Frostpunk

Estate: calore, sudore, cali di pressione, spossatezza. Mille volte meglio il refrigerio dell’inverno, no? E quindi, quale miglior momento per provare questo Frostpunk di 11 Bit Studios, titolo ambientato in un 1800 alternativo dove l’intero pianeta è stato spazzato da un gelo eterno: a noi l’arduo compito di gestire la nostra colonia di londinesi sopravvissuti alla caduta della capitale britannica, riuniti attorno all’unico oggetto che può dare speranza in questo momento di difficoltà, ovvero, un generatore alimentato a carbone, faro di speranza e portatore di calore ed energia.

At the heart of winter

Frostpunk si presenta con un’interfaccia grafica intuitiva e ben pensata: in alto avremo le nostre risorse divise tra carbone, legna, acciaio, nuclei (fondamentali per la costruzione di alcune strutture), cibo crudo e cibo processato. Al centro troviamo un termostato, forse la parte della UI che controlleremo più spesso, visto che ogni abbassamento della già glaciale temperatura aggiungerà uno strato di difficoltà superiore all’inferno glaciale che stiamo vivendo: sarà fondamentale dare attenzione anche alle previsioni meteo, che monitorano l’eventuale abbassamento o innalzamento dei gradi centigradi.
In basso abbiamo dei tasti menù dedicati alla ricerca delle nuove tecnologie, alla costruzione delle varie strutture e soprattutto il tasto dedicato alle leggi, una delle meccaniche di gioco più importanti del titolo. Sarà nostro compito fare attenzione a mantenere un buon rapporto tra scontentezza e speranza, due barre che si trovano sempre nella parte inferiore dello schermo, e che saranno fondamentali per carpire i bisogni del nostro popolo e soprattutto saranno determinanti a non farlo arrabbiare! Infatti, basta portare la scontentezza al massimo o la speranza al minimo e verremo banditi dalla città, causando il game over.

Il gioco ci lascia sempre in uno stato di tensione continua: le risorse sono esigue, ogni decisione sbagliata viene sempre pagata amaramente. In più, potrà capitare qualche evento casuale, come la morte di una bambina, che causerà il crollo nella speranza del nostro popolo, oppure l’arrivo di una carovana profuga. Il tutto porta il giocatore a pensare più e più volte prima di agire, soprattutto sulla parte legislativa: andando avanti nel gioco si prenderanno decisioni sempre più difficili o controverse. Per esempio, dichiarare legittima l’eutanasia libererà qualche posto nelle strutture ospedaliere, ma il nostro popolo non vedrà certamente di buon occhio la decisione, e potrebbe ribellarsi!
Più i giorni passano nella nostra colonia, e più le difficoltà aumentano: il titolo dei creatori di This War of Mine è crudo come la carne raccolta dai nostri cacciatori. Esattamente come il videogame ambientato nella prima guerra mondiale, questo Frostpunk è uno spaccato del comportamento degli esseri umani durante i momenti di difficoltà e sofferenza, oltre alle varie scelte compiute dal giocatore: le varie leggi e decisioni prese, possono avere uno sviluppo anche drammatico, talmente tanto da portare la colonia a diventare l’avamposto di una nuova religione oppure un’enclave dittatoriale dove ogni minimo errore contro la legge può essere punito anche con la morte.

Tragedies blows at horizon

Nonostante il genere, Frostpunk si difende bene dal punto di vista grafico: gli effetti particellari di neve e ghiaccio sono ben fatti, e il gioco rende bene anche con i settaggi al minimo. La colonna sonora restituisce egregiamente lo stato di emergenza vissuta dai nostri sopravvissuti, con inserti orchestrali tendenti al tragico. Per quanto riguarda il gameplay, il giocatore è costantemente tenuto sulle spine, come succede per titoli del genere gestionale/survival, come Rimworld, Banished e Dwarf Fortress: proprio dall’ultimo gioco prendono ispirazione gli 11 Bit Studios, infatti la filosofia portante è proprio quel “losing is fun tanto caro al freeware di Bay 12 Games. Ogni game over che subiremo sarà fondamentale per imparare la lezione e non ripetere lo stesso errore, aspetto che si riflette sulla longevità: saremo sempre portati a migliorare in ogni partita e in ogni scenario. Se poi aggiungiamo che dopo il raggiungimento di un certo totale di giorni di sopravvivenza verranno sbloccati ulteriori scenari, e la recente inclusione della modalità survival, adatta per i giocatori che vogliono farsi prendere a schiaffi dalle folate di vento gelido, abbiamo tra le mani uno dei migliori titoli del genere usciti nel 2018!

Il lavoro di 11 Bit Studios si pone tra le migliori uscite in assoluto per quanto riguarda il sottogenere del gestionale survival: ogni scenario nasconde sorprese e avvenimenti che possono stravolgere il lavoro certosino dei giocatori più o meno esperti. Frostpunk è un titolo consigliato sia ai neofiti del genere, soprattutto per il suo lato più story driven, che per gli appassionati dei gestionali, che troveranno pane per i loro denti nelle gelide tundre di questo 1800 distopico ambientato tra i ghiacci. A patto di avere una buona dimestichezza con la lingua di Albione, visto che non è presente una traduzione in italiano.




L’importanza di Steam Spy e dei suoi numeri

Steam Spy è un servizio ideato da Sergey Galyonkin, Director of Publishing Strategy (DPS) di Epic Games, che ha voluto raccogliere e rendere pubblici tutti i possibili dati delle vendite di Steam che possano servire ad aziende e a privati. Ovviamente, non essendo un servizio proprietario di Valve, i dati che forniva Steam Spy non erano precisi, ma si avvicinavano moltissimo alla realtà. Con i suoi dati e i suoi numeri (circa 50 mila persone ogni giorno visitano il sito) Steam Spy ha rappresentato, dal 2015 a poco tempo fa, un punto di riferimento sia per gli utenti sia per molte software house indie, aiutandole a scegliere con precisione le mosse da compiere nel mercato mondiale.
Purtroppo ad aprile di quest’anno, Valve, per ostacolare questo servizio, ha cambiato la policy della privacy della sua piattaforma, stroncando quasi del tutto il lavoro di Steam Spy. Questo aggiornamento ha reso tutte le librerie degli utenti private di default, rendendo molto più difficile e molto meno preciso l’algoritmo di Galyonkin.
La mossa di Valve però, non ha colpito solamente Galyonkin, ma ha intaccato il lavoro di migliaia di giovani software house che basavano il loro lavoro sui dati forniti dalla stessa piattaforma.
Galyonkin ha creato Steam Spy proprio per questo tipo di utenti, per aiutare quelle software house che non hanno molte risorse e che non possono andare a richiedere questi dati a pagamento. Nel 2012 una situazione molto simile ha visto protagonista Lars Doucet che ha vissuto in prima persona quello che sta passando Galyonkin in questo periodo. Doucet, nel 2012, quando ancora Steam Spy non esisteva, aveva condiviso sul proprio blog una serie di dati del suo ultimo gioco. Lo scopo di Doucet era quello di mostrare i passi avanti che Defender’s Quest aveva fatto e non si immaginava che poco dopo avrebbe ricevuto centinaia di ringraziamenti da parte di piccole software house che hanno utilizzato i dati forniti dallo sviluppatore come punto di riferimento. Purtroppo, come è successo a Galyonkin, Valve ha deciso di cambiare i termini di servizio per gli sviluppatori, vietando la pubblicazione e la condivisione di dati inerenti alle vendite dei propri giochi su Steam.

Un altro esempio può essere quello di Octosoft, che dopo aver concluso un primo Kickstarter per lo sviluppo di Renaine, ha quasi rischiato di fallire, ma grazie a Steam Spy è riuscito a dimostrare che il progetto era promettente e che avrebbe venduto bene, ottenendo dei fondi che hanno permesso di assumere più membri nel team di sviluppo e di aumentare la qualità del prodotto finale.
Molte altre software house hanno sfruttato i dati offerti gratuitamente da Steam Spy per crescere o per poter ricevere delle donazioni o dei fondi da privati e aziende.
Alcune si sono servite dei dati per spiegare in maniera semplice, ma dettagliata il pubblico e l’ipotetico guadagno di un determinato videogioco. Questo è il caso di Samuel Cohen di Altered Matter, che ha dovuto presentare il suo progetto a un comitato che non aveva dimestichezza con i dati del mercato videoludico, ma con l’aiuto di Steam Spy è riuscito a mostrare le potenzialità del gioco e quindi ricevere i finanziamenti che hanno portato alla conclusione dello sviluppo di Etherborn.
La scelta di Valve non solo ha colpito Galyonkin e il suo lavoro, ma ha anche privato moltissimi sviluppatori di dati essenziali per la loro crescita e soprattutto per il loro futuro.
Galyonkin è fiducioso sul futuro di Steam Spy e spera di ricevere direttamente da Valve il via libera per utilizzare tutti i dati relativi alla vendite per metterli a disposizione delle aziende e delle piccole software house che ne hanno bisogno.
Ma probabilmente Valve sta già pensando di creare una propria piattaforma che possa fare lo stesso lavoro, ma in maniera più completa e approfondita.




Crazy Dreamz: Best of

Sviluppato da Dreamz Studio, Crazy Dreamz: Best of è un platform bidimensionale a scorrimento, disponibile su PC, nel quale vestiremo i panni di un gattino intento a salvare la propria nazione dall’assalto dei ratti. Il titolo presenta 100 livelli, la maggior parte, dei quali creati dalla community giocatori tramite il tool free Magicats Builder (disponibile su Steam). Il risultato è complessivamente molto buono, permettendo agli utenti anche di guadagnare qualcosa attraverso le proprie creazioni. Dreamz Studio ha infatti ripagato con parte dei profitti delle vendite chiunque abbia prodotto livelli che siano finiti all’interno del titolo. Fantastico, no? Inoltre, in ogni mondo, che dispone al suo interno di un numero di stage variabili, dopo aver superato con successo 4 livelli sarà possibile combattere il boss.

Dal punto di vista del gameplay, il titolo si presenta abbastanza elaborato: i livelli sono ispirati a grandi classici del platform. Un aspetto negativo riguardo i livelli è che, essendo creati dalla community, non sempre l’insieme risulta ben bilanciato, la difficoltà può variare vertiginosamente, con alcuni livelli facilmente completabili, ma non privi di un ottimo design, e altri che invece richiedono maggior tempo e tentativi mostrando non un livello di sfida ben ragionato, ma limiti derivanti da inesperienza creativa. Un esempio riguarda un livello composto da molte porzioni di terreno fra le quali si girava a caso finché non si trovava l’area che presentava la “casa” che avrebbe portato alla conclusione dello stage. Un altro problema riguarda la sensibilità “sbilanciata” dei salti, portando non poche difficoltà di sopravvivenza in livelli dove si presentavano più salti proprio perché non sempre risulta facile calcolare il punto d’arrivo.

Dal punto di vista stilistico il titolo si presenta invece ben congegnato, con una grafica cartoonesca che è un bellissimo punto in più per il gioco e che si presenta con dei colori ben “marcati”. La colonna sonora è d’accompagnamento, orecchiabile seppur non trascendentale, e, inoltre, i brani sono pochi e scarni artisticamente. Dopo aver terminato uno stage è possibile fare un’offerta all’autore del livello per mostrare il proprio apprezzamento.
Tutto sommato Crazy Dreamz: Best of è un titolo molto accattivante, capace di far trascorrere un paio d’ore di tranquillità con livelli creati da giocatori appassionati e con un art-style piacevole, che difficilmente porterà il giocatore a stancarsi.




Agony – Pacatamente, come non piace a noi

Quando fu annunciato tramite Kickstarter nel 2016, Agony riscosse un certo interesse tra il pubblico, per via della sua visione molto cruda dell’Inferno e soprattutto, di una direzione che mal si sposava con organi di controllo come l’ESRB (Entertainment Software Rating Board). Infatti, Agony, sin dalle prime battute, era così al di là di ogni titolo horror visto finora che l’organo lo valutò come titolo “per soli adulti”. Una classificazione che al team di sviluppo polacco Madmind Studio non è andata giù, al punto da indurli a cercare in tutti i modi di ottenere una categoria PEGI che non fosse rossa. Una volta ottenuta, le cose non sono comunque andate per il verso giusto: Agony è gradualmente divenuto un titolo potenzialmente castrato sotto quasi tutti i punti di vista e alla sua release definitiva fu valutato con diverse insufficienze. Noi di GameCompass ci siamo presi il nostro tempo, attendendo alcune patch riparatorie e giocato con attenzione questo titolo che però – come vedremo – non merita il paradiso ma nemmeno l’inferno nella misura in cui vi è stato scagliato da molte testate.

Attento a cosa chiedi quando preghi…

Riassumere gli eventi di Agony non è operazione semplice: impersoniamo Amraphel/Nimrod (il protagonista viene chiamato in entrambi i modi, ma il perché non è del tutto chiaro), un’anima dannata, arrivata all’inferno dopo una morte probabilmente violenta. Il suo desiderio è quello di tornare in vita, ma solo la Dea Rossa è in grado di esaudire la sua ambizione. La sua ricerca coincide con il nostro obiettivo, anche se non tutto andrà nel verso giusto. E non ci riferiamo soltanto alla storyline del protagonista, ma anche al gioco nel suo insieme. Tutto è riassumibile con la parola “confusione” e lo svolgimento della trama ne è un chiaro esempio.
Il nostro peregrinare tra le lande degli Inferi sembra non portare da nessuna parte, ogni avvenimento risulta abbastanza slegato da quanto accaduto precedentemente. Ogni nostra azione ha delle conseguenze, ma di questo ce ne accorgeremo una volta scoperto che Agony propone ben sette finali diversi, molto “criptici” e di cui probabilmente uno soltanto – almeno secondo il ragionamento di chi scrive – comunica realmente qualcosa. La “questione delle scelte” è uno dei tanti problemi di game design del titolo e, per far capire meglio di cosa stiamo parlando, è bene procedere con metodo comparativo: prendiamo Prey di Arkane Studios, che ha tra l’altro ricevuto un recente aggiornamento; all’interno del titolo possiamo compiere diverse scelte, alcune di queste “invisibili”. Per intenderci, se in Mass Effect la scelta da intraprendere ci viene letteralmente sbattuta in faccia, in Prey tutto è molto più velato e dipendente davvero dal nostro tipo di gameplay. E in Agony? Nel titolo Madmind risultano invisibili nel vero senso della parola, soprattutto perché si ha sempre la sensazione di non possedere alcun libero arbitrio. Non è chiaro cosa influisca e cosa no, e se da un certo punto di vista può sembrare un’ottima cosa – quasi un espediente meta-ludico – la realtà dei fatti è che questo aspetto non è stato progettato nel migliore dei modi, con il risultato che la confusione regna sovrana. Non bastano nemmeno le tante note sparse qua e là, le quali aggiungono informazioni che si fatica a mettere assieme, finendo facilmente nel dimenticatoio, così come tutte quelle citazioni bibliche volte a crear atmosfera, ma che rimangono tristemente fine a se stesse.
L’offerta ludica di Agony si amplia con altre due modalità: Agonia ci porterà ad affrontare il titolo attraverso ambienti generati proceduralmente, mentre la più interessante modalità Succube ci consentirà di impersonare un demone, portando il giocatore a scoprire nuovi percorsi e nuovi modi di affrontare il gioco. Questa modalità secondaria – a conti fatti – è forse quella più gradevole tra quelle offerte dal titolo.

…potresti ottenerlo

Tutta la struttura ludica di Agony si basa sullo stealth. Come survival horror il gioco riprende i canoni classici che ultimamente siamo abituati a vedere nel genere in termini di gameplay: fare poco rumore, nascondersi ove necessario e scampare dalle grinfie di creature di qualsivoglia natura, in questo caso demoni. Il problema però è che alcune meccaniche inserite non funzionano a dovere, rovinando per la maggior parte l’esperienza. La morte – come ci viene detto – fa parte del gioco e, al suo sopravvenire, abbiamo la possibilità di far migrare la nostra anima verso un ignaro malcapitato e prenderne possesso. Se questa meccanica a prima vista sembra interessante, richiedendo di “scappucciare” i dannati per poter trasmigrare – sempre che sia stata attivata l’opzione “possessione facile”, altrimenti… – una volta inserita la possibilità di possedere un demone crolla l’intero castello di carta. Il survival horror diviene tutt’altro, con quasi la sensazione “di aver rotto il gioco”. La possessione di un demone infatti – se usata con astuzia – può liberarvi l’intero campo dai nemici, trasformando gli inferi in una stravagante vacanza. C’è da dire che la possessione ha un limite di tempo, in cui, se non trovassimo proprio nessun corpo da controllare, scoccata l’ora, sarà game over. Ma anche qui, fatta la legge, si trova l’inganno.
È proprio questo il punto. Agony sembra ancora un work in progress in cui nessuno degli elementi proposti funziona a dovere. Un altro esempio è – l’incredibile – gestione dei checkpoint, mal calibrati in termini di distanza e soprattutto utilizzabili soltanto tre volte. Una volta sfruttati tutti i jolly – morti – dovremo utilizzare quello precedente e, di conseguenza, rifare intere porzioni di gioco. Questo si scontra anche con un level design spesso caotico e in cui risulta difficile orientarsi, dato che molti luoghi soffrono dell’eccessiva ripetitività degli asset. Fortunatamente, in nostro soccorso arrivano i fasci di luce – non quelli del ’25 – proiettati dalla nostra mano e in grado di indicarci la via. Di numero limitato e ricaricabili solo nei checkpoint o raccogliendo idoli sparsi per le mappe, che risultano molto utili a districarsi nei diversi percorsi verso la meta, rappresentando la classica “manna dal cielo” anche se, la direzione indicata alle volte, è quella più scomoda o contraria a quella intrapresa.

Se non vedi non ci credi

Uno degli elementi maggiormente castrati è la direzione artistica dell’Inferno e delle sue creature. La ricostruzione degli ambienti rende l’insieme molto tangibile, soprattutto nei luoghi chiusi, nei quali si può notare anche una certa ripetitività di oggetti e strutture. Fortunatamente è anche in grado di offrire scorci di un certo spessore, in cui si ha davvero l’impressione di viaggiare in un luogo trascendentale. Ma questi bei momenti, in cui si può assistere a ottimi giochi di luce e direzione artistica ispirata, sono anche – e per la maggior parte – di un anonimato disarmante. Molto di quanto mostrato sa di già visto, e anche le creature realizzate ad hoc per il titolo non sono certo memorabili. Questo nonostante alcuni riferimenti cristiani palesi e soprattutto l’intento di portare il tutto verso il concetto di lussuria, anche se a volte in maniera quasi volgare e posticcia.
Gli aspetti strettamente tecnici presentano elementi senza infamia e senza lode, dove le ultime patch hanno messo la pezza su alcuni problemi – ormai classici – da day one: il framerate risulta abbastanza stabile e i vari filtri funzionano discretamente bene. È un titolo che non colpisce per pura potenza tecnica, e quel che è presente non viene nemmeno risaltato da un impianto luci di livello; la maggior parte delle volte faremo veramente fatica a vedere cosa succede. Tutto è buio… anche con una torcia in mano. Manca una vera e propria rifinitura anche dopo alcune patch riparatorie, visibile soprattutto nella gestione dei geo data e nella fisica.
Anche l’audio non spicca particolarmente, vantando un discreto doppiaggio inglese (sottotitolato in italiano) e un’adeguata campionatura di suoni “classici” da horror.

In conclusione

Dove si posiziona dunque Agony? Come potete aver capito, non è un titolo affatto eccelso, ma non si tratta nemmeno di quell’ “agonia” di cui si è spesso parlato riferendosi al titolo. È un lavoro che merita senza dubbio il Purgatorio, in attesa di una versione (Agony Unrated) che probabilmente non arriverà mai. Alla fine della fiera dunque, Agony  è un classico menù scozzese: poca roba e nulla di veramente interessante, prendere o lasciare. Vi farà arrabbiare? Probabile. Vi chiederete cosa succede? Sicuramente. Vi lascerà qualcosa? Difficile, ma non «lasciate ogne speranza, voi ch’intrate».

Processore: Intel Core I7 4930K
Scheda video: Nvidia Gigabyte GTX760 4GB
Scheda Madre: MSi X79A
RAM: Corsair Vengeance 16GB
Sistema Operativo: Windows 10.




Steam Machine e il gaming su Linux, occasione sprecata?

Facciamo un salto nel 2012: viene presentato Windows 8, nuova versione del sistema operativo Microsoft, successore di Windows 7. Anche qui non sono mancate le critiche, in primis rivolte a due delle novità appena presentate: l’introduzione del Windows Store, uno store proprietario e chiuso, simile a quello presente sui device Apple, dove non tutte le applicazioni disponibili per PC sono incluse nel negozio. Le critiche vengono principalmente dal mondo videoludico, capitanate da Notch, creatore di Minecraft che decise di non certificare la propria opera per il nuovo sistema operativo di casa Redmond. Successivamente tuonarono anche Rob Pardo di Blizzard e soprattutto Gabe Newell, capo di Valve che, con l’introduzione di Steam ha letteralmente resuscitato il gaming su PC diventando ben presto la bandiera videoludica della piattaforma, con circa il 75% dei giochi rilasciati sugli home computer di tutto il mondo.
Newell arrivò a definire il Windows Store e l’avvio protetto di Windows 8 (che praticamente impediva l’installazione di qualsiasi altro sistema operativo) una «catastrofe per il mondo PC» ed espresse pieno supporto per l’ecosistema Linux, che, a suo avviso, rappresenta appieno la filosofia open source dell’home computing. Da lì a poco tempo, arrivò prima un client ufficiale di Steam per Linux, seguito dalla modalità Big Picture e poi l’annuncio tanto atteso: il concetto di Steam Machine, un PC fortemente “consolizzato” e prodotto da terze parti come Alienware o Gigabyte, e supportato da SteamOS, sistema operativo basato su Debian (in questo caso si parla di fork, essendo una versione derivata dal sistema operativo di base) di Linux più usate ed apprezzate dagli utenti del pinguino.

Sulla carta sarebbe dovuto essere un successo: nessuna fatica per l’utente medio che vuole giocare su PC ma che, magari, è spaventato dall’assemblaggio dei vari componenti. E l’uso di una distro Linux avrebbe alleggerito molto il carico della macchina, rispetto alla pesantezza di Windows. Eppure, lo scorso Aprile, la sezione dedicata alle Steam Machine è sparita dallo store di Steam, venendo relegata a un piccolo link raggiungibile dall’esterno. Dei quattordici produttori iniziali sono rimasti solamente in tre, Alienware, Maingear e Scan Computers. Vi sarebbe anche un quarto produttore, Materiel.net, ma andando sul sito della compagnia non vi è nessuna traccia della Steam Machine.
Per tutta risposta, Valve, nonostante le esigue vendite delle macchine (si vocifera meno di 500.000 unità!) ha deciso di continuare a supportare la propria visione di un ecosistema per il gaming open source e, quindi, di sviluppare ancora Steam OS. Peccato che ci sia ancora tanto lavoro da fare, come dimostrano alcuni dati raccolti sul web.

Prendiamo ad esempio Steam OS: come detto prima, è una fork basata su Debian, una delle distribuzioni o distro più apprezzate dell’intera comunità Linux. Ma se andiamo a controllare su distrowatch.com, aggregatore di news e recensioni sulle varie distribuzioni Linux, scopriamo che Steam OS è solamente al novantunesimo posto nella top 100 delle distro più votate nel 2018. Se consideriamo che le distro Linux più apprezzate e famose, come Ubuntu, Linux Mint, Arch o lo stesso Debian sono conosciute per un costante aggiornamento e supporto, il sistema operativo di Valve, invece, ha ricevuto l’ultimo update nel gennaio 2018, uscendo dallo stato di beta solamente con la versione 2.0! Uno sviluppo abbastanza lento, considerando sia la data d’uscita del novembre 2013, che, soprattutto, il costante sviluppo che hanno altre distro Linux più o meno grandi, che sia sotto forma di rolling release (ovvero, sistemi operativi costantemente aggiornati) o delle cosiddette LTS (acronimo di Long Term Support, versioni che ricevono solamente aggiornamenti testati e sicuri e che hanno un supporto che va dai tre ai cinque anni). Il quadro della situazione non è favorito dal fatto che Steam OS possiede sì un ambiente desktop (GNOME), ma abbastanza nascosto. Il che porta l’utente Linux navigato, ma anche il neofita, a chiedersi «per quale motivo dovrei usare questa distro, quando ne esistono altre più supportate dove alla fine basta installare il client di Steam per poter usufruire della sua libreria?».
Infatti non sorprende vedere distro più quotate, come Ubuntu o Fedora, che non solo sono più in alto di Steam OS nella classifica di Distrowatch (rispettivamente al terzo e ottavo posto), ma che presentano fork specifiche per il gaming, come Ubuntu GamePack o Fedora Game Spin. Se poi aggiungiamo anche il vantaggio di supportare app come Wine (celebre emulatore delle applicazioni Windows, principalmente usato su Linux e Mac), PlayOnLinux e DOSBox, programmi che Steam OS non supporta, il dubbio diventa più che legittimo.

Il problema giochi è un’altra questione da affrontare: dal 2012 a oggi, sono solamente 5.072 su 25.563 i giochi disponibili per Linux. Quasi il 20%. Un po’ pochi per considerare non solo il passaggio totale da Windows a Linux, ma soprattutto per giustificare l’acquisto di una Steam Machine che parte da 599€, un costo molto più alto rispetto a una console attuale e molti PC preassemblati. Aggiungiamo al lotto anche la scarsa ottimizzazione di molti giochi per Linux, rispetto alle controparti Windows: cosa che si presenta soprattutto nei titoli che sfruttano le librerie DirectX. Sebbene esista qualche eccezione, in primis per alcuni giochi che sfruttano per bene le OpenGL, libreria open-source e gratis, rispetto alle DirectX, native Microsoft. Come per esempio Left 4 Dead 2, che, come provato da Valve, ha dimostrato di girare più velocemente su Linux che su Windows, questo grazie anche alla migliore ottimizzazione del motore grafico Source sulle librerie OpenGL.

Visti i risultati, non bisogna rimanere sorpresi dalla decisione di Valve di rimuovere le Steam Machine e Steam OS dalla homepage dello store di videogiochi per PC più usato al mondo. Al momento la mossa da parte di Gabe Newell e soci resta solo un curioso esperimento, e non aiuta il fatto che solamente lo 0,52% degli utenti Steam utilizzino una distro Linux. E nel sondaggio campeggiano due delle distro Linux più usate, come Ubuntu e Linux Mint, mentre di Steam OS non abbiamo nessuna traccia. Una grande occasione mancata, visto che l’ecosistema Linux è conosciuto ai più per essere particolarmente leggero e capace di resuscitare hardware dato per morto, com’è successo col mio HP 655 acquistato ben sei anni fa. All’annuncio delle Steam Machine e soprattutto di Steam OS ero particolarmente entusiasta all’idea di poter avere una sorta di PC “consolizzato” da mettere in salotto, coadiuvato, magari, da una distro Linux capace di essere usata sia come console che come media center, grazie ad applicazioni come Kodi. Alla fine il risultato ottenuto è molto lontano da ciò che pensavo: probabilmente il cambio di rotta da parte di Windows dopo le critiche per la sua ottava versione, e il ritorno in carreggiata dopo Windows 8.1 e Windows 10 (dove abbiamo avuto lo storico approdo di Linux sotto forma di subsistema) hanno fatto la loro, e la “ribellione” da parte di Gaben è solo un lontano ricordo. Tuttavia, bisogna tenere le orecchie aperte, visto che nell’ecosistema Linux, manca poco per passare dalle critiche alle lodi, com’è successo qualche anno fa con Ubuntu. Magari la distro del futuro sarà proprio Steam OS




Valve e il dopo Steam Spy

Jan-Peter Ewert, capo del reparto business development di Valve ha dichiarato che l’azienda sta lavorando a una versione migliorata e propria di Steam spy. Ma cos’è Steam spy?
Venne creato da Sergey Galyonkin per poter analizzare le tendenze del mercato videoludico dei PC gamer, e pur non essendo un programma ufficiale, era molto utile per gli editori e gli sviluppatori, per capire su quali prodotti porre la loro attenzione durante un determinato periodo. Tutto molto bello ma anche illegale, soprattutto dopo le nuove direttive europee sulla privacy di Aprile; infatti l’intero sistema si basava sulla raccolta di dati che nei profili erano pubblici di default, ma che con il nuovo aggiornamento delle direttive sono diventati privati. Quindi un effetto collaterale dell’aggiornamento fu il crollo di Steam spy. Quindi, ritorniamo alle parole di Jan-Peter Ewert che è stato stuzzicato durante un talk (White Night) dal suo corrispettivo per HerocraftMichael Kuzmin il quale ha chiesto se Valve potesse avere in mente la creazione di un sistema basato su Steam SpyEwert ha ribattuto affermando che al momento Steam non offre tale servizio e ha inoltre attaccato la poca accuratezza dei dati provenienti da Steam Spy, per poi essere bloccato da Kuzmin che ne ha sottolineato la non l’importanza dei dati, ma quella delle previsioni di mercato. Ewert ha infine replicato così:

«Essenzialmente sto cercando di spiegare perché pensiamo sia necessario un sistema migliore di Steam Spy. Quindi, per essere chiari, non vendiamo iPhone. L’unico modo per far soldi è che voi portiate i giochi giusti sulla piattaforma e troviate la vostra utenza. Quindi, sì, stiamo lavorando a nuovi strumenti e nuovi modi per raccogliere dati su Steam, e speriamo che siano più accurati e utilizzabili di quanto non lo siano stati quelli di Steam Spy

Ewert si è quindi lasciato scappare una golosa novità per produttori e sviluppatori, e perché no pure per i consumatori, che vedranno le case videoludiche venire incontro ai loro desideri.




Machiavillain

Sviluppato da Wild Factor, Machiavillain è un gestionale orrorifico che ricalca il percorso di titoli storici quali Dungeon Keeper e Prison Architect.

Appena avviato, il titolo si presenta con una mini-schermata che fornisce la possibilità di personalizzare le configurazioni (grafica, comandi, schermi ecc.).
Una volta dentro al gioco vestiremo i panni di “Dio”, visto che ci ritroveremo a dover costruire la nostra villa dell’orrore così da far eseguire una serie di macabri omicidi da parte dei nostri minion. Quest’ultimi, stranamente, riescono a capire quando sono sfruttati e, infatti, se schiavizzati si rivolteranno contro le nostre creazioni fino ad abbandonare il proprio lavoro. I nostri obiettivi principali sono due: soddisfare i nostri “impiegati” e scalare la piramide gerarchica della leva dei malvagi. Inoltre, avremo la possibilità di scegliere i nostri sottoposti in base alle nostre preferenze e alle loro peculiarità.

Inizialmente ci ritroveremo a poter comandare 3 minion, il numero di quest’ultimi aumenta con il progressivo avanzamento del proprio grado all’interno della lega. Nei primi minuti di gioco il nostro obiettivo sarà quello di farmare e, di conseguenza, creare la trappola mortale (la casa). All’interno del titolo è possibile pre-selezionare i seguenti campi (raccolta dei minerali, raccolta di piante e raccolta della legna). Inoltre, come detto in precedenza, ognuno dei nostri personaggi sarà propenso a essere migliore in un lavoro rispetto agli altri. Qui entra in azione la schermata “lavori”, infatti, sarà possibile assegnare la priorità dei compiti da eseguire automaticamente. Con l’aumentare dei nostri adepti aumenterà anche il consumo dei viveri, per questo motivo è consigliabile scegliere i mostri diversificando le “razze”, visto che per ogni tipologia varia anche l’alimentazione. Infine, dopo aver costruito la nostra casa degli orrori, arriverà la parte “clou” del gioco, ovvero quella che ci vedrà attirare le vittime nella nostra villa così da ucciderle e usare i loro resti come fonte di cibo. Per commettere i nostri omicidi, ci serviremo della “pubblicità”, che servirà ad attirare gli sventurati nella nostra dimora. Prima del loro arrivo dovremo però far sì che i nostri mostri stiano nascosti e che il pavimento non sia sporco di sangue, visto che potrebbero spaventare gli ospiti facendoli scappare e, di conseguenza, aumenterebbero il sospetto attorno alla nostra villa.

Con l’aumentare di livello e con il passare dei giorni la difficoltà aumenterà. Cominceremo a essere attaccati frequentemente dai ragni, aumenterà il consumo di cibo e i minion cominceranno a essere sempre più stressati. La parte che probabilmente funziona meglio all’interno del titolo è quella che ci vede pianificare la composizione della nostra villa, modificabile in maniera molto semplice e soprattutto molto personalizzabile. Machiavillain sfrutta uno stile grafico cartoonesco, che in titoli del genere non guasta mai, si presenta, inoltre, con dei modelli abbastanza carini e apprezzabili. Dal punto di vista sonoro, gli sviluppatori hanno fatto un buon lavoro data l’ampia varietà di brani.
Infine, il titolo è molto carino, con difetti che non lo rendono perfetto ma rimane comunque un ottimo indie, capace di intrattenere i giocatori con molte ore di gameplay vario. Il titolo è disponibile su Steam a 20 euro.




Disc Jam

Vi piace giocare a frisbee con gli amici ma odiate l’afa estiva, la sabbia e i cani indisciplinati che acchiappano il disco volante intromettendosi fra voi e il vostro avversario? Se la risposta è “sì” troverete in Disc Jam il vostro compagno ideale per l’estate, un gioco sportivo fresco, futuristico, frenetico e veramente divertente! Questo spettacolare titolo è stato concepito da High Horse Entertainment, una compagnia fondata dagli ex dipendenti Activision Jay Mattis e Timothy Rapp, i cui curriculum vedono figurare titoli del calibro di Call of Duty, Guitar Hero e Tony Hawk’s Pro Skater; dopo ben vent’anni trascorsi nella leggendaria compagnia americana, i due hanno deciso di mettersi in proprio e concentrarsi, come si può leggere nel loro sito, su giochi arcade vecchio stile per portarli nel XXI secolo. Disc Jam, il loro primo lavoro, incarna perfettamente questi obiettivi e restituisce al giocatore un’esperienza intensa e velocissima essendo ispirato, chiaramente, a Windjammers, gioco della Data East originariamente uscito per le piattaforme Neo Geo (e oggi giocabile su Playstation 4 e PS Vita), e Rocket League per le customizzazioni, la presentazione generale, le atmosfere futuristiche ma soprattutto la sua natura online e cross-platform; è possibile giocare a questo titolo per PS4 e Steam ma noi prenderemo in esame la nuovissima versione per Nintendo Switch.

How to play

Disc Jam mette di fronte due team avversari, in singolo o in doppio, in un’area simile a un campo da tennis e l’obiettivo della partita è vincere due set da 50 punti. Per racimolarli bisognerà mandare il disco nella rete avversaria o farlo cadere per terra nella metà opposta (visto che è diviso da una sorta di rete); a ogni nostro lancio il punteggio, che parte da 5 (ma che arriverà direttamente a 10 se al primo lancio andrà a punti), salirà di un punto, dunque più saranno i passaggi fra gli avversari più sale la posta in gioco: non basterà solamente rimanere concentrati ma anche agire più velocemente possibile. Quando ci si troverà nella traiettoria di un lancio avversario, e si sarà certi di prenderlo, sarà decisivo mandare il disco indietro il prima possibile per sfruttare la sua stessa potenza e far sì che possa viaggiare sempre più veloce; mantenere il ritmo dei lanci è molto importante, perderlo significa fare un lancio più lento e dunque più possibilità per l’avversario di riprenderlo in fretta.
I controlli, di conseguenza, sono molto semplici e pensati per un gameplay veloce e frenetico, facili da imparare anche se un po’ di difficili da applicare in un match online: in offesa si lancia il disco premendo il tasto “B” con direzione, puntando dunque alla rete avversaria o a una parte di essa, oppure “X” per tirarlo in alto e sperare che il nostro rivale non riesca a prenderlo prima che cada per terra; con “ZL” e “ZR” possiamo effettuare dei tiri ad effetto ma premendo “B” e ruotando un po’ la levetta analogica, fra i 90° o i 180°, riusciremo a eseguire gli stessi lanci, talvolta persino più curvi; in difesa invece possiamo fare una scivolata premendo “X” e direzione, che ci permetterà di coprire grossi spazi di campo in poco tempo, oppure, con “B“, possiamo caricare uno scudo di energia che bloccherà la traiettoria del disco mandandolo in aria ma dobbiamo comunque raccoglierlo in tempo per far si che non cada per terra e regali dei punti al nostro avversario. Se carichiamo con anticipo lo scudo o ci posizioniamo nel punto di caduta del disco in tempo (se appunto il nostro avversario ce lo tirerà con “X”) allora avremo la possibilità di fare un super lancio che avrà una traiettoria insolita e andrà incredibilmente veloce.
I lanci dei giocatori saranno molto precisi e risponderanno a ogni inclinazione della levetta; meno, sfortunatamente, lo saranno i movimenti del giocatore stesso. Con buona probabilità, per rendere l’esperienza più accessibile e meno macchinosa possibile, gli sviluppatori hanno fatto sì che il giocatore possa correre o faccia dei semplici passetti a seconda dell’inclinazione della levetta ma i suoi movimenti saranno relegati a sole 8 direzioni, come in un gioco vecchio stile con visuale dall’alto. Bisognerà imparare a gestire bene questi comandi se vogliamo bloccare ogni lancio avversario, specialmente perché se ci arriverà il disco mentre siamo di spalle cadremo per terra, il disco volerà e, cadendo al suolo, darà i punti all’avversario; una meccanica abbastanza realistica – chi vorrebbe mai essere colpito sul collo da un frisbee a questa velocità! – anche se, personalmente, pensiamo sia un po’ eccessiva per un gioco arcade. Per quanto strano possa sembrare, vi consigliamo di seguire passo passo i tutorial del gioco, anche perché non sono obbligatori (non pensate di essere degli esperti solo perché avete divorato Windjammers ai tempi che furono).

Tutti in campo!

Fin qui abbiamo spiegato come si svolgono le partite in sé, ma ci sono ancora molte cose di cui parlare; Disc Jam, similarmente a Rocket League, offre diverse customizzazioni e stili di gioco diversi. Per prima cosa i personaggi selezionabili hanno caratteristiche differenti, a differenza del popolare indie cui i modelli delle auto non hanno variazioni sostanziali fra loro, ma solo stilistiche, e ognuno di loro gode dunque di un diverso stile che può accentuare meglio le diverse abilità dei giocatori: Gator, per esempio, è un giocatore a tutto tondo che può permettere un gioco bilanciato anche se nessuna delle sue abilità spicca in particolare; Haruka, abbastanza indicata per i principianti, è una giocatrice veloce e riesce a coprire tutto il campo da gioco in poco tempo ma i suoi lanci non sono fra i migliori; Stanton, al contrario, ha dei lanci potenti e fa delle scivolate molto lunghe ma non è velocissimo nella corsa; i più esperti, alla fine, potranno usare Makenna, una giocatrice veloce, molto tecnica e che fa dei tiri ad effetto insuperabili ma, proprio per gestire questa particolare abilità, bisognerà saper coordinare bene il tasto di lancio con la levetta analogica.
Ci sono poi altri due altri giocatori ma questi sono sbloccabili per 25000 Jamoleons, la valuta principale del gioco, ottenibili alla fine di ogni incontro o scambiabili per dei soldi veri dal Nintendo E-Shop; i soldi del gioco, sfortunatamente (al di là di questi due specifici giocatori), ci permetteranno di ottenere una ricompensa casuale dalla macchinetta dei premi per 1000 J e purtroppo dobbiamo attenerci all’outcome random di quest’ultima. La vera disgrazia di questo sistema è che gli unici elementi comuni a tutti sono solamente la skin del disco, l’emblema e il tag del giocatore (e il super tiro ma, momentaneamente, ci sono solo 3 traiettorie e nessuna di queste è sbloccabile dalla macchinetta o acquistabile separatamente); tutto il resto, ovvero lo stile della tuta, taunt e posa di vittoria, sono unici per un solo personaggio giocabile. Pertanto, come avviene in molti (forse anche troppi) giochi di oggi, bisognerà tentare e ritentare la sorte per ottenere quello che realmente vogliamo per il nostro giocatore. È possibile comprare gli elementi casuali con dei red ticket, ma questi sono ottenibili solamente, stando a quanto scritto da High Horse Entertainment su Steam, qualora la macchinetta dei premi ci dia un “doppione” e ogni premio ha il suo valore anche in questa valuta; come potremo constatare dall’in-game store, i taunt e le pose di vittoria valgono 25 red tickets, le skin del disco 125, i tag 5, etc… almeno il gioco, al di là dell’outcome random della macchinetta, ci permette di ottenere dei doppioni per poterli scambiare in un’altra valuta: una buona alternativa anche se è ugualmente tediosa.
Personalizzato il nostro personaggio possiamo finalmente scendere in campo per dei match infuocati con gente di tutto il mondo! Il sistema di matchmaking funziona per punti classifica (che ovviamente otterremo a fine partita e ci posizioneranno in punti più alti in graduatoria) e per continente, da selezionare prima di avviare la lobby; più è vicino il nostro avversario, migliore sarà la trasmissione della nostra partita. La comunità è attiva, ci sono molti giocatori anche se, essendo nuovo nella libreria di Nintendo Switch, sul piano numerico Disc Jam non è ancora ai livelli di grossi brand multiplayer come Rocket League o Fortnite, non c’è grossa affluenza in tutte le ore della giornata; se siete degli “scalatori di classifiche online” vi converrà armarvi di una buona dose di pazienza oppure usufruire del “ghost arcade”, che consiste in match singoli o doppi contro AI modellate dallo stile di giocatori reali, o delle partite private, se conoscete persone che come voi hanno comprato questo gioco; riguardo a quest’ultima modalità, servirà solamente creare una stanza, darle un nome, una password e cedere questi dati a i vostri amici. Purtroppo non abbiamo potuto testare realmente questa funzione perciò non vi sappiamo dire se questa funzione sfrutta il cross-platforming; stando ad alcuni post su Reddit, visto che il sito ufficiale di High Horse Entertainment non dà alcuna informazione a riguardo, al momento questa specifica feature non è disponibile, ma sembra che gli sviluppatori stiano lavorando per far sì che i match privati possano avvenire anche tra una piattaforma e l’altra. È possibile, inoltre, se un vostro amico è in visita a casa vostra, staccare un Joycon e competere insieme in match singoli in locale o doppi in online; nonostante si tratti probabilmente i match più divertenti, questi sono meno frequenti, perciò, anche se escluderete i match singoli dalla ricerca avversari, non sempre avrete la possibilità di beccare quattro giocatori che hanno le vostre stesse intenzioni.
Le partite, che siano match 1v1 o 2v2, sono sempre infuocatissime ma, come dicevamo all’inizio, è importantissimo imparare i comandi; anche se il matchmaking funziona a dovere e segue semplici logiche matematiche troverete moltissimi giocatori, anche molto vicini alla vostra posizione in classifica, che sono dei veri e propri assi e anticipano ogni vostra singola mossa. I controlli sembrano attecchire meglio con alcuni giocatori e meno con altri e forse chi scrive (e ciò che segue è una personalissima opinione generata dall’esperienza personale) non si trova fra i primi; non fraintendete, ci si diverte tantissimo con questo titolo, e la buona fan base attuale dimostra quanto il suo gameplay si ben congegnato; tuttavia, forse per la sua natura frenetica e veloce, questo titolo non fa per tutti. Oggi ci sono un sacco di giochi multiplayer che appartengono alla medesima categoria, e Disc Jam non è che un nuovo titolo che si aggiunge al catalogo; se gradite di più i giochi in cui la componente online è quella portante o se vi piacciono quelli in cui bisogna pensare e agire in fretta, specialmente se sportivi, allora questo gioco farà sicuramente per voi.

Blernsball? Mi dispace, è domani!

Disc Jam si presenta come uno sport futuristico, veloce, emozionante e in cui ogni secondo conta. A supporto di ciò abbiamo una bella grafica 3D molto pulita, sviluppata con Unreal Engine 4, che riesce a mantenersi a 60 FPS stabili sia in modalità portatile che in dock da dove i diversi colori e dettagli “high-tech” dell’arena, come gli ologrammi, la rete che mostra il livello del punteggio o i guardrail laterali, spiccano molto di più; i modelli dei personaggi sono molto curati, un filo over-the-top ma ognuno, specialmente con le skin e i taunt collezionabili, con una giusta dose di personalità. La sola cosa che un po’ delude della grafica è la sua staticità, soprattutto per l’inclusione di una sola arena e per il fatto che si vedano sempre gli stessi 4 personaggi (al massimo 6, se incrociate qualcuno che abbia sbloccato i due personaggi acquistabili); nonostante la sua bellezza e le diverse personalizzazioni dei personaggi, Disc Jam non offre molta varietà visiva (almeno non per ora).
Il comparto musicale, così come la sua presentazione generale (persino nei menù), ricorda molto quello di Rocket League; da buon e-sport che si rispetti i suoi temi includono sonorità molto moderne ed energiche, che si affacciano per lo più alla musica elettronica, al rock ma soprattutto alla dubstep. Sia nel menù che durante le partite, avremo modo di ascoltare dei temi molto curati e belli, specialmente quello del secondo (o terzo) set che ricorda per certi versi Stinkfist dei Tool, anche se, un po’ come accade per il comparto grafico, questi sono sempre gli stessi e, in questo caso, è veramente possibile contarli in una mano sola: allo stato attuale c’è solamente il brano del menù, primo set, secondo set e menù di fine partita… Ecco qua l’intera soundtrack! I giocatori non hanno linee di dialogo ma a ognuno di essi è stata data una voce e la si può sentire a ogni lancio o scivolata; nulla di che, ma serve a dare la giusta profondità a un match duro e faticoso (anche se la voce di Haruka, personalmente, risulta davvero insopportabile!).

Manca ancora qualcosa

Si potrebbero stare ore a elogiare questo titolo, il primo di questa neonata compagnia il cui futuro pare già da qui prospettarsi luminoso e interessante; Disc Jam non ha molti difetti e per il suo prezzo di lancio di 14,99€ sul Nintendo E-Shop è davvero regalato (sempre se non ne vogliate spenderne altri per i Jamoleon). Tuttavia, quello che delude è ciò che non c’è, specialmente a un anno dal lancio nelle altre piattaforme; per quanto divertente possa essere il titolo della High Horse Entertainment, questo, allo stato attuale, offre veramente poco: 6 giocatori (di cui 2 acquistabili separatamente), una sola arena e due sole modalità di gioco. A un anno dalla sua uscita, Rocket League offriva già altre modalità, come l’arena per l’hockey e quelle sperimentali, elementi per le customizzazioni sempre nuovi e DLC sempre ben graditi; dunque se paragoniamo la vita di Disc Jam al titolo di Psyonix sembra che, forse, gli sviluppatori non ci stiano credendo tanto, ma è più probabile che non abbiano abbastanza fondi.
Questo titolo non ha nulla da invidiare a molti altri, merita tante nuove modalità di gioco (anche una semplice arena ghiacciata, risulterebbe divertente e piena di imprevisti), maggior varietà di personaggi e magari un sistema di acquisizione delle ricompense meno tedioso di quello attuale; anche se il titolo non è (ancora) ai livelli di Rocket League o di Fortnite non sembra che il supporto da parte dei fan stia mancando, e, dunque, speriamo di vedere nuovi aggiornamenti in Disc Jam per rendere quello che è già un bel gioco ancora più profondo ed entusiasmante.
Se siete stanchi dei classici giochi di sport e siete alla ricerca di un titolo in grado di mettervi alla prova e che possa entusiasmarvi con poco (perché comunque, allo stato attuale, rimane comunque un gioco molto bello), allora troverete in Disc Jam una sfida alla vostra altezza. Ma ricordate: se ci incontrate, o siete con noi o siete contro di noi… e noi non scherziamo proprio!

(Lui è il volto di GameCompass in Disc Jam. Quando lo vedrete…  tremate!)



E3 2018: Babylon’s fall

Quest’oggi, durante la conferenza tenuta da Square Enix, il colosso videoludico ha annunciato un nuovo titolo. Quest’ultimo è Babylon’s fall, che verrà rilasciato su Ps4 e PC.

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Valve cerca personale: buone notizie per i gamer?

Valve non è un’azienda che ha certo bisogno di presentazione, conosciuta dai più per il suo store digitale Steam, il più utilizzato dai PC-gamer, e che si è affermata sul mercato videoludico grazie a titoli come Counter Strike: Global Offensive e Half-Life.
Negli ultimi giorni è comparso un nuovo sito, riconducibile a Valve, creato per assumere nuovo personale in molte posizioni all’interno dell’azienda, che vanno da un ruolo amministrativo e/o di gestione al game design. Nel dettaglio, sono stati aggiunti due progetti per i quali si cerca personale: parliamo di un gioco di carte collezionabili chiamato Artifact, che sarebbe ispirato a Dota 2, e un nuovo gioco di avventura incentrato sulla narrazione In the Valley of Gods.
Le intenzioni di Valve sembrano non fermarsi alla produzione di quanto sopra citato ma anche a “nuovi giochi in lavorazione top secret”. È il momento perfetto per fare speculazione: è in arrivo un nuovo Half-Life?