Octopath Traveler

Sin dal suo annuncio nel gennaio del 2017, Octopath Traveler ha riscontrato parecchio interesse tra i possessori dell’ibrida di casa Nintendo, molti dei quali (me compreso) nostalgici dell’era a 16 bit, che non potevano restare indifferenti a uno stile grafico richiama chiaramente giochi come Final Fantasy VI e in generale molti jrpg presenti sulla console Super Nintendo.
Da allora sono state pubblicate due versioni dimostrative, la prima permetteva di utilizzare soltanto 2 personaggi (Primrose e Olberic), mentre la seconda permetteva di giocare con tutti gli 8 personaggi, e permetteva di mantenere il salvataggio per poterlo utilizzare nella versione completa.

Possiamo scegliere un personaggio tra gli 8 disponibili, ognuno dei quali ha una storia personale; progredendo nell’avventura potremo incontrare gli altri protagonisti e scegliere se portarli insieme a noi oppure ignorarli. Nel primo caso sarà possibile anche ascoltare la loro storia e inserirli nel nostro party (è possibile utilizzare soltanto 4 personaggi alla volta).
Ogni storia è suddivisa in 4 parti, ognuna delle quali con un livello consigliato per affrontarla e un un boss finale (unico per ogni personaggio): ciò che differenzia maggiormente il gioco dagli altri jrpg è il tono più maturo di alcune delle storie, che affrontano anche temi difficili e scottanti quali la prostituzione, e sono raccontati molto bene, godendo di buona localizzazione in italiano, di cui sono presenti i sottotitoli.
Un limite narrativo è dato dalla mancata interazione dei personaggi tra loro: a parte qualche dialogo opzionale, ogni storia è vissuta allo stesso modo indipendentemente dagli elementi del nostro party, i quali servono soltanto ad aiutarci nelle battaglie e non influiscono minimamente nella trama.

Gli sviluppatori hanno voluto adottare uno stile grafico (chiamato da loro HD-2D) atto a evocare la nostalgia degli appassionati di jrpg a 16 bit degli anni ’90, usando però anche le tecnologie moderne; il gioco gira sull’ Unreal Engine 4, gli sprite sono rigorosamente in pixel art 2D, mentre il mondo di gioco è in 3D, pur mantenendo uno stile rigorosamente retrò: come se un gioco del Super NES acquistasse la terza dimensione ed effetti di luce e particellari moderni, insomma.
Di certo non si griderà al miracolo, non può certo reggere il paragone con i giochi AAA attuali, ma gli appassionati apprezzeranno sicuramente il lavoro di Acquire.
La colonna sonora a cura di Yasunori Nishiki è di ottima fattura e calza a pennello con ogni situazione di gioco, sia nei combattimenti che durante l’esplorazione della mappa o le visite nelle  città, anche il doppiaggio in inglese è ottimo, gli attori fanno il loro dovere nelle svariate situazioni, il gioco è sottotitolato in italiano per la gioia di chi non mastica l’inglese.

I produttori di Octopath Traveler hanno lavorato precedentemente a Bravely Default Bravely Second: End Layer e la somiglianza maggiore tra questi titoli sta nel combat system: se in Bravely  Default potevamo accumulare potenza mettendoci in difesa, per poi eseguire fino a 4 colpi consecutivi, in Octopath Traveler saremo in grado di colpire i punti deboli dei nemici (una volta trovati) fino a quando questi entreranno nello status “dominio”, nel quale rimarranno storditi per un turno, e noi potremo punirli accumulando potenza dei colpi fino a 4 volte e rilasciarla con un devastante attacco.
Gli scontri sono rigorosamente a turni, e offrono un livello di sfida sempre crescente, alcuni boss necessitano di una buona strategia per essere sconfitti, ma il tutto non risulta mai frustrante, e le sconfitte ci spronano a trovare nuove strategie e combinazioni di classi.
Ogni personaggio rappresenta una classe: Olberic è il guerriero, Ophilia è la guaritrice, Therion il ladro e via dicendo. Ognuno di loro ha delle abilità uniche, Olberic può sfidare altri NPC a duello per guadagnare esperienza, mentre Therion può rubare loro degli oggetti. Ogni personaggio può però scegliere una classe secondaria (trovando dei santuari che le sbloccano) tra cui anche 4 classi speciali (segrete). Le combinazioni sono davvero tantissime, considerando sia le abilità attive che quelle passive che ogni personaggio acquisisce con l’aumentare del proprio livello.
Gli scontri avvengono in maniera casuale mentre si esplora la mappa o i numerosi dungeon, esattamente come i vecchi jrpg dell’era a 16 bit, e potrebbe essere motivo di frustrazione per chi non digerisce questo tipo di meccanica.
Oltre alle storie principali dei protagonisti, possiamo affrontare tantissime missioni secondarie, alcune delle quali aggiungono degli importanti pezzi alla trama principale, ma trovarle è davvero difficile, e potrebbero passare inosservate ai poco attenti; inoltre il gioco non ci aiuta minimamente su come risolverne alcune davvero ostiche, il diario tiene traccia soltanto delle storie principali e non c’è modo di controllare le missioni che stiamo seguendo, e forse riguardo questo aspetto si poteva fare di più.
La longevità si attesta su ottimi livelli, per finire le storie principali ci vogliono circa 40 ore di gioco, mentre per completarlo al 100% ce ne vorranno almeno il doppio.

Octopath Traveler si rivela un titolo molto interessante, ma non per tutti, chi non digerisce la grafica in pixel art e i jrpg old school con combattimenti a turni e scontri casuali ne stia alla larga, ma per i nostalgici dell’era a 16 bit è un gioco da tenere altamente in considerazione. Anche se non perfetto, offre tantissimi contenuti che terranno impegnati per svariate ore. Se amate i giochi di ruolo giapponesi di altro tempo e siete possessori di Nintendo Switch, non lasciatevelo scappare.




10 punti a favore della battle royale

La Battle Royale è, nel 2018, il genere dominante; con i suoi milioni di player è sicuramente la tipologia di videogame più giocata al momento grazie a titoli quali Fortnite e Playerunknown’s Battlegrounds, e ai numerosi epigoni che ne sono nati. Molti ne hanno fatto già oggetto di polemica, molti li vedono come il male, come materia di consumo, ma in realtà hanno apportato vari benefici e hanno molto da insegnare. Vi diamo dieci motivi per cui il genere fa bene a tutti, developer e non.

1. Puoi essere punito

Nessuno avrebbe pensato che un gioco dove 99 volte su 100 si perdono i progressi acquisiti sul campo avrebbe avuto successo: qui, dopo aver sudato sul farming, si può perdere tutto anche con un minimo sbaglio. I Battle Royale ci insegnano le conseguenze degli errori punitivi.
Negli ultimi anni, gli sviluppatori hanno tentato di allontanare i giocatori da qualsiasi fattore negativo: in Overwatch il kda (rapporto uccisioni/morti/assist) è sostituito da medaglie ricevute attraverso le azioni fatte dal giocatore.
Invece, titoli quali PUBG, ti sbattono in faccia il fallimento. Ma è proprio questo che riporta i giocatori a fare delle partite, la voglia d’imparare e di dominare sugli altri. Il fallimento, spinge i giocatori a migliorare le proprie abilità così da poter abbattere qualsiasi avversario. E non poi tanto diverso, sia sul mercato videoludico che nella vita, no?

2. Free to Play > gioco a pagamento

Uno dei fatti più importanti riguardanti il genere è la lotta per la ribalta tra due giochi che dominano la scena del genere: PlayerUnknown’s Battlegrounds, titolo di fascia di prezzo media che è stato surclassato sei mesi dopo dalla versione F2P (free to play) di Fortnite. Nonostante sia stato rilasciato dopo il titolo di Bluehole, il gioco di Epic domina oggi in termini di utenti.
Affiancato a molti fattori che hanno portato al successo di Fortnite, il più grande contributo al successo del gioco è stata la mancanza di un costo. Avendo visto questa dinamica in giochi famosissimi come League of Legends e Hearthstone, è ormai palese che il modello F2P rende di più, se ben utilizzato. Buon per gli utenti che possono giocare gratis, e bene per gli sviluppatori che imparano a farne tesoro.

3. La qualità è tutto

Vero, quel che è gratis si può fruire facilmente. Ma questo non vuol dire che non importi la qualità Un altro fattore dominante di Fortnite è come si è gestito dopo il lancio. Il titolo di Epic è stato costruito su basi più stabili, essendo appoggiato a un gioco già esistente. La software house è stata in grado di aggiornare il loro gioco con maggiore attenzione e frequenza a quel che volevano i giocatori: una maggiore varietà di gameplay e skin da poter acquistare. Nel frattempo, PUBG , d’altro canto, ha faticato per colpa del “peso” del titolo, i numerosi bug ecc ecc, lasciando la propria fanbase infastidita e col tempo meno propensa a giocare al loro gioco.
Visto che i giochi diventano sempre più qualcosa di routinario, l’ampliamento e la variazione dei contenuti permette un aumento di giocatori e il loro mantenimento all’interno del gioco, e gli sviluppatori lo sanno: un gioco che vuole lunga vita, deve avere un alto livello qualitativo.

4. SKIN SKIN SKIN

Tutti i F2P incassano i soldi tramite piccole transazioni estetiche, cappelli, magliette, animaletti ecc. Nel caso di Fortnite, il titolo ha portato a una vera è propria “skin mania”: dobbiamo ricordare che il titolo di Epic Games ha raggiunto il primo posto sull’App Store proprio in tema di transazioni.
L’ampia vendita di skin e oggetti vari è dovuta al fatto che i giocatori (specie i più costanti) vogliono differenziarsi gli uni dagli altri in combattimento. All’interno di Fortnite, le skin migliori si ottengono tramite il pass battaglia (che costa 10 euro). Ovviamente, anche qui la qualità è fondamentale: più le skin saranno belle, più bello sarà il gioco. Un vantaggio per i giocatori, che avranno elementi estetici più belli, e per i developer, che incasseranno di più.

5. Modder al lavoro!

All’inizio del decennio, sembrava che la scena indie sarebbe stata la fonte di una nuova aria di rinnovamento per l’ambiente videoludico grazie alle nuove esperienze e a nuove tipologie di giochi.
In pochissimo tempo la scena dei modder è diventata il fulcro di creazione di generi (ricordiamo la nascita dei MOBA). All’interno del settore vengono sperimentate molte idee, quindi se una mod attira pubblico arriveranno altri titoli dello stesso genere o spin-off, con l’idea che si modifica e migliora. La prima mod della Battle Royale è comparsa nel 2012 su Minecraft (Hunger Games), impiegando cinque anni per diventare ciò che conosciamo oggi attraverso una manciata di modder che hanno avuto un ruolo chiave. Qui è dove i giocatori si fanno sviluppatori. Che meraviglioso inno alla creatività.

6. L’evoluzione del genere è rapida

Una volta che un gioco è stato rilasciato e il predecessore è surclassato, c’è l’inevitabile reazione dello sviluppatore “indignato”, che farà di tutto per denigrare il nuovo titolo. Tuttavia, è facile perdere la cognizione di ciò che sta realmente accadendo: la rapida evoluzione di un genere.
Mentre la battle royale ha visto sei anni di perfezionamento dalla parte mod, solo negli ultimi mesi abbiamo visto la reale trasfigurazione del genere.
È in momenti come questi che dobbiamo ricordare che, quando i developer della metà degli anni novanta iniziarono a elaborare le meccaniche per quello che oggi conosciamo come sparatutto in prima persona, i loro lavori furono soprannominati inizialmente come “cloni di Doom“. E un genere nasceva, fino a diventare uno dei più importanti del mondo videoludico come lo conosciamo.

7. Crossplatform ovunque

L’utilizzo di più piattaforme di gioco è sicuramente un enorme vantaggio. Il successo di PUBG e di Fortnite ha portato questi titoli dal PC alle console sino al mobile con un successo impressionante.
I controlli virtuali dei telefono touchscreen sono sempre stati molto imprecisi e troppo “meccanici” ma, grazie al fatto di aver mutuato l’utilizzo dei controlli da titoli cinesi come Arena of Valor, sia Fortnite che PUBG sono riusciti ad avere versioni mobile abbastanza giocabili.
Inoltre, il crossplay di Fortnite consente ai giocatori di qualsiasi piattaforma di giocare con chiunque vogliano. Epic sta quindi guidando, simbolicamente, un’armata per poter distruggere il muro protettivo che divide le piattaforme di gioco, a vantaggio di tutti.

8. La Battle Royale fornisce aneddoti infiniti

Una delle caratteristiche uniche della battle royale è la possibilità di poter creare aneddoti infiniti: «sai, una volta in una partita di PUBG ho fatto un salto mortale con la moto uccidendo 2 persone».
Questo succede grazie all’inserimento di 100 giocatori all’interno di una partita, creando dunque milioni di possibili futuri. Si hanno delle interazioni intenzionali ma impreviste vista l’impossibilità di sapere come risponderà l’altro giocatore.
Paragonati ai Battle Royale, i MMORPG, sono completamente devoti a quello che i progettisti hanno creato per loro: l’esperienza di due giocatori che si scontrano in un raid è spesso simile. Invece, giochi come Fortnite si liberano dai percorsi “base” dando spazio ai giocatori, al fato e alla creatività di quest’ultimi.

9. Potere agli Esport

Con il genere Battle Royale è molto difficile creare qualche torneo su ampia scala ma, ricollegandoci a quanto detto nel punto 8, la grande variabilità di gameplay spinge i due re del genere alle prime posizioni di Twitch, battendo anche il colosso League of Legends.
Con un pubblico giornaliero medio di 15 milioni di utenti, Twitch è diventato una risorsa importante per i giocatori. Ed è proprio questa “pubblicità” gratuita che ha permesso a titoli come Fortnite di crescere così rapidamente. Infatti, Epic stessa ha scritto una grande lettera agli streamer e ha offerto loro una competizione con un montepremi da 100 milioni di dollari. La crescita degli Esport è importante per il mondo dei videogame, che può usufruire oggi anche del riconoscimento del Comitato Olimpico. Non poco per la dignità del settore.

10. Il gioco è ora la cultura pop

Da Drake su Twitch ai calciatori inglesi, il successo di Fortnite ci ha dimostrato che ormai i videogiochi sono un riflesso della cultura pop. Durante la “Pac-Mania” degli anni ’80 e la breve iconicità di Lara Croft negli anni ’90, sembrava che i giochi fossero qualcosa di passeggero. Oggi pare che i media più diffusi vogliano affrontare temi videoludici allo stesso modo della musica, del cinema, della TV o della stampa. Con ogni anno che passa, i videogiochi diventano sempre più mainstream all’interno della cultura generale.
Oggigiorno i videogiochi non sono la più fruiti soltanto da una piccola parte del mondo: ormai sono usati per intrattenere e sono posti allo stesso livello dei film o della musica. I videogiochi sono adesso cultura pop!




Il gaming estivo di un musicista ramingo

La vita del musicista, d’estate, è la più bella che ci sia: fare chilometri e chilometri con l’auto piena a tappo di strumenti, casse e costosissime apparecchiature per poi ripercorere le strade a ritroso in tarda notte; quando la musica finisce, le vie sono vuote e la gente esausta torna a casa. Ogni sera un luogo diverso, gente diversa e mangiare diverso, notti fatte di scoperte, conoscenze e, talvolta, anche assurdi imprevisti.
Tuttavia, per un giocatore quel tempo investito in musica si traduce anche nel dover mettere da parte la propria console e nel giocare quando il tempo lo permette, nelle rare serate quando nessun pub, bar, chiosco o comune richiede la presenza della propria band; ci si sveglia tardi per la stanchezza della sera prima, ci si prende un caffè, si va a pranzare poco dopo e presto bisogna fare una doccia perchè la prossima serata è ormai a un paio d’ore. La console rimane impolverata accanto allo scaffale e la pila di giochi che hai comprato rimane lì, in attesa che tu possa prendere il controller e passare delle sane ore di gaming.

Quando finalmente il calendario non segna un impegno della tua band, ci si chiude in camera, si regola il condizionatore a 18°, si mette il cellulare in modalità silenzioso e via, soli con l’avventura del momento e il caldo afoso fuori, fino a quando il sole non si fa color porpora; dopo tante serate passate a suonare per il divertimento dei clienti in un locale, del tempo per noi stessi in cui goderci quel gioco compato a inizio estate e che fino a quel momento non si è riusciti a giocare.
Quando questa speciale sessione a tu per tu con la console termina si fa un salto da qualche parte con gli amici e si finisce ancora a parlare di quella avventura che si sta giocando e che nel frattempo sta affrontando anche l’altro amico: ci si confronta su chi è andato più avanti, chi ha preso quell’arma, chi ha incontrato quel NPC…

E poi finalmente – abbastanza assurdo d’estate – si va a letto a un orario abbastanza decente e ci si sveglia beatamente l’indomani. Ma la quiete viene interrotta dagli amici che bussano a casa per giocare a Donkey Konga fino a farsi diventare le mani rosse, sapendo peraltro che quella sera ci si ritroverà nuovamente a suonare! Anche quando tenti di tenerla fuori, la musica continua sempre a inseguirti e, per quanto bella, quando incontra i videogiochi può esserlo ancora di più.




Overcooked 2

Sono trascorsi esattamente due anni dal lancio su PC del primo capitolo di Overcooked, adrenalinico party-game culinario sviluppato da  Team17 e Ghost Town Games. Oggi, visto l’enorme successo raccolto dal predecessore su tutte le piattaforme, esce OverCooked 2, riproponendo un invariato stile di gioco accompagnato da nuovissimi livelli e con una veste grafica leggermente più curata sotto certi aspetti.

Master Chef

Nel primo Overcooked abbiamo dovuto cimentarci in una folle corsa contro il tempo e in un durissimo allenamento per poter arrivare all’ultimo stage e batterci con il terribile appetito del final boss per salvare il mondo, passando attraverso coloratissimi livelli fuori di testa del Regno delle Cipolle. Sicuramente Overcooked è stato – ed è tutt’ora – uno di quei giochi dell’universo indipendente che ha lasciato a bocca aperta per la sua unicità, per una riuscitissima meccanica di gioco e per le tantissime ore di divertimento che è in grado di regalare. È possibile giocarlo da soli nella modalità campagna o in compagnia di uno o più giocatori, dividendo il joypad o la tastiera metà per uno o utilizzando una periferica per ognuno. In Overcooked 2 conosceremo tanti nuovi e bizzarri chef che si aggiungeranno a quelli già conosciuti nel primo capitolo, con piatti nuovi ed elaboratissimi che metteranno a dura prova le nostre doti culinarie!
Ogni livello nasconde nuove insidie e piatti sempre più elaborati che renderanno difficile la preparazione delle nostre ordinazioni. Lo scopo dei giocatori per ogni livello, sarà quello di completare più piatti possibili in un tempo limite senza troppi errori, in modo da poter guadagnare più stelle possibile – massimo 3 stelle per livello che serviranno per lo sblocco degli stage successivi.
Overcooked 2 è a tutti gli effetti il sequel del primo capitolo, o dovremmo forse dire, la continuazione?
Sì perché a conti fatti, anche i primi livelli di questo nuovo capitolo, potrebbero sembrare un po’ ostici per chi non abbia avuto la fortuna di potersi infarinare con le meccaniche di gioco del primo, quasi come se gli sviluppatori diano per scontato che l’utente debba conoscere il gioco. La complessità di alcuni livelli spesso impedisce di prendere al primo tentativo le agognate 3 stelle, costringendo anche i giocatori che hanno già approcciato al primo capitolo a dover ritentare per sperare in un risultato migliore. Sin dall’inizio vengono richiesti una forte dose di manualità con i comandi base del gioco e un altissimo spirito di squadra, in una eventuale modalità cooperativa, per poter completare i vari stage.

Il Co-Op: la morte sua

Chi abbia giocato al primo Overcooked e ai suoi DLC potrà notare facilmente le doti richieste da questo secondo capitolo. Per il primo, come per il secondo, la modalità “giocatore singolo” a volte potrebbe risultare troppo macchinosa e complessa, tra lo switch dei 2 personaggi e l’organizzazione delle pietanze ci si confonde con molta facilità. In definitiva, la modalità vincente è sicuramente quella cooperativa: completare la campagna in multiplayer, non ha prezzo. Anche per il nuovissimo Overcooked 2, che abbiamo giocato su PC, con joypad per uno e tastiera per l’altro giocatore, la massima espressione risiede nella modalità multi-giocatore. Giocando in compagnia le ore trascorreranno talmente veloci tra urla, spintoni e risate, che non vorrete più staccarvi dalla TV. C’è da dire che è un gioco studiato per l’utilizzo di joypad, ragion per cui la tastiera è altamente sconsigliata, devo ammettere di aver avuto non poche difficoltà nel controllare il mio personaggio.

Cosa puzza di bruciato?

Nonostante io adori questo gioco in tutte le forme, c’è da dire che forse qualcosa non è proprio come dovrebbe essere. Partiamo dalla mappa, che con la sua nuova veste grafica è tanto bella quanto confusionaria, uno zoom troppo vicino impedisce di trovare subito i nuovi livelli sbloccati, che seguono una curiosa numerazione che avanza per multipli (1-2, 1-4, 1-6, 2-3, 2-6). Non è chiaro il motivo di questa scelta considerato che nel primo Overcooked erano numerati normalmente. In secondo luogo, come già detto, il livello di difficoltà si mostra sin da subito eccessivo, diventando ancora più impegnativo avanzando nel gioco, caratteristica questa che potrebbe far desistere chi si affacci per la prima volta alle meccaniche di Overcooked – fuoco sul pavimento che impedisce il movimento, automobili che investono il giocatore e tantissime altre insidie che non fanno ben sperare già dai primissimi livelli.

Tecnicamente

Il comparto tecnico è ineccepibile, il gameplay è rimasto invariato e altrettanto ben congegnato, molto fluido e semplice. Graficamente le migliorie sono visibili nei piccoli dettagli, shader più elaborati e texture più definite, soprattutto nella mappa di selezione dei livelli che vede un nuovo tabellone sviluppato su più livelli, per il resto il gioco non sembra aver subito significativi cambiamenti in questo versante. La colonna sonora cavalcante, chiaramente ereditata dal primo capitolo, è azzeccatissima e accompagna il gioco col giusto ritmo incalzante, rendendolo ancor più adrenalinico di quanto già non sia.

Tirando le somme

In definitiva questo nuovissimo Overcooked 2, a differenza del primo, non è un gioco proprio per tutti. Perché questa scelta? Selezione naturale? Mi rendo conto solo a posteriori che, se non avessi giocato il primo capitolo, con molta probabilità non avrei potuto apprezzare davvero il lavoro svolto da Team17 in questo secondo OverCooked. A ogni modo, se vi piacciono i party-game in locale e un alto livello di sfida che nei suoi picchi massimi potrebbe rasentare la frustrazione, sento di potervene consigliare caldamente l’acquisto, perché credo che, nonostante le sue imperfezioni, al momento la serie Overcooked, per la sua extra-dose di divertimento, detenga il titolo di “Re dei party-game” su ogni piattaforma.

Update After Launch: E luce fù!

Ed è come l’arcobaleno dopo la tempesta che Overcooked dopo la release ufficiale al day one, da bruco si fa farfalla e spicca il volo come prima era stato capace di fare il suo predecessore. La versione inviataci prima del rilascio sul mercato deludeva sotto vari aspetti.
Andando sullo specifico, dopo la data di uscita sono stati inseriti diversi elementi, uno su tutti diverse possibilità di gioco in multiplayer, organizzando partite pubbliche o private; All’inizio del gioco in modalità “storia” è stata aggiunta una clip iniziale che funge da breve premessa agli avvenimenti che spingeranno i nostri mini-chef, a intraprendere quest’avventura.
Il più importante cambiamento lo vediamo sulla mappa, in cui adesso l’avanzamento dei livelli avviene in modalità naturale, seguendo l’ordine numerico 1-1, 1-2, 1-3 e così via. Un’ altra delle mancanze sottolineate nella versione inviataci, è stata fortunatamente colmata e anche qui, come nel primo capitolo di Overcooked, dopo ogni stage completato avremo un percorso da poter seguire con il nostro furgoncino – senza perderci, come capitava spesso nell’anteprima – fino al prossimo livello appena sbloccato.
Insomma, a guardarlo adesso Overcooked 2 è quasi un altro gioco, degno erede di quello che prima di lui conquistò secondo noi il titolo di party game definitivo.
Non è la prima volta che videogame a rilascio sia sostanzialmente diverso rispetto all’anteprima: un altro chiaro segno della necessità Per ogni professionista di settore di rivedere un gioco più volte – al netto Dunque di patch e aggiornamenti – prima di poter emettere un verdetto definitivo.




Milanoir

Si dice che in un film noir che si rispetti non ci sono “buoni” e “cattivi” ma solamente “cattivi” e “peggiori”, personaggi che potremmo amare in un momento ma che in seguito potremmo persino arrivare a odiare. Le atmosfere dei crime drama e polizieschi noir italiani degli anni ’70, l’epoca d’oro di certi film, riprendono vita in questo nuovo top-down shooter 2D sviluppato da Italo Games; stiamo appunto parlando di Milanoir, un gioco tostissimo, dal carattere originale e dalle tematiche molto forti (tanto che in Europa ha ricevuto il PEGI 18). Tramite gli occhi del nostro protagonista, vedremo il lato oscuro della brillante Milano, nei quartieri in cui il crimine dilaga e il braccio della legge fatica ad arrivare. Il gioco è disponibile su PlayStation 4, Xbox One e da poco anche su Nintendo Switch ma noi prenderemo in esame la versione per PC.

La guerra di Piero

Sin dai primi momenti il gioco ci porta in quella che è la Milano degli anni ’70: una città brulicante di vita ma che cela un animo oscuro nelle sue vie peggiori, strade in cui le piccole gang si contendono il territorio a colpi di pistola e dove pullulano Vespe Piaggio, ubriaconi e prostitute straniere. Il nostro Piero Sacchi, milanese di nascita, sa bene come vanno le cose nei quartieri bassi ma almeno è sicuro di frequentare le persone giuste, ovvero la banda del boss Nicola Lanzetta di cui è il killer numero uno e anche il braccio destro. La cosa lo riempie d’orgoglio e non c’è occasione in cui non sbatta in faccia la situazione al Torinese, il suo rivale giurato; tuttavia, una sera, le cose si mettono male per il nostro protagonista e ben presto si troverà in un guaio che lo macchierà a vita, generando in lui un forte desiderio di vendetta. Sin dai primi momenti verremo catapultati in una Milano malfamata e piena di problemi, per causarne ancora di più in nome del clan dei Lanzetta; col progredire della storia ci troveremo dunque a far fuori altri boss di quartiere, bracci destri e killer spietati ma avremo anche modo di conoscere altri misteriosi personaggi che daranno sempre più profondità alla più che profonda storia che ci viene proposta. I controlli sono più da FPS che da twin-stick shooter, al contrario di quanto ci si aspetterebbe da un gioco che propone una prospettiva bird eye; l’opzione che più si addice a questo tipo di gioco è quella di usare mouse e tastiera per muoverci in ogni direzione (limitate sempre alle otto direzioni concesse dai quattro tasti) e mirare con molta facilità mettendo il puntatore al di sopra del nemico. Col joypad ci si può muovere con più precisione ma mirare non è proprio semplicissimo. Come abbiamo detto prima, ci aspettavamo dei controlli più in linea con i twin-stick shooter ma invece abbiamo un sistema che semplicemente sostituisce il puntamento del mouse con la levetta destra del controller e ci duole dire che non è il massimo. Il mirino non torna in una posizione di default, né funziona come abbiamo visto in giochi come Tower 57 o nella versione per console di Hotline Miami; tuttavia, un sistema di controllo analogo a quest’ultimo lo troviamo durante le sezioni sui veicoli, e ci chiediamo come mai non sia stato implementato nel resto del gioco. Il controllo col joypad non è comunque totalmente debilitante in quanto è presente anche un sistema di mira automatica quando un bersaglio sarà sulla linea di tiro di Piero (e anche visibile); inutile dire che entrambi i metodi sono buoni ma, viste le scelte dei programmatori, è meglio utilizzare mouse e tastiera.
Il gameplay che ci viene proposto è tipicamente da top-down shooter, giusto con una punta di stealth e concentrato per lo più sullo storytelling e non totalmente sull’azione (o tanto meno sul realismo di quest’ultimo); dovremo superare intere orde di sgherri muniti di pistole, fucili, coltelli e quant’altro alternando in maniera più equilibrata possibile copertura e azione. Coprirsi dietro casse, muretti e quant’altro è importantissimo al fine di rimanere vivi poiché a ogni schermata potrebbe presentarsi un vero inferno e noi, con la nostra sola pistola (che nonostante le munizioni infinite dovremo sempre ricaricare manualmente), potremo non farcela. Di fronte a questi scenari possiamo appoggiarci alle armi secondarie ma, dal momento che non appaiono frequentemente, i nostri più grandi alleati saranno i cartelli stradali… Avete capito bene! È possibile che certi obiettivi non siano raggiungibili tramite un colpo diretto e andare in avanscoperta per stanarli potrebbe risultare molto rischioso; perciò, se nelle vicinanze c’è un cartello stradale, è possibile sparargli per far sì che il nostro proiettile colpisca automaticamente un obiettivo con un rimbalzo. È una meccanica che si ripete molto spesso nei livelli, è ben implementata e risulta persino varia: quelli rotondi permettono di centrare un obiettivo, quelli rettangolari due e il segnale dello stop arriva fino a sei bersagli. Lo stesso non si potrebbe dire per ciò che riguarda le armi secondarie vere e proprie, ovvero il revolver, le molotov e le granate: nulla a che vedere con la loro utilità in battaglia dal momento che funzionano a dovere e sono divertenti da usare (soprattutto il primo che permette di far fuori più nemici con un solo proiettile) ma sono generalmente pochi e poco frequenti. E parlando di povertà nel comparto delle armi secondarie ci tocca anche parlare della povertà del gameplay in generale; non fraintendeteci, ci siamo divertiti moltissimo con Milanoir, ma semplicemente è un gioco tendenzialmente statico e le sue sezioni si ripetono troppo spesso. Non che i livelli si somiglino, ma alla lunga si percepisce una forma di monotonia che potrebbe farci completare parte dei livelli un po’ controvoglia, specialmente le sezioni un po’ troppo difficili (come la boss battle contro l’Africana nel Pirellone); in ogni caso, la modalità principale è giocabile per due giocatori e può restituire un po’ di divertimento in più e magari alleggerire alcune parti snervanti. Sempre in due (o da soli) è possibile fare del nostro meglio nella modalità arena: ci ritroveremo catapultati in alcune schermate in cui i nemici arriveranno a orde e a noi toccherà farne fuori il più possibile tentando di sopravvivere più a lungo. Questa modalità è ovviamente collegata con una dashboard online che raccoglie tutti i punteggi migliori e, con un po’ di fortuna, potreste risultare fra questi (noi, al momento, siamo quindicesimi a San Vittore… Mica siamo molli noi)! Comunque, anche se il gameplay non entusiasma particolarmente, ciò che in Milanoir spicca particolarmente è senza dubbio la sua storia; il titolo ha un carattere cinematografico ben distinto ma soprattutto ben implementato, e la sua grafica pixellosa o l’assenza di doppiaggio non saranno ostacoli per godere dello splendido storytelling proposto. Anche se la sua azione è buona ma statica, la sua trama sembra sia stata scritta originariamente per essere un noir italiano degli anni ’70 e ogni scena, che sia un intermezzo o un gelido omicidio, riesce a tenerci incollati allo schermo, ci entusiasma, forse a volte ci sdegna, tanto da voler conoscere a tutti i costi il risvolto della storia; vorremo sapere fin dove Piero sia disposto a spingersi per la sua reputazione (o forse per la sua sopravvivenza), chi sono i fautori dei nostri guai o semplicemente conoscere il luogo della prossima sparatoria (visto che è sempre un piacere giocare con un titolo di cui conosciamo i luoghi). Probabilmente, l’unica cosa in più che si sarebbe potuta fare a livello di storytelling sarebbe stato immettere delle scelte di dialogo e bivi decisionali per ottenere dei finali e livelli alternativi, ma in fondo è stato meglio lasciare una trama lineare; anche se certe volte quasi ci disgusterà utilizzare Piero, questo serve a mantenere intatta la sua “brutta” personalità, a restituire a noi giocatori l’esatta visione dei programmatori dietro a questo spettacolare gioco ma soprattutto a restituire quella magia dei vecchi polizieschi. Insomma, per intenderci, gli amanti di Breaking Bad hanno amato e odiato al contempo Walter White, e questo è quel che probabilmente volevano generare gli sviluppatori nei confronti di Piero.

Gli italiani lo fanno meglio

Il gioco, realizzato col motore grafico Unity, propone una pixel-art veramente deliziosa, molto colorata ma che restituisce ugualmente quel senso di buio e sporcizia di determinate zone di Milano all’epoca del banditismo. Lo stile dei personaggi ha un che di Leisure Suit Larry, magari un tributo per rendere al meglio “quella” scena di nudo all’inizio del gioco; in relazione alla scelta stilistica, i personaggi sono ben disegnati e hanno tante caratteristiche curiose (che potranno essere notate ancora meglio osservando bene gli artwork quando prendono la parola i character). Coloro che annoverano Milano Calibro 9 fra i propri film preferiti, ispirazione fondamentale per la produzione di questo titolo, non potranno fare a meno di notare il giubbotto rosso di Piero, chiaro rimando alla figura misteriosa che seguiva il protagonista Ugo Piazza, o l’innegabile somiglianza fra Tony, il compagno di crimini del nostro protagonista, e Rocco Musco; inutile sottolineare le analogie fra le figure del boss Lanzetta e Ciro con i loro corrispettivi Vito Corleone e Alberto, interpretati da rispettivamente da Marlon Brando e Mark Margolis ne Il Padrino e Scarface. Bisogna dire che Emmanuele Tornusciolo, mente dietro la storia e dietro al game design generale, ha davvero degli ottimi gusti in termini di cinema, così come, sicuramente, il resto del team composto da Gabriele Arnaboldi (codici e direzione tecnica) e Giuseppe Longo (pixel-art e animazione). Gli scenari, in termini di bellezza, spiccano un po’ di più rispetto alle caratterizzazioni dei personaggi; nulla che risulti poco armonico, ma sicuramente gli ambienti risultano più curati, molto chiari e meno limitati in quanto a colori e a dettagli. È senza dubbio un piacere seminare il panico fra molte località famose di Milano come il Viale Monza, il Pirellone, il carcere di San Vittore, le Colonne, il Parco Lambro, il Giambellino e persino i Navigli; ovviamente le strade non sono geograficamente precise, ma tutti i tratti distintivi sono stati correttamente accentuati per restituire in tutto e per tutto le atmosfere tipiche di questi luoghi. Non sarà mai un problema, inoltre, ripararci laddove pensiamo il fuoco nemico non possa arrivare; gli elementi ambientali, come le casse, i bidoni dell’immondizia, i muretti e tutto ciò che pensiamo possa offrirci riparo, funzioneranno a dovere e questo permette un gameplay molto dinamico e intuitivo. Abbiamo trovato solamente due problematiche relative alla codifica di alcuni ambienti: nella zona del mercato ci è capitato di camminare letteralmente su un muro e raggiungere punti della schermata che dovevano rimanere inaccessibili (insomma, indossiamo un giubbotto rosso ma siamo solamente Piero, mica Peter Parker!) mentre al Duomo, durante la battaglia finale, siamo riusciti a far fuoco attraverso un muro rimanendo protetti, regalandoci praticamente un incredibile vantaggio contro il boss finale e i suoi sgherri (e ovviamente non vi diremo qual è!). Speriamo che Italo Games possa riparare presto queste piccole imperfezioni con una semplice patch.
Ad accompagnare queste belle visual c’è ovviamente una solida colonna sonora; anche qui, così come per la storia e per la grafica generale, si tenta di a larghe linee di mantenere lo stile di quelle dei film noir italiani, con un pianoforte dal sound misterioso e sfumature di flauto che rimandano, chiaramente, agli Osanna (gruppo di Progressive Rock napoletano che eseguì la colonna sonora, composta da Luis Enriquez Bacalov, del leggendario film). Bisogna ammettere che molti brani sono ben composti e riescono nell’intento iniziale, quello di farci tornare in quegli anni ’70 di fuoco, ma in alcuni brani ci sembra ci siano alcuni elementi un po’ troppo moderni (o non appartenenti a quell’epoca) che risultano un po’ fuori contesto. Magari sono false sensazioni ma, probabilmente dopo aver giocato a un’altra rievocazione di pezzi d’Italia di un altro tempo come in Wheels of Aurelia, ci aspettavamo un’operazione molto simile.

Un capolavoro mancato

Nel panorama dei videogiochi indipendenti italiani Milanoir ha un carattere fortissimo, un gioco che riesce a mostrare quel marcio che affligge nostra amata penisola senza però utilizzare stereotipi o forzature che troviamo spesso in alcuni film o, ancora più spesso, nelle fiction italiane. Lo storytelling di questo titolo è senza dubbio il punto forte, l’elemento al quale sicuramente è stato dedicato più tempo. Sfortunatamente, anche se la sua azione è molto intensa e gli ambienti molto differenziati, il suo gameplay risulta statico, dicevamo, sostanziandosi in sequenze in cui si cammina, si spara e si va in copertura: oltre c’è ben poco, sul piano  della giocabilità. La meccanica dello stealth e le sezioni in movimento sono graziosamente rese ma purtroppo non riescono a dare ulteriore profondità a un gameplay che non stupisce e non rende giustizia a un’ottima trama. È vero che più avanti la nostra pistola verrà sostituita da un uzi ma ci sarebbe piaciuto poter utilizzare molte più armi, magari scegliendole da un menù, e trovare un gameplay più vario, aver magari la possibilità di interagire con NPC nel tentativo di raccogliere informazioni e oggetti, scassinare porte, poterci trovare di fronte a degli incroci e scegliere un passaggio invece di un altro; il potenziale c’era e il titolo propone meccaniche un po’ troppo semplici che, per quanto statiche, divertono comunque molto. Sarebbe però servito veramente poco per rendere il gameplay di Milanoir un po’ più vario e completare l’opera e rendere il titolo un piccolo capolavoro.
Il prezzo, sia su Steam che nel Nintendo E-Shop, non è per niente proibitivo è con poco potrete portarvi a casa un gioco che merita davvero.
Milanoir è in ogni caso un ottimo punto di partenza per Italo Games, che ci porterà certamente a tenere d’occhio i loro futuri lavori che, sfruttando il potenziale visto in questo primo titolo, potranno risultare certamente interessanti, anche al di fuori del panorama videoludico italiano.




I migliori accessori per Nintendo Switch

Nintendo Switch è una delle console più amate, soprattutto per via del pratico formato portatile. Intelligente, compatta e con una vasta gamma di giochi esclusivi. Ecco un compendio degli accessori con il migliore rapporto qualità prezzo per mantenerla sempre al sicuro, carica e con memoria a sufficienza.

Scheda MicroSD SanDisk da 128 GB

Un punto debole di Switch è la memoria interna di appena 32 Gb, che non permettono di memorizzare molti giochi senza l’aggiunta di una scheda SD esterna. Quasi tutte schede SD sono relativamente poco costose al momento, ma in particolare sono raccomandabili le SanDisk, affidabili e con un buon rapporto qualità-prezzo; sono inoltre disponibili con un’ampia gamma di dimensioni. Con l’aggiunta di una scheda da 128 GB sarà possibile archiviare tra i cinque e i dieci giochi di dimensioni standard.

Custodia per Nintendo Orzly

Una buona custodia per Switch è indispensabile, se la si vuole portare ovunque senza correre il rischio di romperla. La custodia di Orzly è una delle più robuste e ha tasche separate per Joy-Con e per cavi extra, caricabatterie e un paio di cuffie.

Controller Nintendo Switch Pro

I pulsanti più grandi, la forma più confortevole e le thumbstick precisi ne fanno il controller perfetto per i giochi più competitivi e reattivi. L’unico svantaggio è il prezzo, decisamente alto.

“Volanti” per Joy-Con

Il miglior modo di sfruttare i giochi di corse automobilistiche, come Mario Kart 8: Deluxe, è abbinarvi questo supporto per controller, che permette di simulare un volante. Basta smontare i Joy-con dalla console e inserirli in queste ruote di plastica.

Cuffie Turtle Beach Elite Pro

Il modello Elite Pro Tournament delle cuffie Turtle Beach offre un brillante mix di qualità del suono, cancellazione del rumore e comfort per un ottimo prezzo, oltre a offrire funzionalità aggiuntive come come il Glasses Relief System, che le rende perfette per chi indossa gli occhiali. I diffusori da 50mm all’interno sono tra i migliori per un suono surround potente, e sono l’ideale per giochi come Fortnite. Anche la trasmissione del suono attraverso il microfono risulta chiara e nitida.

HORI Compact Playstand

L’Hori PlayStand, compatibile con Switch, consente di adattare la visuale per avere la migliore prospettiva durante il gioco. Ma forse il più grande vantaggio che offre, a differenza di altri supporti, è la possibilità di utilizzare la porta di ricarica.

Custodia Mumba

La maggior parte delle custodie per Nintendo Switch si concentra esclusivamente sulla protezione della console a tutti i costi. La versione premium di Mumba riesce certamente a soddisfare anche questo criterio avendo una cover in policarbonato antiurto e antigraffio, e in più si adatta altrettanto efficacemente all’accessibilità degli utenti, permettendo di giocare con la console tenendola al sicuro.

Controller 8bitdo SN30 Pro

Basato sul concept dell’ iconico gamepad SNES, è un controller pro con un’estetica retrò chic. Recentemente, il produttore ha revisionato la piccola periferica per renderla completamente compatibile con la Switch, completa di due stick analogici, un pulsante Home e un pulsante per lo screenshot. Inoltre è wireless.

Controller 8bitdo F30

Ancora più retrò del precedente, il gamepad 8bitdo F30 non è solo più economico, ma prende spunto dal pad del Famicon. Potrebbe non avere tutti i pulsanti necessari, ma è affascinante.

Joy-Con Charging Grip

Il supporto Joy-Con Charging Grip permette di caricare i Joy-Con mentre si gioca.

Nintendo Joy-Con Controller Strap

La Switch di base è dotata solo di un solo strap nero per uno dei controller, ma Nintendo ne vende separatamente di diversi colori, i quali offono anche protezione extra impededone la caduta.

Cavi USB di tipo C

Invece di usare la propria tecnologia proprietaria, Ninty ha optato per l’uso di USB C per la ricarica, rendendo molto più facile trovare fili che si possono effettivamente utilizzare. Questo cavo USB è economico, e permette di collegarlo ovunque per caricare la batteria.

Adattatore LAN per Switch

Se si vuole una connessione Internet più veloce, questo adattatore da porta USB a ethernet consente di collegarsi direttamente per download e multiplayer più veloci.

Proteggi Schermo Orzly

Se si desidera una protezione aggiuntiva per mantenere lo schermo intatto, potrebbe essere utile un proteggi schermo. Sono economici, facili da applicare e manterranno lo schermo intatto se si ha cura di applicarli correttamente.

Caricatore portatile Anker PowerCore 26800

Il Nintendo Switch ha una durata compresa tra 2,5 e 6 ore. Se non dovessero essere sufficienti, e non si trovasse facilmente una presa dove caricarlo, questo caricabatterie portatile di Anker potrebbe risultare utile, oltre a essere compatibile anche con l’Iphone.

Starter Kit Snakebyte

Questo set di base Snakebyte comprende una robusta custodia con cerniera rigida completa di cinghie elastiche per mantenerlo al sicuro, una protezione per lo schermo, un panno per la pulizia, un paio di cuffie auricolari, due manopole controller e una custodia rigida per i giochi. Come kit di partenza è difficile da battere.

Custodia per schede da gioco

Per evitare di perdere le schede senza doverle tenerle nelle scatole originali, può essere utile un contenitore apposito. Può contenere fino a 24 giochi e offre anche spazio per archiviare alcune schede di memoria MicroSD.




Bandai Namco ha tre nuovi marchi registrati in Europa

Bandai Namco ha appena registrato tre nuovi marchi della serie Taiko: Drum Master in Europa.
In particolare i giochi sono: Drum Master (29 giugno), Drum Session! (13 luglio) e Drum ‘n’ Fun!  (13 luglio).
Il primo marchio non ha bisogno di presentazioni, mentre il secondo dovrebbe riferirsi a Taiko Drum Master: Drum Session! uscito su PS4 nel 2017 sia in Giappone che in Asia con i sottotitoli in inglese. Il terzo marchio si riferisce probabilmente al prossimo titolo per nintendo Switch: Taiko Drum Master: Nintendo Switch Version! , che uscirà il Giappone il 19 luglio, e in Asia  con una patch per i sottotitoli in inglese il 9 agosto.




Nuova compatibilità per Nintendo Labo

Nintendo Labo è stato un fulmine a ciel sereno, così diverso da tutto ciò che abbiamo visto nella scena videoludica da domandarci se avesse senso o meno. Eppure sta riscuotendo  un buon successo, soprattutto per la sua peculiarità di poter essere assemblato, diventando un step di divertimento in più oltre all’uso della console.
Lo sviluppo prosegue,  potendo utilizzare la Toy-Con Motorbike all’interno di Mario Kart 8 Deluxe. Infatti, una volta scaricato l’ultimo aggiornamento del gioco, sarà possibile usufruire del Toy-Con come sostituto del Joy-Con.

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Inoltre, la grande N ha annunciato le categorie che saranno al centro del secondo Nintendo Labo Creators Contest, come “Esperienza di gioco migliorata con il Toy-Con Garage” e “il miglior Toy-Con strumento musicale” dove si avrà la possibilità di vincere premi interessanti come uno tra cui uno Switch ispirato a Labo.
Infine, il colosso nipponico ha anche riferito che in futuro ancora più titoli saranno compatibili con Nintendo Labo.




Speciale E3: Square Enix Dragon Quest XI Echoes of an elusive age

La conferenza E3 di Square Enix continua con il nuovo trailer di Dragon Quest XI: Echoes of an elusive age. Inoltre è stata presentata anche una nuova edizione Lost in Time. Il rilascio di DQ XI verrà rilasciato il 4 settembre 2018 per PS4, PC, mentre la versione per Nintendo Switch arriverà in un secondo momento.




Nintendo: anno nuovo, nuovi propositi

Dopo un anno dal lancio di Switch, rivolto a tutti i veri fan della grande N, con l’ingresso del nuovo anno fiscale la casa nipponica ha deciso di focalizzarsi su quei giocatori meno “tradizionali”. Questo è quello ha detto il presidente uscente di Nintendo, Tatsumi Kimishima.

«A partire dal nostro secondo anno, abbiamo deciso di sfidare noi stessi nel riuscire a far finire la nostra Nintendo Switch anche nella mani di quei consumatori che non hanno mai avuto una piattaforma Nintendo o che magari non giocano ormai da parecchio tempo. Tra gli obiettivi di questa nostra iniziativa, è inclusa una line-up di titoli pensati proprio per attrarre un pubblico più vasto e generico»

Continuando Kimishima dice:

«Se tutto ciò vi sembra familiare, è perché questo fu lo stesso linguaggio che Nintendo utilizzo per descrivere la strategia “Blue Ocean” dietro l’ormai trapassato Wii, più di dieci anni fa. Questa stessa strategia ci portò a sviluppare giochi come Wii Sports e Wii Fit, titoli che miravano ad attrarre giocatori di ogni genere ma anche e soprattutto i “non-giocatori”.»

Wii, ovviamente, è diventatla console più venduta di Nintendo, con all’attivo ben oltre 100 milioni di unità vendute in tutto il mondo. Durante l’intervista Kimishima, ha affermato che l’utilizzo di una simile strategia, sarà la base per soddisfare l’ambiziosa proiezione della società mirata all’aumento delle vendite di Switch di almeno 20 milioni di unità in questo secondo anno  fiscale.

Ma durante il suo cammino, Wii, ha maturato anche una non proprio buona reputazione, per tutti quei software prodotti a basso costo e per quelli con un pessimo sistema di motion-control. Questo, combinato a un hardware sottodimensionato che aveva messo da parte la tecnologia HD, ha fatto sì che molti giocatori abbandonassero  Wii, e in seguito anche Wii-U, a favore delle console prodotte da Sony o da Microsoft. È proprio su questi giocatori che Switch sta puntando con la sua nuova strategia di mercato.

Il nuovissimo Nintendo Labo, o 1-2-Switch (uscito al lancio della console), danno un’idea di come potrebbero essere i giochi “casual” per Switch. Ma ovviamente non verranno deluse le aspettative degli affezionati fan Nintendo, che avranno presto la possibilità di giocare su Switch a titoli del calibro di Smash Bros, Pokémon e Metroid Prime, per non parlare inoltre dei sequel di Bayonetta e Fire Emblem.

Insomma, stando a quelli che sono i piani di Nintendo sulle prossime uscite per Switch, è difficile vedere i segni di tutti i buoni propositi di Kimishima per questo fantomatico riavvicinamento di tutti quei “non-giocatori”. In ogni caso qualcosa potrebbe accadere per il prossimo E3, magari l’annuncio a sopresa di Wii Sports per Switch o simili? Staremo a vedere.