Immortal: Unchained – La Sindrome di Stoccolma

Quando sei un piccolo team di sviluppo, appena nato, con poca esperienza ma con grande voglia di fare, non è facile varcare il confine che porta al successo. Questo vale per tutti gli ambiti, incluso ovviamente quello videoludico, nel quale Toadman Interactive si è lanciata nello sviluppo di un titolo ambizioso e che sembra fare tanto il verso ai capisaldi di molti generi. Non è la prima volta che abbiamo a che fare con un souls in salsa fantascientifica (non ultimo The Surge di Deck13), ma Immortal: Unchained è diverso, e pare già essersi fatto conoscere come il “Dark Souls con i mitra“. Effettivamente, unire meccaniche da TPS a un souls like sembra un’operazione folle e un po’ fuori dal mondo, eppure, seppur con qualche scivolone, sembra funzionare.

Da cosa nasce cosa

Approcciarsi alle vicende scritte da Anna Tole (The Witcher) e Adrian Vershinin (Crysis 3, Battlefield 1), come in ogni buon souls like che si rispetti, non è operazione delle più semplici. Salvo qualche eccezione (vedi Nioh), in più titoli del genere l’insieme si presenta in maniera frammentata, raccogliendo manufatti, sbloccando armi o attivando dei “dispensatori di lore“. Eppure, nonostante qualche palese citazione, tutto funziona, fregiandosi della tanto in voga “profezia da compiersi” ma in salsa del tutto nuova.
Tutto, ma proprio tutto, ha inizio da un Monolite misterioso, che con la sua energia dà vita all’Universo e ai nove mondi protagonisti delle vicende. Come da prassi, si scatenano guerre per il controllo di un simile potere, e da questi conflitti sono i Prime a trarne vantaggio, avviando così un’era prospera. Una volta creato il nostro personaggio attraverso un menù avaro di elementi di personalizzazione, saremo chiamati a risvegliare il potere del Monolite per scongiurare l’apocalisse in arrivo, anche se si avranno un po’ di sorprese lungo il cammino, sino a un finale interessante e per certi versi coraggioso.
All’interno del titolo avremmo a che fare con NPC, pochi a dir la verità, ma ben scritti e preziosi per scoprire lati della storia più intimi ed emotivi, ma anche per instillare qualche piccolo dubbio al giocatore sul proprio percorso e sulle proprie azioni.
Molto dunque viene raccontato attraverso dialoghi e descrizioni, ma non mancano alcune cutscene, narrate attraverso artwork interessanti stilisticamente ma che rischiano di distanziare un po’ il giocatore dal racconto; solo l’ultima cutscene è generata con il motore di gioco, fortunatamente. Non è presente un “new game+”, né multiplayer o altri elementi online, ma Toadman ha precisato che molte feature verranno introdotte in futuro, già a partire dai prossimi mesi.
Per la cronaca, il titolo è stato completando in circa 25 ore di gioco, con qualche portale residuo ancora da aprire e qualche boss opzionale da affrontare.

Tra Chuck Norris e Carla Fracci

Tutto ha inizio nel Nucleo, il nostro hub centrale che somiglia vagamente al Nexus di Demon’s Souls. Da qui potremo interagire con gli NPC, personalizzare il nostro equipaggiamento e livellare. Ma, cosa ancor più importante, potremo teletrasportarci verso i tre mondi che è possibile visitare: Arden, Veridian e Apexion. La parte succosa del titolo è il gameplay, un po’ schizofrenico, capace di passare da buone idee e ottimi spunti a scivoloni grossolani. La caratteristica principale di Immortal è di essere un TPS (Third Person Shooter) abbinato alle classiche meccaniche da souls, comportando un approccio completamente nuovo in entrambi i sensi: in primis, la possibilità di colpire i nemici, ed esser colpiti dalla distanza è alquanto straniante al primo approccio, dovendo schivare i colpi in arrivo a più riprese e al contempo – se possibile – aggirare l’avversario per colpirlo alle spalle o destabilizzarlo, situazione simile a Nioh o probabilmente al futuro Sekiro.
Altra meccanica interessante, ma mitigata rispetto alla versione di prova, è il danno localizzato: possiamo colpire arbitrariamente gli arti, smembrando così i corpi dei nostri poveri nemici. Una volta colpito l’arto dove è impugnata l’arma, si attiveranno anche animazioni uniche dove l’avversario cercherà di colpirci come può. Inoltre, bisognerà fare molta attenzione a risparmiare proiettili in quanto, una volta terminati, saremo in balia dei nemici, che come noi dovranno fermarsi a ricaricare. Fortunatamente, attraverso consumabili – se in nostro possesso – e una volta sbloccati i restanti slot per le armi, questo problema viene molto mitigato.  Il nostro arsenale si compone di diverse tipologie di armi, tutte con caratteristiche proprie: passiamo da carabine a fucili a pompa, per andare da pistole a SMG, fucili di precisione e lanciagranate. Queste armi si suddividono anche per il tipo danno inflitto, cosa che si sposa benissimo con le diverse resistenze dei vari nemici. Sono presenti anche armi corpo a corpo, consistenti in una coppia di lame, asce o martelli utili soprattutto per infliggere il colpo di grazia agli avversari e risparmiare così qualche proiettile. Queste armi purtroppo risaltano il primo dei grossi limiti del titolo: difatti, non possiedono moveset apposito, non vi è possibilità di effettuare combo o di incatenare colpi in maniera bizzarra tra uno sparo e un colpo melee. In fin dei conti è come se non ci fossero, limitando anche la costruzione di specifiche build o anche diversi approcci al combattimento. Le armi bianche, come quelle da fuoco comunque, sono potenziabili attraverso materiali recuperati e i Bit (la valuta del gioco), ma anche smantellabili, recuperando così oggetti per il crafting. Questo sistema, benché semplice, aumenta a dismisura la voglia di sperimentare l’utilizzo di armi diverse, grazie anche a un costo in Bit molto accessibile. A questo, si accostano anche dei perk (simil anelli di Dark Souls), suddivisi tra attacco, difesa e supporto: il loro utilizzo permette di variare leggermente build durante il gioco e, quando la situazione lo richiede, aumentare magari la salute, la stamina oppure la velocità di ricarica delle armi o il recupero di elementi per il crafting. La loro varietà è sicuramente un punto di forza, così come lo è del resto tutta la struttura su cui si poggia il gioco. Però… c’è un però: è possibile configurare tutto questo soltanto una volta attivato e utilizzato un Obelisco (Falò). Questo significa che, una volta trovata un’arma di nostro interesse, potremmo cambiarla soltanto riposandoci, limitando pesantemente il gameplay. Un altro limite è l’assenza di diverse corazze a disposizione, avendone soltanto una che, trovando gli appositi terminali di potenziamento, andrà via via assemblandosi sino al suo completamento; almeno abbiamo la possibilità di personalizzarla, scegliendo il colore e la livrea da applicare, una volta trovati i componenti necessari. Ma qui finora non abbiamo nemmeno scalfito la schizofrenia dei ragazzi di Toadman.

Pad alla mano le sensazioni sono abbastanza positive, con un impostazione simil-Bloodborne abbastanza intuitiva: nessun tipo di parata o di parry, tutto è riservato alle schivate che possono essere migliorate nei frame delle animazioni attraverso il level-up. Inutile dire quanto siano fondamentali. Il tutto, in generale, funziona: sfruttare l’intelligenza artificiale per dividere i nemici e poi colpirli singolarmente può essere una buona soluzione, anche se non sempre praticabile, vista la presenza di avversari capaci di teletrasportarsi che diventano un vero incubo. I nemici che affronteremo sono discretamente vari e suddivisi per tipologia. Il loro limite di aggro è variabile, per cui potrebbe capitare di essere seguiti fino alla fine dei tempi.
Ma il problema principale è l’equilibrio di gioco, il più grande peccato di Immortal, che consta di situazioni al di fuori delle comprensione umana ma anche di sezioni ben strutturate (Apexion su tutte) capaci di far venire il dubbio se un simile sviluppo sia stato portato avanti dalle stesse persone. Capiterà infatti di assistere a veri errori da principianti, come il posizionamento di Obelischi nel ben mezzo di un’orda di avversari che comporta lo spreco di risorse preziose mettendo semplicemente piede fuori da una zona che, da prassi, dovrebbe essere invece sicura. Questi errori si verificano anche nel level design, costruito ad hoc per far provare il brivido della scomunica a qualunque giocatore, creando una difficoltà accessoria dove magari vi sono già dei problemi da gestire. Eppure, anche qui, il level design riesce a volte a sorprendere, con ambienti molto grandi e ben collegati tra loro, ricordando – con la giusta cautela – i fasti di From Software. Anche il ritmo soffre dei medesimi problemi, con sezioni al cardiopalmo una dietro l’altra e momenti di vuoto assoluto, soprattutto verso il finale.
Ma veniamo alle boss fight, tutte abbastanza differenti fra loro, ma che in qualche modo non riescono a risultare memorabili. Se a volte il loro approccio deve essere “studiato”, facendo attenzione ai movimenti e ai tipi d’attacco, altre volte risultano un po’ troppo semplici, in quanto basta appostarsi alle spalle del nemico per finirlo senza alcuna difficoltà. Alcune di esse sono configurate come opzionali, oppure “segrete” sbloccando alcuni portali (tipo Stargate), in grado di trasferirci da un pianeta all’altro. Tutti questi problemi sono figli probabilmente della poca esperienza del team, ma forse anche frutto di una cattiva interpretazione dell’opera di Miyazaki in certi frangenti. C’è da dire però – per correttezza – che alcuni di questi problemi, anche se in misura molto più limitata, esistono anche nei capolavori di genere. Si sbaglia solo con le dosi, quindi.

Disincanto

Nel nostro vagabondare tra i pianeti, purtroppo, raramente troveremo scorci mozzafiato. Forse questo è uno dei limiti più grandi di Immortal: Unchained: sa fin troppo di già visto, tra il design delle costruzioni e persino dei nemici che, in qualche modo, richiamano personaggi di altri brand. Nonostante questa mancanza di idee e un certo piattume generale, ogni tanto il titolo sembra destarsi, regalando momenti di grande impatto visivo e in qualche modo memorabili, ma avviene così di rado che quasi a un occhio meno attento potrebbe sfuggire. Se il comparto artistico dunque non fa gridare al miracolo, figuriamoci quello tecnico in senso stretto, povero di dettagli e con qualche problema di troppo tra glitch, bug, qualche piccolo errore nelle collisioni, nei geo data, pop-up delle texture e nell’intelligenza artificiale. Quest’ultima, a dire il vero, riesce a sorprendere in molti frangenti, accerchiandoci o stanandoci con granate. Insomma, è un titolo che ha sicuramente bisogno di un’ulteriore rifinitura, con molti problemi risolvibili tramite semplici patch riparatorie.
Sul fronte audio, il titolo può vantare un buon doppiaggio inglese, espressivo al punto giusto e capace di caratterizzare adeguatamente gli NPC. Anche le musiche che accompagnano quasi sempre l’azione sono abbastanza azzeccate, dal tono epico ma soprattutto risultano funzionali. Effetti sonori nella media anche se alcuni in certi frangenti, sembrano quasi una tortura.

In conclusione

Una volta concluso Immortal: Unchained sarete chiamati a un’importante decisione: ricominciare, riscoprendo piccoli risvolti di trama a vostro rischio e pericolo o attendere l’uscita di alcune patch, permettendo un NG+ più equilibrato e tecnicamente più curato? Qualunque sia l’esito, la prima fatica di Toadman Interactive, seppur con tanti difetti, risulta un titolo interessante che, con piccoli accorgimenti, può diventare un ottimo spunto per un eventuale sequel. Sa essere molto cattivo, ma volete mettere la soddisfazione di superare tutte le avversità del fato digitale?

Processore: Intel Core I7 4930K
Scheda video: Nvidia Gigabyte GTX760 4GB
Scheda Madre: MSi X79A
RAM: Corsair Vengeance 16GB
Sistema Operativo: Windows 10.




Top 5: le migliori uscite di Maggio 2017

Quello appena trascorso è stato un mese ricco di remastered e nuove uscite, e la redazione di Gamecompass ha provato a individuare i 5 migliori videogame di Maggio. Ed ecco dunque la nostra TOP 5:

Al quinto posto troviamo The Surge: soulslike fantascientifico di ambientazione distopica, il titolo di Deck 13 offre ottimi combattimenti e un buon comparto tecnico, ma mostra qualche carenza sul piano artistico e narrativo, risultando un videogame che poteva offrire anche qualcosa di più.

Quarto posto per Disgaea 5: Alliance of Vengeance: uscito nel 2015 in esclusiva per Playstation 4, l’ultimo titolo della serie targata Nippon Ichi include gli otto scenari aggiuntivi e svariati DLC al tempo rilasciati a pagamento sul PSN. L’ottima caratterizzazione dei main characters, i dialoghi in bilico fra umorismo e argomenti importanti e un ritmo di gioco incalzante, fanno di questo strategico a turni uno dei migliori della saga.

Al terzo posto troviamo Rime, puzzle adventure game dall’ambientazione evocativa che unisce enigmi ben congegnati a una realizzazione artistica raffinata, elementi che fanno del titolo di Tequila Works un’avventura intensa e suggestiva da godere tutta d’un fiato.

Secondo posto per Injustice 2: a 4 anni dall’uscita del primo capitolo, NetherRealm Studios offre ai giocatori un picchiaduro che non si accontenta delle ottime meccaniche da fighting game messe in campo ma offre un roster di ventotto personaggi fra eroi e villain che muovono una trama e una regia ben congegnate, degna delle grandi produzioni cinematografiche hollywoodiane.

Ma a guadagnarsi la cima della classifica è un titolo accolto molto positivamente dai gamer: stiamo parlando di Prey, reboot dell’omonimo videogame del 2006 dal quale Bethesda ha ricavato un’avventura sci-fi che si allontana dai canoni shooter del titolo originale, intessendo elementi GDR in un impianto survival che bilancia sapientemente l’action con lo stealth. Un’opera fantascientifica dallo splendido level design, dotata di una struttura narrativa composita e ben congegnata, che pesca a piene mani dalla letteratura e dalla cinematografia di genere offrendo un titolo sicuramente tra i più interessanti di questo 2017.

LA CLASSIFICA DI OGNI REDATTORE:

Simone Bruno

  1. Rime
  2. Prey
  3. The Surge
  4. Farpoint
  5. NBA Playground

Giuseppe Dalli Cardillo

  1. Prey
  2. Injustice 2
  3. Rime
  4. Farpoint
  5. The surge

Dario Gangi

  1. Prey
  2. Ultra Street Fighter II: The Final Challengers
  3. Rime
  4. Injustice 2
  5. The surge

Vincenzo Greco

  1. Injustice 2
  2. Prey
  3. Star Trek: Bridge Crew
  4. Guilty Gear Xrd Rev 2″
  5. Rime

Gero Micciché

  1. Rime
  2. Prey
  3. Disgaea 5: Alliance of Vengeance
  4. Tumbleseed
  5. Injustice 2

Marcello Ribuffo

  1. Prey
  2. Injustice 2
  3. The Surge
  4. Rime
  5. Endless Space

Alfonso Sollano

  1. Rime
  2. Prey
  3. Injustice 2
  4. Guilty Gear
  5. The Surge

Daniele Spoto

  1. Perception
  2. Rime
  3. Tumbleseed
  4. Disgaea 5
  5. Prey

Gabriele Tinaglia

  1. Disgaea 5
  2. Injustice
  3. Prey
  4. Fire Emblem Echoes
  5. Portal knights

Vincenzo Zambuto

  1. Fire Emblem Echoes
  2. Sniper Ghost Warrior 3
  3. Rime
  4. Perception
  5. NBA PlayGrounds

La classifica finale vede dunque:

  1. Prey (35 pt.)
  2. Injustice 2 (23 pt.)
  3. Rime (20 pt.)
  4. Disgaea 5: Alliance of Vengeance (10 pt.)
  5. The Surge (9 pt.)



The Surge – Attenzione, Il Potenziale C’è! Al Prossimo Giro Però

Dopo Lords of The Fallen, The Surge è da considerarsi come il titolo di maturità per Deck 13. Nonostante l’evidente richiamo al titolo originale, questo soulslike si distacca abbastanza da avere una propria identità, anche se non tutto va nel verso giusto.

In un mare di ruggine

In un futuro prossimo il mondo è in pericolo: riscaldamento globale, cambiamenti climatici, crisi finanziaria e altri fatti poco piacevoli, rendono C.R.E.O. Industries l’unica in grado a mettere una pezza a quanto sta accadendo. Tutto parte dai suoi Esoscheletri, non solo in grado di migliorare le abilità umane ma anche di rimettere in piedi gli infermi, come il nostro protagonista, Warren. Il progetto per salvare il mondo ha inizio ma, già al nostro risveglio, capiamo che non tutto è andato nel verso giusto.
Già a partire dall’incipit si può intuire come la trama non sia il punto forte del titolo: i richiami ad altri film e videogiochi di fantascienza sono palesi, ma sono aggrovigliati in modo da non intrattenere il giocatore, al punto che, passata qualche ora, potrebbe non importarvi più di raccogliere gli audiolog in giro per la mappa per conoscere ulteriori dettagli sulla storia. Anche i personaggi di certo non aiutano: Warren, il nostro protagonista, nonostante si trovi fin da subito invischiato in una situazione fuori controllo, con zombie armati di esoscheletri pronti a ucciderlo in qualunque momento, appare assolutamente avulso da quanto stia accadendo, come se stesse partecipando forzatamente alla trama. I comprimari sono addirittura peggio sceneggiati, e anche sulla storia di questi pare si sia fatto abbastanza per mantener vivo il disinteresse: non pare rilevante il perché si trovino lì e, nonostante i dialoghi a scelta multipla, non sembrano aver nulla da dire, a parte consegnare alcuni incarichi secondari che, se completati con successo, porteranno il nostro inventario ad arricchirsi.
Si ha come la sensazione che molte cose siano soltanto abbozzate: ad esempio, potremmo attaccare dei npc pacifici o delle guardie non ostili, che ovviamente risponderanno come si deve ma, dopo il reset del gioco, dopo una morte o dopo essere entrati nel MadBay, l’hub centrale, tutto tornerà come prima, come se nulla fosse successo. Quindi niente sistema di reputazione, il che ci permette di fare ciò che vogliamo senza conseguenze. Anche riguardo il MadBay ci sono buchi di sceneggiatura non da poco: cos’è? Perché quando ci entriamo tutto il mondo di gioco si resetta? Perché respawniamo lì? Domande a cui non troveremo risposta: quest’hub sembra essere presente semplicemente “perché deve essere così”, senza nessuna contestualizzazione nella trama o nella lore.
È un vero peccato, perché bastava davvero poco a creare una storia che legasse in qualche modo il nostro peregrinare da una zona all’altra del mondo di gioco. Il paradosso è che The Surge finisce proprio quando le cose cominciano veramente a farsi interessanti.

1000 modi per morire

Fortunatamente i pregi sono altri e diciamolo subito: The Surge è un gioco cattivo, tanto.
Rispetto al titolo From Software, ogni nemico base può farvi molto ma molto male, a tal punto che ogni combattimento diventa una vera sfida. È proprio questa la parte più riuscita del titolo: ogni scontro ha qualcosa da dire e bisognerà essere molto tattici se si vuole sopravvivere. Tutto è all’insegna della familiarità nei colpi, tra leggeri e pesanti, la schivata simil Bloodborne, eccezion fatta per la parata, la cui posa non consente al personaggio di muoversi e che, a colpo ricevuto, consumerà una delle tre barre presenti, quella della stamina; la barra della salute e la barra dell’energia completano il quadro, dove quest’ultima può essere impiegata, una volta raggiunta una certa carica, per eseguire colpi finali, ricaricare la salute con appositi iniettabili e potenziare gli attacchi del Drone, che sarà una risorsa utile non solo come aiuto offensivo ma anche per aprire alcune porte altrimenti inaccessibili. È possibile anche potenziarlo lungo il corso dell’avventura e sceglierne il tipo d’attacco una volta selezionato il bersaglio. La sua utilità diventa fondamentale qualora ci si ritrovi davanti un gruppo di nemici; grazie al drone potremo colpirli e attirarli singolarmente, sfruttando la basilare IA dei nemici. Proprio il sistema di targeting si presenta innovativo: è possibile distinguere e selezionare i diversi punti da colpire, tra arti, testa e corpo colpendo solo quel singolo punto. Diventa importante studiare un minimo l’avversario, capire se ci sono parti non ricoperte dall’armatura e quindi vulnerabili oppure, al contrario, selezionare una parte dell’equipaggiamento, danneggiarla e, attraverso un colpo finale, ricevere un loot. I cadaveri li rilasciano abbastanza spesso e sarà possibile visionarli ancor prima di raccoglierli. Ogni nemico rilascia rottami da utilizzare per potenziare la batteria nucleare, le armi e le armature e addirittura crearle, ma solo se abbiamo a disposizione gli schemi ingegneristici. Oltre ai rottami, per poter costruire servono determinati oggetti: ogni pezzo d’equipaggiamento utilizzato consuma una certa quantità di energia quindi è essenziale potenziare la batteria nucleare per poterne utilizzare uno migliore. A livello estetico, l’equipment in sé non è personalizzabile, soprattutto durante i potenziamenti, essendone modificabili solo le caratteristiche.
Sono presenti anche dei perks attivi e passivi: quelli attivi, chiamati iniettabili, permettono soprattutto di ricaricare la salute o, per esempio, di potenziare gli attacchi, mentre quelli passivi possono aumentare le nostre statistiche ma, ogni qualvolta inseriti nel nostro equipaggiamento, consumeranno anch’essi l’energia della batteria.
Come nei Souls si perderanno tutti gli scarti tecnologici in nostro possesso in caso di morte e, ovviamente, anche qui sarà possibile recuperarli, ma con sostanziali differenze: abbiamo un tempo limite, dopodiché gli scarti verranno persi del tutto. Per aumentare il tempo a disposizione basta eliminare qualche nemico che si interpone tra noi e i nostri scarti.
Insomma, come potete aver capito è un titolo complesso e che migliora piccoli aspetti dei classici soulslike, a cominciare dalla possibilità di mettere in pausa il gioco, ed è fornito di menu molto chiari e intuitivi fino agli scontri con i boss. Anche i boss infatti regalano quel qualcosa in più a livello di gameplay e bisognerà studiarli con attenzione, abbastanza da rimanere uccisi diverse volte prima di sconfiggerli. A dir la verità i pattern d’attacco non sono molti ma il sapere che ogni colpo potrà eliminarvi senza pietà non rende più facile conoscerli. Tutti hanno un punto debole ma non sarà visibile immediatamente e, a differenza di altre boss fight, qui non è importante solo quando colpire, ma anche dove. Nonostante ciò, i boss si presenteranno solo come grossi ostacoli da superare. Non c’è emozione nell’affrontarli, nessun brivido particolare, manca quel “non so che” perché un titolo di questa categoria possa fare il salto di qualità.
Anche le mappe, in qualche modo, hanno qualcosa da dire nel bene e nel male: abbastanza grandi e articolate, con tanti passaggi di collegamento e le classiche scorciatoie tra il nostro hub e alcune zone d’interesse, necessitano di un’attenta esplorazione, in quanto è possibile trovare oggetti rari o nuove aree che non pensavamo esistessero. Una caratteristica fondamentale è che alcuni accessi saranno disponibili solo quando il nostro personaggio sarà a un livello tale da potervi accedere e, di conseguenza, spostarsi tra le varie mappe liberamente, in stile Dead Space. Ma anche qui, per ogni Yang esiste anche un Yin corrispettivo: la grandezza e l’articolatezza delle mappe porta a una certa dispersività, disorientando il giocatore e diventando non di rado frustrante, specie a causa della grande somiglianza fra molti ambienti che spesso mancano di elementi distintivi.

Déjà vu

Sul piano tecnico, il gioco si presenta abbastanza bene, con modelli poligonali per i personaggi più che buoni, come del resto gli oggetti equipaggiabili e gli oggetti di scena, e buoni filtri che regalano all’occhio una pulizia generale niente male; meno felici le texture, di qualità altalenante. Trovano risalto anche l’utilizzo degli effetti speciali, bellissimi da vedere soprattutto in aperto combattimento che lo trasformano in un balletto coreografico pieno di luci, scintille e onde d’urto.
Le poche cutscene sono ben realizzate anche se con qualche calo di frame di tanto in tanto mentre le parti giocate rimangono fluide, ancorate ai 60fps anche nei momenti più concitati. Sono previsti diversi setup grafici che rendono il gioco adattabile a tutte le macchine.
Purtroppo, il lato a colpire meno è proprio la realizzazione artistica: per quanto si sia cercato di dare un’identità visiva al titolo, non si può fare a meno di notare eccessive somiglianze con quanto visto in altri titoli – cinematografici e non – tanto da perdere interesse per i dettagli, che sono anche tanti ma che non invogliano a soffermarsi. Tutto sa già visto, soprattutto per via delle Exosuit, e non ci sono scorci mozzafiato e memorabili come nei titoli FromSoftware.
Fortunatamente il comparto audio rialza un po’ l’asticella con ottimi effetti sonori, dai singoli colpi fino ai vari suoni dei mezzi meccanici sparsi per tutta la mappa. Tutto è stato riprodotto con qualità e attenzione al dettaglio.
Anche la musica trova nel suo utilizzo, o meglio nel suo non utilizzo, una scelta azzeccata in quanto la maggior parte delle volte saremo circondati solo dai rumori ambientali che aumentano in maniera drastica l’immedesimazione di trovarsi in una landa distrutta, desolata e ostile.
Il doppiaggio, inglese, è probabilmente la cosa che colpisce meno nella parte sonora: non c’è enfasi, come se si sia fatto il proprio e basta. Ricordo che ci troviamo in una base distrutta, tossica, con macchine assassine eppure, a detta dei personaggi, sembra di trovarsi all’interno di una libreria il giovedì pomeriggio.

Commento finale

The Surge è a conti fatti un titolo riuscito a metà: se, da un lato, l’idea di portare un soulslike nel mondo della fantascienza è ottima, allontanando l’ombra di Dark Souls, dall’altro il gioco risulta povero di idee, e quelle che ci sono a volte sono poco approfondite. Se i combattimenti posso essere definiti buoni tutto il resto è segnato dal compromesso, non solo narrativo ma anche artistico portando questo titolo nel limbo dei giochi di cui non si avrà memoria. Il titolo ha paradossalmente una sua identità, è subito riconoscibile, ma nonostante ciò riesce a risultare al contempo anonimo. Le potenzialità ci sono tutte e magari in un secondo capitolo, dove si sarà ascoltato il parere della critica, troveremo un vero rivale dei titoli FromSoftware.

Processore: Intel Core I7 4930K
Scheda video: Nvidia Gigabyte GTX760 4GB
Scheda Madre: MSi X79A
RAM: Corsair Vengeance 16GB
Sistema Operativo: Windows 10