Captain Bone

L’universo dei giochi indie è immenso, con moltissimi titoli sviluppati da piccole software house sparse per il mondo. Una si trova a circa 50 Km da Agrigento, in quella Licata dove lo chef Pino Cuttaia è riuscito a portare due stelle Michelin facendo gridare al miracolo. E un piccolo miracolo – o una sanissima follia – sembra quella di sviluppare videogame in un angolo sperduto di una regione che non si distingue per avanzamento tecnologico e industriale.
Ma il team di sviluppo Orange Team non pare essersi scoraggiato e ha deciso di provarci, sviluppando dal 2016 a oggi quanto basta per produrre la pre-Alpha di Captain Bone che ci consente di completare una singola missione e di visitare un piccolo villaggio.

Captain Bone si presenta come un action-adventure in single player, che ambienta la sua storia nelle isole dei Caraibi durante il XVII secolo, più precisamente nell’isola di Nassau. Il protagonista è un buffo pirata scheletrico rimasto in mutande dopo il suo ultimo sbarco: la prima unica missione di questa versione è quella di recuperare dei vestiti per procedere con la sua avventura.
Dopo esserci ritrovati sul pontile ci avvieremo verso la cittadina. La prima sensazione è di leggero spaesamento: sin dai primi minuti si soffre un po’ la mancanza di indicazioni atte a indirizzare verso il completamento delle quest, che potrebbero essere implementati in futuro con una mappa o qualche espediente che eviti al giocatore di perdersi per ore a girovagare per il borgo in mutande.
Sono presenti pochi NPC con cui poter interagire e allo stato attuale non tutti forniscono indizi grandemente rilevanti. Se dei tre elementi in quest’unica quest da trovare il cappello risulta abbastanza agevole, lo stesso non può dirsi per il giubbotto e per i pantaloni: chi scrive ha dovuto chiedere indicazioni direttamente agli sviluppatori. La risoluzione in effetti non era ardua, ma alcuni asset di gioco (banalmente quello che permette di accedere allo strumento per recuperare i pantaloni) andrebbe forse maggiormente messo in evidenza nell’environment: la cittadina ha una sua ampiezza, è ricca di elementi, e si potrebbe girare molto prima di notare il punto giusto in cui guardare, a scapito della fluidità di gioco. Qualche bug attualmente presente potrebbe inoltre mettere i bastoni fra le ruote o addirittura impedire il completamento della quest: un personaggio molto importante a un certo punto è letteralmente sparito e abbiamo dovuto iniziare nuovamente la partita per dargli modo di riprendere il suo moto e ritrovarlo.
Se le interazioni in termini di indizi sono migliorabili, i dialoghi risultano invece parecchio divertenti e ben studiati, con riferimenti chiaramente lucasiani (se l’ambientazione piratesca non bastasse a richiamare la saga di Monkey Island, i fan più attenti troveranno conferma nella presenza del simbolo ™ al termine di alcune parole) che seguono un algoritmo random: ogni volta che parleremo con loro la conversazione non sarà la stessa, ma con frasi generate in modo casuale, così da  conferire molta varietà ai dialoghi.
Un limite attuale in questa pre-alpha di Captain Bone è l’impossibilità di saltare i dialoghi: bisogna aspettare diversi secondi per potere leggere la battuta successiva, elemento che rischia di appesantire l’esperienza  e che verrà probabilmente corretto permettendo di poter andare avanti premendo un tasto, come ci si aspetta venga implementata nella prossima release l’interfaccia dei dialoghi, al momento abbastanza spoglia e minimale, testo bianco su sfondo nero, che non rende giustizia a dei dialoghi in realtà molto divertenti.

Le animazioni sono fluide e già ben curate, con alcuni movimenti del protagonista da migliorare, come quando, dopo una corsa, ci si ferma e si vede il personaggio scivolare per un po’ prima di fermarsi del tutto.
L’AI, che è sempre un problema non da poco, vede ancora dei margini di miglioramento, con NPC che si lanciano dalle alture o finiscono incastrati tra le varie case, oppure che se colpiti da un gancio del protagonista finiscono per rincorrerlo per tutta la città, non lasciandogli tregua. La vita del capitano non è molta e si perde facilmente, anche solamente saltando da una parte all’altra di una scala o discesa, causando danno. In tal senso, sembra un po’ eccessivo che Captain Bone possa morire a seguito di un semplice salto che ci costringerà a ricominciare da capo.
Come detto, è possibile colpire i personaggi non giocati: ci si aspetta dunque un combat system che in questa fase non è possibile valutare.
Il motore grafico utilizzato da Captain Bone è l’Unreal Engine 4, che riesce a gestire in maniera ottimale luci e ombre di giorno, mentre la luminosità scarseggia dopo il tramonto, presentando qualche piccolo inestetismo nelle lanterne sparse per tutta la città; le luci delle lanterne, molte volte risultano scarse o assenti, lasciando il giocatore quasi completamente al buio.
I modelli tridimensionali dei personaggi hanno una loro personalità: niente spigoli o visi squadrati, ma volti e corpo molto arrotondati che sembrano modellati a mano, creando un effetto simile alla plastilina.
Il comparto sonoro presenta un buon ventaglio di suoni che possono ancora vedere qualche revisione in termini di utilizzo durante la run. La soundtrack, infatti, è molto orecchiabile, in pieno tema piratesco, con un jingle che rimangono facilmente impressi, ma alcuni elementi sono decontestualizzati, come il sound del mare, che si continua a sentire, in maniera abbastanza marcata, anche all’interno della città.
Dei piccoli errori e bug attualmente presenti possono essere risolti senza difficoltà, come delle piccole implementazioni, quali l’uso del tasto Esc per uscire dai vari menù o il caricamento automatico del salvataggio dopo essere andati Game Over, potrebbero essere comunque di peso.
Tirando le somme, possiamo comunque dire con certezza che i ragazzi di Orange Team stiano facendo un bel lavoro con Captain Bone: i difetti riportati sopra sono abbastanza normali in questa fase e c’è di certo ancora non poco da migliorare. Ma la base del gioco c’è tutta, implementando delle buone quest, continuando con dei dialoghi divertenti e dal buon ritmo, e innestando la parte action in maniera equilibrata può venir fuori un prodotto di tutto rispetto.
Restiamo dunque in attesa di sviluppi, e non vediamo l’ora di vedere il resto del gioco.




Chuchel

Da Amanita Design, lo studio ceco che ci ha portato capolavori come Machinarium e Botanicula, arriva Chuchel, una nuova sorprendente avventura grafica (genere che ha da sempre contraddistinto questo developer) dai toni bizzarri ma incredibilmente fantasiosi e coloratissimi; non a caso, il titolo ha vinto il premio “Excellence in Visual Art” al Indipendent Games Festival (meritatissimo, secondo noi), ed è solo l’ennesimo premio simile vinto dallo studio. I giochi di Amanita Design sono sempre curati fin nell’ultimo dettaglio e questo nuovo titolo non è da meno: che sia su PC, Mac, iOS o Android garantisce un gameplay ricco e pieno di risate.

Un tipetto molto particolare

Chuchel è un simpatico pallino nero con una certa affinità con le ciliegie; farebbe di tutto pur di averne una, ma spesso un topino fucsia di nome Kekel e una misteriosa manona pelosa giocano degli scherzetti al nostro bizzarro personaggio e così dovremosempre escogitare qualcosa per raggiungere la nostra ambita ciliegia. Verremo posizionati in scenari in cui spesso ci saranno personaggi e oggetti con i quali potremo interagire; la natura del gioco è quella del punta e clicca, ed è dunque superfluo elencare quali azioni potremo svolgere con i singoli elementi dello scenario; vi basterà solo sapere che spesso e volentieri il nostro Chuchel farà sempre qualcosa di divertente o di adorabilmente ridicolo. Gli scenari sono spesso composti da una sola schermata e i singoli elementi non saranno mai tantissimi ma ciò non significa che i puzzle da risolvere saranno semplici; la soluzione non arriva mai a primo acchito, ci toccherà riprovare più e più volte determinate azioni, sempre con risvolti spesso esilaranti; ci sono poi dei livelli in cui non ci saranno dei veri e propri enigmi ma offriranno al giocatore un divertente intermezzo con il quale poter interagire e dunque avere sempre una scenetta, più o meno personale, fra un livello e l’altro. Le soluzioni dei puzzle non sono mai chiarissime e perciò i game designer hanno pensato bene di inserire alcuni indizi qualora il giocatore si trovi in difficoltà in alcuni punti dall’avventura: il primo ci verrà dato sin da subito, un altro arriverà quando saremo visibilmente in difficoltà e questo sarà un pochettino più ovvio del precedente. Capiterà anche, rimanendo in tema di indizi, che quando cliccheremo su una delle apposite icone, Chuchel comincerà a farfugliarci la soluzione, facendoci sentire, a modo suo (visto che non parla la nostra lingua), dei veri incapaci!
È un titolo che sorprende di continuo e tante volte le meccaniche del gioco cambieranno senza un minimo di preavviso: da un momento all’altro potremo passare da semplici schermate statiche a una planata a bordo di un uccellino evitando ostacoli à la Flappy Bird, ci troveremo a combattere con dei robot giganti, a leccare strani funghi allucinogeni e ad aver a che fare con strambe allucinazioni oppure in un labirinto a mangiare ciliegie insieme a nientepopodimeno che Pac Man!
Al di là di tutto, è sempre il contesto generale a essere imprevedibile: le interazioni con Chuchel o con qualche elemento ambientale sono sempre assurde e, quasi sempre, questo titolo riuscirà a farci ridere e a risollevare il nostro umore, un po’ come avviene quando si guarda un cartone animato con poca logica! Il nostro personaggio infatti è spesso prolisso, esagerato e le lunghe animazioni, cliccando su un elemento dello schermo, servono proprio a sottolineare il brio che il gioco vuole trasmettere. Il gameplay in un certo senso, al di là dei semplici click o di un cambio di meccanica improvviso, potrebbe sembrare un po’ povero ma il titolo ci sorprenderà sempre proprio quando meno ce lo aspettiamo e sempre con risultati spettacolari.

Estasi sensoriale

Chuchel presenta uno stile veramente personale e ogni animazione è veramente curata fotogramma per fotogramma; dire che il solo guardare una schermata del gioco, anche senza far nulla, è un piacere per gli occhi non è un’esagerazione. Alcuni potrebbero lamentarsi del fatto che le animazioni, quando viene triggerata un’azione, non sono skippabili, ma guardare Chuchel risolvere i puzzle “a modo suo” è sempre un piacere da vedere, giocare a questo titolo non è molto diverso dal guardare un bel cartone animato. Descrivere il suo stile grafico non è facile, anche se è chiaro l’intendo di rievocare, a larghe linee, i disegni infantili, e dunque si ritrovano molti tratti in acquerello, a tempera/acrilico e anche a matita, sempre in una maniera imprecisa ma estrosa. È molto difficile dunque accostare un simile art-style a uno già esistente per via della sua unicità e singolarità; potrebbe a tratti ricordare qualcosa come Adventure Time, Gumball o Salad Fingers (se fosse privo di toni macabri e contorti) ma neppure questi esempi sono in grado di descrivere la spettacolare presentazione di questo titolo. Se vi portate a casa la Cherry Edition su Steam otterrete, insieme al gioco, anche l’art book in PDF e la colonna sonora del titolo; inutile dire che questo booklet, composto da ben 89 pagine, è curatissimo e rappresenta davvero un esperienza aggiuntiva perché le illustrazioni al suo interno sono semplicemente fantastiche e il suo acquisto (5€ in più rispetto alla versione base) vale davvero i soldi spesi.
Per accompagnare questo capolavoro di arte visiva c’è un comparto sonoro semplicemente eccezionale; questo è affidato interamente alla band DVA che dunque non ha soltanto composto la soundtrack, che presenta uno stile che si rifà sia alla musica elettronica che a uno strano folk (più precisamente un Freak Folk) e segue spesso l’azione dello schermo come una Silly Symphony, ma hanno anche prodotto tutto l’assetto degli effetti sonori che, probabilmente, è ciò che potrebbe colpire di più il giocatore. Come già accennato in precedenza, “niente è come sembra” e dunque, se ci aspettiamo un “cip” di un uccellino, sentiremo sempre un suono strambo, prodotto spesso sia coi sintetizzatori sia, talvolta, anche a voce! Se utilizzerete le cuffie riuscirete a notare che alcuni effetti sonori, come un’esplosione, un volo o il sibilare di un serpente, sono stati riprodotti con un buffissimo suono fatto a voce, e questo è davvero un tocco di classe!

La ciliegina sulla torta

Chuchel è un gioco davvero spettacolare, che inebrierà i vostri occhi e le vostre orecchie ma, soprattutto, vi farà ridere e vi cambierà le giornate. L’opera attinge molto dai classici del genere, ma è comunque molto accessibile ed è un ottimo titolo sia per chi si vuole aprire verso questo genere e sia per i veterani, anche solo per poter godere dello stupendo art-style e della sua fantastica presentazione. Unica pecca è forse la sua scarsa longevità: i giocatori più esperti potrebbero completarlo in poco tempo e i pochi achievement paralleli non sembrano essere un grosso incentivo per continuare a giocare a questo gioco.
Ci sentiamo dunque di consigliare Chuchel soprattutto ai neofiti del genere che vogliono addentrarsi nel mondo delle avventure grafiche oppure agli estimatori della Amanita Design; questo è solo uno dei spettacolari giochi dello studio ceco e potrebbe costituire un ottimo punto di partenza per conoscere la loro realtà fatta primariamente da giochi simili, per poi recuperare i succitati titoli precendenti.
Il prezzo di Chuchel su Steam non è per niente proibitivo e per 9.99€, o 14.99€ se avete intenzione di guardare l’artbook e ascoltare la colonna sonora (credeteci, sono veramente fantastici), aggiungerete alla vostra libreria un piccolo grande capolavoro fatto di puzzle intriganti, personaggi strambi e suoni buffi! Provare per credere!




Grim Fandango Remastered gratis per 48 ore su GOG

Gog.com ha reso disponibile gratuitamente e per un tempo limitato (sino al 14 dicembre 2017) la remastered di Grim Fandango per PC, Mac e Linux. Il gioco è localizzato in 5 lingue ed è scaricabile sul sito della nota piattaforma.
Il titolo vede per protagonista Manny Calavera, agente incaricato di vendere biglietti di viaggio alle anime che devono affrontare il percorso che, secondo la concezione azteca, porta dalla terra dei morti sino al Nono Aldilà.

Grim Fandango, ideato da Tim Schafer, pur non avendo avuto all’epoca un gran riscontro di pubblico, ha rappresentato una delle avventure grafiche della LucasArts più lodate dalla critica, e conserva tutt’oggi un nutrito stuolo di estimatori. I diritti sono detenuti dalla Double Fine Productions dello stesso Schafer.




Milan Games Week 2017

La Milan Games Week porta a casa anche quest’anno ottimi numeri: spostatosi a Rho Fiera, l’evento ha offerto molto più spazio per i numerosi espositori e una più efficiente gestione dell’affluenza, che anche per questa edizione registra picchi davvero ragguardevoli. Circa 148.000 i partecipanti che hanno animato la manifestazione, dividendosi tra grossi developer, sviluppatori indie, retrogaming, youtuber, esport e cosplay che hanno fatto della 2017 un’edizione adatta a tutti i palati. Fra le principali attrattive della fiera, anche quest’anno non poteva mancare il guru, e stavolta è stato il turno di Tim Schafer. L’autore di Day of The Tentacle, Full Throttle e Grim Fandango è stato infatti oggetto di tributo e attrattiva per i numerosi fan delle sue vecchie avventure grafiche, ma non ha perso occasione per parlare dell’ultimo titolo targato Double Fine, Psychonauts in the Rhombus of Ruin:

I videogiochi continuano con i grossi sviluppatori: non mancano gli stand dei leader del mercato nelle console, da Xbox, in cui primeggiano i motoristici e la nuova Xbox One X, a Playstation, con numerose demo giocabili e simulazioni, fino a Nintendo, che mette in mostra le sue migliori IP, tutte tranne una: Mario+Rabbids: Kingdom Battle è infatti appannaggio dello stand di Ubisoft, nel quale abbiamo sentito alcuni protagonisti del successo di un gioco nato dal duro lavoro della sede milanese:

Ma non erano ovviamente presenti soltanto sviluppatori stranieri: ampio spazio è stato dato agli italiani, e fra questi ha avuto riscontri molto positivi lo stand di Remothered: Tormented Fathers, titolo sviluppato da Darril Arts e Stormind Games che ha colto l’occasione della Milan Games Week per annunciare l’Early Access:

Infine, spazio anche ai developer indipendenti: ben 56 i giochi presenti allo stand curato da AESVI, titoli di ogni genere tra i quali è stato possibile provare i più promettenti giochi del panorama indie italiano guidati dai game developer che li hanno realizzati:

Una Milan Games Week dunque in crescita con un ventaglio d’offerta vastissimo in ogni campo dell’intrattenimento, un segno che fa ben sperare in una crescita di un settore che, con un maggior supporto in termini di fondi e incentivi, può allinearsi al livello di paesi del resto del mondo che si trovano già ben più avanti. Del resto, in Italia, la creatività non manca.




Speciale Milan Games Week 2017

Gero Micciché ci racconta la Milan Games Week 2017 intervistando i principali protagonisti, da Tim Schafer al team di Ubisoft Milano che ha lavorato a Mario+Rabbids: Kingdom Battle, oltre a tanti sviluppatori italiani indipendenti presenti nello splendido angolo curato da AESVI!
Interviste, montaggio, testo e lettura di Gero Micciché
Riprese di Sabrina Santamaria




La Milan Games Week premiata ai Best Event Awards

Neanche il tempo di chiudere la settima edizione e Milan Games Week ottiene già un importante riconoscimento: è stato infatti assegnato ieri all’edizione 2016 dell’evento promosso dall’Associazione Editori Sviluppatori Videogiochi Italiani e realizzato da Campus Fandango Club il premio “Migliore Evento Pubblico” ai Best Event Awards, premio dedicato ai migliori eventi e alle migliori live communication, organizzato da ADC Group.
Il presidente AESVI, Paolo Chisari, ha dichiarato: «AESVI è molto felice di questo premio conferito a Milan Games Week, un consumer show che abbiamo fortemente voluto come industria e che non sarebbe quello che è oggi senza il coinvolgimento e la partecipazione di tutti i principali player del settore. La collaborazione con Campus Fandango Club è molto positiva e ci ha aiutato a rendere l’evento ancora più grande e di successo anno dopo anno. Milan Games Week ambisce ad un posizionamento sempre più internazionale e siamo certi che questo riconoscimento darà a tutti l’impulso per fare ancora meglio nelle prossime edizioni»
Anche Presidente di Fandango Club Spa, Marco Moretti, e l’AD Michele Budelli hanno ringraziato l’intero team che ha reso possibile tutto ciò: «Il primo ringraziamento va ad AESVI che da quattro anni ci ha affidato l’organizzazione di un evento tanto affascinante e complesso come Milan Games Week. Oggi festeggiamo il premio assegnato all’edizione 2016, ma ci piace dire che Milan Games Week andrebbe candidata al BEA ogni anno, tanta è l’evoluzione e la crescita che questo evento vive anno su anno, in termini di presenze e soprattutto di contenuti. Siamo entusiasti e questa gioia la condividiamo con tutto il Campus: Milan Games Week è probabilmente l’evento in cui più emerge la forza, la professionalità e la dedizione della nostra splendida squadra».

Un altro passo importante per un evento che cresce di anno in anno e che non può che far bene al settore videoludico italiano.
Trovate di seguito il nostro reportage sull’edizione 2017 della Milan Games Week:




Le 5 migliori avventure grafiche di Ron Gilbert (ai tempi della LucasArts)

Parlare di avventure grafiche nel mondo dei videogame significa sempre in qualche modo parlare di Ron Gilbert.
Il game designer e programmatore statunitense è certamente uno dei padri assoluti del genere, la cui nascita può collocarsi circa negli anni ’80, quando lo stesso Gilbert trasformò le avventure testuali nei punta e clicca che oggi tutti conosciamo. Erano i tempi della Lucasfilm games, poi diventata LucasArts, azienda con la quale sfornò capolavori entrati nella storia che poggiavano su un’applicazione da lui stesso inventata per semplificare lo sviluppo delle avventure, lo SCUMM. Il sodalizio fra Gilbert e LucasArts non può dirsi lungo ma fu di certo molto fervido, e di quel periodo ci sono almeno 5 avventure grafiche assolutamente da ricordare:

La prima è Maniac Mansion, considerata una delle prime avventure grafiche della storia, uscita nel 1987 e sviluppata con il game developer Gary Winnick, che l’anno prima aveva lavorato su Labyrinth sempre per la Lucasfilmgames.
Sviluppato inizialmente per Commodore 64, Maniac Mansion è la parodia di un classico film horror, dove si racconta la storia di un gruppo di giovani ragazzi che devono aiutare un loro amico a salvare la propria ragazza rapita dal pazzo dottor Fred Edison. Il gioco è interamente ambientato nella magione degli Edison e riscontrò un enorme successo dovuto all’innovativa modalità di gioco, all’ampio ventaglio di personaggi e alla possibilità di sceglierne 3 da gestire in parallelo nel corso gioco, agli enigmi ben congegnati, a un’umorismo grottesco e debordante e a una serie di trovate che caratterizzeranno la cifra stilistica di Ron Gilbert e della Lucas, la quale produrrà anche un seguito del gioco, Day of The Tentacle, sviluppato però da Dave Grossmann e Tim Schafer che da Gilbert prenderanno alcune idee.

Nel 1988, abbiamo Zak McKracken and the Alien Mindbenders, avventura che gode dello stesso stile grafico di Maniac Mansion ma che questa volta fa il verso a film del genere L’invasione degli Ultracorpi e alle storie sul controllo mentale alieno. Ideato da David Fox e con Ron Gilbert nel ruolo di designer, il gioco vede per protagonista Zak, un giornalista che scopre un complotto extraterrestre e dovrà fare di tutto per sventarlo, spaziando da scenari storici come Stonehenge, le Piramidi, Atlantide e arrivando sino a Marte. Anche qui si potranno controllare più personaggi, ma solo nel corso del gioco, quando in aiuto di Zak accorreranno la scienziata Annie e le studentesse di Yale Melissa e Leslie.

Un solo personaggio, ma di grande spessore, ha invece per protagonista l’avventura grafica dell’anno successivo, Indiana Jones e l’ultima crociata, uscita nello stesso anno del famoso film per sfruttarne il grande richiamo. La Lucasfilm Games affida l’operazione proprio a David Fox e Ron Gilbert e il livello qualitativo del gioco non risente del peso dell’opera cinematografica i quali inseriscono nel gioco una componente action finora inedita al genere, con combattimenti che rendono la storia più dinamica ma che il giocatore può scegliere di evitare tramite le giuste risposte nel corso i dialoghi, dando dunque al giocatore una possibilità di percorsi alternativi e accontentando così tutti gli utenti in relazione all’approccio preferito. Questa strada sarà poi ripresa nel successivo capitolo videoludico di Indiana Jones, l’acclamato Fate of Atlantis.

Ma è del 1990 quello che è considerato uno dei grandi capolavori di Ron Gilbert dell’epoca Lucas: parliamo di The Secret of Monkey Island, parodia piratesca che vede al centro il giovane Guybrush Threepwood, che sogna di diventare un temibile pirata e del quale si seguono le peripezie prima nelle tre prove affrontate sull’isola di Melèe e poi nella spedizione di salvataggio del governatore Elaine Marley, rapita dal temibile pirata fantasma LeChuck, che lo porterà a sbarcare proprio sulla mitica Monkey Island. É certamente il gioco della maturità per Ron Gilbert, dove trovano la massima espressione il suo umorismo grottesco, le sue idee più visionarie e una rinnovata visione del game design. In Monkey Island prendono finalmente forma compiuta le idee riguardo le avventure grafiche elaborate da Gilbert in questi anni di esperienza, idee che nel 1989 il game designer espresse in un breve scritto chiamato Why Adventure Games Suck, ovvero Perché i giochi d’avventura fanno schifo, un insieme di regole imprescindibili per le avventure grafiche che costituisce oggi un vero e proprio manifesto per chi sviluppa adventure game.

Il successo di The Secret of Monkey Island fu tale che nel giro di un anno ne fu realizzato il seguito, LeChuck’s Revenge, nel quale Guybrush si ritrova nuovamente ad affrontare il suo storico nemico, stavolta resuscitato da un suo tirapiedi, e a ricercare il tesoro nascosto di Big Whoop. Questo episodio, che vede il protagonista a navigare per varie isole, con un ampio numero di scenari, dialoghi spiazzanti e scene memorabili, gode di una storia complessa e curatissima, con virate surreali e inaspettate soprattutto nel finale, e con tutte le caratteristiche della narrativa di Gilbert, ricca di enigmi elaborati, quadri di gioco unici e humor dissacrante, ha contribuito a fare di Monkey Island una serie cult senza precedenti nel mondo videoludico, che ha visto produrre vari sequel non giudicati mai all’altezza.

Pur avendo subito il genere punta e clicca una forte inflessione negli ultimi 2 decenni, Ron Gilbert è tornato quest’anno in grande stile con Thimbleweed Park, dimostrando che le avventure grafiche hanno ancora molto da far dire a chi sa scriverle con arte.




Slitta l’uscita di Thimbleweed Park per Android

Ron Gilbert ha annunciato sul sito ufficiale di Thimbleweed Park che il rilascio della versione Android dell’acclamato punta e clicca slitterà di una settimana, dal 3 al 10 ottobre. «La buona notizia», continua Gilbert «è che la build per Android supporterà controller, mouse e tastiera, nonché un più vasto range di hardware».
Gilbert ha spiegato inoltre il perché del ritardo del rilascio sul Play Store: «Lo sviluppo su Android è sempre duro a causa della vasta gamma di dispositivi destinatari. Quando siamo arrivati ​​alla fine del test, alcuni dispositivi hanno mostrato problemi di GPU che era necessario risolvere. Ci siamo impegnati a far sì che la versione Android funzioni con i controller, oltre che a mouse e tastiera, e questo richiede più tempo di quanto preventivato affinché tutto funzioni.»
In chiusura del post, Gilbert sdrammatizza alla sua maniera: «È dura quando la release di una versione di un gioco slitta, senti di aver fallito qualcosa. Ma si tratta solo di una settimana e avremo maggior compatibilità, oltre ai controller, al mouse e alla tastiera. Ho menzionato i controller, mouse e tastiera? Sì, li avremo.»

Thimbleweed Park è stato rilasciato a marzo 2017 per PC, ed è attualmente presente anche su PS4, Xbox, Nintendo Switch, iPhone e iPad.




Speciale avventure grafiche

Speciale avventure grafiche: dal text based game al walking simulator

Siamo fra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni 80; le prime sale giochi sono colme di persone in fila per giocare a giochi come Space Invaders, Galaxian, Pac Man, Defender, Berzerk, Tempest e molti altri. È un vero e proprio fenomeno di massa, i videogiochi sono popolarissimi fra gente di ogni età, ogni dove e ceto sociale. Erano giochi semplici con semplici obbiettivi: mangia i puntini, spara agli alieni, ai robot, completa il puzzle, etc… nessuno di questi giochi era molto cervellotico e fra i giocatori c’era, probabilmente, un bisogno di un qualcosa di più complesso, qualcosa di più intelligente. Un po’ prima dell’avvento degli arcade, il gioco da tavola Dungeons & Dragons fu rilasciato nel 1974; giovani da tutto il mondo si immergevano in queste avventure immaginare, in mondi fantastici a bordo di draghi volanti brandendo spade magiche. La peculiarità di quel gioco stava nella figura del dungeon master che, dietro ad un tabellone con regole ed altro, raccontava l’avventura che man mano si srotolava e metteva i giocatori davanti a situazioni e nemici che potevano essere superati con l’ausilio di una buona cooperazione. Il successo di questo gioco da tavolo spinse uno geniale Scott Adams a portare questo tipo di fruizione, cioè tramite narrazione, nel primo gioco testuale su PC: Adventureland del 1978. Seppur l’effetto carisma, tipico del dungeon master, spariva di fronte ad un testo di sole parole sullo schermo di un PC, Adventureland serviva allo scopo perfettamente; il giocatore si immergeva in dei mondi che effettivamente, non poteva vedere, tutto avveniva come quando si legge un libro, dentro la sua testa. Il fattore immaginazione in questi termini è, ad oggi, è semplicemente scomparso; la grafica, anche nei giochi più frenetici di quei anni, era ancora a uno stadio primitivo e gli elementi sullo schermo rappresentavano vagamente ciò che dovevano rappresentare. Già in un semplice Pong, rilasciato nel 1972, gli utenti vedevano due giocatori di tennis, un campo e una pallina ma in realtà, ciò che avevano di fronte, erano soltanto due barrette che facevano su e giù e un quadratino che rimbalzava da una parte all’altra. Nonostante l’avvento delle arcade, e dunque di giochi graficamente sempre migliori, i giocatori usavano ancora la propria immaginazione per definire meglio gli elementi nello schermo, specialmente a casa con console come l’Atari 2600 o computer come il Commodore Vic-20 che producevano una grafica peggiore rispetto alle loro controparti arcade. L’avvento dei giochi text based adventure sfruttava a pieno questa capacità umana basando l’intero gameplay (se così possiamo chiamarlo) sull’immaginazione del giocatore; al giocatore venivano presentate diverse situazioni risolvibili inserendo comandi semplici come “go north”, “pick item” o “kill enemy” tramite l’ausilio della tastiera. Fu così che i text game cominciarono a prendere piede nelle case di alcuni giocatori e compagnie come la Adventure International (fondata dallo stesso Scott Adams) e la Infocom fecero dei text game i loro prodotti di bandiera; giochi come la Serie di Zork, The Count e The Hitchhiker’s Guide to the Galaxy (tratto dall’omonimo romanzo conosciuto in Italia come Guida Galattica per autostoppisti dalla quale è stato anche tratto un film nel 2005) furono pionieri di questo nuovo genere videoludico in cui tutto si svolgeva nella testa dei giocatori. I text game continuarono a esistere per tutti gli anni ’80, ma questo genere fu eclissato dall’arrivo delle avventure grafiche che poi si sarebbero evolute in punta e clicca.

L’epoca d’oro

Nel 1980 la neonata Sierra (all’epoca On-line Systems) pubblicò Mystery House per Apple II, considerato da molti l’inizio delle avventure grafiche; il nuovo titolo, che di base era un text game, offriva una vera e propria interfaccia grafica abbastanza primitiva, giusto l’input da dare alla mente umana per poter immaginare l’azione (visto che il display non ne aveva e non aveva neppure il sonoro). Lo scopo del gioco era quello di individuare un assassino all’interno della magione vittoriana investigando e costruendo ipotesi sugli oggetti che si andavano trovando man mano per la magione. Sempre in questo periodo, fra il 1980 e il 1984, vennero ripubblicati alcuni vecchi giochi text game con una nuova interfaccia grafica, simile a Mystery House, per i computer più moderni; fu il caso per il già citato Adventureland che, in occasione della sua uscita sul Commodore 64 nel 1982, fu ripubblicato con una cornice un cui era possibile osservare ciò veniva mostrato a testo. Il 1984 fu un anno importante per le avventure grafiche poiché uscì il primo capitolo della rinominata saga della Sierra Entertainment King’s Quest. Se pur ancora era necessario dover inserire i comandi su tastiera, King’s Quest fu un punto di svolta per le avventure grafiche: il testo fu utilizzato esclusivamente per i dialoghi, Sir Graham (il protagonista) era visibile in terza persona e, animato in ogni singolo dettaglio, lo si poteva vedere camminare, aprire le porte, prendere oggetti, etc… Semplici cose come le bandiere che sventolavano in cima al castello nella prima schermata erano un qualcosa di incredibile e mai visto prima. In precedenza non fu mai pubblicato nulla di simile e King’s Quest aprì le porte per un futuro sempre più luminoso per le avventure grafiche. Dal 1986 la Lucasfilm Games decise di cimentarsi sul campo delle avventure grafiche che, nel frattempo, diventavano sempre più popolari. Con l’avventura grafica del 1986 Labyrinth (tratto dall’omonimo film con David Bowie), la Lucasfilm Games (che poi diventerà Lucasarts) si aprì verso quel genere che diventò la loro specialità. Col successivo (e anche un po’ controverso) Maniac Mansion la LucasArts cambiò gli standard per le avventure grafiche a venire. La sua grande innovazione fu la creazione del motore grafico SCUMM, acronimo di “Script Creation Utility for Maniac Mansion”, che, a metà fra un linguaggio di programmazione ed un interfaccia utente, permetteva una migliore interazione con la scena semplicemente scegliendo un’oggetto col mouse, appena implementato per i videogiochi, per poi compiere un’azione selezionandola da uno dei già elencati comandi testuali. Da quel punto in poi per la LucasArts fu tutta una strada in discesa e il motore SCUMM fu usato per tutte le future uscite come Zak McKracken and the Alien Mindbenders, Indiana Jones and the Last Crusade, Loom ma soprattutto i legendari The Secret of Monkey Island, pubblicato nel 1990, e il suo sequel Monkey Island 2: Le Chuck Revenge. La serie di Monkey Island ebbe un impatto per i computer come Super Mario Bros lo ebbe per il mercato delle console; durante la prima metà degli anni 90 si vive quella che viene considerata l’epoca d’oro delle avventure grafiche. La LucasArts produsse meraviglie come Indiana Jones and the Fate of Atlantis, Sam & Max Hit the Road, Day of the Tentacle (che introdusse vere e proprie linee vocali per i dialoghi), The Dig e Full Throttle. La Revolution Software, un nuovo importante operatore, si buttò nella mischia con validissimi titoli come Lure of the Temptrest del 1992, che diede prova del loro motore grafico “Virtual Theater” che fu usato anche per il successivo distopico Beneath a Steel Sky del 1994, e la saga di Broken Sword iniziata nel 1996 e che dura a tutt’oggi. Sierra Entertainment continuava il suo trend positivo con sage del calibro di Gabriel Knight, i numerosi titoli della saga di King’s Quest e il controverso Leisure Suit Larry. L’apprezzamento delle avventure grafiche arrivò anche in Giappone facendo partire un nuovo filone parallelo di avventure grafiche più comuni come “visual novel”. Ricordiamo la popolare saga di Clock Tower, arrivata anche in occidente, e gli spettacolari Snatcher e Policenauts del 1989 e 1995, programmati dall’acclamato Hideo Kojima, creatore della saga di Metal Gear.

Crisi e ripresa

Verso la metà degli anni 90 l’interesse dei giocatori verso i punta e clicca stava diminuendo in favore dei nuovi giochi con grafica tridimensionale. La Lucasarts, per riconquistare il parere dei fan e della critica dopo un poco rilevante The Curse of Monkey Island, investì diverse risorse in quello che fu Grim Fandango, una delle più belle avventure grafiche mai realizzate. Uscito nel 1998, programmato dalla mente geniale di Tim Schafer, Grim Fandango mostrava una grafica eccellente per i tempi, una storia degna dei migliori film noir, un doppiaggio magistrale con battute degne di Monkey Island e una colonna sonora jazz/bebop di altissimo calibro. Nonostante i numerosissimi premi della critica soltanto 500.000 copie circa furono vendute e purtroppo fu la prova che le avventure grafiche erano in crisi. Dopo un altro (ingiustamente) fallimentare Escape from Monkey Island e dopo la successiva cancellazione di Sam & Max: Freelance Police nel 2004 la Lucasarts dichiarò di non volersi più dedicare allo sviluppo di nuove avventure grafiche. In tempi recenti però, con l’arrivo della ormai nota software house Telltale Games, il genere appare di nuovo in più forte che mai. La Telltale rilanciò un genere ormai infiacchito e riprese brand della Lucas come Sam & Max e lo stesso Monkey Island, puntando ad una struttura ad episodi che le ha garantito il successo con giochi tratti da famose IP quali The Walking Dead, Game of Throne e Batman, dettando le regole delle avventure grafiche moderne. Negli ultimi anni si è assistito a una rivisitazione del genere sia in ambito 3D, come ci dimostra la storia della Telltale o l’ultimo capitolo della saga di Broken Sword: The Serpent’s Curse, sia in ambito 2D con giochi come Machinarium o Whispered World. In un mondo dove le visual novel, come la super celebre Ace Attorney, hanno successo in occidente e il grande gigante del settore Tim Schafer torna sotto i riflettori con Broken age dopo un finanziamento su Kickstarter senza precedenti non ci stupisce più se il già citato Scott Adams ha prodotto il suo ultimo gioco nel 2013, The Inheritance… ovviamente un text game! E indovinate un po’, quest’ultimo gioco ha anche una grossissima innovazione: il sonoro! Insomma, mentre le storie continuano ad appassionare i giocatori, il futuro delle avventure grafiche pare ancora tutto da scrivere e, ovviamente, tutto da giocare.




Full Throttle

Rilasciata la remastered di Full Throttle

Continua la tendenza a rimasterizzare vecchie avventure grafiche, grandi classici che hanno attratto numerosi appassionati e che da oggi sono disponibili anche su console: dopo aver messo sul mercato le remastered di Day of the Tentacle e Grim Fandango, la Double Fine Productions ha finalmente rilasciato Full Throttle Remastered, avventura grafica scritta da Tim Schafer sotto il marchio LucasArts nel 1995. Il gioco racconta la storia di Ben, che di cognome farebbe “Throttle“, ma nel videogame viene esplicitato solo il nome per decisione dello sviluppatore, che volle scongiurare il rischio di una causa da parte del produttore della serie animata Biker Mice from Mars, nella quale era presente un personaggio di nome Throttle, appunto. La citazione rimase solo nel titolo ma, nel contenuto, rimase inalterata la storia, che racconta di Ben, leader della banda di biker chiamata Polecat, e delle sue vicissitudini per le larghe strade degli Stati Uniti.
Full Throttle Remastered sarà disponibile su PlayStation 4 e PlayStation Vita con una grafica del tutto rinnovata e un sonoro già di alto livello completamente rimasterizzato, elemento non da poco, visto che il gioco di Tim Schafer fu uno dei primi a godere di un doppiaggio di alta qualità (fra i doppiatori è presente Mark Hamill, il Luke Skywalker di Star Wars) e di musiche della band The Gone Jackals (fra l’altro bikers anche questi, oltre che musicisti).
Una piccola perla da recuperare per tutti gli amanti delle avventure grafiche.