze religiose, tradizioni e diversi punti di vista ed è per questo che le uscite passano sempre attraverso il processo di localizzazione.

Questo non prevede la sola traduzione del comparto testuale o dei dialoghi ma serve per far si che la cultura di arrivo possa comprendere, anche con termini propri, la cultura d’origine. Vi facciamo un esempio più chiaro: ricordate il buon vecchio anime Rocky Joe? Quando lui e il caro Nishi volevano un qualcosa di gustoso mangiavano un bel piatto di “spaghetti” e non di “udon”; se è per questo il nome “Rocky Joe” non è proprio un nome così giapponese. Questo perché i traduttori che lavorarono all’opera avevano bisogno di trovare dei corrispettivi culturali italiani che il pubblico avrebbe potuto comprendere e accettare senza, necessariamente, dar troppa importanza agli elementi che apparivano nelle scene del cartone (anche perché all’epoca gli anime e la cultura giapponese non erano così popolari); gli spaghetti sono simili agli udon ma non sono la stessa cosa, così come “Joe Yabuki”, in Italia, non ha la stessa carica di “Rocky Joe”, il cui termine sfruttava la popolarità sia del pugile italiano Rocky Marciano che l’allora nuovissima saga di Rocky. Umberto Eco, quando parlò della sua esperienza come traduttore, parlò appunto di “Dire quasi la stessa cosa”, poiché, in termini brevi, non esistono corrispettivi identici da una cultura “A” a una “B”.

Localizzazione e culturalizzazione

Kate Edwards, l’ex direttrice esecutiva della International Game Developers Association (IGDA), spinge gli attuali sviluppatori a puntare di più sui processi di culturalizzazione, un processo un po’ diverso dalla localizzazione che abbiamo imparato a conoscere. A tal proposito spiega:

«La culturalizzazione serve a tutto quel contenuto che potrebbe influenzare negativamente un determinato pubblico. Possono essere simboli, gesti, colori, character design – può essere persino la storia stessa se al suo interno sono presenti determinate allegorie storiche, alla quale la gente potrebbe reagire negativamente. […] Il linguaggio è essenziale per la leggibilità di base, ma ciò che io spesso suggerisco è la culturalizzazione, perché rende il contenuto più fruibile. Si possono ricercare elementi all’interno di una cultura affinché il contenuto sia più interessante, per evocare un senso di cultura che non può essere gestito dal solo linguaggio. […] Io voglio che [i giochi] possano piacere a più gente possibile nel mondo e per fare ciò la lingua non è sufficiente. È possibile fare ogni tipo di traduzione ma se il contenuto presenta un qualcosa di potenzialmente problematico per la cultura d’arrivo, questo non sarà compatibile con i loro valori culturali».

Gli obiettivi della culturalizzazione sono molteplici ma il principale è quello di “migliorare il contenuto affinché possa raggiungere più fruitori possibili” eliminando elementi che possano interferire con l’immersione del giocatore o, peggio ancora, possano offenderlo; Edwards ricorda che se un qualcosa non è in sintonia con la cultura d’arrivo questo potrebbe “rovinare l’esperienza”:

«In alcuni casi un “elemento discutibile” potrebbe estendersi ai governi locali e potrebbero anche bandire un gioco per quel qualcosa di “offensivo”[…]».

Censura o essere politicamente corretti?

Edwards ci tiene a ricordare che il processo di culturalizzazione non ha nulla a che fare con la censura, ma bensì con l’essere politicamente corretto: Kate spiega che gli sviluppatori sono liberi di fare ciò che volgliono, in quanto crede fortemente che i giochi siano una forma d’arte, una forma d’espressione personale e di libertà di parola. Tuttavia, se gli sviluppatori concepiranno un gioco violentissimo o irrispettoso, il 99% del pubblico non lo giocherà e dunque si faranno una pessima reputazione anche se hanno tutto il diritto di pubblicarlo. Se invece vogliono fare soldi con la loro visione creativa allora dovranno essere messi di fronte a delle scelte di mercato.
La culturalizzazione, agli occhi della Edwards, ha due facce: la culturalizzazione reattiva, che comprende l’individuare (e dunque l’eliminare) le cose che possono provocare una reazione negativa, e la culturalizzazione proattiva. Quest’ultimo è un po’ il processo inverso in quanto coinvolge l’arricchire il contenuto con elementi che possano migliorare l’esperienza e che i giocatori, di una certa cultura, possano individuare; se i developer americani o europei vogliono aprirsi di più al mercato cinese o mediorientale allora è meglio – per loro – mostrare interesse verso le loro culture inserendo elementi che possano attrarli come un semplice personaggio della loro nazionalità in un gioco o persino dalle loro sembianze in un titolo ambientato in un mondo fantastico (senza scadere però in stereotipi scontati). Ciò non viene circoscritto solamente per questi nuovi mercati ma è una pratica che coinvolge la sensibilità delle culture occidentali; ne è un esempio il recente ban di Omega Labyrint Z nel Regno Unito, un gioco che poteva essere tollerato in Giappone ma non in molte parti d’Europa (poiché il gioco presentava delle quattordicenni spesso in contesti “troppo piccanti”. In Giappone, per legge, l’età del consenso è di 14 anni). Detto ciò, nonostante il “duro aspetto” degli  Stati Uniti d’America, la Edwards ci tiene a ricordare che il mercato USA molto attento su certi aspetti:

«[…] è uno stato molto sensibile a questioni come il sesso, la nudità e il razzismo. I developer non possono pensare che tutto può filar liscio negli Stati Uniti perché non è vero. L’unica differenza è che negli Stati Uniti, come in molti paesi liberi, non controlliamo il contenuto da un punto di vista governativo; noi ci affidiamo semplicemente ai venditori. Il motivo per cui non abbiamo tutti i giochi provenienti da oltremare negli Stati Uniti è perché Wallmart e Target si rifiutano di venderli, tutto qui! È il modello di vendita che blocca i contenuti, non il governo.».

Katrina, di Snatcher di Hideo Kojima, vide cambiata la sua età da 14 a 18 nel mercato occidentale.

La rivincita dell’impero Joseon

La culturalizzazione è un processo che andrebbe avviato il prima possibile, a differenza della più comune localizzazione che si avvia soltato verso la fine della produzione del prodotto, ovvero quando è pronto per essere trattato dai localizzatori; con la culturalizzazione si anticipano questi processi parlando con produttori, scrittori, artisti affinché possano consegnare un titolo che tutto il mondo, benomale, possa godere senza problemi.
Tuttavia ci saranno sempre da fare alcune eccezioni e la Edwards, lavorando come specialista della culturalizzazione da oltre una decade, lo sa bene; ricorda ciò che avvenne per il rilascio di Age of Empire, nel 1997, in Corea del Sud. Il gioco in questione conteneva uno scenario che riproduceva l’invasione della penisola coreana da parte della dinastia Yamato che mise l’impero dei Joseon sotto assedio. Il ministro dell’informazione coreano disse che quell’evento non avvenne mai, nonostante i documenti storici a supporto dell’invasione avvenuta (ricordiamo che la penisola coreana non ha – o per lo meno aveva – una relazione serenissima, specialmente per gli eventi accaduti nel ‘900, con il Giappone); Microsoft aveva in atto una strategia a lungo termine per inserirsi nel loro mercato e i sondaggi mostravano che i giochi di strategia in tempo reale erano molto popolari in Corea, e questo prima ancora del successo StarCraft. Fu così che la Edwards e Microsoft finirono per appoggiare le dichiarazioni del ministro rilasciando una patch, esclusiva al mercato sudcoreano, in cui accadeva l’(in)esatto contrario, ovvero che l’impero dei Joseon invadeva il Giappone. Edwards ricorda:

«Abbiamo preso una decisione che potesse far bene al nostro busines. […] La gente dibatte ancora: Microsoft ha oltrepassato il limite? Quale limite è stato oltrepassato? Se il limite era adattarsi alle aspettative locali allora hanno decisamente fatto la scelta giusta. Il loro obiettivo non era riportare i fatti storici; Age of Empire nasce per questa ragione? Io dico di no, visto che in altre versioni del gioco gli aztechi hanno i carri armati, e ovviamente non li hanno mai avuti. Non serve un background storico accurato per rendere un gioco divertente.».

In caso di emergenza

Edwards ricorda che la culturalizzazione, in fondo, permette ciò che è gusto per il gioco, gli sviluppatori e la loro visione del gioco; serve per far sì che il business non prenda scosse che possano rovinare la sua reputazione. Se dovessero presentarsi altri eventi simili allora si deve esser pronti a fare cambi del genere. Se Microsoft fosse andato contro il ministro (pur agendo in virtù dei fatti storici) allora avrebbero perso per sempre quel mercato. A detta sua, i governi si ricordano di ogni fatto relativo a censure e divieti di questo tipo perciò è bene per i game designers ne prendano nota; bisogna considerare sempre la sensibilità di un popolo altrimenti potrebbe chiudersi il mercato di una determinata area non solo per loro ma anche per l’industria in generale. Ricorda tutta via, che alcuni stati perdonano certi comportamenti, altri, come la Cina (che a oggi è un colosso della scena videoludica) semplicemente no.
Dunque cosa bisogna fare se un gioco, al suo rilascio, provoca caos in un determinato paese? Per prima cosa è bene mantenere la calma e non agire frettolosamente. Quando in un paese succedono cose simili è giusto anche non cambiare immediatamente il contenuto perché è possibile, invece, ottenere l’effetto contrario e dunque, peggiorare ancora di più la situazione; la vera domanda da porsi è: quali sono gli obiettivi del prodotto lanciato e qual è la strategia di mercato a lungo termine del developer in quel determinato paese? Se l’oggetto delle controversie riguardano il design, la narrazione, o altri aspetti dovrebbero essere invece pronti a difenderlo. La Edward designa delle linee guida per non perdere il controllo in situazioni simili:

«Bisogna avere una risposta pronta che non sia “l’abbiamo fatto perché pensavamo fosse figo”. […] L’ho visto accadere un sacco di volte e dunque incoraggio i developer a scrivere una o due pagine di spiegazione del perché di determinate scelte, con delle parole che possano meglio appellarsi a questi particolari casi. All’occorrenza è bene spiegare loro (governi, comunità religiose, etc…) i procedimenti che hanno portato a scelte simili e dire cose come: “guardate, noi abbiamo fatto questo procedimento logico, abbiamo parlato con questi accademici, parlato con queste persone, fatto le nostre ricerche di mercato e capito che non fosse questo gran problema… In poche parole abbiamo fatto i nostri compiti”.».

Così facendo si riguadagna un po’ di terreno nella lotta; la controversia non sarà conclusa ma almeno si dimostrerà il non aver agito con ignoranza da parte dei game developer. Questo è molto importante perché in molti pensano che queste ricerche non vengano fatte; tanta gente pensa che queste offese nascano per ignoranza oppure per offendere volutamente qualcuno ma in realtà il 99% delle volte gli sviluppatori agiscono in buona fiducia, senza alcuna intenzione di offendere qualcuno, ed è vero.
Tuttavia Kate Edwards ha sentito più volte molti developer, in situazioni del genere, dire cose come: «questa non è ottima pubblicità per il mio gioco? Che male c’è ho fatto qualcosa di offensivo e tutti ne parlano? Non è forse buono?». La verità è che tutto questo non si traduce tanto in “cattiva pubblicità” ma tanto che così facendo si finirà per diventare “la compagnia che fa arrabbiare la gente” o “quelli che se ne fregano” e il loro brand avrà sempre una connotazione negativa in determinati paesi; dunque tener conto delle differenze culturali fra paese è paese è importantissimo per far si non solo che il prodotto raggiunga più persone possibili ma anche per far sì che le loro strategie di mercato a lungo termine possano funzionare in una determinata area.




John Romero: gli Esport saranno più grandi degli sport tradizionali

John Romero in passato ha creato alcuni dei migliori FPS di tutti i tempi, primi fra tutti Doom e Quake, e così facendo ha anche gettato le basi per il multiplayer competitivo e gli Esport in generale. I colleghi di Gamereactor hanno discusso con John Romero a proposito della Romero Games, il sua nuova casa produttrice, e verso la fine hanno chiesto i suoi pareri riguardo agli Esport e se intende fare qualcosa di nuovo per la nuova disciplina.

Romero commenta:

«In realtà no perchè io ho già contribuito sin dall’inizio degli Esport. Pensate, mentre stavamo lavorando a Quake sapevamo già che gli Esport erano una realtà; venivamo contattati da diverse persone che adoravano i Deathmatch competitivi in Doom e volevano gli stessi in Quake e quando uscì, essendo stato il presidente del Cyberathlete Professional League per 10 anni, abbiamo organizzato degli eventi a Dallas con una presenza di 5000 persone che guardavano match di Quake o Counter-Strike validi per dei grossi premi in denaro. […] Arrivati ad un certo punto siamo riusciti a dividere qualcosa come un milione di dollari per le diverse posizioni del torneo.».
«Questo avveniva già negli anni 90, gli Esport andavano fortissimo, sono cresciuti a dismisura, i giochi cambiavano ma arrivati ad un certo punto, a metà dei 2000, pensammo: “perchè non fare un gioco che non cambi ogni volta, così come il calcio rimane lo stesso da sempre? È un gioco che non cambia, è super-competitivo, le persone ci giocano da sempre, perchè non possiamo fare una cosa simile con gli Esport?” […] Il problema era che non c’erano sponsor per finanziare un simile gioco, dunque non si poteva fare nulla senza i fininanziamenti necessari.».
«Tutto ciò non avveniva e dunque si prendeva in condiderazione il gioco del momento; StarCraft lo è stato per anni ma adesso è il momento di League of Legends, è l’Esport del momento. Ci sono altri titoli alla quale la gente gioca ma questo è gigantesco e va fortissimo. È davvero un bel gioco ed è un po’ come il calcio, insomma, si basa sul gioco di squadra e si fruisce meglio degli altri giochi competitivi in cui si gioca individualmente. I giocatori volevano un qualcosa che si basasse sul gioco di squadra, un po’ alla Counter Strike, e così si è potuta fondare una lega e con essa team più grandi.».
«Penso che gli Esport siano molto fighi, ci sono un sacco di persone che li guardano, e prima o poi diventeranno più grandi ancora degli sport tradizionali, perchè puoi inserirti virtualmente come uno spettatore e goderti lo spettacolo. Perciò penso siano fanstastici… certo, l’industria non è interamente fatta di Esport, ma questi sono una cosa gigantesca, così come lo sarà l’Augmented Reality. È una grossa parte dell’industria videoludica ma non comprenderà mai l’intera industria.».



Blizzcon 2017: le novità in casa Blizzard

Anche quest’anno è arrivato il Blizzcon, con una moltitudine di notizie riguardanti alcuni dei più famosi giochi di Blizzard, dal nuovo personaggio di Overwatch, all’annuncio della nuova espansione di World of Warcraft. Passiamo in rassegna le principali novità:

Hearthstone

La nuova espansione di Hearthstone include un’inedita modalità di gioco single-player. Durante la cerimonia di apertura del BlizzCon, Blizzard ha svelato la modalità Dungeon Run, una nuova modalità per giocatore singolo che permette al giocatore di battersi contro otto boss casuali.
Tutte le carte della nuova espansione di Hearthstone, Kobolds & Catacombs, sono state svelate.

Heroes of the Storm

È stata annunciata l’inclusione di Hanzo di Overwatch e Alexstrasza di Warcraft in Heroes Of The Storm. Blizzard rivela anche alcuni importanti miglioramenti apportati a HotS, tra cui la rifinitura di una moltitudine di meccaniche.

Overwatch

La nuova mappa di Overwatch è un parco a tema Blizzard. Oltre a un nuovo personaggio, Overwatch aggiunge una nuova mappa che piacerà agli appassionati, con aree tematiche che riprendono gli ambienti di Warcraft, StarCraft ed altri.
Per questa edizione è stato rivelato un nuovo eroe, Moira Il Guaritore DPS, un nuovo personaggio ibrido che si scoprirà aver avuto legami con Reaper in passato.
Il nuovo Reinhardt Short di Overwatch sembra studiato per innescare forti reazioni emotive nel giocatore.
Le nuove skin saranno basate su Diablo, StarCraft e altri giochi Blizzard.

StarCraft II

StarCraft II sarà presto disponibile in versione free-to-play. A partire da questo mese, i giocatori potranno giocare con la campagna di StarCraft II chiamata Wings of Liberty” usando la modalità co-op senza alcun costo.

World of Warcraft

È stato annunciato World Of Warcraft Classic, nel quale sarà possibile giocare senza espansioni. Finalmente Blizzard sembra aver dato una risposta ai fan che chiedono una versione ammorbidita di un MMO.
Inoltre è stata rivelata la nuova espansione di World of Warcraft: Battle For Azeroth, il livello di protezione è aumentato e sono aggiunti nuovi continenti.




Da oggi StarCraft disponibile a costo zero

La Blizzard ha rilasciato la patch 1.18 per StarCraft decidendo anche di rendere il gioco completamente gratuito, insieme all’espansione Brood War. Il bundle sarà scaricabile esclusivamente tramite il software BattleNet (il launcher per i tutti giochi Blizzard). Sul sito ufficiale si potrà trovare il link per il download sia per PC che per sistemi Apple.
Il gioco con la patch 1.18 ha eliminato alcuni bug e migliorato alcuni aspetti – fra cui il multiplayer online – includendo anche un sistema anticheat, oltre che la compatibilità con gli ultimi sistemi operativi.