Caro lettore, il nuovo anno è cominciato da qualche mese, ma per noi di GameCompass comincia un po’ oggi. Riprendiamo le pubblicazioni dopo una breve (e utile) pausa per ripensare le nostre attività, e ricominciamo più energici che mai. Ci stiamo avvicinando sempre più al primo quarto di secolo del nuovo millennio, e io oggi ho deciso di tornare con una piccola lettera di buoni propositi per il nuovo anno: perché per noi, sì, si ricomincia oggi.
Il nuovo anno mi si prospetta come un arco di tempo travolgente, un po’ perché compio è l’anno della mia maggiore età, un po’ perché saranno due anni che faccio parte di questa redazione di pazzi, appassionati e inguaribili gamer, ci supportiamo e sopportiamo da un biennio (soprattutto loro, mi sopportano tanto…), ed è a loro che voglio dedicare un bel brindisi, come fosse il primo dell’anno; in fin dei conti, nonostante qualche diverbio su quale sia il miglior shampoo per l’auto o su quale sia la miglior console di sempre, siamo davvero una gran bella squadra, ognuno specializzato nella propria sfera di competenza editoriale.
Dal nuovo anno, faccio un po’ di analisi e un po’ di blande “premonizioni” (e Paolo Fox può accompagnare solo): sarà un anno importante in campo videoludico, alla GDC si compirà la rivoluzione verso i giochi in streaming (Google, ti aspettiamo al varco), avremo passi avanti nella tecnologia grafica (sempre più orientata al fotorealismo), contenuti nuovi, un’ascesa delle tecnologie VR e AR, che finora hanno avuto un ruolo da “contorno”, salvo ovviamente qualche bel titolone.
Nel corso del 2019 abbiamo già avuto titoli di grido come Anthem(grido di dolore, ma pur sempre “grido), Metro Exodus e si attendono ancora titoli a mio avviso fantastici, come Days Gone, Crash Team Racing Nitro-Fueled, World War Z, e per la gioia del nostro Gabriele Sciarratta, Tropico 6. Per quanto riguarda i propositi “redazionali”, se avete seguito i nostri Gamecompass Awards 2018, saprete sicuramente che stiamo ristrutturando un po’ tutto, dal format televisivo, al calendario streaming di Twitch, alle sezioni del sito stesso. Insomma abbiamo avviato una bella operazione di lifting editoriale per snellire, senza pero’ intaccare la qualità e quantità dei contenuti che puntualmente vi forniremo giorno dopo giorno.
La trasmissione riprende regolarmente, ma con cadenza più dilatata: perché le cose vanno fatte per bene, e non vogliamo forzare la mano.
Detto questo voglio augurare a tutti ma proprio tutti “uno spettabile anno nuovo”, come direbbe uno dei più grandi “dramma-comici” mai esistiti, un bacio a tutti dalla redazione di Gamecompass!
Kingdom Hearts III avrà i DLC
Durante questa settimana si è tenuta la Black Friday Week, la famosissima settimana dedicata agli sconti. Il colosso americano Amazon ha ovviamente partecipato e, oltre a rilasciare moltissime offerte sul suo sito, ha anche tenuto uno streaming venerdì 23 alle 21:00 (ora italiana) in cui ha annunciato alcuni particolari sul prossimo gioco di Tetsuya Nomura:Kingdom Hearts III.
All’interno della live, avvenuta su Twitch, si è parlato di un trailer che verrà rilasciato durante il Cyber Monday(lunedì 26) verso le 22:00 italiane, un bonus per i clienti Prime e un DLC. Proprio così, pare che Kingdom Hearts avrà dei contenuti digitali scaricabili, ma ancora non si sa se questi amplieranno il mondo di gioco, aggiungendo mondi, personaggi e altro, o se includeranno, per esempio, solamente degli oggetti estetici. Alcuni fan sono rimasti colpiti negativamente dall’annuncio della presenza di DLC, avendo il terrore che questa scelta possa modificare l’approccio a un gioco che non ha mai conosciuto alcun contenuto a pagamento. Non avendo ancora delle informazioni chiare non possiamo che aspettare la serata di lunedì con lo streaming per riuscire a capirci di più.
The Movies e l’avanguardia videoludica
«Basito lui, basita lei, macchina da presa fissa, luce un po’ smarmellata e daje tutti che abbiamo fatto!» era una delle frasi di René Ferretti, regista della fiction Occhi del cuore 2 la quale lavorazione è stata narrata nella serie televisiva cult Boris. Eppure nel 2005, due anni prima della serie italiana era uscito un videogioco che narrava le storie e i meccanismi dell’industria della celluloide. Era The Movies di Lionhead Studios, software house fondata da Peter Molyneux, una delle menti videoludiche più visionarie di quegli anni.
L’anno è il 1997: Molyneux, allora fresco del successo ottenuto con i due Popolous, uscì da Bullfrog per inseguire la sua visione dedicata a giochi innovativi per gli anni a venire. Così nacquero i Lionhead Studios che partirono subito in quinta con due giochi dall’ottimo successo di critica e vendite come il simulatore dei Black & White e il primo capitolo di una saga fantasy capace diventare una delle esclusive più apprezzate e amate della prima Xbox: Fable.
Come terzo gioco il game designer britannico decise di cambiare genere e di creare un gestionale basato sulla storia del cinema e sulla creazione di un lungometraggio: così nacque The Movies, anch’esso un grande successo di critica, tanto da vincere un BAFTA (l’equivalente inglese degli oscar del cinema) come miglior gioco di simulazione del 2006. Purtroppo le vendite non furono entusiasmanti, ma il titolo seppe ritagliarsi un grande spazio sul web. Ma a questo ci arriveremo dopo. The Movies comincia la sua storia negli anni ‘20, durante gli albori della cinematografia. Il nostro compito è quello di gestire il nostro studio cinematografico e di creare dei lungometraggi capaci di ottenere dei premi (gli Stanley, parodia degli Oscar) e generare profitto. Sta a noi assemblare la troupe più adatta al film, con sceneggiatori adatti a uno dei cinque generi (sentimentale, fantascienza, horror, azione e commedia) a disposizione nel gioco, il giusto regista, gli attori protagonisti, le comparse e altri addetti ai lavori come operatori di macchina, ciakkisti, microfonisti e via dicendo. Una delle particolarità di The Movies è che ripercorre la storia dell’umanità legata ai rispettivi film: ciò significa che durante la grande depressione ci sarà bisogno di più commedie, mentre il pubblico chiederà più film fantascientifici durante la corsa allo spazio degli anni ‘60, oppure il periodo successivo alla seconda guerra mondiale vedrà l’affermarsi della cinematografia horror. Sarà altrettanto importante pensare ai bisogni delle nostre star: stanchezza? depressione? Nessun problema, un bel bicchiere di whiskey o una pizza e passa tutto… ma occhio a non esagerare, perché l’alcolismo e la perdita del giusto peso forma per un attore di film d’azione sono dietro l’angolo.
Insomma, il titolo Lionhead è frutto di un grandissimo lavoro di ricerca e dedizione del mondo cinematografico, ma offre anche un’innovazione senza pari per i tempi. Infatti, il titolo creato da Molyneux e soci permetteva di creare un cortometraggio di massimo venti minuti usando l’editor del gioco! Basta usare la “modalità avanzata”, dove si può creare un copione con tanto di storyboard; Qui si possono modificare gli oggetti di scena, lo sfondo, le condizioni atmosferiche e i movimenti degli attori. Dopo aver registrato tutto la palla passa alla post-produzione: qui si possono aggiungere titoli di testa e di coda, musica, effetti sonori, sottotitoli e dialoghi, questi ultimi addirittura registrabili dai giocatori, ma usando frasi brevi, così da sfruttare il lip-synch e dare agli attori un labiale corretto.
In conclusione, il filmato può essere salvato come file proprietario oppure in vmw per caricarlo in rete. Infatti uno dei punti di forza di The Movies era la sua comunità rappresentata da The Movies Online, dove Lionhead aveva pensato a un sistema di economia interno davvero rivoluzionario, oltre a gestire la selezione delle migliori opere: infatti caricare un film sul portale online fruttava 500 crediti virtuali, mentre una recensione permetteva di guadagnarne 200. I crediti ottenuti potevano essere spesi nel gioco per l’acquisto di costumi, oggetti di scena e set, oppure per pubblicizzare la propria opera sul sito. Dopo l’arrivo della prima e unica espansione del titolo chiamata Stunts & Effects, che aggiungeva al gioco nuovi costumi, la possibilità di usare gli stuntman durante le scene più pericolose e quella di creare dei veri e propri poster pubblicitari da usare su TMO, al costo di 10.000 VC.
The Movies Online chiuse nel 2008, dopo soli tre anni di vita, due milioni di visitatori e oltre 9000 ore di film caricati dai fan. Il titolo Lionhead è stato fondamentale per la creazione dei cosiddetti machinima, una tecnica per creare brevi cortometraggi nata grazie l’editor di alcuni giochi come Grand Theft Auto IV, il Source Film Maker (famoso per essere usato da alcuni content creator come l’italiano The Pruld) e, appunto, The Movies, vero e proprio precursore di questa tecnica soprattutto grazie alla versione per Mac, capace di esportare i filmati su iPod e di interfacciarsi con la suite iLife, contenente programmi come Garage Band per la musica e iMovies per l’editing video.
Nonostante alcuni paletti tecnici, The Movies godette di parecchia fama in questo settore, tanto da far nascere alcune community tuttora attive, come lo spagnolo The Movies Cinema.
Poco dopo l’uscita di The Movies e del secondo Black & White, Lionhead Studios divenne proprietà Microsoft nel 2006, attirata dal successo del primo Fable. I due sequel usciti rispettivamente nel 2008 e nel 2010 non riscossero lo stesso clamore tra i fan e Molyneux abbandonò poco prima l’uscita di Fable: The Journey, controverso titolo che faceva leva sul Kinect, per incomprensioni artistiche con Don Mattrick, capo della divisione gaming Xbox. Quest’ultimo voleva spingere più sul lato casual, mentre lo sviluppatore inglese cercava un approccio più innovativo; il tempo avrebbe dato ragione a Molyneux, ma Lionhead navigava in cattive acque senza il suo fondatore. Lo studio venne chiuso da Microsoft nel 2016, dopo il fallimento del progetto Fable Legends, che sarebbe dovuto essere un MMORPG, ma il titolo venne cancellato dopo due anni di lavoro. Molyneux non restò con le mani in mano e fondò 22 Cans, un piccolo studio che ha rilasciato tre titoli particolari come Curiosity: What’s inside the cube?, a detta del game designer, un esperimento sociale multiplayer, Godus, mal riuscito tentativo di reinventare il genere del god game a la Popolous e The Trail: Frontier Challenge, un particolare walking simulator pubblicato sulla piattaforma indipendente Kongregate, oltre che sugli store mobile, Steam e Nintendo Switch.
E The Movies? Sembra assurdo, ma con l’acquisizione di Lionhead da parte di Microsoft e la scadenza della licenza da parte di Activision, il gioco è stato rimosso da Steam nel 2014 ed è tuttora impossibile giocarci a meno di avere una copia fisica da usare con una macchina virtuale con Windows XP o un computer apposito. Il titolo è molto richiesto su gog.com e figura ancora su SteamDB, quindi la speranza di rivederlo nello store Valve è non è ancora morta.
Dopo tredici anni dalla sua uscita possiamo dire che The Movies rappresenta al momento il canto del cigno creativo di Lionhead Studios e di Peter Molyneux, game designer che non ha più raggiunto certi livelli di creatività e innovazione. Sarebbe bello avere un nuovo The Movies Online, che grazie alla diffusione dello streaming su piattaforme come Twitch potrebbe trovare nuova linfa tramite vere e proprie riproduzioni di machinima creati con l’editor del gioco, come se si andasse al cinema per vedere l’ultimo blockbuster appena uscito. Il bello di The Movies è proprio qui: non era solo un semplice gestionale, ma un modo per stimolare la creatività tramite la realizzazione di un cortometraggio. Non so voi, ma da fan del gioco sogno da anni di poter tornare ad esclamare “motoreii”, come un novello René Ferretti.
Polymega: la nuova frontiera del retrogaming
Le librerie digitali di PC e console sono inondate da titoli dall’aspetto vintage ma per ora, dopo la chiusura di LOVEroms e LOVEretro e dell’effetto domino che si è venuto a creare, gli interessati a riscoprire i veri e propri titoli del passato per ora non vivono giorni facili. Sia Steam che gli store digitali delle console non stanno offrendo una vera alternativa alle tanto amate ROM e i rivenditori su eBay sembrano voler girare il coltello nella piaga. Per quanto nero possa sembrare lo scenario attuale qualcuno si sta già muovendo e un ambiziosissimo progetto avviato un anno fa sta per vedere la luce: stiamo parlando della Polymega, una console di una nuova compagnia chiamata Playmaji e fondata da ex dipendenti di Insomniac e Bluepoint games (senza contare che questi hanno lavorato a giochi tripla A come Ratchet & Clank e Titanfall) e che promette compatibilità con ben 13 sistemi (in realtà 30 se contiamo che questa “frankenmacchina” è region free). Questi, per la gioia dei più appassionati, sono:
Sony PlayStation
Neo Geo CD
Turbografx 16/PC Engine
Turbografx 16 CD/PC Engine CD-ROM2
Supergrafx
Super CD ROM2
NES
SNES
Sega Mega Drive
Sega CD
Sega 32X
Sega CD32X
Sega Saturn (quest’ultima annunciata a sorpresa con il trailer di lancio per l’apertura dei preorder)
Chiunque di fronte una tale lista rimarrebbe senza fiato e i retrogamer di tutto il mondo potrebbero ritrovarsi un sistema che potrebbe risolvere un’infinità di problemi, dallo spazio in casa ai soldi da spendere per i sistemi, i giochi ed eventuali pezzi di ricambio o per la manutenzione di quest’ultime (specialmente per le console a CD costruite con un sacco di pezzi mobili o batterie RAM da cambiare). Ma cosa è esattamente questa macchina? Come può promettere una compatibilità così ampia e come risolverebbe l’attuale fame del retrogaming?
I can make this work
Il termine “frankenmacchina” che abbiamo usato poco fa descrive perfettamente la natura di questo prodotto – cara Accademia della Crusca, il mio codice IBAN è… –: la console è composta da una base, il cuore della macchina, in cui è presente il lettore CD che permette di leggere tutti i sistemi a supporto ottico (dunque ben sei sistemi) e a questa possono essere aggiunti dei moduli che leggeranno le cartucce originali, le cui ROM verranno caricate nel sistema interno per essere emulate (pertanto non sarà necessario inserirle ogni volta che vogliamo giocare con un determinato gioco), e saranno compatibili con i controller originali. Nella base troveremo inoltre due porte USB (come spiega la sezione FAQ del sito di Polymega e da come possiamo vedere dal trailer introduttivo), sarà compatibile con bluetooth e, visto che gli sviluppatori promettono aggiornamenti per il sistema operativo interno, sarà possibile connettere la macchina a internet per accedere a un futuro store, che verrà lanciato nell’ultimo quarto del 2019, dove poter scaricare giochi e, se l’obiettivo dei 500.000$ verrà raggiunto nei primi 35 giorni, persino mandare il proprio gameplay in streaming su Twitch e YouTube. Il sito ha da poco aperto i preorder: il modello base, che comprende un controller standard simil PlayStation 4 per giocare ai sistemi CD, costa 249,99$ (al cambio attuale, in Euro, sono circa 215,60€) mentre i singoli moduli, che verranno venduti insieme a dei controller cablati simili a quelli dei sistemi emulati, costeranno 59,99$ (attualmente 51,74€) e al loro interno saranno caricati ben cinque giochi. Essendo un sistema moderno, l’attacco principale della console sarà l’HDMI ma, come un NES mini o SNES mini ci permette, sarà possibile regolare l’immagine e pertanto decidere se scegliere il formato 4.3 o 16:9, se mostrare tutti i pixel, mostrare gli “scalini” o avere un’immagine “pixel perfect“. Come già accennato, questa console estrarrà le ROM dalle cartucce per poi, essenzialmente, emularle all’interno dei moduli (e permettere tutto quello quello che permettono gli emulatori: save e load state, fare screenshot, registrare il gameplay, etc) ma gli sviluppatori hanno promesso di creare degli emulatori da zero, senza l’ausilio di altri software preesistenti.
Cosa significa Polymega per l’industria?
Prima di sottolineare come Polymega potrebbe incidere sul mercato vogliamo, per prima cosa, evidenziarne alcuni aspetti. Innanzitutto, questa console viene incontro alle richieste dei retrogamer finora rimaste inascoltate; nessuna terza compagnia, le molte che operano nel campo del retrogaming per offrire nuovi dispositivi per le vecchie macchine, aveva finora pensato alle piccolezze di alcune di queste, come offrire la compatibilità con il 32X per i cloni del Sega Mega Drive, offrire un’alternativa moderna agli ormai costosissimi Turbografx 16/PC Engine, senza contare che il loro modulo leggerà, praticamente, le sei cartucce del Supergrafx (console che si sarebbe dovuta comprare a parte anche possedendo una delle due versioni della console NEC), ma soprattutto offre la prima vera soluzione per i giochi su compact disk la cui compatibilità, grazie agli aggiornamenti firmware, potrà essere espansa a ben altre console a supporto ottico in futuro come il Sega Dreamcast (continuamente citato nella sezione FAQ) il 3DO o persino la PlayStation 2. Non dimentichiamoci inoltre che l’annunciata compatibilità con i giochi per Sega Saturn è molto importante perché da sempre questa console ha avuto la negativa fama di essere la più difficile da emulare per via del suo arduo sistema dual core, parallelamente all’essere una delle più ricercate fra i retrogamer. Similarmente, i moduli da comprare a parte, che potranno anche essere sviluppati da altre compagnie, continueranno ad uscire per offrire ai giocatori nuove soluzioni per console come il Nintendo 64, Atari 2600 o chissà cosa!
La console, diversamente da altre come il Retron 5 di Hyperkin o l’AVS di Retro USB, vuole porsi letteramente come un faro per i retrogamer e, come già citato precedentemente, vuole lanciare uno store digitale dove offrire legalmente tutte le ROM apparse finora nei maggiori siti di emulazione come emuparadise.me; questo significa anche, e soprattutto, raggiungere gli sviluppatori originali e coinvolgerli in tutto e per tutto nel progetto Polymega, ponendosi come una quarta console attuale ma dedicata esclusivamente al retrogaming. Alcune grandi compagnie come Capcom o Irem hanno già espresso interesse verso questo particolare mercato fornendo, pur sempre in quantità limitate, delle cartucce commemorative funzionanti e operative prodotte da RetroBit di Street Fighter II, Mega Man 2 e Mega Man X, R-Type III e Holy Diver (ebbene sì, un gioco ispirato a Ronnie James Dio e ai Black Sabbath! Un giorno ne parleremo), senza contare che altre compagnie, anche senza il consenso dei publisher, hanno prodotto molte reproduction cartridge per giochi ormai andati persi nelle obbrobriose aste eBay come Nintendo World Championship. Grazie a Polymega potrebbe esserci un rinnovato interesse in questi prodotti repro che potrebbero persino coinvolgere i giochi su disco, cosa che finora nessuna compagnia ha mai preso in considerazione, e dunque vedere delle nuove stampe – dei reproduction disk oseremo dire – di molti giochi per Saturn, Neo Geo CD o TG16/PC Engine CD, spesso dimenticati nel vastissimo oceano retrò. Playmoji, probabilmente visti i recenti sviluppi, non si è espressa sul tema ROM da caricare via USB o backup, per ciò che riguarda i giochi su CD, però hanno lasciato intendere che una volta caricata l’immagine sul sistema, potranno essere patchati; questo aprirebbe Polymega all’intera scena hack e delle traduzioni. Che dunque che potrà esistere un modo per permettere tutto questo? Probabilmente lo sapremo solo una volta che metteremo le mani su questo fantastico prodotto.
Questioni sul sito e il chip FPGA
Un po’ di tempo addietro, il sito è stato chiuso per qualche giorno e, alla riapertura, che ha lanciato definitivamente i preorder, sono state cambiate alcune specifiche del sistema: tutti i cambiamenti sono stati spiegati in un articolo su Nintendolife, redazione molto vicina alla compagnia che sta producendo il Polymega. Playmoji ha aperto uno stand durante l’ultimo E3 in cui era possibile provare la base della console e alcuni moduli, il tutto ancora in stadio di prototipo; lì hanno raccolto i primi feedback dei potenziali consumatori e in molti si sono lamentati dei lag durante l’emulazione dei giochi per PlayStation. Gli ingegneri hanno considerato attentamente l’opinione dei giocatori e così si è optato per ottimizzare l’hardware della console cambiando il vecchio processore FPGA quad core Rockchip RK3288 di 1.8Ghz che emula i sistemi in questione, un tipo di chip montato in console come l’Analogue NT o l’AVS; per spiegarlo in breve, le schede madre delle vecchie console non vengono ricreate da capo o in una maniera diversa per evitare questioni con le case produttrici originali, ma l’intero hardware viene emulato all’interno di un processore chiamato FPGA. Adesso, all’interno del modulo base, il chip in questione è stato sostituito da un più potente Intel CM8068403377713 dual core, il ché dovrebbe un fattore positivo (e che avrebbe probabilmente permesso l’emulazione per Sega Saturn) ma non è un chip specifico FPGA che permette l’emulazione ibrida dei sistemi sopracitati; per altro, questi chip dovrebbero essere inseriti all’interno di ogni modulo ma adesso il tutto grava sul nuovo chip montato all’interno della base. È possibile che il cambio del processore non gravi per nulla sull’emulazione dei sistemi e che i competenti sviluppatori in questione sanno quello che fanno (senza contare che un prototipo funzionante è apparso all’E3 e presentava solamente problemi per l’emulazione PlayStation) ma dalla riapertura del sito Playmoji non ha rilasciato nessuna dichiarazione ufficiale oltre all’articolo su Nintendolife e le domande degli appasionati alla ricerca dell’emulazione perfetta sono ancora senza una risposta ufficiale. Ad alcuni non interessa e sono certi, visto che il nuovo processore è più potente del precedente (e dunque semplicemente facendo 2 + 2), che il sistema possa essere addirittura migliorato ma ad altri sorgono altri dubbi, specialmente visto lo strano silenzio della compagnia dopo il rilascio dell’articolo e la riapertura del sito. Bisogna dire che la zona FAQ del sito è veramente esaustiva ma ancora molte domande necessitano di una risposta abbastanza tempestiva.
Vale ricordare inoltre, che il Polymega non è un kickstarter o un crowdfunding ma c’è un reward system dalla quale, in base alle prevendite, si raggiungeranno degli obbiettivi che permetteranno di creare nuove feature per gli acquirenti, come compatibilità espansa per il lettore CD e nuovi moduli; se l’obiettivo minimo di 500.000$ non verrà raggiunto le console verranno richiamate e rilanciate successivamente seguendo il feedback dei compratori ed è per questo che Playmoji, ora più che mai, deve garantire una buona comunicazione con chi sta per prendere in considerazione l’acquisto del sistema. Di certo non si tratta di una truffa come il Coleco Chameleon (tratteremo questo tema in futuro) in quanto il sistema è già stato mostrato funzionante all’E3 e le persone dietro al progetto sono davvero competenti ma le uniche domande che per ora gli appassionati si pongono sono: sarà un sistema all’altezza delle aspettative? Vale la pena comprare questo sistema al lancio? E se il lancio va male?
Aggiornamento del 13/09/2018
Proprio di recente, per fortuna, gli sviluppatori hanno dato prova della potenza del loro sistema e tutto sembra essere tornato alla normalità. Sul loro canale YouTube sono apparsi ben tre video di gameplay di alcuni giochi per Sega Saturn, che si avviano dalla selezione dei titoli nel sistema operativo; con questa mossa gli sviluppatori hanno dimostrato che il processore è in grado di emulare perfettamente questa macchina problematica (visto che alcuni si sono lamentati del fatto che alcuni video di gameplay mostrati nel trailer di lancio appartenessero ad alcune controparti arcade) e perciò, se è in grado di emulare il Saturn, è fondamentalmente in grado di emulare tutto il resto. In breve, la console 32 bit di Sega era la prova del nove e Polymega l’ha superata. Il primo video mostra un gameplay variegato: vengono caricati Guardian Heroes, Sega Rally Championship, Panzer Dragoon Zwei, Fighting Vipers, Dungeons and Dragons Collection: Shadow Over Mystara (questo titolo è molto importante poiché richiede l’esclusiva cartuccia RAM da 4 Mb da inserire nel Saturn, dunque questa è la prova che è anche in grado di emulare questo hardware esterno) e House of the Dead (giocato col controller, visto che le lightgun dei tempi non funzionano più coi televisori nuovi). Il secondo e il terzo video mostrano un ulteriori gameplay di Sega Rally Championship e Fighting Vipers girare a 60 FPS, meglio di come potrebbe fare un Sega Saturn originale. In tutti i video, insieme al gameplay cristallino, viene inoltre mostrata la capacità di creare dei save state e ricominciare esattamente dal punto in cui si lascia l’azione, sottolineando dunque che la macchina estrae letteralmente l’immagine per poi emularla. A questo punto, tutti i peccati di Playmoji sono stati assolti ma rimane giusto qualche dubbio: l’ultima cosa che gli utenti vorrebbero solamente vedere, stando ai commenti sui video, è uno stream su Twitch/YouTube in cui mostrano gli sviluppatori giocare effettivamente con la Polymega, inserire qualche disco e vedere il sistema che estrae l’immagine, provare e scambiare qualche modulo, etc… Si spera dunque che gli sviluppatori diano ancora più prove a sostegno della versatilità di Polymega (anche se, in realtà, ne hanno date abbastanza all’ultimo E3) ma a ogni modo, finalmente, alla preoccupazione più grande, ovvero l’efficienza del nuovo chip, è stata data una risposta molto esaustiva.
Per le comunicazioni ufficiali da parte degli sviluppatori vi basterà seguirli sul loro canale YouTube e sulla loro pagina Facebook.
(video del gameplay variegato)
(Sega Rally Championship a 60 FPS)
(Fighting Vipers a 60 FPS)
L’incredibile crescita degli eSport
Il 2018 ha visto continuare la marcia inarrestabile degli eSport, sotto ogni punto di vista: se sul lato commerciale risaltano i grandi numeri ottenuti dalla prima edizione della Overwatch League, con quasi undici milioni di spettatori dichiarati da Blizzard per la finale del campionato e 126 milioni di visualizzazioni in totale sul proprio canale Twitch, non sorprendono nemmeno le cifre da capogiro dichiarate sul lato finanziario: l’industria del videogioco professionistico ha guadagnato quasi un miliardo di dollari in quest’anno, con una previsione di crescita del 18,6% per il 2023, che porterebbe l’intero settore a un guadagno di ben 2.17 miliardi!
Ma non è tutto rose e fiori: recentemente, il CIO, lo stesso Comitato Olimpico Internazionale che precedentemente si era espresso a favore degli eSport come disciplina olimpica da testare nei giochi asiatici del 2022, ha frenato esprimendo il proprio dissenso verso i cosiddetti killer games. A tal proposito, il presidente Thomas Bach ha dichiarato:
«Non possiamo avere nel programma olimpico dei giochi che promuovono violenza e discriminazione. Dal nostro punto di vista rappresentano una contraddizione dei valori olimpici e non possono essere accettati»
Una dichiarazione che chiude le porte ai vari League of Legends, Dota 2 e Fortnite, ma vi è invece, uno spiraglio aperto per giochi più “pacifici” come FIFA, Rocket League o Street Fighter. E anche per uno sport che cerca di entrare nel carrozzone olimpico da molti anni, come la Formula Uno: recentemente Sean Bratches, direttore commerciale del brand motoristico, ha espresso il proprio interesse per includere lo sport, anche se in forma virtuale. Vi è già un campionato di eSport, la Formula One eSport series che, nella stagione inaugurale del 2017 ha richiamato 63.000 appassionati che hanno seguito nove delle dieci scuderie presenti nel campionato motoristico (unica e grandissima assente l’italiana Ferrari).
Anche in Europa si sta muovendo qualcosa: se già Francia (prossima partecipante alla Overwatch League con la squadra di Parigi), Spagna e Russia (dove spopolano titoli come DOTA 2 e Counter Strike: Global Offensive) possono contare su un settore già pronto, come si pone il nostro paese nel mercato? In realtà, non molto bene, nonostante la creazione di alcuni eSport team dedicati a FIFA, come Sampdoria (primo club calcistico italiano a lanciarsi nel settore), Roma, Empoli e recentemente anche Cagliari, Perugia e Parma. Ma hanno destato interesse le recenti dichiarazioni al Corriere dello Sport del patron del Napoli e del Bari, Aurelio De Laurentiis, interessato a entrare nel settore degli sport virtuali. Per quanto possa sembrare strano l’interesse di un imprenditore così importante, soprattutto nel nostro paese, non sorprende vedere grosse aziende dietro una squadra di eSport: basti pensare al gruppo Kraft, proprietari dei New England Patriots, una delle più vincenti squadre di football americano della NFL e proprietari anche dei Boston Uprising della Overwatch League, oppure la Kroenke Sports & Entertainment, holding che controlla sia l’Arsenal, popolare squadra di calcio della Premier League, che i Los Angeles Gladiators, sempre della OW League. Con questa potenza economica dietro, non sorprende vedere la crescita del settore, anno dopo anno. E chissà, magari entro il 2023, si creerà qualcosa di importante anche nel nostro paese: d’altronde, lo sport non è solamente prestanza fisica, ma anche una girandola di emozioni uniche, esattamente come i videogiochi.
Dead Cells e l’importanza del marketing
Recentemente si è tenuto il PAX Dev, un incontro a porte chiuse tra sviluppatori e stampa. Steve Filby, ex responsabile marketing di Motion Twin, racconta il percorso di Dead Cells, uno dei giochi più discussi del momento.
Inizialmente concepito come tower defense, grazie una minuziosa ricerca di marketing su Steam da parte di Filby per rendersi conto di quello che realmente la gente voleva, Dead Cells cambiò totalmente rotta: venne accantonato il progetto originario e si puntò a qualcosa di commercialmente più appetibile e, dopo aver valuto quello che i concorrenti avevano da offrire, si decise di creare qualcosa che fosse un’intersezione perfetta tra un roguelike e un metroidvania, generando in questo modo qualcosa di totalmente fuori dagli schemi, un “roguevania”.
Non rimaneva dunque che organizzare il piano di marketing del prodotto, anche se non ancora completo. Solitamente le software house più grandi pagano fior di quattrini per far giocare il proprio titolo agli streamer più quotati ma, ovviamente, questo non poteva essere il caso di Motion Twin. Così Filby decise di concedere la demo a pochi streamer di basso rango che in poco tempo crebbero esponenzialmente aumentando così le richieste di chiavi di gioco.
Ovviamente ricevere una recensione su riviste specializzate di settore fa sì che un gioco acquisti molta più credibilità agli occhi dei videogiocatori. Filby si soffermò a controllare da dove arrivasse il proprio flusso di utenza, scoprendo che la stragrande maggioranza delle persone che avevano giocato a Dead Cells non erano altro che ragazzi che lo avevano acquistato al day one, giocato e scritto una recensione. A questo punto, l’unico obiettivo, era quello di attirare gli occhi della stampa su Dead Cells, mettendo a punto un piano marketing che prevedeva innanzitutto un pesante pressing sui social media, in modo che nessuno potesse dire di non aver mai sentito parlare di quel gioco, ma anche una serie di eventi organizzati da Motion Twin per la promozione del titolo, con un costo totale di circa 60.000$.
Questo fece sì che gli occhi di Valve, Nintendo, Sony e Microsoft, puntassero su questo promettente gioco.
In early access, solo durante la prima settimana, Dead Cellsha oltrepassato le 100.000 copie, così per il lancio definitivo gli sviluppatori hanno voluto dare qualcosa in più: una funzione di streaming con Twitch integrata nel gioco, tramite la quale altri utenti potrebbero curare il personaggio o rendere il livello di sfida più alto aggiungendo altri nemici. Su TwitchDead Cells, un mese prima del lancio del gioco definitivo, aveva già maturato oltre 181 milioni di minuti di visualizzazioni, raggiungendo l’incredibile cifra di 325 milioni di minuti dopo neanche un paio di settimane.
Ma Steve Filby, lasciò Motion Twin durante l’uscita del gioco per potersi dedicare alla sua agenzia di marketing IndieCatapult. Il più era fatto.
L’esport mobile è in crescita
Gli esport continuano a crescere, anche se non a ritmo forsennato, e secondo Newzoo, società di ricerca, e Arm, società di software, la maggior vendita di hardware di fascia alta porta a un aumento dei giocatori anche in campo mobile.
Secondo una ricerca condotta dalle due società, c’è un maggior interesse per i videogiochi mobile in Oriente e anche un media di hardware in circolazione più alta.
L’esport in generale negli ultimi anni è cresciuto a dismisura a livello globale: il settore mobile rimane tuttora una piccola fetta dell’insieme, ma ha subito anch’esso un considerevole boom. Nel solo 2017, l’industria del settore ha raccolto un totale di 655 milioni di dollari derivanti da pubblicità, sponsorizzazioni, biglietti e merchandise. Secondo la società di ricerca, quest’anno il settore potrebbe fruttare all’incirca 906 milioni (38% in più rispetto allo scorso anno) e, vista la crescita del mercato, nel 2021 potrebbe raggiungere i 1.7 miliardi di dollari.
Il successo del settore è quasi del tutto concentrato in paesi orientali come la Cina, patria della Tencent, nel cui alveo sono nati titoli del calibro di Clash Royale e Arena of Valor.
Il settore degli esports mobile è guidato da eventi come la King Pro League, evento di maggior portata di Tencent Games, di Honor of Kings che ha raggiunto i 18.000 partecipanti alle finali dello Spilt a Shangai, in cui i giocatori si sono scontrati per il montepremi di 1 milione di dollari.
La ricerca afferma che gli esport mobile in Occidente stanno crescendo a un ritmo molto più lento di quelli su PC, anche se giochi come Clash Royale, Vainglory e Summoners War e Arena of Valor stanno aiutando lo sviluppo del settore.
Il Supercell’s Crown Championship (famoso torneo di Clash Royale) è il più grande evento di esport mobile occidentale, e ha visto 122.000 ore di visualizzazioni totali su Twitch durante le finali del 2017 a dicembre, ma le sue visualizzazioni sono tuttavia poca cosa in confronto a quelle degli esport per Pc.
Infine, Newzoo e Arm vedono la crescita della vendita dei dispositivi di fascia alta a livello mondiale come un fattore di crescita futura per gli esport mobile e i giochi mobile in generale. A Giugno, secondo la ricerca, il 31,1% di tutti gli smartphone attivi a livello globale erano di alta fascia, il 76% in più rispetto all’anno precedente. Il 44% di tutti gli smartphone avevano schermi da 5,5″ o maggiori, caratteristica che migliora in particolare l’esperienza di gioco competitivo. L’esport è quindi in costante crescita, il che porterà a un’espansione del settore sempre più ampia grazie anche a titoli di alto livello rilasciati dalle varie software house.
E3: Sony svela parte della sua tabella di marcia
Siamo ormai agli sgoccioli; sta per iniziare la nuova edizione dell’E3, uno degli eventi fieristici più seguiti al mondo. Tra qualche annuncio shock qui e traumatizzante lì, contornati da tante aspettative, Sony si sbottona un po’, rivelandoci una parte non indifferente della propria tabella di marcia pre-E3.
Ovviamente la casa giapponese terrà, come di consueto, la propria press conference, fissata per il giorno Lunedì 11 Giugno, alle 18:00 PST (ossia circa le 3:00AM in Italia), in cui principalmente mostreranno nuovi contenuti per i giochi più attesi del momento: Death Stranding e The Last of Us Part II.
Ma la compagnia sembra aver in serbo altre sorprese, riservando una carrellata di rivelazioni per la settimana che precede l’E3.
Questi contenuti saranno visibili ogni giorno alle 8:00AM PST (quindi alle 17:00PM in Italia), in live-streaming su Twitch, Facebook e YouTube:
Oggi: un nuovo gioco PS4 compatibile con il VR
7 Giugno: data di rilascio per un titolo di Worldwide Studio
8 Giugno: nuovo gioco PS4
9 Giugno: nuovo gioco per PlayStation VR
10 Giugno: nuovo porting VR di un gioco molto atteso
In precedenza Sony avrebbe atteso direttamente la press conference per mettere tutta la carne al fuoco. Personalmente credo che l’aver deciso di differenziare in questo modo i contenuti da proporre, sia stata una scelta molto intelligente – o furba che dir si voglia – anche considerando il fatto che magari alcuni titoli, avrebbero corso il rischio di poter passare in secondo piano all’ombra di annunci più imponenti nel corso della fiera.
Sono stati resi pubblici i nuovi giochi disponibili gratuitamente per gli abbonati a Twitch Prime. I titoli sono:
The Banner Saga, gioco di ruolo con elementi tattici ambientato nell’era vichinga;
The Banner Saga 2, secondo gioco della trilogia;
Strafe, FPS dai toni retrò, pubblicato da Devolver Digital;
Tumblestone, colorato puzzle game;
Treadnauts, arena game in 2D con dei carri armati;
Per ottenere tali giochi, bisognerà essere abbonati ad Amazon Prime e, successivamente, collegare il proprio account Amazon a Twitch per poi riscattarli cliccando sull’icona della corona.
Come citato da Engadget, dopo 11 anni di attività, Matthew “Burns” Potthoff si è ritirato da player professionista di Call of Duty ad appena 24 anni. Oggi, due anni dopo il ritiro, lavora dietro le scene per eUnited, una squadra di eSport con giocatori professionisti di Call of Duty, Counter-Strike: Global Offensive, Gears of War, Smite e Playerunknown’s Battleground.
Fa strano sentire di un player professionista che si ritira a questa giovane età: negli sport tradizionali, come il calcio, siamo abituati a sentire di ritiri dal professionismo dopo i 35, o 40 anni. Eppure negli eSport, settore nato da poco, ma in grandissima espansione, tanto da ricevere grossi investimenti e apprezzamenti da figure storiche del gaming, come John Romero, e addirittura da parte del CIO, il comitato olimpico internazionale, il ritiro di Potthoff fa notizia. Com’è possibile ritirarsi dalle competizioni in giovane età? Ce lo spiega proprio lui, raccontando la sua storia.
Gli inizi di Matthew sono umili: il padre lo accompagna al suo primo torneo nel 2005, in una piccola esibizione per giocatori di Haloe Call of Duty. Burns ha partecipato a entrambi i tornei, riuscendo a vincere pure un premio, ma di entità inferiore a quanto pubblicizzato, e quindi il genitore sentenziò che gli eSport erano una truffa.
Tredici anni fa, la situazione del professionismo videoludico era molto diversa rispetto a quella che conosciamo adesso: nonostante piccoli tornei già attivi sul suolo americano, mancava la scintilla che avrebbe acceso la miccia degli eSport. Ci toccherà attendere quattro anni per l’exploit mondiale di League of Legends, e addirittura sei anni per il primo torneo milionario di Dota 2. Sei anni che ci separano pure dalla nascita di Twitch, fattore fondamentale per la crescita di questo settore.
Ma Potthoff aveva fiutato il potenziale del pro gaming, e cominciò a partecipare sempre a più tornei possibili, fino a vincere un free-for-all nazionale di Modern Warfare 3, portando a casa ben 25.000 dollari.
A proposito del suo iniziale approccio al professionismo, Burns ha dichiarato:
«Penso che molti giocatori possano capirmi: ai tempi usavo i videogiochi come uno strumento per sfuggire dalla dura realtà. I miei genitori si erano appena separati, e vivevo tra la casa di mia madre e quella di mio padre, e l’unico modo che avevo per non perdere i contatti con i miei amici era quello di giocare online insieme. Dopo qualche anno ho notato che avevo del talento, e che a scuola parlavano tutti di quanto fossi forte. Ma nonostante la creazione di DeathWisH, il mio team, ho deciso che era meglio accantonare il mondo degli eSport e concentrarmi sul college: solamente dopo essermi laureato in economia dell’intrattenimento ho deciso di ritornare a tempo pieno nel campo del gaming professionistico.»
Anche qui, sembra che il destino abbia compiuto un cattivo scherzo al ragazzo: solamente nel 2014, due anni dopo aver preso la laurea, è stata introdotta la prima borsa di studio dedicata agli eSport, a cura della Robert Morris University. Solamente due anni dopo sarebbe nata la National Association of Collegiate eSports, un ente che riconosce e gestisce programmi di eSport in più di 60 college americani e che punta a diventare l’equivalente videoludico dell’NCAA, la lega collegiale americana di sport come basket e football.
«Cos’avrei fatto se la scena professionistica di allora fosse come quella odierna? Probabilmente avrei lasciato il college per dedicarmi agli eSport al 100%. Dico così perché allora i salari erano molto inferiori rispetto a quelli odierni: quando avevo 21 anni guadagnavo circa 500 dollari al mese ed ero costretto a vincere tornei per portare il cibo in tavola. Adesso ci sono ragazzi di 16 o 17 anni che guadagnano quanto guadagnavo a 21 anni, e hanno tutto il tempo per migliorare le loro abilità.»
La questione dei salari merita un approfondimento: l’industria degli eSport è in crescita e si sta stabilizzando, con giochi di prima fascia come League of Legends oppure Overwatch dove sono stati istituiti i salari minimi per i giocatori professionisti, rispettivamente a 75.000 dollari per il MOBA di Riot Games e 50.000 dollari per il titolo di Blizzard. Però non sono tutte rose e fiori, e anche un sistema in rapida crescita presenta delle discrepanze: infatti Call of Duty non garantisce un salario minimo e non ha le stesse regole dei due giochi citati in precedenza.
All’epoca anche la CWL Pro League, il campionato mondiale di Call of Duty, era strutturato in un modo diverso: veniva usato un sistema simile ai campionati calcistici europei, con promozioni e retrocessioni, dove la squadra con più punti partecipava ai mondiali, dove il premio consiste in 1,4 milioni di dollari. Era lo stesso sistema usato da League of Legends e Overwatch, almeno fino allo scorso anno, dove sono stati introdotti i salari minimi – come citato prima – ma soprattutto, il passaggio dai team a veri e propri franchise, adottando quindi un modello simile a quello che si vede sui parquet dell’NBA o negli stadi della NFL.
Anche a causa del sistema non al passo con i tempi della CWL, Potthoff, ha deciso di ritirarsi, dopo la sconfitta decisiva per 4-3 in un’entusiasmante duello tra gli H2K e il suo team, i Liquid.
«Vincere quella serie avrebbe rilanciato la mia carriera, oltre che aumentato il mio stipendio. Avrei potuto vivere tranquillamente per 8-9 mesi, ma è andata male, e non c’era un torneo da disputare per 4-5 mesi. Avevo pure smesso di giocare, perché la ferita era troppo profonda. Ho riprovato a tornare in carreggiata con un paio di tornei dove sono arrivato tra i primi 24 e i primi 16, ma lì ho capito che non c’era più niente da fare, e quindi ho appeso il pad al chiodo.»
Burns aveva deciso di mollare la vita da pro-player, ma non quella del mondo che ha amato per anni: a 26 anni, nel 2016, entra in eUnited prima come head coach e adesso ricopre la carica di general manager, dove si occupa dello sviluppo e del recruiting di molti giocatori giovani.
A proposito di quest’incarico, Potthoff dichiara:
«Abbiamo anche reclutato quattro giocatori minorenni, ma non metterò mai gli impegni del team prima dei loro obblighi, come scuola e famiglia. Ma ci stiamo impegnando per renderli dei veri professionisti: personalmente penso che siano già a un buon livello, e la loro giovane età li mette in un’ottima posizione, visto che sono gli unici giocatori minorenni della comunità professionista di Call of Duty, e vogliamo dare il giusto input per far partire la loro carriera da pro-players, così come loro vogliono mettercela tutta per riuscirci.»