La Grande Sfida (stagionale) di Clash of Clans

L’ottimo riscontro ottenuto da Fortnite con strategie di monetizzazione quali il Battle Pass (pacchetto che garantisce ai giocatori l’accesso a sfide aggiuntive e upgrade estetici, e che a oggi ha fruttato a Epic Games ben oltre 3 miliardi di dollari) ha prevedibilmente generato l’emulazione da parte di tanti altri videogame,  che non sempre hanno raccolto gli stessi risultati.
Il prezzo del pass non è alto (circa 10 dollari/euro a stagione), e il resto della spesa da parte del giocatore dipende dal contesto di game economic design: se in vari giochi gli acquisti possono essere decisivi per determinare il progresso in-game, in Fortnite si parla soprattutto di abbellimenti e sfide alle quali non si potrebbe accedere altrimenti.
Risulta chiaro che titoli come Fortnite, forte di una base di 250 milioni di utenti registrati, possano ben permettersi di contare su dei Battle Pass tutto sommato a portata di spesa dei giocatori per generare comunque ottime revenue, mentre altri debbano contare su “whale” o “dolphin” (utenti, dunque, che investono cifre non indifferenti negli in-app purchase).
C’è chi è riuscito a combinare entrambe le strategie, e non stupisce che a farlo siano stati dei maestri del settore come Supercell.
Lo sviluppatore finlandese ha infatti introdotto lo scorso primo Aprile nel suo Clash of Clans (titolo che dalla sua uscita, nel 2012, ha generato oltre 6 miliardi di dollari di revenue) le cosiddette “Sfide Stagionali” (o “Season Challenges”), percorsi fatti con obiettivi e ricompense da sbloccare che hanno avuto un ottimo riscontro.
Già dalla prima settimana i risultati sono stati infatti notevoli, con oltre 27 milioni di dollari guadagnati nella prima settimana: i giocatori hanno speso circa poco meno di 4 milioni al giorno nel titolo nei primi 7 giorni dopo il lancio in 46 paesi, generando una crescita delle revenue di circa il 145% (il periodo precedente registrava circa 11 milioni di dollari a settimana, circa 1,6 milioni al giorno).
Clash of Clans è quindi balzato al primo posto della classifica USA dei più giocati per iPhone, dove è rimasto per 5 giorni di fila, come può vedersi dal grafico sottostante:

Negli ultimi due mesi l’app ha mantenuto in media un buon terzo terzo posto, con qualche sporadico picco verso il basso, e ad aprile è lampante il miglioramento di performance: un risultato molto buono per una strategia di monetizzazione che prevede la semplice vendita di un pass oro al costo di  5,49 € (4,99 $, negli USA). Ma non è questo il “core” della strategia delle Sfide Stagionali.
Gli obiettivi delle Season, infatti, oltre alla monetizzazione, hanno come target il miglioramento di engagement e retention, oltre che la riduzione del churn rate (tasso di abbandono degli utenti) e la possibilità di reingaggiare parte di quegli utenti che hanno smesso di giocare.

I numeri oggi paiono dar ragione a Supercell: le 24 sfide disponibili con il solo Pass Argento (quello non a pagamento, insomma) hanno incentivato gli utenti a giocare, allettati dalla possibilità di collezionare nuovi punti e currency che permettono a loro volta di ottenere risorse in game e boost vari. Nel solo mese di aprile, Clash of Clans ha generato circa 71 milioni di dollari, oltre il 72% in più del mese precedente, e ben l’85% rispetto all’aprile dello scorso anno.
Il gioco ha inoltre registrato il primo maggio 2019 un guadagno di circa 6,9 milioni di dollari da acquisti in-app, miglior performance registrata dal Natale del 2015 a oggi.
Il Pass oro offre un surplus in termini di risorse e boost, e si fregia di un boccone succulento per molti utenti, che sta nella possibilità di ottenere la skin del Re barbaro e quella della Regina degli arcieri, sbloccabile dal mese in corso fino alla fine della stagione (che terminerà il prossimo 31 maggio).

Pur avendo portato buoni risultati a Supercell, si capisce come un pacchetto da 5 $ ha effetti limitati: il vero guadagno per lo sviluppatore sta in quel che viene dopo. Pare infatti che le sfide stagionali abbiano incoraggiato di rimando i giocatori a spendere più di 5$ all’interno di Clash of Clans.

Sarà interessante vedere per quanto tempo Supercell riuscirà a tenere in piedi un evento regolare come le sfide stagionali che a primo acchito sembra volto alla monetizzazione, ma che in realtà è una vera e propria meccanica di engagement che può innalzare nel medio termine le revenue dell’intera economia dell’app.
Clash of Clans potrebbe insomma diventare il primo mobile game da 10 miliardi di dollari di revenue generate nel suo intero lifetime, la strada pare essere quella giusta.




Top 5: i Migliori Giochi di Aprile 2019

Ad aprile il tempo migliora e le giornate si fanno più lunghe, ma non sono mancati i giorni di pioggia: in entrambi i casi, ogni clima è adatto per dedicarci al nostro hobby preferito! Vediamo quindi quali sono i migliori giochi usciti questo mese.

#5 Cuphead

Cominciamo con un porting, ma di qualità: l’apprezzato run n’ gun di Studio MDHR, con grafica ispirata ai cartoni degli anni ’30, arriva anche sull’ibrida Nintendo: Cuphead, dopo aver ammaliato i giocatori di Xbox One e PC, convince anche su Switch, in quella che è probabilmente, la versione migliore del titolo.
Impersoneremo Cuphead (e Mugman in caso di campagna cooperativa) nella lunga battaglia contro il Diavolo, che ha vinto al tavolo da gioco le loro anime. Sarà un lungo viaggio, tra livelli lineari classici dei platform 2D e boss variopinti e unici per design e comportamento. Un titolo originale nel panorama videoludico odierno, capace di regalare emozioni a raffica anche in portabilità.

Cuphead

#4 Anno 1800

Dopo i non esaltanti Anno 2070 e Anno 2205, torna la serie gestionale di BlueByte con quello che è il suo miglior episodio dai tempi di Anno 1404, ma non solo: infatti Anno 1800 si dimostra essere anche uno dei migliori gestionali degli ultimi anni.
Il titolo è ambientato durante la rivoluzione industriale, diviso tra una campagna narrativa, dove cercheremo di scoprire l’assassino di nostro padre oltre a sviluppare la nostra isola abbandonata, e una modalità sandbox, come da prassi per il genere. Anno 1800 convince soprattutto per l’interfaccia, non più colma di menù e schede, ma più snella e intuitiva, dove spicca la pianificazione per la futura costruzione di edifici, vero e proprio toccasana per il genere. Un ritorno che convince, per una serie che aveva il disperato bisogno di tornare ai gloriosi fasti di un tempo.

#3 Katana Zero

Opera prima dello studio Askiisoft e distribuito dalla solita Devolver Digital, sempre molto attenta verso questo tipo di produzioni, Katana Zero si presenta a noi come un action bidimensionale frenetico e molto violento.
Guai a definirlo un clone di Hotline Miami: il titolo creato da Justin Stander, è un concentrato di estetica fatta di neon e colori accesi, ispirata dalla moda synthwave e del revival anni ’80, oltre che di serratissimo gameplay senza pause. Ma ciò che sorprende è la cura per la narrazione, fatto di scelte multiple con possibilità di interrompere i dialoghi degli NPC, che rappresenta più che un mero intermezzo tra uno stage e l’altro. Devolver Digital si conferma faro della scena indie e Katana Zero, è la prima sorpresa videoludica di questo 2019 per i possessori di PC e Nintendo Switch.

#2 Days Gone

Un’epidemia zombie scoppia nel bel mezzo dell’Oregon, e il biker Deacon St. John, si ritrova catapultato in un vero e proprio inferno: questo è l’incipit di Days Gone, titolo Bend Studio uscito in esclusiva per PlayStation 4 dopo uno sviluppo travagliato.
Il gioco prende ispirazioni da serie quali The Walking Dead e Sons of Anarchy e pone le sue basi su uno sviluppo narrativo tipico di titoli Sony come The Last of Us, ma occhio a considerarlo un esercizio di stile: si tratta di un viaggio di crescita, tra orde di furiosi mostri da contrastare e vari gruppi come la setta religiosa dei Ripugnanti o i soldati della NERO, capaci di rendere complicata la nostra vita.
Days Gone è un titolo che centra il punto, nonostante la sua genesi non proprio tranquilla, e che potrebbe risultare un piacevole divertissement in attesa di titoli più blasonati.

#1 Mortal Kombat 11

Il picchiaduro più violento di sempre torna nella sua undicesima iterazione, probabilmente la migliore finora: infatti NetherRealm ha alzato l’asticella per questo Mortal Kombat 11, puntando tutto sul sistema di combattimento che, a suon di novità come i Krushing Blow e i Fatal Blow, restituiscono al giocatore un feeling impareggiabile non solo per la saga, ma anche rispetto ai precedenti giochi della casa di Ed Boon, come Injustice.
I match sono divertenti e tattici come non mai, e se le modalità offline non deludono, l’online presenta una doppia faccia: nonostante un netcode pulito e completo come raramente si è visto nel genere, delude la modalità Krypta, ridotta a un mero grinding, che spinge i giocatori verso le microtransazioni. Nonostante questo difetto, che si spera venga limato in futuro grazie al supporto della community, Mortal Kombat 11 si presenta a noi come una Fatality brutale e spettacolare, esattamente come il suo gameplay, meritando il primo posto del mese di aprile.




The Horus Heresy: Betrayal at Calth

Siamo nel 31mo Millennio e un oscuro destino sta per rivelarsi nell’Imperium.

Un destino che darà inizio a una battaglia che durerà 10.000 anni. Facendo 2 calcoli, da qui viene il nome Warhammer 40.000. The Horus Heresy: Betrayal at Calth, ci racconterà l’epico origine dello scontro tra gli Ultramarine e i Word Bearer, due potenti eserciti che uniti in principio, formavano le forze imperiali più potenti dell’intera galassia conosciuta.

Prima di tutto, una “piccola” premessa

Di certo la storyline non sarà di chiara lettura per tutti. La trama di background di Warhammer è enorme, epocale, complessa, intricata. A tal proposito farò del mio meglio per far comprendere, in un succinto riassunto, le ragioni che spinsero Horus a tradire il padre, l’imperatore del genere umano e successivamente, cosa portò alla scissione del corpo degli spacemarine – se conoscete già la storia perché magari siete dei fan sfegatati della saga, allora potete saltare direttamente al punto 2.

Tutto inizia quando Horus Lupercar, Primarca dell’imperatore, mandato in missione nel selvaggio pianeta Davin, viene ferito gravemente in battaglia. Sotto il consiglio di Erebus, cappellano dei Word Bearer – nell’universo di Warhammer sono gli spacemarine con le armature rosse – i nativi del posto curano Horus ma, all’insaputa di tutti, sia i curatori che Erebus stesso erano stati corrotti dai tentacoli oscuri del Chaos e già al tempo orchestravano complotti contro l’Imperium.
A quel punto Erebus sottopone Horus a un rito del Chaos e, insinuandosi nella sua mente sotto false spoglie e servendosi di visioni terrificanti, lo convince che un giorno il padre, l’imperatore, avrebbe deposto tutti i Primarchi, lui compreso, e avrebbe governato come un dio, convincendolo anche che gli dei del Chaos fossero invece esseri pacifici e che fosse il padre, un guerrafondaio, a volerli distruggere per poter governare come un dio. Gli fece credere tante altre cose, ma la sostanza sta qui.
Una volta rimessosi, Horus abbraccia la causa degli dei del Chaos e inizia davvero a credere che il padre fosse un traditore.
In un secondo momento storico, prima degli avvenimenti di The Horus Heresy, l’imperatore punisce pesantemente i Word Bearer e il loro Primarca Lorgar Aurelian per aver commesso atrocità contro coloro che non volevano accettare il loro credo, ordinando al Primarca Guilliman, degli Ultramarine – gli spacemarine con le armature blu, per intenderci – di radere al suolo Monarchia, la più grande conquista dei Word Bearer. Questi eventi spingono Lorgar ad allontanarsi definitamente dall’impero e intraprendere un sentiero oscuro, portandolo poi a giurare fedeltà al signore della guerra Horus Lupercar e agli dei del Chaos. Si crea così una scissione definitiva dell’esercito degli Spacemarine: Ultramarine e Word Bearer. A questo punto Horus, essendo riuscito a portare tutti i rimanenti Primarchi dalla propria parte, si rende conto che l’unico grande ostacolo tra lui e la conquista dell’impero era il Primarca Guilliman e il suo corpo degli Ultramarine, una minaccia che doveva essere eliminata.

Bene, dopo avervi raccontato, anche se solo una piccola porzione di questo capolavoro della narrativa, sarete in grado di comprendere meglio ciò che accadrà nella modalità campagna del gioco. Procediamo.

Prendo il solito, grazie!

Se c’è una cosa che ha sempre caratterizzato tutti i Warhammer mantenendoli sulla stessa lunghezza d’onda questo è, al di fuori d’ogni dubbio, il navigato sistema di combattimento. Incentrati quasi completamente sui turni o i combattimenti in tempo reale, i titoli di casa Games Workshop hanno finito per diventare un punto di riferimento per i videogiochi strategici. Raramente hanno cercato di sondare acque sconosciute come con Warhammer 40k Space Marine, sviluppato da Relic Entertainment, uno shooter in terza persona misto a un hack’n slash, graficamente ben realizzato, ma purtroppo povero di contenuti, tanto da rivelarsi successivamente un grosso flop commerciale per il brand inglese.

Nel caso specifico di The Horus Heresy: Betrayal at Calth, sviluppato dal team statunitense Steel Wool Studios, stiamo parlando di uno strategico a turni molto semplice. Con pochi comandi su schermo, un HUD molto intuitivo e con meccaniche meno complesse dei classici Warhammer a cui siamo abituati, questo risulta essere forse uno dei giochi più intuitivi dell’intera saga. Lo scopo del gioco è semplice – per alcuni anche banale – sin quanto si dovranno semplicemente completare gli obiettivi per ogni missione assegnata. Le schermaglie si svolgeranno sempre in un campo ristretto e ognuna di esse andrebbe affrontata tenendo conto di tutti quelli che sono i fattori che potrebbero influenzare positivamente o negativamente l’esito dello scontro, poiché affrontare il nemico a viso aperto porterà quasi sempre al game over. Per esempio studiare il campo di battaglia solitamente, è una delle strategie migliori per assicurarsi un vantaggio non da poco, sfruttando a nostro favore barriere o ostacoli per coprirci durante i nostri attacchi. A ogni modo, tendendo conto che si sta analizzando un gioco in versione “early access”, non possiamo trarre conclusioni affrettate riguardo tutte le dinamiche di gioco, ne è possibile sbilanciarsi nella valutazione, perché in fase finale di sviluppo il gioco potrebbe variare. Proprio per questo motivo graficamente sembra essere ancora molto scarno, tra texturing di basso livello ed effettistica che lascia un po’ a desiderare, ma confidiamo che la situazione possa migliorare con la versione completa del gioco.
Il comparto audio al momento si limita a una buona base d’accompagnamento ben riprodotta: nonostante tutto si sente la mancanza di una vera colonna sonora ad accompagnarci nella nostra avventura.

Ovviamente in THH:BaC, avremo la possibilità di giocare in multiplayer tramite matchmaking o partita privata, costruendo anche il nostro esercito, tramite la sezione army builder, avremo la possibilità di personalizzare la nostra squadriglia in base a quello che è il nostro tipo di approccio alla battaglia.

Tirando le somme, non si può dire che The Horus Heresy: Betrayal at Calth sia un prodotto originale o mai visto, ma sicuramente è un titolo che merita l’attenzione di chi è avvezzo all’universo degli strategici e, allo stesso tempo, proprio per la sua incredibile intuitività, potrebbe essere adatto anche a chi si accosta per la prima volta a questa tipologia di videogiochi. Una caratteristica, probabilmente la più interessante, è quella di poter essere giocato completamente con il VR, alimentando ancor di più in questo modo, l’interesse per chi cerca nuove esperienze che si distacchino da quelle che sono le solite “killer app” per la realtà virtuale.




Dune II: tre regole per un buon videogame su licenza

«Creare videogiochi è un lavoro difficile. Molto di ciò che facciamo richiede un salto nel buio. Dobbiamo immaginare il gameplay, la tecnologia con cui il videogioco prenderà vita. Immaginare gli scenari e i suoni che meglio trasmetteranno il gioco nella sua interezza al videogiocatore»

Così esordisce Tomas Rawlings, Design Director per Auroch Digital su Gameindustry.biz. Durante il corso dell’intervista afferma che vi sono diversi punti critici in cui è facile sbagliare durante la creazione di un videogioco ma, una volta che si è riusciti nell’intento, il risultato appaga tutti gli sforzi e crea una sorta di “magia”. Ma come si riconosce questa magia? Ce ne si accorge quando si è completamente assorti nel videogioco tanto da dimenticare il mondo esterno, cioè quando il gioco diventa il proprio mondo.
Racconta di quando era giovane e di quando scoprì il videogioco Dune, tratto dal romanzo fantascientifico di Frank Herbert, così come l’omonimo film di David Lynch. Allora decise di dedicarsi 20 minuti a questo gioco, giusto per conoscerlo, ma dopo che lo provò passò l’intera nottata e parte della successiva giornata a giocarci; ma perché questo preambolo? Per spiegare meglio la sua idea di immersione nel gioco e per rafforzare il concetto decide di raccontare il gioco.

Dune

Dune è un gioco incentrato su una risorsa limitata, chiamata Melange, che permette viaggi a velocità superiori della luce, ma molto rara e costosa, quasi un’allegoria del petrolio nel mondo moderno. La Melange si può trovare solo in un pianeta chiamato Dune, caratterizzato anche da enormi vermi che rendono un azzardo la raccolta di questa risorsa. Il controllo del pianeta è dato a turno a varie casate che dividono le quote della risorsa come meglio credono, preoccupati solo che questa spezia sia in circolo, ma non a come ci si arrivi.
Rawlings spiega, che questo gioco può essere considerato uno dei primi strategici in tempo reale, avendo al suo interno molte innovazioni che oggi sono alla base degli strategici che vanno per la maggiore, tra cui League of Legends, Dota 2, Clash Royale. Queste innovazioni spaziano dal controllo diretto delle risorse all’albero della tecnologia.

Le tre regole

Andiamo però alla parte saliente dell’articolo, le tre regole cardine che un buon gioco deve rispettare: Rawlings parte dalla regola che può sembrare la più banale e facile da seguire in cui semplicemente, un gioco deve essere un buon gioco, deve essere ben strutturato e, come terza regola, riesca a coinvolgere il giocatore facendolo diventare parte del gioco stesso, vivendo l’esperienza da una prospettiva personale. Tutto ciò scaturisce da un’IP originale, equilibrata e con ben integrate nuove meccaniche di gioco.




Il real time strategy in VR alla portata di tutti

La realtà virtuale si è ritagliata il suo piccolo spazio di nicchia nel mondo videoludico, tutto questo nonostante i prezzi non ancora accessibili a tutti e le esose richieste hardware. Ma, a dispetto di queste barriere iniziali, il settore riceve costanti investimenti di denaro da parte delle aziende, come Facebook con Oculus.
Nella scena VR, gli sviluppatori cercano di programmare giochi in grado di attirare i cosiddetti giocatori “hardcore”, così da convincerli a provare l’esperienza virtuale: è il caso di Brass Tactics, strategico in tempo reale disponibile per Oculus Rift e ideato dal creatore di uno degli RTS più celebri della storia, ovvero Age of Empires II.
Gli RTS sono forse il genere più complicato da portare in VR, visto l’intricato sistema di gestione delle unità e della mappa, ma Jeff Pobst, CEO di Hidden Path Entertainment, studio di sviluppo a lavoro sul gioco, commenta così:

«Gli strategici in tempo reale hanno un’interfaccia complicata così come tante caratteristiche e menu di gioco. Abbiamo passato sei mesi a sperimentare sul layout della mappa e sull’interfaccia. Essendo un gioco in realtà virtuale, abbiamo scelto di non affidarci a due degli stilemi classici degli RTS, come i menu e l’UI su schermo e, avendo una visibilità limitata dal visore, abbiamo deciso di dare tutte le informazioni delle proprie unità direttamente sulla mappa. Come se si stesse giocando a un gioco da tavolo, ma con la complessità e la varietà di uno strategico in tempo reale.»

Il gioco è stato costruito attorno ai controller Oculus Touch, che offrono non solo le classiche levette analogiche e tasti a cui i giocatori sono abituati da sempre, ma anche i motion control che tendono a essere più intuitivi per i neofiti. L’interfaccia 3D è basata su una versione simile dell’Unreal Editor usata da Epic Games, che si riflette sul risultato di molti mesi di lavoro sulla creazione, lo sviluppo e, soprattutto, la direzione delle proprie unità militari.
Pobst ne parla a proposito:

«Abbiamo provato diversi modi per dirigere le unità, come puntatori laser e via dicendo, ma alla fine abbiamo deciso di implementare delle frecce direzionali, così da far vedere al giocatore la direzione delle proprie unità o l’azione, come un attacco alle unità nemiche. Abbiamo anche aggiunto dei modificatori alle levette analogiche, che permettono di dare degli ordini di attesa o di ritiro ai propri soldati. E abbiamo costruito un sistema chiamato SmartMove, dove viene analizzata l’area intorno alle proprie unità e quella dove ci si dirige, così il gioco cerca di compiere la scelta più intelligente per il giocatore: per esempio, se si è deciso di andare in ritirata, il gioco cercherà di non ingaggiare le unità nemiche.»

La navigazione nella mappa si effettua “afferrando” e “facendo scivolare” il tavolo di gioco. È un sistema di controllo atipico per quanto riguarda il genere, dove solitamente si usa il mouse e qualche hotkey della tastiera. Ma Pobst assicura che il sistema di controllo è stato pensato per essere comodo nelle mani del giocatore, oltre che intuitivo. Infatti, dichiara:

«Nonostante i controlli e la meccanica dietro di essi possono risultare complicati a una prima occhiata, dopo qualche minuto di gioco si può notare che i movimenti compiuti sono in realtà dei normali movimenti giornalieri. È una meccanica semplice e che non stanca il giocatore, quest’ultimo è un elemento per noi fondamentale: abbiamo ricevuto dei commenti entusiasti da parte di giocatori che volevano affrontare lunghe sessioni di gioco!»

A proposito delle lunghe partite, una delle discrepanze tra il VR e il gaming tradizionale è proprio legato alla durata: la realtà virtuale è basata su sessioni di gioco corte, che cozzano con le partite di durata superiore all’ora dei tradizionali RTS, e Pobst discute di essi come di un elemento molto importante nell’ottica di Brass Tactics:

«Abbiamo voluto prendere tutti quegli elementi tradizionali degli strategici e ridurre la durata delle partite ad almeno mezz’ora: per fare un esempio, abbiamo semplificato l’economia di gioco, come si vede poco dopo la conquista di una regione, le unità civili cominceranno a costruire strutture e sfruttare le miniere. Vogliamo concentrarci di più sulla tattica e sull’esperienza di gioco, rispetto alla produzione e allo sfruttamento delle risorse della mappa. Abbiamo rimosso anche la fog of war, quindi si vedrà tutta la mappa già a inizio partita.»

Brass Tactics è uscito lo scorso ottobre sullo store di Oculus, insieme a Brass Tactics Arena, una versione free to play del titolo completa di tutorial, campagna in single-player, multiplayer online e co-op, e, inclusa nel titolo vi è anche la possibilità di giocare contro i possessori del gioco completo.




Terroir

«Camminare con quel contadino che forse fa la stessa mia strada, parlare dell’uva, parlare del vino che ancora è un lusso per lui che lo fa» diceva Rino Gaetano in Ad esempio a me piace il sud. E “lusso” è la parola giusta per descrivere la bevanda amata dal Dio Bacco, e in parte anche Terroir, prima fatica per lo studio di sviluppo General Interactive Co., autori di un Tycoon Game basato sulla gestione di una compagnia vinicola.

Appena avviato il gioco, ci si trova di fronte a una schermata principale realizzata in una grafica low polygon 3D che ben si sposa con il tono minimale dell’opera. Vi è anche una schermata di tutorial dove vengono spiegate la gestione dell’azienda e soprattutto le quattro fasi usate per preparare il vino, ovvero, vendemmia, fermentazione, pressatura e invecchiatura. Tali schede ci vengono in aiuto durante la partita e possono essere richiamate in ogni momento. Il gioco ci offre tre diverse difficoltà: facile, con più soldi e meno imprevisti, standard, con una disponibilità monetaria nella media, e difficile, con un budget esiguo e più difficoltà dovute all’infestazione di insetti, piante malate e molto altro.

Avviando la partita, ci troviamo catapultati in una serie di tile esagonali che ricordano quelli di giochi più celebri come Sid Meier’s Civilization: abbiamo la nostra tenuta e delle caselle di terreno variabile (terra, sabbia e argilla) dove possiamo far crescere diverse tipologie di uva da cui trarre molteplici varietà di vino: dal Cabernet-Sauvignon passando per il Syrah, il Merlot e lo Chardonnay.

Bisogna stare attenti a far crescere bene l’uva, tenendo d’occhio lo stato delle viti e, soprattutto, il metro di maturità sulla destra, dove un valore troppo basso o troppo alto potrebbe rovinare la qualità del nostro prodotto finale. Con la fase di vendemmia, il gioco comincia a farsi più strategico: dovremo compiere diverse scelte atte a migliorare le quattro caratteristiche della bevanda (acidità, dolcezza, colore e corporatura) , come il metodo di spremitura dell’uva, o delle botti dove effettuare l’invecchiamento del vino. Il tutto viene illustrato da immagini in xilografia che si sposano perfettamente con la vena artistica del gioco. Dopo aver imbottigliato la nostra bevanda, verrà il momento di un assaggio da parte dei sommelier (divisi per bravura, da 1 a 5 stelle) che daranno un voto al nostro vino, così da stabilire un prezzo di vendita per poi esser distribuito nelle botteghe specializzate o, a un prezzo molto più basso, nei supermercati.

Il gioco presenta anche un sistema di meteo dinamico, semplice ma ben fatto, oltre a un sistema di imprevisti e di probabilità, attivabile a richiesta solamente dopo aver realizzato il primo vino col voto massimo. Queste variabili aggiungono un po’ più di pepe alla partita, soprattutto usando le probabilità, vere e proprie quest completabili entro un determinato arco temporale che potranno determinare la nostra fortuna o sfortuna. Una partita può durare fino a un massimo di 60 anni, anche se potremo continuare la nostra carriera di viticoltori oltre il tempo limite del gioco, a patto di non aumentare il punteggio massimo, e sempre se riusciremo a non andare in bancarotta!
Da segnalare anche la buona colonna sonora realizzata dal CLARQinet Ensemble di Singapore, che accompagnerà le nostre sessioni con delle composizioni Soft Jazz orecchiabili che tendono a non stancare.

Terroir è una buona prima opera, che gode di scelte ben pensate e ben realizzate e altre migliorabili, come alcuni aspetti inerenti la gestione economica, che ho trovato un po’ raffazzonata (non c’è una schermata dove controllare il nostro bilancio, le perdite e guadagni mensili, e questo lede non poco in termini di pianificazione e visione d’insieme), ma tutto sommato il titolo gode di una buona longevità, a patto di entrare nell’ottica della filosofia “losing is fun” tanto cara a un pilastro del gestionale come Dwarf Fortress, visto che il gioco è parecchio spietato nei nostri confronti già a difficoltà standard, e tenderà a farci pagare cara una cattiva gestione vinicola o monetaria. D’altronde, dovrete mettervi alla prova per scoprire quanto siete bravi: e, come dicevano i latini, «in vino veritas!»