Call of Cthulhu – Pronto? C’è Qualcuno?

Beh, qui le scelte sono due: potremmo offrire una recensione piena zeppa di citazioni e frasi altisonanti di “voi sapete chi” oppure, una recensione che analizza il gioco in modo che anche voi lettori potrete arrivare a delle conclusioni per valutarne l’acquisto.
Dunqueper molti, Call of Cthulhu non è un videogioco come tutti gli altri ed effettivamente, l’ultima fatica di Cyanide non lo è. Troppo potente è il “richiamo” di uno dei più grandi autori mainstream degli ultimi anni, quel H.P. Lovecraft che in qualche modo tutti conoscono ma che probabilmente nessuno vorrebbe mai incontrare. Tratto dunque dall’omonimo gioco di ruolo del 1981 e, ovviamente, traendo spunto dal Ciclo di Cthulhu, questo investigativo-RPG-survival horror, è stato attentamente seguito dagli appassionati, mettendo sulle spalle degli sviluppatori un peso enorme, costituito da milioni di aspettative parecchio elevate. Sarà riuscito nell’intento?

Citazione a scelta N.1

Tutte le vicende ruotano attorno alla famiglia Hawkins e al suo tragico destino. Ma, come potete immaginare, nulla è come sembra e Edward Pierce, investigatore privato prossimo al fallimento, dovrà scoprire la verità celata tra le strade di Darkwater. Proprio questa cittadina costiera, riesce ad assumere il ruolo di co-protagonista, creata ad hoc come habitat naturale delle idee “lovecraftiane” e in cui, Edward verrà immerso come guidato da un beffardo destino. Le ispirazioni al Ciclo di Cthulhu sono palesi ma fanno capolino altre citazioni da ogni racconto partorito dalla mente dello scrittore statunitense divenendo quasi un “parco giochi” per ogni fan, alla ricerca di riferimenti e piccole “chicche” sparse dappertutto. La narrazione dunque procede spedita ma forse, in maniera fin troppo lineare: nonostante l’utilizzo di dialoghi a scelta multipla infatti, la sensazione di non aver alcun controllo sulle vicende rasenta di tanto in tanto l’imbarazzo, che si fa ancor più marcato una volta arrivati alla conclusione. In generale tutto risulta discretamente interessante  e anche i colpi di scena presente, risultano un po’ telefonati. Ogni scelta intrapresa porterà ad alcune conseguenze più o meno tangibili ma trascurabili, una volta scoperto che per arrivare ai diversi finali, in fin dei conti è l’ultima scelta la più importante. Il viaggio di Edward Pierce verso la follia (non poteva essere altrimenti), è sorretta però da poche ma decisamente interessanti trovate narrative e dalle atmosfere, vero fulcro su cui ruotano attorno le vicende: l’aria opprimente di Darkwater e dei suoi abitanti, schiavi di un singolo evento accaduto anni prima e dell’inquietante setta, è l’elemento più riuscito del titolo, che ci spinge ad approfondire come si è arrivati a questo punto, sfruttando tutto quello che abbiamo a disposizione, come l’innaturale fiuto da detective e l’innaturale talento nel mettersi nei guai. Anche i personaggi con cui interagiremo non brillano per caratterizzazione, interpretando delle “maschere” magari funzionali alle vicende ma che, insieme al contesto creato, minano ulteriormente l’immedesimazione. Call of Cthulhu basa tutto il suo essere sulla narrazione che comunque, nonostante alti e bassi riesce a intrattenere e trasportare il giocatore sino ai titoli di coda; ci vorranno una decina di ore, ma offre la possibilità di rigiocarlo compiendo scelte diverse dalle precedenti, sperando cambi realmente qualcosa.

Citazione a scelta N.2

Come detto nell’incipit, si tratta di un investigativo che mischia alcuni elementi da gioco di ruolo e survival horror. Nostra premura appunto, è quella di cercare e trovare gli indizi necessari per proseguire e ricostruire interamente gli avvenimenti accaduti; esplorazione e interazione con ambiente e personaggi sono elementi essenziali per ogni buon investigatore e anche noi lo siamo, visto che non potrà essere altrimenti; la risoluzione di piccoli enigmi infatti, si presenta in maniera semplicistica, non dando al giocatore modo di sfruttare le proprie sinapsi. Tutto sembra abbastanza abbozzato e anche la ruota delle abilità sembra indicare altrettanto: la componente RPG è riassunta in punti esperienza acquisiti a ogni azione significativa conclusa e lo sviluppo di sette diverse branche che vanno dall’investigazione alla medicina, passando occulto e psicologia, che potranno esser sviluppate in modo da sbloccare nuove abilità (sopratutto oratorie). Tecnicamente è possibile dunque specializzare il nostro Pierce a nostro piacimento, visto che non potremmo potenziare tutto al massimo livello; purtroppo però questo si scontra con la realtà dei fatti, in cui ogni categoria sviluppata non sembra incidere come dovrebbe, ne durante i dialoghi e ne durante l’esplorazione, limitandosi al semplice compitino. Anche i dialoghi a scelta multipla tendono a far storcere il naso, suddivisi in base alle caratteristiche sopracitate e in grado sì di approfondire la narrazione ma che a conti fatti, influiscono davvero poco sul suo prosieguo. C’è da dire però che nel mettere assieme gli indizi, scovando nuove informazioni, dialogare con più personaggi possibile diventa fondamentale per capire quanto sta avvenendo attorno a noi. Ma queste nuove informazioni purtroppo, hanno un valore risicato in quanto, qualunque cosa noi facciamo, arriviamo comunque all’obiettivo.
Ma a parte questo, bisogna anche muoversi da un punto “A” a un punto “B” e solitamente lo si può fare accovacciati visto che, in molte sezioni, essere scoperti significa essere uccisi. Nascondersi dunque è un buon modo per per farla franca e qui entra in gioco una meccanica purtroppo poco sfruttata: il Panico. Pierce prima di tutto è un uomo, capace anch’egli di tremare di fronte l’inconoscibile – o una guardia… – e questo in game, non fa altro che generare confusione, esplicato attraverso frastornanti movimento di camera e desaturazione dei colori, ovviamente contornate dai lamenti del protagonista. Una simile meccanica, se implementata a dovere, avrebbe portato quasi qualcosa di innovativo, immedesimando di più il giocatore con un personaggio di fronte a un pericolo potenzialmente letale. Anche la meccanica della Follia – e che vi aspettavate!? – che aumenta a ogni evento traumaticamente inspiegabile, è solo abbozzata, avendo reale valore solo per uno dei finali (tre in tutto). Il risultato finale dunque è solo discreto visto che ogni elemento di gioco possiede dei pregi ma anche dei grossi difetti.

Citazione a scelta N.3

Nonostante siamo ormai a fine generazione, Call of Cthulhu sembra essere un memorandum di titoli apparsi per la prima volta su PlayStation 4 e Xbox One, nel limbo tra vecchia e nuova era. Se, come detto, l’atmosfera generale è ben gestita, arricchita da una direzione artistica che ricrea a piene mani le opere di riferimento, la componente meramente tecnica rischia di tanto in tanto di lasciare l’amaro in bocca, smorzando così l’entusiasmo. Tutto comincia dai modelli dei personaggi, avara di dettagli e che consta di animazioni davvero datate. Ma nonostante l’utilizzo di texture non esaltanti ed effettistica generale deludente, il titolo soffre anche di un’inadeguata ottimizzazione, non solo su PC ma persino su console, visibile in toto durante i caricamenti tra un capitolo e l’altro, talmente lunghi che nel frattempo potreste scrivere un Ciclo di Cthulhu tutto vostro.
Anche dal punto di vista sonoro la situazione non cambia: il doppiaggio (inglese con sottotitoli) si attesta su buoni livelli, con ovviamente Edward Pierce a fare da padrone. Nessuna eccellenza dunque, soprattutto durante gli attacchi di panico del nostro investigatore privato, ispirati probabilmente dal Tony Stark di Iron Man 3. Ovviamente, anche il comparto sonoro, tra musiche ed effetti non poteva che non andare diversamente, segnalando come il lavoro Cyanide Studio non sia stato dei migliori.

In conclusione

Call of Cthulhu in fin dei conti, può essere considerato un buon omaggio a quel bontempone di H.P. Lovecraft, nonostante l’adattamento a una trama ben diversa dagli scritti originali. Le atmosfere, vissute tra Darkwater e la famiglia Hawkins sono ben riprodotte, gettandoci in avvenimenti ai limiti della comprensione ma smorzati da alcune scelte narrative che rendono la vicenda sin troppo guidata, annullando di fatti il senso dei finali multipli. Chiudendo poi un occhio sul comparto tecnico il titolo Cyanide è consigliato a tutti gli amanti delle opere dello scrittore di Providence ma anche degli amanti dell’horror in generale, che magari non conoscono Lovecraft come dovrebbero.

Processore: Intel Core I7 4930K
Scheda video: Nvidia Gigabyte GTX760 4GB
Scheda Madre: MSi X79A
RAM: Corsair Vengeance 16GB
Sistema Operativo: Windows 10.




P.A.M.E.L.A.

Ogni tanto capita di vedere sviluppatori indipendenti alla ricerca di Eldorado, con quel progetto cominciato dall’unione di tanti piccoli sogni e culminato con uno sviluppo più o meno travagliato ma capace comunque di vedere la luce, uscendo tra i vari store sia fisici che digitali. Nvyve Studios si aggiunge a tale novero dal 2015, anno in cui P.A.M.E.L.A cominciò il suo sviluppo, approdando nel 2017 in early access su Steam. Dopo alcuni aggiornamenti abbiamo deciso di testarlo, e il titolo pare presentarsi abbastanza bene nonostante ci sia ancora un po’ di lavoro da fare.

Tra Rapture e Wellington Wells

Negli anni abbiamo visto come a un certo punto qualcuno decide di lasciare la società in cui vive per fondare la propria città ideale, approfittando di alcuni mutamenti sociali, catastrofi o perché no, semplice voglia di cambiare aria. Questi paradisi però hanno una cosa in comune: hanno tutti fallito nel modo o in un altro. Nel mondo videoludico basta citare Bioshock e la sua Rapture, fallita miseramente nonostante la totale libertà da vincoli etici, morali, religiosi ecc, o la più recente Wellington Wells, protagonista in We Happy Few o qualche Vault in Fallout; tutte sono la rappresentazione dell’ego umano, incapace di gestire se stesso senza che si arrivi all’autodistruzione. E l’Eden, fulcro di P.AM.E.L.A., ha lo stesso destino, durando quanto la lettura delle prime pagine della Bibbia. La città ideale, massima espressione del Transumanesimo, è caduta in rovina sotto una misteriosa epidemia dilagata tra i suoi abitanti a seguito di esperimenti eugenetici non riusciti correttamente. Noi veniamo risvegliati dal sonno criogenico da P.A.M.E.L.A., un I.A. estremamente avanzata, in grado di gestire l’intero complesso urbano. Al contrario di quanto siamo stati abituati a vedere da HAL 9000 a Skynet, P.A.M.E.L.A. sembra un’entità benevola, che sin da subito ci aiuta, cercando di risolvere i misteri di Eden. Una volta coi piedi per terra, le associazioni con altri titoli saltano subito all’occhio, dal già citato Bioshock, a Prey fino a Dead Space, in un connubio di generi che già da adesso sembra discretamente funzionare. La narrazione del titolo sembra seguire i classici canoni di un souls like in cui, immersi in un mondo di cui siamo totalmente all’oscuro, abbiamo come unica possibilità di capire dove ci troviamo e cosa sta succedendo quella di leggere alcuni documenti o ascoltare diari di P.A.M.E.L.A. sparsi lungo le vie della città. Questo, assieme all’ambientazione a tratti claustrofobica e a tinte horror, riesce a creare un’ottima atmosfera, in cui cercare di sopravvivere con ogni mezzo diventa la nostra prerogativa. Non ci sono – almeno per ora – quest da seguire: ci siamo solo noi e l’Eden in tutto il suo splendore, capace di raccontarci visivamente quanto stia accadendo. Interessante è la presenza, oltre che di nemici di cui parleremo in seguito, di androidi progettati probabilmente per servire i cittadini e che ora senza uno scopo preciso vagano per le vie della città forse alla ricerca di se stessi; altri androidi adibiti alla protezione continuano invece a pattugliare, rimanendo sfruttabili per gli scontri, rendendoli molto più accessibili. La loro presenza pare segnalare una trama molto più articolata di quanto sembri, ma solo al day one potremmo avere un’effettiva risposta. Sulla carta il progetto sembra funzionare, eppure qualche criticità rischia di minare pesantemente i sogni di questo piccolo studio.

L’uomo deve essere superato

P.A.M.E.L.A. mischia tanti generi: un sandbox con elementi survival horror, FPS-RPG (probabilmente bisognerà creare una categoria apposita per questo tipo di titoli, che vada oltre la generica dicitura “action”). Sin da subito possiamo scegliere che tipo di bonus o malus saranno presenti in partita, dalla difficoltà in se sino al permadeath, in cui saremo costretti a ricominciare da capo una volta tirate le cuoia. La sua molteplice natura dunque salta subito fuori: è fondamentale raccogliere il maggior numero di risorse possibili per il crafting e per il potenziamento del proprio equipaggiamento, che consta in una speciale tuta, presente in diverse versioni e gradi di evoluzione, oltre a perk aggiuntivi e armi corpo a corpo e a distanza come del resto l’elemento survival, in cui rischieremo la morte se non si è mangiato o bevuto a sufficienza.
Il titolo sembra abbastanza vario, donando un buon senso di progressione, soprattutto durante le fasi di combattimento, forse il vero punto debole del lavoro Nvyve Studio. Al grido di “ho i pugni nelle mani” saremo costretti a farci strada attraverso combattimenti poco entusiasmanti: tutto sta nella gestione della schivata, poco intuitiva e che gioverebbe davvero di un buon sistema di targeting del nemico, in modo da rendere più semplice girare intorno all’avversario e scoprire eventuali punti deboli. Essendo comunque ancora il titolo in early access, si può chiudere un occhio e si spera vivamente che il combat system venga implementato a dovere. Purtroppo le cose non cambiano una volta ottenute delle armi a distanza, incapaci di restituire un feedback reale. I combattimenti sono dunque una danza in cui è necessario schivare i pochi pattern d’attacco nemici, abbastanza semplici da gestire anche se potrebbe capitare di affrontarne ben più di uno. In questo caso eseguire la “tecnica segreta della fuga” o attirare i nemici verso robot sentinella, potentissimi e in grado di gestire da soli una piccola orda. In generale questo funziona ma purtroppo ci sono da segnalare numerosi bug all’intelligenza artificiale, oltre a quelli tecnici: capiterà infatti di osservare strani comportamenti, come robot impassibili alle aggressioni o nemici capaci di rimanere ostacolati da oggetti insormontabili come una sedia.
Uno dei pochi obbiettivi chiari è quello di riportare Eden a esser quantomeno funzionante, cercando di riparare piccoli guasti all’alimentazione energetica, fondamentale per esplorare adeguatamente le vie della città in quanto, essendoci anche un ciclo giorno/notte, molte zone resteranno al buio, relegandoci all’ausilio della nostra fedele torcia. Insomma, si cerca di rendere il tutto quanto più immersivo possibile, anche grazie alla totale mancanza di HUD e l’utilizzo di menu e interfacce in tempo reale olografiche. Questo, come del resto l’intera struttura tecnica, poggia le sue solide basi sul motore Unity, estremamente versatile e qui sfruttato al suo meglio. Gli ambienti sono ben dettagliati, alcuni estremamente grandi e, nonostante il colpo d’occhio  generale sa di già visto, artisticamente sembra avere una propria, forte identità. A colpire è l’impianto luci, capace di regalare ottimi scorci sia di giorno che di notte fuori, ma anche all’interno, dove si fa uso di elementi olografici e simil-oled. Il risultato dunque è molto buono, anche se la componente audio sembra forse ancora indietro, in cui manca una vera profondità dei vari suoni presenti, ma anche componenti sonore di contorno, stile Alien Isolation o Dead Space, per intercederci: suoni ambientali sinistri, vento, vibrazioni, insomma, un campionario più vario in grado di esaltare quanto vediamo a schermo.

In conclusione

P.A.M.E.L.A. è forse ancora lontano dalla sua release definitiva ma già ora riesce a intrattenere e invogliare il giocatore a scoprire i piccoli segreti di Eden. Le meccaniche presenti sembrano ben studiate e frutto di una buona programmazione, mentre altri elementi, come il combat system, necessitano ancora di molto lavoro. Potenzialmente questo titolo potrebbe diventare davvero interessante e starà alle mani di  Nvyve Studio far si che ciò accada.




Remothered: Tormented Fathers

Nella mia storia di gamer ho vissuto un periodo (neanche breve) in cui mi sono allontanato dai videogame. Non è stato un momento dettato da ragioni di stanchezza nei confronti del medium, né una scelta dovuto a mancanza di stimoli: senza troppi giri di parole è stata una forma di self-punishment, dovuta a una serie di circostanze che hanno caratterizzato una transizione particolare della mia vita. Il ritorno all’ovile videoludico è avvenuto in un momento ancora più critico, un frangente in cui ho capito la reale dimensione dei videogame nella mia esistenza: quella di scialuppa di salvataggio, asse di quella Pequod che, irrobustita da scrittura e letteratura, mi ha permesso negli anni di restare a galla nell’eterna lotta contro i miei capodogli umorali. In quel frangente difficile, in piena epoca PS3, mi ritrovai a rispolverare la mia vecchia PS2 come fossi ancora lo studente dei primi anni di università. Capii tempo dopo le ragioni della scelta, che risiedevano in un bisogno di ritrovamento di un “Io originario”, lasciato forzatamente per anni in un ripostiglio della coscienza. Ricordo che entrai in un negozio e, ravanando tra l’usato, trovai una copia di Haunting Ground, che si rivelò il mezzo necessario per l’apertura di quel portale temporale: è curioso che, in un momento simile, nel quale molti penserebbero come necessaria la serenità piuttosto che un concentrato di tensione e immagini cupe, siano stati i survival horror a tornare in mio soccorso. Dico “tornare” perché il lato gotico del fantastico è stato un po’ il mio portale d’accesso a tutte le arti: quello di racconti e arabeschi di Edgar Allan Poe della SugarCo è stato il primo libro che ricordo di aver amato, così come nel cinema dei quei primi anni ’90 rimanevo folgorato da IT. E non è un caso che fosse proprio Maniac Mansion a introdurmi al mio genere preferito, le avventure grafiche, col suo carico di mistero e di tensione che accompagnavano l’intento parodistico nei confronti delle storie horror. Inutile dire che il primo approccio con quello che era destinato a divenire il moderno survival horror fu con Alone in the Dark, e da lì fu solo un attendere i Silent Hill, i Forbidden SirenProject Zero, titoli dotati non soltanto di una narrazione grandemente curata, che andava dallo psicologico al folklore nero, ma che calavano il giocatore in uno stato di assoluta impotenza, rendendo necessario ricorrere a ben altro che agli scontri fisici o armati per assicurarsi la sopravvivenza. Non potevo dunque non amare Clock Tower 3, ed è chiaro come la storia di Fiona Belli, costretta a fuggire con l’aiuto di un cane per le stanze dell’immenso castello di Haunting Ground, fosse un inevitabile, dolcissimo ritorno a sensazioni perdute.
Ed è partendo da simili sensazioni che è per me necessario introdurre il primo grande pregio di Remothered: Tormented Fathers (altrimenti a cosa sarebbe servito questo lungo preambolo?), la cui esperienza di gioco è stata una madeleine proustiana che, nella sua lenta masticazione, ha avuto il merito di sprigionare sfere sensoriali sopite da un po’ di anni. Ma non è certo questo personalissimo assunto di partenza a farne l’ottimo survival horror che è.

Incubi in analessi

La narrazione di Remothered: Tormented Fathers comincia in medias res, mentre un’anziana Madame Svenska racconta a un interlocutore fuori campo gli accadimenti di cui è stata protagonista anni addietro Rosemary Reed, a seguito di un incontro con il notaio Felton ottenuto spacciandosi per una dottoressa dell’istituto nel quale era tempo stato ricoverato. Smascherata durante il colloquio da Gloria, infermiera preposta alle cure del notaio, la vedremo introdursi in casa Felton qualche ora dopo essere stata messa alla porta. Sarà l’inizio di una catabasi nell’orrore nascosto fra le mura domestiche, ma soprattutto nell’inferno della psiche umana. La sua esplorazione la porterà gradualmente nei meandri di una dark side che vedrà luce tra documenti, video, foto e altri oggetti utili a ricostruire un oscuro passato, fatto di nebulose sperimentazioni su un farmaco dell’evidente impatto sui processi mnemonici, il Phenoxyl, e di un ambiguo rapporto con la figlia del notaio, Celeste, misteriosamente scomparsa anni addietro. A “disturbare” questo percorso di scoperta ci saranno gli avversari che si avvicenderanno nel gioco, dallo stesso Felton, armato di falce e deciso a contrastare ogni intrusione, a una misteriosa suora rossa armata di uno spesso bastone a forma di colonna vertebrale. Le scoperte saranno molto interessanti, e verranno pagate al prezzo di lunghe ore di terrore e tensione costante.

Padri tormentati

Pur essendo uscito lo scorso 30 gennaio (data annunciata nel corso della Milan Games Week 2017) su PC, per poi arrivare in estate su PS4 e Xbox, Remothered: Tormented Fathers ha alle spalle una lunga storia di sviluppo: l’idea di base nasce già quando il creative director Chris Darril sedeva ancora tra i banchi di scuola della sua Catania. Nel 2007 si sviluppa un primo nucleo fortemente indebitato con Clock Tower, che vide una più marcata e originale identità un paio di anni dopo, quando il progetto cominciò ad assumere una prima forma su RPG Maker XP, dove viene pensato come survival horror 2D. Chris Darril comincia però a intuire i limiti di una simile scelta e, nonostante alcuni riscontri positivi sulla rete, decide di mettere in standby lo sviluppo, rifiutando anche alcune proposte di cessione dei diritti o di partnership. È una scelta difficile, umile e intelligente, e che darà i suoi frutti anni dopo, quando il game designer tornerà sul progetto con alle spalle esperienze di rilievo maturate nel settore, proprio in campo survival horror, da Forgotten Memories: Alternate Realities al più recente Nightcry, nel quale Darril assume il ruolo di board artist e concept designer sotto la direzione del regista Takashi Shimizu (noto per la saga cinematografica di The Grudge) e di Hifumi Kono, padre della saga di Clock Tower. Chiaro come simili lavori possano arricchire l’esperienza di un game designer, e questi anni sono utilissimi per garantire a Chris Darril una maggior consapevolezza nel passaggio dal 2D al 3D e, soprattutto, per poter lavorare su Unreal Engine 4, motore sul quale è sviluppata la versione finale del gioco.
Il risultato è letteralmente da manuale: quella di Remothered: Tormented Fathers è una lezione accademica in campo survival horror. Darril dimostra di aver acquisito alle perfezione le dinamiche e le meccaniche del genere, e ne dà saggio nel videogame che vede il suo esordio alla direzione creativa. All’interno della villa, il cammino di Rosemary Reed sarà disseminato della documentazione utile a ricostruire l’intera cornice narrativa, in un procedimento “piece by piece” mantenuto lineare e che non rende mai la narrazione frammentaria. Dalla nostra visuale in terza persona ci troveremo spesso a muovere la protagonista in modalità stealth, stando attenti a evitare lo stalker di turno e a nasconderci in un armadio o sotto un divano per sfuggire all’attacco, al quale potremo non soccombere scagliando un oggetto da lancio o, in ultima istanza, reagendo con tempismo usando un’arma di difesa. Vari di questi oggetti potranno essere utilizzati anche come diversivi da piazzare in posti strategici, e in giro per la casa si potranno trovare dei potenziamenti di attacco e difesa dei singoli item.
A differenza di altri titoli del genere, qui non è presente una modalità di gestione del panico, elemento che forse avrebbe regalato un po’ di pepe al gameplay: ci troviamo con una Rosemary praticamente instancabile, e questo facilita un po’ la dinamica hide&run su cui si regge il gioco. A compensare ci pensa però un buon bilanciamento dei nascondigli, non così frequenti da rendere troppo semplice la fuga: è uno degli elementi a favore di una gestione degli ambienti e di una strutturazione dei livelli globalmente molto ben congegnate.

Fra design e regia autoriale

Il level design è infatti uno degli elementi meglio studiati di Remothered: anche qui, nessuna rivoluzione, nessuna soluzione audace o fuori dagli schemi. La meta del design è un’altra: si vede il chiaro intento di proporre scenari e livelli che rispondano perfettamente ai canoni del genere, capaci di assicurare le stesse dinamiche in termini di ostacoli e vie di fuga. È un lavoro di taratura del metronomo dei tempi di gioco, e anche in questi termini l’obiettivo è pienamente centrato: non era affatto un risultato scontato, ed è una scelta che apporta giovamento anche sul piano visivo, con environment attentamente architettati e ben giocabili in fase di gameplay, ma anche molto belli a vedersi. Le relazioni di ordine-caos tra i vari elementi ambientali creano una perfetta armonia contestuale, restituendo il senso di opulenza e decadenza, di splendore perduto e insanità gotica che danno al titolo una cifra stilistica ben marcata, con una straordinaria cura dei dettagli che si apprezza particolarmente in ambienti come lo studio di Felton o l’attico, dove l’affastellarsi di manichini e bambole penzolanti è un altro chiaro omaggio all’iconografia di genere, una scelta quasi scolastica che riesce miracolosamente a non risultare retorica, preservando la bellezza del quadro d’insieme. I tributi videoludici, a onor del vero, sono disseminati ovunque e, se le dinamiche di gioco richiamano Clock Tower e i suoi derivati, il rapporto con la memoria-psiche richiama molto da vicino la già citata saga di Silent Hill, non ultimo Shattered Memories sia per l’oscura ambivalenza che sta nella relazione tra personaggi e ricordi perduti, sia per alcune sequenze video, dalle sedute di mesmerizzazione (dove l’inquadratura richiama il mezzobusto dello psicanalista del titolo Konami) al dondolio della ragazzina sull’altalena. Il tributo di Chris Darril non si ferma al medium videoludico, l’influenza è marcatamente cinematografica, come può intuirsi dalle lunghe cinematiche del titolo e soprattutto dall’alta cura al linguaggio di regia, all’uso della prospettiva, ai movimenti di camera, ai piani sequenza: il game designer catanese ha ammesso il proprio debito nei confronti di Polanski (palesato già nel nome della protagonista), di Lynch, di Hitchcock e del Pupi Avati de La casa delle finestre che ridono e del Demme de Il silenzio degli innocenti (che la protagonista sia molto simile a Jodie Foster lo avete notato tutti, no?) ma, a guardar bene, si riesce a scorgere anche di più: l’attico non può non riportare alla mente i manichini del Maniac di Lustig, di Tourist Trap, di House of Wax, di The Basement (o quelli del Silent Hill videoludico, of course) così come le bambole al muro ci rimandano a classici come DollsPuppet Master o al più recente Dead Silence. C’è lo sguardo abissale di David Cronenberg, la morbosità del primo Tobe Hooper, e anche la raffinata artigianalità del John Carpenter degli inizi: se dovessimo guardare Remothered solo da un punto di vista eminentemente cinematografico, sarebbe già un esordio straordinario, nel quale il director mostra di aver imparato bene anche la lezione dei grandi maestri della settima arte.
I difetti di questo primo titolo si manifestano in realtà su un piano eminentemente tecnico, con un’illuminazione a volte troppo marcata, che rende personaggi e ambienti un po’ affettati, un uso non sempre felice della saturazione cromatica (visibile fin dalle prime sequenze, a partire dalla brace della sigaretta accesa di Rosemary Reed) e animazioni che portano con sé più di una sbavatura. Ma parliamo di un lavoro indipendente, dove ai team di Darril Arts e Stormind Games va riconosciuto comunque il merito di aver ottimizzato bene le risorse disponibili, ottenendo una resa che sul piano tecnico è ottima ad onta delle imperfezioni. Se l’art-style trova i più felici risultati nel quadro d’insieme, con una quantità di elementi negli ambienti che formano uno stupendo mosaico, capace di restituire un veridico sfarzo e al contempo un’inquietante entropia, i primi piani denotano certi limiti poligonali in termini di definizione dei character, così come alcuni dettagli nei personaggi godono di scarso dinamismo, ma ricordiamo che il miglioramento di alcuni elementi in tal caso non dipende dalla sola perizia tecnica, quanto dal budget.
Il peccato meno veniale di quest’opera sta forse all’interno del comparto sonoro: se negli SFX il titolo può vantare una buona gamma ben gestita, dove i rumori di sottofondo o d’impatto sono utilizzati con sapienza, un problema non da poco si riscontra giocando in cuffia. Con gli headset alle orecchie, infatti, si può sentire chiaramente come i suoni degli stalker (dal rumore dei passi a un appropriatissimo Old MacDonald had a Farm canticchiato da Felton, scelta d’efficacia, che aumenta a dismisura il senso di inquietudine) provengano soltanto da sinistra, risultando un po’ penalizzante per l’esperienza di gioco, in un titolo dove l’ascolto del nemico diventa molto importante, in quanto le scelte riguardo il cammino determinano la vita e la morte, e un audio monodirezionale non permette di intuire la posizione del nemico. Per fortuna le meccaniche sono studiate bene e questo difetto (derivante anche dai limiti di Unreal in termini di audio 3D) risulta un limite non castrante.
Dal punto di vista sonoro, del resto, il gioco si avvale di una colonna sonora straordinaria, che vede Nobuko Toda (composer che ha contribuito a soundtrack del calibro di Final Fantasy XIV e a quelle di vari Metal Gear Solid) al fianco dell’italiano Luca Balboni, giovane compositore che recentemente aveva dato un ottimo saggio delle proprie capacità musicali in Mine, italianissimo film di Fabio Guaglione e Fabio Resinaro con un buon riscontro di critica e pubblico. Il suo lavoro in Remothered non è certo da meno, anzi, l’estrazione eminentemente cinematografica dell’OST si percepisce all’istante, si sente un debito verso grandi maestri del cinema classico come Hans Zimmer e Danny Elfman ma che non si traduce in un’obbedienza mite e pedissequa al canone: si sentono a tratti le atmosfere cupe e asfissianti del Mother! di Aronofsky, richiamando quel gioco di dissonanze messo su da Jóhann Jóhannsson, ma anche influenze più “pop”, che nei brani cantati riportano alle sonorità melanconiche e cullanti dell’Elvis Costello di Imperial Bedroom. Il risultato è una pietra preziosa sul piano compositivo, che ben si incastona in un gioiello horror del mondo videoludico indie.

Nastro rosso

Senza troppi giri di parole, Remothered: Tormented Fathers è l’esordio videoludico italiano dell’anno: con una scrittura equilibratissima, sottesa fra l’orrore della memoria e l’inferno della psiche, e una forte base cinematografica che si dispiega in intense cinematiche, il titolo riesce a sostenere dall’inizio alla fine una narrazione senza inciampi, sorretta da circa 6 ore di gameplay dinamico, ricco di enigmi ben strutturati e di fughe al cardiopalmo, in un susseguirsi di colpi di scena ed evoluzioni che non spezzano mai la tensione e stimolano la continua ricerca della soluzione per andare avanti. Nel lavoro di Chris Darril, lo abbiamo già detto, non si manifesta alcun intento rivoluzionario nei confronti del canone di genere, ma la maestria con cui è strutturato e realizzato questo titolo d’esordio rende bene l’idea di quale sia la sua cassetta degli attrezzi, lasciando grosse aspettative per il futuro.
Del resto, nelle intenzioni del game designer catanese, Remothered: Tormented Fathers è solo il primo capitolo di una trilogia di cui è stata già scritta l’intera storia: il potenziale è enorme, e ci sono tutti i motivi per attendere con trepidazione il sequel, sperando che una grossa produzione sposi il progetto e fornisca un adeguato budget per un titolo che merita i fasti del tripla A.




Until Dawn: Rush of Blood

Until Dawn: Rush of Blood

La realtà virtuale è agli inizi, finora abbiamo visto soltanto superficialmente cosa sia possibile fare: l’ambito gaming è certamente quello che ha offerto le migliori applicazioni, e gli sviluppatori della SuperMassive Games dimostrano egregiamente con Until Dawn: Rush of Blood come sfruttare al meglio alcune delle vere potenzialità di un mondo ancora tutto da scoprire.
Mixando sapientemente un’ottima grafica, un audio 3D eccellente e tempismo perfetto, il developer britannico offre un saggio di come sia possibile generare attimi di intenso terrore, alternate a corse adrenaliniche al cardiopalmo.

Uno sguardo al passato

Se Until Dawn ci aveva affascinato per una trama ricca e coinvolgente, mettendoci di fronte a decisioni che cambiavano il corso della storia, Rush of Blood punta in tutt’altra direzione.
Rush of Blood, spin-off di Until Dawn, deluderà chi si aspetti un titolo con storia approfondita e una certa caratterizzazione dei personaggi, sulla falsariga del precedente, mentre stupirà chi voglia invece approcciare a un titolo capace di sfruttare l’attuale potenziale della tecnologia VR e di mostrare come un sapiente mix di Audio 3D e Realtà Virtuale possano trasmettere sensazioni reali come ansia, senso di velocità, vuoti d’aria e attimi di intenso terrore a sorpresa.

Survival Horror o Sparatutto su Binari ?

Rush of Blood riesce nell’intendo di unire due generi, quello del survival horror, immergendoci in un’ambientazione orrorifica à la Stephen King, e facendoci letteralmente accomodare in una giostra su binari con tanto di pagliacci assassini sulla quale si basa l’impianto shooter del gioco.
Sul nostro carrellino ci apprestiamo a fare un giro sulla “normalissima” giostra, la classica Casa degli Orrori; a guidarci un cordiale giostraio che ci introduce alla visita. Purtroppo fin da subito qualcosa va storto e l’innocua giostrina si tramuta in un inferno di sangue, maiali, lame rotanti, mostri e spiriti pronti a squartarci.
Dalla nostra parte avremo come mezzi di difesa una coppia di pistole/fucili a canne mozze, cariche e pronte a inondare di piombo tutto quello che ci si parerà davanti. Le due armi, controllate separatamente grazie al supporto dei PlayStation Move, rendono l’esperienza ancora più coinvolgente e accattivante. Una volta presa la mano con i controlli e con i movimenti si riusciranno anche a colpire due bersagli contemporaneamente, come un agente segreto esperto. Due torce elettriche direttamente apposte sulle nostre armi contribuiranno a rendere l’ambientazione (fittamente buia, come in ogni horror che si rispetti) ancora più suggestiva, ci troveremo spesso a spostarle in tutte le direzioni per scorgere qualche nemico in agguato nell’intensa oscurità che ci avvolge.
È un’ambientazione atta a trasmettere una costante sensazione di ansia, ci si aspetta costantemente un’aggressione alle spalle improvvisa e, non appena abbassiamo la guardia per rilassarci, ecco lì un jumpscare a farci urlare di terrore e a costringerci istintivamente a scaricare con rabbia tutto il nostro arsenale addosso al nemico (spesso condito da qualche parolaccia), quasi a volerci vendicare dello spavento.
Dal punto di vista visivo, si è di fronte a un impianto grafico ben curata, niente che faccia gridare al miracolo, forse a una PS4 PRO avrebbero potuto chiedere di più in termini di rendering poligonale. Il tutto è condito con qualche colorazione cartoonesca, che rende il tutto ancora più surreale e un po’ da carnival game.
Le animazioni, anche grazie a una grafica poligonale non troppo pesante, risultano estremamente fluide e assolutamente naturali.
L’eccellente audio 3D gioca un ruolo fondamentale nell’esperienza, ed è spesso sfruttato subdolamente per attirare la nostra attenzione verso una parte del ambiente, per poi farci saltare urlando dal divano con un jumpscare temporizzato alla perfezione.
Il coinvolgente doppiaggio in italiano è di qualità elevata, spicca tra tutti il noto doppiatore di Joker, Riccardo Peroni, che presterà la voce al nostro “amico” giostraio.
La trovata della guida su binari, seppur regalandoci sensazioni di velocità e a volte persino vuoti d’aria, riesce a eliminare completamente i possibili problemi legati al “motion sickness”.

The Game

Il gioco si suddivide in 7 episodi di difficoltà crescente: Baita Infestata (che rappresenta una specie di introduzione / tutorial), Discesa Oscura, Hotel Horror, Braccio Folle, Città Fantasma, Miniere Mortali e Inferno Finale.
Possiamo scegliere tra 5 livelli di difficoltà, da Facile a Folle, modalità nella quale i nemici saranno molto più difficili da abbattere e i loro attacchi ci causeranno ferite più gravi, fino ad arrivare a Psicopatico in cui a vantaggio del realismo avremo soltanto una vita.
Il gioco supporta il classico Dual Shock che offre una discreta esperienza, ma il massimo del realismo e del divertimento si ottiene tramite i due PS Move che , permettendoci di controllare separatamente le due armi, ci lasciano liberi di sparare contro un nemico che ci aggredisce mentre ci troviamo girati a guardarci le spalle tramite la torcia dell’altra arma.
Il menù delle opzioni ci permette di calibrare in maniera semplice i controller e di scegliere la sorgente audio che utilizzeremo ( auricolari, TV Piccola, Home Cinema, ecc.), in modo da adattare il suono 3D, che gioca un ruolo fondamentale, al nostro “set-up casalingo“.

Must have in Realtà Virtuale

In definitiva Rush of Blood è un titolo che ogni amante della realtà virtuale deve avere nella propria collezione, da tirar fuori ogni qual volta qualche amico possa mettere in dubbio le emozioni trasmesse dal visore, in questo caso di casa Sony.
A renderlo ancora più appetibile è il prezzo davvero contenuto che, a oggi, si aggira intorno a 20 € (il gioco è stato anche distribuito gratuitamente con il PSPlus).
I cacciatori di Platino, dopo averlo completato la prima volta a livello normale, dovranno giocarlo ancora una volta al livello Psicopatico per ottenere il tanto agognato trofeo.
Nell’ancora non nutritissimo parco dei titoli offerti per chi possieda un headset per la realtà virtuale, il gioco di SuperMassive Games è insomma uno di quelli che non possono assolutamente mancare nella raccolta di tutti i fortunati possessori di PlayStation VR, capace di offrire ore di intenso divertimento a un prezzo più che commisurato.




Kholat

Dopo gli avvenimenti del 1959 sul passo di Djatlov, molti autori hanno preso spunto dall’accaduto per scrivere opere e sceneggiature, come il film Devil’s Pass, diretto da Danny Harlin o Il mistero del passo Djatlov, romanzo scritto da Anna Matveeva, e nel 2015 uscì anche un videogioco, ispirato proprio alle misteriose morti avvenute la notte del 2 febbraio 1959.

Una doverosa premessa

Durante il rigido inverno dell’anno 1959, un gruppo di 10 ragazzi organizzò un escursione attraverso gli Urali settentrionali. I ragazzi arrivarono a Ivdel’, cittadina della Russia Siberiana, in treno, e pochi giorni dopo partirono per l’escursione.
Tutti i ragazzi avevano molta esperienza alle spalle, avevano effettuato scalate, escursioni in montagna, ma la notte del 2 febbraio qualcosa sembrò non andare per il verso giusto.
Al rientro, il gruppo doveva informare la propria associazione sportiva del buon esito dell’escursione e rassicurare le famiglie, ma questo non accadde; giorni dopo i parenti delle vittime, non avendo più notizie dei propri cari, chiamarono i soccorsi, che iniziarono subito le ricerche.
Dopo settimane di ricerche, il 26 febbraio furono ritrovati i primi 5 corpi, distanti quasi 500 metri dall’ultima tenda, la quale, come sostengono le indagini, aveva subito uno squarcio dall’interno, indicando che gli sciatori erano scappati dalla tenda in preda al panico, come se qualcuno o qualcosa avesse bloccato l’entrata. Dopo quasi due mesi dal ritrovamento dei primi cadaveri, i soccorritori riesumarono altri 4 corpi sepolti sotto quasi due metri di neve: l’unico a salvarsi fu il decimo escursionista, il quale poco prima dell’inizio della spedizione ebbe un malore improvviso che gli impedì di partire.
A rendere molto più inquietante la storia, fu lo stato dei corpi degli escursionisti, ritrovati in condizioni alquanto strane e misteriose: uno dei cadaveri aveva subito una grave frattura cranica, due corpi avevano la gabbia toracica gravemente fratturata, uno anche privo di lingua, di occhi e di parte della mascella, gli altri avevano subito delle gravi lesioni agli organi interni, ma i loro corpi non avevano segni di violenze e questi danni furono paragonati agli stessi causati da un incidente d’auto.
Secondo delle analisi forensi, i vestiti delle vittime risultavano contaminati da un alto livello di  radioattività.
Una scena abbastanza inusuale e inquietante per un semplice incidente di montagna.
Su questo incidente, non ancora risolto, furono elaborate teorie di tutti i generi; molti sostenevano che le cause della morte dei ragazzi fossero d’origine paranormale, anche perché alcuni studiosi del luogo, proprio la notte del 2 febbraio, avrebbero visto delle sfere arancioni in cielo, che in seguito si rivelarono dei lanci di missili balistici R-7; altri sostenevano che il tasso di radioattività fosse riconducibile a esperimenti del governo, altri ancora credevano che gli indigeni Mansi avessero attaccato il gruppo per aver invaso il loro territorio. E sono queste le teorie che ci accompagneranno in Kholatsurvival horror sviluppato da IMGN.PRO, che prende ispirazione dai fatti precedentemente raccontati.

Narrazioni in soggettiva

Il protagonista è un uomo, non sappiamo se un semplice ricercatore o un investigatore, e non sappiamo nemmeno cosa lo abbia spinto sul luogo dell’incidente.
La scelta da parte degli sviluppatori di creare un protagonista anonimo non sembra essere delle migliori, anche perché la storia viene narrata attraverso dei ritrovamenti di pagine di giornale, registri  o diari che raccontano grossolanamente la storia, accompagnati dalla profonda voce del narratore fuori campo (Sean Bean) che ci guiderà per tutta la nostra avventura, rendendo ancora più impersonale la storia.
All’inizio del gioco, come racconta la storia ci ritroveremo a Vizaj, l’ultimo posto in cui i ragazzi si erano fermati prima di intraprendere il loro lungo viaggio, ed è da lì che inizieremo la nostra escursione per il Passo di Djatlov.
Per arrivare al primo rifugio bisognerà superare un sentiero innevato che condurrà direttamente alla tenda da cui partirà la tetra avventura narrata in Kholat.
La tenda servirà sia per salvare la partita, sia per utilizzare i viaggi veloci da un accampamento all’altro per raggiungere facilmente una tenda già visitata fra le nove presenti sulla mappa.

Perdere la bussola

Il gameplay è abbastanza scarno, quasi inesistente: il gioco ci darà l’opportunità di recuperare solo delle pagine del diario di viaggio del gruppo, pagine di registri e articoli di giornale, nient’altro.
Avremo a disposizione solamente una torcia, che utilizzeremo in poche occasioni, una bussola e una mappa. Per rendere più verosimile il gioco e avvicinarlo ancora di più alla realtà, nella mappa non è stata inserita un’icona giocatore, ma dovremo essere bravi a orientarci tra la neve, per riuscire a trovare la giusta direzione. La bussola è uno strumento che potrebbe sembrare utile per potersi orientare, ma molte volte complica solo le cose, facendo prendere vie sbagliate o facendo ritornare il giocatore al punto di partenza. Anche l’orientamento risulta molto difficile, visto che l’ambiente non ha particolari punti di riferimento a cui affidarsi.

Il nemico silenzioso

I ragazzi di IMGN.PRO hanno però pensato di agevolare il giocatore posizionando delle coordinate su alcuni massi, che indicano la posizione in cui si trova il protagonista. Questo metodo aiuta un po’ il giocatore a capire quale strada stia percorrendo e a evitare che si smarrisca, come succede la maggior parte delle volte.
Durante il nostro vagare tra i percorsi desolati e pieni di pericoli potremmo incontrare degli spiriti arancioni, i nostri nemici, che ci rincorreranno per qualche metro per poi desistere dall’inseguirci. Se dovessero catturarci non avremo via di scampo, non potremo colpirli con un arma o scacciarli via, potremo solo correre e sperare di non cadere in qualche dirupo o moriremo e ripartiremo dall’ultimo salvataggio o dall’ultima pagina trovata. Altro lato negativo è la mancanza di una soundtrack specifica o effetti audio ogni volta che si incappa in loro, l’incontro sarà talmente rapido che molte volte non si è in grado di capire da dove siano sbucati e come ci abbiano ucciso. Sarebbe stato molto gradito un qualche effetto sonoro che possa avvertirci della presenza di questi esseri o un audio ambiente atto a suggestionare e a creare quella tensione che caratterizza qualsiasi horror.

Suoni e visioni dalla Montagna dei Morti

I comparti sonoro, grafico e artistico sono molto buoni: il sonoro offre una serie di effetti che, se giocato con delle cuffie (vi suggerisco delle cuffie con surround 7.1), il gioco gode di un’atmosfera perfetta, piena di mistero e al contempo tetra e malinconica. È consigliato l’uso delle cuffie per potersi immergere quasi del tutto nell’avventura, e anche per rintracciare e raccogliere facilmente le pagine che troveremo durante il nostro vagabondare nelle fredde montagne russe.
Il comparto artistico, invece, impressiona parecchio: per essere un gruppo di sviluppatori indipendenti, IMGN.PRO è riuscito a creare un paesaggio molto caratteristico, con il colore bianco che domina sulle scene e una serie di colori freddi utilizzati per il paesaggio, accompagnati da sfumature di rosso per rappresentare le torce, fuoco e soprattutto le sagome arancioni che incontreremo durante il nostro viaggio.

Indagine sugli Urali

Kholat non è un semplice gioco, ma una ricostruzione atta a far rivivere l’incidente e a far sentire l’angoscia e il terrore che provarono gli escursionisti, la paura dello sconosciuto, la paura del non rientrare a casa, il terrore che ha spinto i ragazzi a scappare dalla tenda squarciandola dall’interno.
Kholat non è sicuramente un capolavoro, ma riesce a incuriosire, con una storia che forse non gode della migliore narrazione ma che crea quella tensione degna di un buon horror: all’inizio potrebbe sembrare frustrante non poter sapere dove si sta andando, se si sta prendendo la strada giusta e non sapere cosa ci attende alla fine del percorso, ma, con l’avanzare del gioco, la storia intriga parecchio e ciò invoglia non solo ad andare avanti, ma anche a documentarsi sull’accaduto, sia online che con i documenti che troveremo sparsi per la montagna.
Kholat si dimostra un’opera di respiro ampio, che va oltre gli standard di un gruppo indipendente: l’uso del motore grafico ha contribuito parecchio, anche se il titolo pecca non poco nella narrazione e presenta qualche piccolo difetto tecnico, tra bug o alcune imperfezioni che potrebbero essere risolte con qualche patch.
Rimane comunque un prodotto da giocare per ricostruire uno dei più suggestivi e criptici avvenimenti degli Urali, sul quale tutt’oggi si continua a faticare a stabilire una verità definitiva.

Processore: Intel Core i5-6500
Scheda video: Nvidia GeForce Gtx 1060 6GB Gigabyte G1-Gaming
Scheda Madre: MSI Z170A Gaming M3
RAM: Corsair Vengeance LPX 8GB 2400MHz DDR4
Sistema Operativo: Windows 10




Agony ha una data d’uscita

Dopo alcuni ritardi di produzione, Agony ha finalmente una data d’uscita: lo ha annunciato Madmind Studio sul profilo Twitter ufficiale del gioco:

Il titolo ambientato all’Inferno uscirà dunque il 30 Marzo 2018 su PC, e presumibilmente su Xbox One e PlayStation 4.
Non sono stati resi noti altri dettagli, ma i 12 minuti di gameplay rilasciati poco prima dell’inizio dell’estate sono stati ben accolti dai numerosi utenti che ormai da tempo attendono il gioco:




Remothered: Tormented Fathers presto disponibile in Early Access

Remothered: Tormented Fathers ha finalmente una data d’uscita: lo ha annunciato il game designer Chris Darril durante un incontro di presentazione del titolo ieri alla Milan Games Week.
Il titolo (di cui abbiamo parlato in occasione dopo aver provato la versione alpha in anteprima) è il primo di un trilogia concepita anni addietro dallo stesso Darril, che ha cominciato a elaborare trama e dettagli dell’intera storia, e che ha sviluppato assieme ai ragazzi di Stormind Games.
Chiunque voglia giocare l’Early Access potrà farlo dal 31 ottobre 2017 (in occasione della notte di Halloween) su Steam al prezzo di 12,99 €, entrando subito nella disponibilità di circa il 50% del gioco e aiutando così gli sviluppatori a correggere gli ultimi bug e a limare il titolo, il cui sviluppo è ormai praticamente terminato. Ovviamente, acquistando Remothered in Early Access si entrerà poi automaticamente in possesso della versione definitiva del gioco (che avrà un prezzo superiore, al momento della sua messa sul mercato) e si potrà continuare a giocare da dove si è terminato in occasione dell’accesso anticipato.
Gli sviluppatori stanno piuttosto lavorando duramente per migliorare la versione PS4 di Remothered, sulla quale potrebbero essere forniti ulteriori dettagli proprio il 31 ottobre, assieme a informazioni sulla release definitiva del gioco.
Chris Darril e il team di Stormind Games saranno presenti anche oggi, domenica 1 ottobre, alla Milan Games Week con lo stand di Remothered: Tormented Fathers, dove sarà possibile provare il titolo.




The Evil Within 2: un trailer svela Padre Theodore

Padre Theodore è uno dei personaggi più enigmatici di The Evil Within 2. Bethesda ha da poco rilasciato un trailer con protagonista lo stesso sacerdote, pronto a presentare un nemico che Sebastian si troverà ad affrontare.

Bethesda stessa descrive così “il sacerdote retto e vendicativo”:

«Secondo la visione di Theodore, la Mobius ha perso di vista i veri obiettivi legati allo STEM. La corporazione intende utilizzare questo congegno per controllare la popolazione, mentre Theodore ritiene di essere una figura decisamente più indicata per farlo, e vede lo STEM come un metodo per espandere la propria influenza. Pertanto, ha intenzione di ingannare la Mobius dall’interno, esercitando il proprio controllo non solo sulla popolazione di Union, ma anche su Sebastian.
Come Stefano, anche Theodore non agisce da solo nello STEM. Tuttavia, a differenza di Stefano, ad aiutarlo non sono creature generate da lui, bensì gli Araldi, persone comuni la cui mente è stata piegata per obbedire al suo volere. Gli Araldi sono armati di lanciafiamme e sembrano esistere esclusivamente per eseguire gli ordini di Theodore, bruciando chiunque rappresenti un ostacolo.»

Da Bethesda non aggiungono altro sul suo passato perché comporterebbe “grossi spoiler”.

Vi ricordiamo che il survival horror con protagonista Sebastian Castellanos uscirà venerdì 13 ottobre 2017 per PlayStation 4, Xbox One e PC.




Outlast e il DLC Whistleblower scaricabili gratis su Humble Bundle

Outlast e il suo DLC Whistleblower sono disponibili gratuitamente presso il sito Humble Bundle. Per chi non lo conoscesse, si tratta di un survival-horror sviluppato da Red Barrels ambientato in un ospedale psichiatrico. Il giocatore impersona il giornalista Miles Upshur intento a indagare sugli atroci che hanno avuto luogo nella struttura. Per sopravvivere sarà necessario scappare e nascondersi mentre si raccolgono le informazioni sufficienti per ricostruire la storia. Il DLC Whistleblower è un ulteriore approfondimento che tratta gli avvenimenti precedenti visti attraverso gli occhi di un ex dipendente presente al momento dei fatti.
L’offerta rimane sarà usufruibile fino a sabato 23 settembre 2017 alle ore 18:00 ed è attualmente scaricabile qui.




Darkwood su un torrent per contrastare i key-reseller.

I creatori di Darkwood hanno caricato una versione completa del loro nuovo survival horror su un torrent. Da Acid Wizard Studio affermano di averlo fatto per i giocatori che non abbiano abbastanza soldi per acquistare il loro, dando così loro una versione “sicura” da scaricare. Al contempo, lo sviluppatore polacco spera anche che quest’iniziativa dissuada ad acquistare il gioco dai key-reseller, i quali sono «un cancro che sta salassando questo settore».
Le affermazioni Darkwood è un gioco di orrore di sopravvivenza top-down, immerso in terribili boschi, ricchi di cose terribili, spaventose e dannose. Esplorare, scavare, cercare e cercare di sopravvivere. Ha lanciato la scorsa settimana dopo tre anni di accesso precoce.

Lo sviluppo è stato un viaggio lungo e spesso difficile, come ha detto Acid Wizard Studio nel comunicato di oggi. Adesso è finalmente fuori, dicono, essi sono inondati con le e-mail che cercano di usare i tasti gratuiti di vapore con l’intenzione di rivenderli. Questo “rende impossibile per noi fare omaggi o inviare chiavi a persone che in realtà non hanno i soldi per giocare a Darkwood”.

Acid Wizard Studio si unisce a una lunga serie di sviluppatori non più soddisfatti dei rivenditori.

Dicono che sono stati anche commossi da un giocatore che ha chiesto un rimborso “perché non ha voluto che i suoi genitori vengano sottolineati quando vedono il conto alla fine del mese”.

Così per incolpare con esso! Hanno caricato l’ultima versione di Darkwood DRM-free al sito torrent The Pirate Bay.

“Se non hai i soldi e vuoi giocare, abbiamo un torrent sicuro sulla Pirate Bay dell’ultima versione di Darkwood (1.0 hotfix 3), totalmente DRM-free. Non ci sono catture, nessun cappello pirata aggiunto per personaggi o qualcosa del genere. Abbiamo una sola richiesta: se ti piace Darkwood e vuoi che continuiamo a fare giochi, consideriamo di acquistarlo in futuro, forse in una vendita, tramite Steam, GOG o Humble Store. Ma per favore, per favore, non acquistarlo tramite qualsiasi sito di rivendita. Facendo questo, stai solo nutrendo il cancro che sta scendendo da questo settore “.

Darkwood costa € 11,99 / 13,99 € / $ 14,99 su Steam, GOG e l’Humble Store.

Credo che il nostro Adam sta giocando a Darkwood e intende raccontarci tutto quello che pensa ma, tra una vacanza e una partita a Gamescom, è stato un ragazzo impegnato con molte altre cose da fare. Speriamo che troverà il tempo. Tutto quello che ho sentito parlare di Darkwood è buono, ma sono un grande bambino fraidy e cerco rassicurazione.