Hi, my name is… Michel Ancel

Nella storia dell’industria videoludica la maggior parte dei giochi in grado di trainare intere generazioni di designer e giocatori nascono da un’idea semplice, elementare ma che nella loro immediata intuitività lasciano un solco indelebile, un passaggio obbligato per tutto quello che verrà da quel momento in poi. È l’esempio della saga, ormai diventato uno dei franchising più redditizi del mercato, di Super Mario Bros. o quella di Sonic the Hedgehog rispettivamente di Nintendo e Sega. Prodotti che hanno saputo creare due icone indelebili del videogioco e che ancora oggi vengono facilmente identificati come simboli dell’intero settore. Come si può mai pensare di arrivare a concepire un personaggio con una forza iconica tale da essere accostato a questi due giganti? Un buffo omino francese è riuscito nell’impresa nell’ormai lontano 1995, ritagliandosi un piccolo spazio nella legenda: stiamo parlando di Michel Ancel, il papà di Rayman.

Classe 1972, Michel Ancel inizia la sua avventura come graphic artist alla Lankhor curando l’estetica dei mecha in Mechanic Warriors. L’abilità di riuscire a sfruttare la pochezza dell’hardware corrente riuscendo a disegnare splendidi sprite in pixel art convince la dirigenza di una giovane Ubisoft a chiamarlo tra le sue fila, affidandogli il delicatissimo compito di sviluppare un gioco che potesse donare alla compagnia un’identità, in grado di distinguerla dalla concorrenza. Ancel accetta la sfida e recupera il concept di un personaggio disegnato anni prima, influenzato da vecchie fiabe dell’est Europa. Inconfondibile, grazie al suo ciuffo biondo, il naso pronunciato e la pancia ovale dal colore di una melanzana; Ancel dà vita al personaggio di Rayman la prima vera e propria mascotte della compagnia transalpina. Il primo capitolo della serie si presenta come un classico platform a scorrimento 2D con tratti adventure. Lo scopo dell’eroe è quello di salvare il mondo dalle forze del male scatenate dal pericoloso Mr. Dark e per riuscire nell’impresa, Rayman dovrà salvare tutti gli Electoons e ripristinare l’equilibrio attraverso il Grande Protone, il cuore pulsante del mondo. Con questo primo capitolo Ancel entra a gamba tesa in un mercato in piena fibrillazione (la nascita del dominio Sony con PlayStation) e lancia in tutto il globo la sua nuova creatura, ridefinendo il concetto di platform 2D. Rayman è in grado di correre, arrampicarsi, attaccare i nemici dalla distanza, planare col suo ciuffo giallo in scenari pregni di una fantasia creativa spiazzante. Il mondo di gioco è curato nei minimi dettagli, i personaggi sono carismatici e divertenti e le composizioni musicali di Didier Lord e Stephane Bellanger, in grado di mescolare generi totalmente differenti tra loro in maniera impeccabile, stupiscono per la freschezza e originalità. Rayman entra prepotentemente nell’immaginario di moltissimi giocatori facendo la fortuna di Michel e sicuramente quella di Ubisoft che decide di lanciare il prodotto su più piattaforme, dall’ Atari Jaguar al Sega Saturn dimenticando però le sue origini: il 3 Luglio 2017 viene rilasciata una ROM contenente il prototipo di quello che sarebbe stato il primo episodio dell’uomo melanzana, confermando di fatto la tesi che il progetto in origine doveva sbarcare sui lidi del Super Nintendo abbandonandolo all’ultimo momento per un supporto su CD-rom molto più economico e funzionale. Ciò nonostante la creatura di Ancel fa il botto con le sue 10 milioni di copie vendute in tutte le edizioni, garantendo lunga vita a quella che sarebbe diventata una delle saghe più amate dagli utenti e consegnando alla storia un grandissimo capolavoro degno del suo successo.

Subito dopo la fine della produzione del primo capitolo, Ancel e il suo team si resero conto della mole di idee accumulate durante lo sviluppo; tante quante ne basterebbero per una seconda avventura. Tuttavia agli inizi dei lavori ci fu una svolta inaspettata: l’idea di un platform bidimensionale fu messa da parte per concentrarsi in qualcosa di nuovo al passo con l’evoluzione della grafica 3D. La concorrenza aveva già dimostrato come fosse possibile incastrare le meccaniche del genere ampliandole a dismisura grazie alla tridimensionalità (Super Mario 64, Crash Bandicoot, Sonic Adventure). Così nel 1998 Ubisoft pubblica Rayman 2: The Great Escape su tutte le piattaforme casalinghe divenendo sin da subito un successo planetario di critica e pubblico. Ancel decide di allargare l’universo intorno Rayman aggiungendo nuovi personaggi, abilità inedite e scenari radicalmente differenti a quelli presenti nel predecessore; i toni sono più cupi e l’atmosfera si fa generalmente più seria, pur non mancando una divertente dose di humor, tra gag e battute al vetriolo, mai banale e ben congegnate conferendo spessore ai personaggi che si fanno amare sin dai primi momenti. Il designer decide di affiancare al protagonista un ottimo comprimario come Goblox, che dal secondo capitolo in poi diventerà una presenza fissa nell’universo dell’uomo melanzana, affidandogli gran parte dell’aspetto comico del titolo in contrapposizione con la maturità raggiunta dal protagonista. Fanno la prima apparizione anche i Teens strani ominidi dal naso lungo che si riveleranno utili per salvezza del mondo, la fata Ly La personaggio che non verrà più ripreso negli episodi canonici della serie ma che traccerà la via per tutti i personaggi femminili e un nuovo villain: l’ammiraglio Razorbeard un cattivissimo pirata robotico intento nella conquista di tutto ciò che lo circonda. Il lavoro partorito da Ancel e il suo team si rivela un prodotto perfetto in ogni suo aspetto e una validissima continuazione del percorso tracciato con il primo capitolo. Il designer crea un platform tridimensionale gigantesco, prendendo le dovute distanze con i suoi diretti oppositori per creare qualcosa di unico e in qualche maniera rivoluzionario. Universalmente riconosciuto come uno dei più bei giochi della storia, Rayman 2 aggiunge un ulteriore tassello al mosaico di Ancel, portando la sua creatura al massimo compimento concettuale. Con il secondo capitolo di Rayman il nome del designer esplode in tutto il mondo e da questo momento in poi gli viene conferita la più totale libertà creativa necessaria per sviluppare le sue opere future, senza limiti di sorta.

Arriviamo così agli anni 2000 nei quali Ubisoft sente la necessità di sfruttare al meglio il brand, inserendo il personaggio dell’uomo melanzana in inutili spin-off (Rayman M, Rayman Rush) che, pur non essendo un completo fallimento di vendita, nulla aggiungono alla saga che ormai si regge benissimo in piedi da sola. Nel 2003 la casa di produzione francese pubblica il terzo capitolo Rayman 3: Hoodlum Havoc questa volta senza la direzione del padre creatore. Il design della maggior parte dei personaggi viene ritoccato e modernizzato, la componente platforming leggermente ridimensionata per fare spazio all’aspetto più action e tattico. I toni vengono smorzati dalla continua ironia dei personaggi e da una sapiente rottura della quarta parete. Vengono introdotti power up ed un sistema di combo a punteggi per invogliare il giocatore a ripetere i livelli in cerca del massimo score possibile. Nonostante la mancanza di Ancel, il terzo capitolo si dimostra all’altezza della situazione, senza grosse sbavature nel gameplay e con un lato tecnico impeccabile per l’epoca. Il design dei personaggi e delle ambientazioni è piacevole e mai stancante. La trovata delle combo multiple si rivela azzeccata e spinge il giocatore a portare al massimo la sua bravura e i suoi riflessi. Il nuovo villain, il Lum cattivo Andrè, insieme ai suoi sgherri svolge egregiamente il suo compito e gli autori sono riusciti a dare il giusto carisma e simpatia senza risultare fuori contesto o ridondanti. Tutto risulta fresco e moderno grazie a un gameplay più frenetico rispetto al passato, riducendo di molto l’esplorazione del capitolo precedente. Ancel non ne fu pienamente convinto dichiarando che la sua idea era profondamente diversa, ma le vendite su tutte le piattaforme di quarta generazione furono soddisfacenti per i dirigenti Ubisoft che decisero di scommettere ancora su questa saga.

Nel frattempo Michel lavorava a quello che probabilmente è il suo più grande capolavoro, passato in sordina a causa di scelte commerciali di Ubisoft poco condivisibili; si tratta di Beyond Good & Evil, uscito lo stesso anno su PS2, Xbox e GameCube.
Nessuno si sarebbe aspettato da questo gioco una tale profondità nei temi e nelle intenzioni. Un’action adventure che va oltre la sua origine di medium d’intrattenimento, scavando nella natura umana/umanoide dei personaggi tirati in ballo. La storia si focalizza sulla protagonista Jane rimasta orfana in tenera età e accolta dal maiale senziente Pei’j. I due insieme fondano una casa di accoglienza per orfani dove vivono e trascorrono la maggior parte del loro tempo libero: Jane infatti lavora come fotografa d’inchiesta freelance per varie testate, Pei’j invece si occupa della manutenzione del casa e della creazione di congegni meccanici utili alla protagonista. L’apparente serenità delle loro vite verrà sconvolto a causa di un improvviso attacco da parte dei DomZ, entità aliene in grado di nutrirsi attraverso le energie vitali degli essere viventi. Con colpi di scena inaspettati e voltagabbana pronti a mettere in discussione le posizione e le ambiguità dei personaggi, Ancel descrive una realtà incredibilmente complessa ed efficace, arrivando a toccare corde emozionali raramente raggiunte in un titolo del genere. La psicologia e le relazioni tra i protagonisti ricorda i celebri lungometraggi di Hayao Miyazaki per la sensibilità con cui vengono proposte certe tematiche, senza mai incappare nell’errore di risultare pedante e retorico. Tecnicamente tutto si presenta in maniera superba, con modelli poligonali e animazioni dettagliatissime, un gameplay vario e sempre divertente, esente da momenti di stanca e ripetitività, un accompagnamento sonoro di primissimo livello con le musiche scritte dall’artista Cristophe Heràl che ritroveremo insieme al designer in progetti futuri, scenari straordinariamente vivi e complessi che strizzano più volte l’occhiolino a giganti della letteratura come il Fahrenheit 451 di Ray Bradbury o 1984 di George Orwell, con la loro paranoica chiave di lettura di un mondo oppresso e compiaciuto della propria obbedienza civile. BG&E è un titolo splendido, magistralmente diretto da una mano delicatissima e in stato di grazia; Ancel alza ancora una volta l’asticella qualitativa consegnando ai giocatori un gioiello più unico che raro. Un prodotto imprescindibile e di smisurata bellezza che purtroppo ha visto soffocare le proprie aspirazioni (originariamente concepito come una trilogia) a causa di vendite mortificanti, decretate da una finestra di lancio sbagliatissima per una nuova IP; il titolo si trovò a gareggiare con un altro prodotto Ubisoft sotto il periodo di Natale: Prince Of Persia: Le Sabbie del Tempo, maggiormente spinto da una campagna pubblicitaria assordante che lasciò nell’ombra dell’indifferenza da parte del pubblico il capolavoro del designer francese. La critica al contrario lo accolse con grande calore definendolo il gioco d’avventura più bello della generazione insieme al monumentale The Legend of Zelda: Wind Waker. A causa del flop, il titolo venne reso disponibile dopo pochi mesi con un significativo sconto del 70% sul prezzo di base, nella speranza di spingere le vendite in maniera piuttosto vana. Solo con la rimasterizzazione in HD del 2012 il gioco vide riconosciuti i suoi meriti dalla utenza che spianò la via alla produzione di un prequel, annunciato per la scorsa generazione e ancora in fase di sviluppo. Non si hanno notizie sulla sua eventuale data di uscita e su quale piattaforma sbarcherà definitivamente, ma rimaniamo fiduciosi in attesa di notizie da parte di Ubisoft.

Arriviamo così al 2005 anno in cui Ancel si trova lavorare a un progetto atipico rispetto ai suoi precedenti lavori. Infatti il designer viene contattato personalmente dal regista di blockbuster Peter Jackson, da sempre amante dei videogiochi e profondo stimatore del lavoro di Ancel, per lavorare al tie-in della sua ultima pellicola, ovvero il remake del classicissimo King Kong. Il team guidato da Michel sviluppa un first person shooter con l’intenzione di creare un’altissima immedesimazione da parte del giocatore, eliminando qualsiasi indicatore su schermo e lasciando tutto lo spazio libero alla visuale in game. Quello che ne viene fuori è un ottimo gioco su licenza, probabilmente uno dei migliori mai prodotti, che riporta fedelmente l’atmosfera della pellicola riuscendo a creare una genuina sensazione di scoperta e di costante precarietà, minacciati dai pericoli incombenti da ogni angolo. Tecnicamente, il team di sviluppo, spreme al massimo le capacità degli hardware disponibili, supportati anche da un cospicuo budget di fondo. Questa volta riesce ad accontentare tutti sia nei numeri che nella critica di settore, incassando vendite che riescono a soddisfare le aspettative di mercato (si parla di 5 milioni di copie, mica male per un gioco su licenza) e portando a compimento un altro grande lavoro del designer, che non si farà ricordare di certo per questo prodotto ma che dimostra ulteriormente la propria versatilità e lungimiranza nel campo.

Da qui in poi Ancel si prende una lunga pausa durante la quale da a battesimo lo spin-off più longevo della saga di Rayman; ovvero Rayman Raving Rabbids. Il titolo viene presentato nel 2004 come un possibile ritorno dell’uomo melanzana, questa volta alle prese con una invasione di massa da parte dei Rabbids, conigli dotati di un quoziente intellettivo pari a un comodino in grado però di creare problemi al nostro eroe di turno. Il gameplay era pensato per sfruttare i sensori di movimento dei nuovi controller del Nintendo Wii, ma le cose alla fine andarono diversamente. Ubisoft decise di mettere tutto in discussione e il franchise dei Rabbids prese una via autonoma e nettamente diversa dalle idee iniziali. La serie divenne presto un successo di vendite grazie alla decisione di sfruttare i nuovi personaggi in un contesto da partygame. I capitoli uscirono uno dopo l’altro perdendo presto lo smalto di novità e divertimento, uscendo a cavallo tra due generazioni di console. Gli unici titoli degni di nota sono il divertente puzzle platform Rabbids Go Home, uscito nel 2009 sulla piattaforma casalinga di Nintendo, che decise di staccarsi dalla schiera di giochi da festa riuscendo, meglio dei capitoli precedenti, a sfruttare la simpatica antipatia dei protagonisti conigli e lo strategico a turni Mario + Rabbids Kingdom Battle, giunto nel mercato nel 2017 come un fulmine al cielo sereno; sviluppato dalla italiana Ubisoft Milano su Switch in collaborazione con una Nintendo che stranamente si apre a nuove possibilità di sfruttamento dei propri marchi, il gioco sorprende per la capacità di sapere coniugare due titoli molto distanti tra loro in un contesto inedito e ben architettato. I Rabbids divennero rapidamente un fenomeno di massa nel mondo, con milioni di copie vendute, gadget e corti animati dedicati totalmente a loro mettendo in secondo piano Rayman che nel frattempo rifletteva in silenzio sul suo destino.

Nel 2011 Ancel riporta al centro dell’attenzione la sua preziosa creatura con il bellissimo Rayman Origins uscito su PS3, Xbox 360, Nintendo Wii e console portatili. Una sorta di reboot della saga, una partenza da zero ritornando alla essenza originale: il platform a scorrimento bidimensionale. Grazie al nuovo engine grafico proprietario (il versatile UbiArt Framework) il team  riesce nell’impresa di regalare ai giocatori un vero e proprio cartoon interattivo. Il tratto dei personaggi è disegnato a mano, così come gli scenari e qualsiasi altro elemento in game; differendo però concettualmente nello stile rispetto al capostipite; qui tutto è molto più caricaturale e smaccatamente ironico e autocitazionista. Il level design è quanto mai brillante e puntuale; ogni movimento è studiato nel millimetro e la sensazione di frenesia incontrollata è ripagata da una repentina soddisfazione da parte del giocatore nel vedere sbizzarrirsi in movimenti acrobatici e precisi. Tutto è studiato al minimo dettaglio, dalle divertentissime animazioni, al design esagerato dei personaggi, alle sonorità disimpegnate ma assolutamente orecchiabili e ben orchestrate (qui ritorna Christophe Heràl alla cabina di regia). Ancel da la possibilità di giocare in multyplayer locale scegliendo di porre come protagonista indiscusso non solo Rayman ma anche gli amici di lunga data, ritornano così Globox e i Teens più altre varianti dell’uomo melanzana. Ancora una volta il brand riesce a rinnovarsi ma anche a rimanere fedele a se stesso, portando nuovamente in auge un genere che molti davano per morto e superato, diventandone al tempo stesso uno dei maggiori esponenti moderni. Le vendite furono solamente discrete ma col passare del tempo e del passaparola anche Origins venne accolto positivamente dal pubblico. Sorte che capitò al suo sequel: Rayman Legends, uscito nel 2013. Ubisoft ebbe da affrontare una gestazione complicata del titolo, annunciato in pompa magna come esclusiva per lo sfortunato WiiU ma subito ritrattato e fatto uscire per tutte le altre console domestiche. Legends riprende il discorso lasciato da Origins e lo trasporta in un mondo atemporale, dove Medioevo e antica Grecia si ritrovano a confronto fra loro. Niente di innovativo e rivoluzionario rispetto al predecessore ma comunque l’ennesima ottima prova di una mente geniale come quella di Ancel che sembra non voler stancare mai. Un nuovo inizio di una saga che oggi non ha chiara la direzione da intraprendere. Vedremo presto un Rayman 4 o dobbiamo aspettarci un nuovo capitolo in due dimensione sulla fasla riga degli ultimi? Nell’attesa Ancel si concede un’ulteriore pausa dalla serie lavorando al secondo capitolo dell’incompreso Beyond Good & Evil e a Wild, un procedurale preistorico annunciato al Gamescom nel 2014 per PlayStation 4 ma misteriosamente sparito nel nulla.

In conclusione Michel Ancel pur non avendo lavorato a moltissimi titoli ha lasciato chiaramente una traccia nell’evoluzione del videogioco, confermandosi più volte come uno dei più importanti Designer contemporanei; riuscendo a innovare il genere del platform come solo il maestro Shigeru Miyamoto ha saputo fare (non è un segreto la loro stima reciproca) e a creare un’icona per moltissimi videogiocatori. Ancel ha sempre giocato sulla forza caratteriale dei propri personaggi infondendo tutto l’amore e la passione per il proprio lavoro. Una mente geniale che gioco dopo gioco riesce a rinnovarsi senza perdersi nel riciclo di se stessi; rispettoso delle esigenze del proprio pubblico e catalizzatore di ricordi ed emozioni che solo un mezzo come il Videogame riesce a trasmettere; attraverso un plasticoso Joypad e l’intimità del salotto di casa.




Umiro

Il mondo del gaming mobile offre ormai da anni prove di grande creatività, sommerse troppo spesso nel mare magnum dei giochi di largo consumo e delle app di massa. Nessuno snobismo nei confronti di quest’ultimi, beninteso, solo l’esigenza di ricordare l’attenzione a un mondo (e a un mezzo, quello mobile appunto) che ha ormai tanto da dire in termini espressivi e di metterne di volta in volta in luce le piccole perle nascoste.
Proprio per questa ragione è necessario parlare di Umiro, elegante puzzle game distribuito da Devolver Digital su iOS e Android che ha goduto anche di un porting per PC. Il titolo nasce da un team di studenti di Singapore che durante un tirocinio hanno elaborato l’idea poi sviluppata sotto l’insegna Diceroll Studios.
Il gioco ci vede vestire i panni di Tinto e Satura, due ragazzini che hanno perso una memoria che il giocatore dovrà ricostruire di livello in livello mediante l’acquisizione dei vari cristalli azzurri e rosa. I puzzle dell’intero titolo potranno essere completati controllando e coordinando i movimenti dei due personaggi, che governeremo per l’intero gioco, eccezion fatta per i primi sei livelli in cui avremo il controllo del solo Tinto, in una serie di puzzle iniziali che servono al giocatore per comprendere le meccaniche di gioco e prendere le misure con gli ambienti.
Di base è tutto molto semplice: in relazione alla posizione dei nostri due protagonisti fermi ognuno in un punto dei piccoli livelli zeppi di ostacoli di vario genere, dovremo tracciare il percorso atto a condurre entrambi incolumi fino al proprio cristallo, per completare lo stage e permettere loro di recuperare un singolo ricordo. Tracciate le traiettorie, bisognerà scegliere il momento giusto per far partire Satura e Tinto per il tragitto tracciato ed evitare gli oggetti in movimento: basterà che uno dei personaggi venga colpito per dover ricominciare.

Storie d’altri puzzle

Il giocatore sarà chiamato a superare 4 capitoli di 10 livelli l’uno, con la possibilità di affrontare 5 livelli bonus guidando la sola Satura una volta terminata la storia principale, a patto di prendere tutti i cristalli extra che si trovano in ogni stage. Nei primi 40 livelli verrà ricostruita la storia personale dei due protagonisti, mentre gli ultimi 5 metteranno in scena un evento chiave nella narrazione che la ragazza dovrà rivivere e affrontare.
Dal punto di vista dello storytelling il gioco è dunque abbastanza curato, la scrittura è minimale ma non per questo gli autori hanno mostrato di sottovalutarla, anzi, vi è un armonia inaspettata per un titolo del genere, la narrazione vive un grande equilibrio nel suo ricostruirsi fra i brevi e lapidari dialoghi e le cutscene che legano un capitolo all’altro.
L’idea di base di Umiro è intelligente e al contempo ben messa in campo, la storia ha una sua vita, è solida, e cresce di pari passo al pianificare traiettorie efficaci in un percorso ogni volta diverso e con grado di difficoltà crescente. Coordinare due traiettorie differenti che dovranno andare a segno in parallelo non sarà facile, tutto è affidato alla capacità di pianificazione del giocatore, che non di rado si rifugerà in una meccanica trial&error che condurrà gradualmente alla soluzione, e questo può anche costituire un vizio (necessario): le traiettorie possibili sono potenzialmente infinite, comprese tantissime soluzioni non eleganti per aggirare l’ostacolo in movimento, che una volta presi i tempi risulteranno efficaci: con un po’ di pazienza ogni capitolo diventerà facilmente abbordabile. I tentativi, del resto, sono infiniti.

Codici di geometria esistenziale

Una sfida ardua solo all’apparenza, dunque: sarà molto difficile arrivare all’obiettivo pianificando le traiettorie con un semplice colpo d’occhio, ma il principio che vale qui è “chi la dura la vince”. L’ampia possibilità di profittare dei punti deboli di ogni mappa è un punto a sfavore del gioco, il vero tallone d’Achille che sottrae un po’ di senso della sfida e spegne leggermente il mordente.
È uno degli elementi che contribuisce a non incollare l’utente al gioco, e a ciò non pone rimedio neanche un art-style molto bello e curato: guardando il mondo di gioco, le proporzioni, le forme, le geometrie viene in mente inevitabilmente quel titolo straordinario che è Monument Valley. Non si può affatto dire che Umiro sia più facile dell’opera di Ustwo Games, anzi, probabilmente qui bisognerà impiegare maggior tempo sui livelli; ma il viaggio della principessa Ida gode di un equilibrio architettonico, di uno studio strutturale e di un ritmo da cui il gioco di Diceroll è ben lontano, ed è infatti inappropriato paragonare i due titoli, preferendo ricordare che si tratta di un’opera prima e che il risultato è davvero molto buono. Siamo davanti a un lavoro di level design pregevole e ben studiato, tecnicamente Umiro è un mondo che riprende elementi da modelli pregressi e ha il pregio di assemblarli bene, poco aggiunge di nuovo in termini di game design ma il risultato è quello di offrire svariate ore di sfida, richiedendo comunque una certa attenzione. In un aspetto non da poco sono stati bravi i designer del gioco: non far esondare il flow verso le rive della frustrazione. Il giocatore va per tentativi, magari a volte l’appagamento non raggiunge il massimo nemmeno a obiettivo conseguito, ma in pochissimi livelli si rischia di restare arenati.
Le cut-scene sono poi piccoli gioiellini, rapide vignette d’ispirazione manga che proiettano in un mondo fantastico e trasognato, oltre le dimensioni del tempo e dello spazio, restituendo l’atmosfera che gli sviluppatori volevano probabilmente rendere nel percorso di scoperta dei due piccoli protagonisti, sospesi in un limbo di geometria e irrealtà, risultando al contempo così reali nel loro legame sottile e in costante ispessimento.
A completare il quadro una soundtrack contemplativa dalle sonorità electro-ambient, ottima a calare il giocatore in uno stato di quiete meditativa, ideale per favorire il ragionamento e il calcolo, e che contribuisce a rendere Umiro un momento di piacevole straniamento dalla realtà quotidiana.

Un buon inizio

Con una scrittura attenta e non debordante che ben si intreccia a un gameplay semplice e intuitivo, Diceroll regala un ottimo titolo per gli amanti dei puzzle. Lanciato a un prezzo estremamente competitivo (circa 3 € su tutte le piattaforme su cui è stato rilasciato), il gioco si presta benissimo all’utilizzo su mobile, dove è possibile tracciare le traiettorie in punta di dito, in modalità touch, ma trova anche una buona traslazione su PC, dove le stesse linee possono essere disegnate tramite le frecce direzionali della tastiera, ledendo forse un po’ al dinamismo e all’immediatezza del gioco nella versione portatile, ma guadagnando un po’ in precisione (le linee sono molto sottili, rendendo facili gli errori a chi abbia dita voluminose e/o smartphone non ampi).
Divertente, con sessioni facilmente gestibili nel susseguirsi di livelli singoli e autosufficienti, Umiro è un gioco equilibrato in tutte le sue parti, che contribuirà a rilassare ogni giocatore non svuotandone le tasche e mantenendo vive le sue capacità logiche trasportandolo in un universo trascendente (lo stesso, dimenticavo, che dà il titolo al gioco) in cui perdersi per qualche piacevole ora.




Un’estate al nerd

La spiaggia, strade assolate, vento che sferza in faccia durante un giro in motorino, arrivare al mare, distendersi e dimenticare ogni cosa: la scuola, il lavoro, inverni e autunni di pensieri, responsabilità e preoccupazioni. L’estate è questo, ed è serate nei chioschi, chitarre davanti a un falò, baciarsi distesi sulla battigia e andare a dormire soltanto al palesarsi dell’alba. Per alcuni è i giochi all’aperto quando si è piccoli,  per altri le passeggiate in bicicletta, per altri le birre, le prime limonate… ha il sapore di ogni età, l’estate, e c’è sempre spazio per ogni cosa, e c’è il tempo per farla, quella cosa, nella calma placida di ogni ora libera e vacanziera.
In questo abbondare di tempo libero, volete non si trovi spazio per i videogiochi? Perché fra una pausa e l’altra del dolce far niente, tra una partita a pallone e una gara di tuffi, il tempo per una partitina in formato handheld o per un giro di joypad nella propria stanza si è sempre trovato. O, se si era in giro, non si lesinava una visita alla sala giochi, per chi abbia vissuto quell’epoca d’oro di luccicanti coin-op.

Per l’estate vogliamo regalarvi uno spazio amarcord, un momento dedicato ai ricordi estivi, piccoli racconti che testimoniano un altro frammento della nostra passione per i videogiochi. Passione che non ha tempo, né stagioni deputate, che se ne infischia del caldo boia e delle ore che passano fino a che si è fatta notte fonda, istanza del cuore che ti dice: gioca, tanto tornerà un altro inverno, gioca e non pensare ai mille petali di rose.

E quei giorni noi siamo qui a ricordarli, noi che abbiamo una redazione che spazia dai 17 ai 40 anni. Vogliamo raccontarveli tutti, questi decenni di differenza, queste estati che, pur segnando un arco lungo quasi un quarto di secolo, ci hanno riunito qui, sotto l’emblema di una bussola, uniti da un’unica passione. Dunque sedetevi con noi in riva al mare, prendete una bevanda gassata, mettete le cuffie e lasciatevi trascinare indietro nel tempo questi brevi racconti fatti di pixel e parole, righe che raccontano di estati al sapore di nerd.




Videogame sotto l’ombrellone

L’estate si fa sempre più torrida ma i veri gamer non rinunciano a un po’ di sano divertimento videoludico: che sia nella propria stanza, armati di condizionatore o ventilatore, o in modalità handheld da portare in spiaggia, la scelta è ampia. Fra nuove uscite e giochi da recuperare c’è n’è per tutti i gusti e i nostri redattori si sono prodigati in consigli mirati:

Gero Micciché

  1. Hollow Knight: uscito nel 2017 a seguito di una campagna Kickstarter che ha finanziato parzialmente il gioco, il metroidvania di Team Cherry è stato recentemente rilanciato dall’uscita su Nintendo Switch. Un ottimo ritmo e un art-style 2D di tutto rispetto vi faranno venire voglia di passare parte l’estate a Hallownest col nostro protagonista.
  2. Overcooked 2: in uscita il 7 agosto su tutte le piattaforme, il secondo Overcooked ripropone molte meccaniche già note con nuovi livelli e l’aggiunta di una nuova modalità online che sembra un differenziale non da poco. Il party game da cucina di Ghost Town Games (che si fregia di Team17 come publisher) è il gioco cooperativo perfetto da giocare con gli amici in estate,
  3. Mega Man X Legacy Collection 1+2: Otto capitoli, tre spin-off per uno dei personaggi più iconici dei videogame di sempre. Un platform straordinario, ricco d’azione con un ottimo game design, anche questo presente su tutte le principali piattaforme di gioco. Un classico, ma di grandissima modernità. Cosa volete di più?

Andrea Celauro

  1. Bloodstained: Ritual of the night: il nuovissimo titolo di Koji Igarashi che si rifà ai Castlevania stage by stage più classici. Non lasciatevi intimorire dai toni cupi del gioco, i nove bilanciatissimi livelli proposti, nonché i vari finali alternativi, saranno degli ottimi compagni di giochi per questa afosa estate (specialmente per chi vuole alternare il proprio tempo libero fra videogiochi e uscite all’aria aperta). Sarà per voi un freschissimo Bloody Mary sotto il sole!
  2. Sonic Mania Plus: uscito lo scorso anno, il porcospino più famoso del mondo torna insieme a nuovi amici, stage e modalità inedite con la formula che lo ha annoverato fra i più grandi platformer di tutti i tempi. Colorato, frizzante, carico di nostalgia, ma soprattutto rinnovato e pieno di nuovi interessanti contenuti; correte a provarlo se non volete squagliarvi sotto il sole!
  3. Bud Spencer & Terence Hill – Slap and Beans: birra e salsicce o partita a poker? Nessuno dei due! Questo spettacolare beat ‘em up con i più grandi scazzottatori italiani è il gioco perfetto da giocare in compagnia di un amico durante i pomeriggi noiosi, persino all’aria aperta con un Nintendo Switch. Non diteci che preferite stare a casa a guardare Don Matteo…

Emanuele Cimino

  1. Wreckfest: il “demolition derby style” non tradisce mai e assicura divertimento senza troppo impegno: cosa c’è di meglio per sollazzarsi nei tempi morti dell’estate?
  2. Motorsport Manager 2: gioco manageriale di corse automobilistiche molto ben fatto, permetterà ai giocatori di crea una scuderia, sviluppare la propria macchina, fare mercato di piloti e investi in una nuova tecnologia. Titolo davvero curato, ora disponibile su Android, e quindi un’ottima scelta da portare in giro durante l’estate.
  3. Far Cry 5: se avete dubbi su dove passare le vacanze, vi consiglio una bella gita in Montana: uscito a fine marzo, è il tripla A ideale da recuperare quest’estate per godersi un titolo dalla buona longevità e in cui si alternano sapientemente fasi shooter e fasi stealth.

Calogero Fucà

  1. Fortnite: Ottimo titolo per scappare dal caldo asfissiante estivo e rifugiarsi in un mondo in puro stile cartoon, meglio se giocato in squadra con amici e non. La battle royale del momento non si fermerà di certo per le vacanze, durante le quali potrà farsi solo più incandescente.
  2. Detroit: Become Human: «Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria»: il titolo Quantic Dream porta questo principio all’estremo, ponendo dilemmi morali e una riflessione sull’intelligenza artificiale, sul rapporto uomo-macchina e sul tema del diverso. Ambientato nella Detroit di un futuro molto prossimo, è una buona occasione per trascorrere svariate ore con un’ottima storia e bivi da percorrere.
  3. Agony: Se volete proprio arrendervi al caldo allora non vi resta che provare Agony. Ambientato nientemeno che all’Inferno, il titolo non è stato esattamente ben accolto dalla critica, ma ha un buon potenziale survival e un environment di certo accattivante, con creature demoniache e corpi di dannati. Consigliato ai coraggiosi che non temono la calura estiva.

Dario Gangi

  1. FE: uscito a febbraio di quest’anno, FE, riesce a regalare ore e ore di puro divertimento, con colori accessi e freschi e con un’ottima soundtrack. Il titolo sviluppato da Zoink vi trascinerà in un mondo magico che vi farà dimenticare il caldo di queste torride giornate estive.
  2. Inside + Limbo: due piccioni con una fava. Quale migliore occasione per giocare  questi due stupefacenti titolo se non l’estate e la collezione che include i due capolavori di Playdead? Limbo Inside sono due ovvie scuse per non uscire di casa nelle ore più calde, tenendovi compagnia per almeno otto ore a testa, ma sono anche ampiamente portatili nella versione per Switch, e perfino su Android e iOS, per quanto riguarda Inside.
  3. Just Shapes & Beats: uscito da qualche mese su PC e Nintendo Switch, Just Shapes & Beats sarà il vostro compagno di viaggio per un bel po’, garantendovi ore e ore di pura follia sulle note di brani puramente chiptune. Sfidare i vostri amici sarà uno spasso.

Marcello Ribuffo

  1. FIFA 18: è sempre tempo per un buon calcistico, non solo durante i campionati reali ma anche durante l’estate, in cui il calciomercato impazza. Giocare in questo periodo infatti, rende il titolo mutevole, per via dei tanti trasferimenti dei calciatori tra un club e l’altro, permettendo di testare nuove tattiche o anche provare il piacere di inserire Cristiano Ronaldo nella Juventus prima ancora della release del nuovo capitolo.
  2. Dark Souls Remastered: un titolo che non ha bisogno di presentazioni: la nuova versione del capolavoro di Miyazaki riporta in auge quanto di eccellente svolto in campo artistico e di gameplay, rimanendo come sempre una vera sfida per i videogiocatori. Perché non fare di necessità virtù allora giocando a “Drink Souls“: una morte, una bevuta. L’importante è non mettersi alla guida successivamente, mi raccomando.
  3. Forza Motorsport 7: cosa c’è di più rilassante di un giro sulla vostra vettura dei sogni? Guidare un’auto reale in estate è un incubo, tra code, imprevisti e magari l’aria condizionata che non vuol saperne di funzionare a dovere. Perché dunque non godersi il fresco di casa, e guidare in tutta tranquillità? Le oltre 700 vetture presenti, visibili in dettaglio nel Forza Vista, sapranno appagarvi, soprattutto con un buon volante in mano.

Gabriele Sciarratta

  1. Fire Pro Wrestling World: con l’arrivo della versione PS4 il 31 agosto (su PC è disponibile fin dallo scorso anno), e di conseguenza, con l’uscita del DLC con protagonisti i wrestler della New Japan Pro Wrestling, che portano con sé la modalità storia, il titolo wrestlingistico di Spike Chunsoft diventa completo. Titolo perfetto non solo se si vuole rompere l’egemonia dettata dai giochi WWE, ma soprattutto, visto l’arrivo del roster nipponico, si ha l’occasione per simulare il G1 Climax: il torneo annuale a gironi che si sta disputando sui ring della New Japan proprio in queste settimane!
  2. Stardew Valley: cosa c’è di meglio da fare in estate che coltivare frutta e verdura, andare a pescare nei fiumi o sul mare, e fare amicizia in un piccolo borgo? Stardew Valley è il titolo perfetto per rilassarsi nelle calde giornate estive. È disponibile da poco anche su Switch, ma tenete d’occhio la versione PC, visto che è finalmente attivo il multiplayer online!
  3. Frostpunk: estate = caldo torrido, sudore e disidratazione. Se non siete amanti di questa stagione, come il sottoscritto, allora cosa c’è di meglio di un bell’inverno perenne come quello del gestionale di 11 Bit Studios? Certo, magari si passa da un estremo all’altro, e non è piacevole sopravvivere a -40°, ma a mali estremi, estremi rimedi.

Alfonso Sollano

  1. Yakuza 0: realizzato con gli stessi asset di Yakuza Kiwami, il titolo è uscito su console a inizio anno e costituisce un ottimo modo per iniziare la saga anche su PC e immergersi nel quartiere Kamurocho dove condurre il Drago di Dojima in una storia interessante ricca di combattimenti mozzafiato.
  2. Octopath Traveler: ottimo titolo uscito su Nintendo Switch, è un jrpg con uno stile grafico che ricorda vecchie glorie degli anni ’90 (Final Fantasy VI su tutte) e farà felice i nostalgici con una grande varietà di gioco e una longevità di tutto rispetto.
  3. Marvel’s Spider-Man: nuova esclusiva PS4 firmata Insomniac Games, gode di una grafica da urlo, di un gameplay molto vario e di una mappa aperta che potremo esplorare grazie alle ragnatele del nostro ragno preferito. L’anteprima, insomma è stata già tanta roba e, dato che l’uscita è prevista per il 7 settembre, è un ottimo modo per finire l’estate.

Gabriele Tinaglia

  1. League of Legends: Il titolo di casa Riot Games esiste ormai da quasi un decennio, ed è ancora in continua evoluzione.
  2. Dark souls Remastered: cosa c’è di meglio di un mix tra caldo estivo e difficoltà da bestemmie? L’iconico GDR Bandai Namco è ritornato, ed è presente su tutte le piattaforma. La sfida è assicurata, la frustrazione pure: per chi non vuole rilassarsi neanche al mare.
  3. Rainbow Six Siege: titolo mastodontico di casa Ubisoft, quest’anno giunto all’Year 3. Le giornate estive saranno tutt’altro che noiose: anche qui potrete contare su un multiplayer di buon livello e il gioco pare aver raggiunto un equilibrio e un funzionamento ormai ottimali, che garantiranno divertimento per tutti i vostri giorni liberi.

Annalisa Vitellaro

  1. Crash Bandicoot N. Sane trilogy: il platform 3D per eccellenza, una trilogia che non ha mai smesso di divertire nonostante esista da più di 20 anni. L’iconico marsupiale arancione può farvi compagnia durante un’afosa noiosa serata sul divano o in un lungo viaggio in aereo, essendo su tutte le piattaforme. E con Future Tense, un livello inedito aggiunto poco più di un mese fa, non avete davvero più scuse.
  2. WarioWare Gold: Nintendo riprende in mano un brand che mancava su una console portatile dal lontano 2010. Con 300 frenetici minigiochi per rompere la monotonia dell’estate ancora in corso, il titolo è disponibile dallo scorso 27 luglio per la famiglia Nintendo 3DS. Riuscirete a vincere la coppa Wario?
  3. Hyrule Warriors Definitive Edition: vi è stata cancellata la vacanza che programmavate da mesi? Il vostro capo non vi ha concesso le ferie? O semplicemente il caldo vi rende nervosi? Qualunque sia la causa della vostra rabbia, poche cose la placano come un buon musō. Portate con voi Nintendo Switch qualunque sia la vostra destinazione e preparatevi a sconfiggere orde infinite di nemici, da soli o in compagnia, con i vostri personaggi preferiti della saga di Zelda, e l’edizione definitiva ne conta più di 20. Hyrule ha bisogno di eroi.

Vincenzo Zambuto

  1. Stardew ValleyUn gestionale a sfondo rurale, concepito all’insegna della semplicità, è in grado di regalare ore e ore di divertimento e relax. Tra un raccolto e l’altro, le trame del gioco si svilupperanno con elementi da gioco di ruolo che richiamano chiaramente i classici dei gdr.
  2. Battle Chasers: Se volete rigiocare un gioco di ruolo puro e alla vecchia maniera, questo gioco vi terrà incollati alla vostra console più di quanto possiate immaginare. Dungeon zeppi di trappole, una varietà immensa di mostri e nemici e combattimenti a turni che daranno del filo da torcere anche ai più ferrati sono il contorno perfetto per uno dei giochi di ruolo più interessanti di sempre.
  3. Slain: Back from Hell: Metallari da tutto il mondo io vi invoco! Di recente rilascio sulla console Nintendo Switch questo titolo ispirato ai più classici giochi a scorrimento orizzontale 2D e sviluppato con sprite 16bit,  è un piccolo gioiello da portare in vacanza o sotto l’ombrellone. Impareremo che scontri sanguinolenti e Heavy Metal si sposano alla perfezione!

La scelta della redazione

Tanti i videogame proposti, scelte eterogenee come sempre accade in ogni redazione, ma su un singolo titolo ci sentiamo tutti unanimi: Remothered: Tormented Fathers, survival horror italianissimo diretto dal game designer Chris Darril e sviluppato da Stormind Games, è certamente il titolo d’esordio dell’anno. Uscito dapprima su PC, ha raccolto subito il favore della critica e dei giocatori. Adesso che è uscito anche su PlayStation 4 e Xbox One potrà accompagnarvi per intensissime notti di terrore estivo.

Buon divertimento.




Agony – Pacatamente, come non piace a noi

Quando fu annunciato tramite Kickstarter nel 2016, Agony riscosse un certo interesse tra il pubblico, per via della sua visione molto cruda dell’Inferno e soprattutto, di una direzione che mal si sposava con organi di controllo come l’ESRB (Entertainment Software Rating Board). Infatti, Agony, sin dalle prime battute, era così al di là di ogni titolo horror visto finora che l’organo lo valutò come titolo “per soli adulti”. Una classificazione che al team di sviluppo polacco Madmind Studio non è andata giù, al punto da indurli a cercare in tutti i modi di ottenere una categoria PEGI che non fosse rossa. Una volta ottenuta, le cose non sono comunque andate per il verso giusto: Agony è gradualmente divenuto un titolo potenzialmente castrato sotto quasi tutti i punti di vista e alla sua release definitiva fu valutato con diverse insufficienze. Noi di GameCompass ci siamo presi il nostro tempo, attendendo alcune patch riparatorie e giocato con attenzione questo titolo che però – come vedremo – non merita il paradiso ma nemmeno l’inferno nella misura in cui vi è stato scagliato da molte testate.

Attento a cosa chiedi quando preghi…

Riassumere gli eventi di Agony non è operazione semplice: impersoniamo Amraphel/Nimrod (il protagonista viene chiamato in entrambi i modi, ma il perché non è del tutto chiaro), un’anima dannata, arrivata all’inferno dopo una morte probabilmente violenta. Il suo desiderio è quello di tornare in vita, ma solo la Dea Rossa è in grado di esaudire la sua ambizione. La sua ricerca coincide con il nostro obiettivo, anche se non tutto andrà nel verso giusto. E non ci riferiamo soltanto alla storyline del protagonista, ma anche al gioco nel suo insieme. Tutto è riassumibile con la parola “confusione” e lo svolgimento della trama ne è un chiaro esempio.
Il nostro peregrinare tra le lande degli Inferi sembra non portare da nessuna parte, ogni avvenimento risulta abbastanza slegato da quanto accaduto precedentemente. Ogni nostra azione ha delle conseguenze, ma di questo ce ne accorgeremo una volta scoperto che Agony propone ben sette finali diversi, molto “criptici” e di cui probabilmente uno soltanto – almeno secondo il ragionamento di chi scrive – comunica realmente qualcosa. La “questione delle scelte” è uno dei tanti problemi di game design del titolo e, per far capire meglio di cosa stiamo parlando, è bene procedere con metodo comparativo: prendiamo Prey di Arkane Studios, che ha tra l’altro ricevuto un recente aggiornamento; all’interno del titolo possiamo compiere diverse scelte, alcune di queste “invisibili”. Per intenderci, se in Mass Effect la scelta da intraprendere ci viene letteralmente sbattuta in faccia, in Prey tutto è molto più velato e dipendente davvero dal nostro tipo di gameplay. E in Agony? Nel titolo Madmind risultano invisibili nel vero senso della parola, soprattutto perché si ha sempre la sensazione di non possedere alcun libero arbitrio. Non è chiaro cosa influisca e cosa no, e se da un certo punto di vista può sembrare un’ottima cosa – quasi un espediente meta-ludico – la realtà dei fatti è che questo aspetto non è stato progettato nel migliore dei modi, con il risultato che la confusione regna sovrana. Non bastano nemmeno le tante note sparse qua e là, le quali aggiungono informazioni che si fatica a mettere assieme, finendo facilmente nel dimenticatoio, così come tutte quelle citazioni bibliche volte a crear atmosfera, ma che rimangono tristemente fine a se stesse.
L’offerta ludica di Agony si amplia con altre due modalità: Agonia ci porterà ad affrontare il titolo attraverso ambienti generati proceduralmente, mentre la più interessante modalità Succube ci consentirà di impersonare un demone, portando il giocatore a scoprire nuovi percorsi e nuovi modi di affrontare il gioco. Questa modalità secondaria – a conti fatti – è forse quella più gradevole tra quelle offerte dal titolo.

…potresti ottenerlo

Tutta la struttura ludica di Agony si basa sullo stealth. Come survival horror il gioco riprende i canoni classici che ultimamente siamo abituati a vedere nel genere in termini di gameplay: fare poco rumore, nascondersi ove necessario e scampare dalle grinfie di creature di qualsivoglia natura, in questo caso demoni. Il problema però è che alcune meccaniche inserite non funzionano a dovere, rovinando per la maggior parte l’esperienza. La morte – come ci viene detto – fa parte del gioco e, al suo sopravvenire, abbiamo la possibilità di far migrare la nostra anima verso un ignaro malcapitato e prenderne possesso. Se questa meccanica a prima vista sembra interessante, richiedendo di “scappucciare” i dannati per poter trasmigrare – sempre che sia stata attivata l’opzione “possessione facile”, altrimenti… – una volta inserita la possibilità di possedere un demone crolla l’intero castello di carta. Il survival horror diviene tutt’altro, con quasi la sensazione “di aver rotto il gioco”. La possessione di un demone infatti – se usata con astuzia – può liberarvi l’intero campo dai nemici, trasformando gli inferi in una stravagante vacanza. C’è da dire che la possessione ha un limite di tempo, in cui, se non trovassimo proprio nessun corpo da controllare, scoccata l’ora, sarà game over. Ma anche qui, fatta la legge, si trova l’inganno.
È proprio questo il punto. Agony sembra ancora un work in progress in cui nessuno degli elementi proposti funziona a dovere. Un altro esempio è – l’incredibile – gestione dei checkpoint, mal calibrati in termini di distanza e soprattutto utilizzabili soltanto tre volte. Una volta sfruttati tutti i jolly – morti – dovremo utilizzare quello precedente e, di conseguenza, rifare intere porzioni di gioco. Questo si scontra anche con un level design spesso caotico e in cui risulta difficile orientarsi, dato che molti luoghi soffrono dell’eccessiva ripetitività degli asset. Fortunatamente, in nostro soccorso arrivano i fasci di luce – non quelli del ’25 – proiettati dalla nostra mano e in grado di indicarci la via. Di numero limitato e ricaricabili solo nei checkpoint o raccogliendo idoli sparsi per le mappe, che risultano molto utili a districarsi nei diversi percorsi verso la meta, rappresentando la classica “manna dal cielo” anche se, la direzione indicata alle volte, è quella più scomoda o contraria a quella intrapresa.

Se non vedi non ci credi

Uno degli elementi maggiormente castrati è la direzione artistica dell’Inferno e delle sue creature. La ricostruzione degli ambienti rende l’insieme molto tangibile, soprattutto nei luoghi chiusi, nei quali si può notare anche una certa ripetitività di oggetti e strutture. Fortunatamente è anche in grado di offrire scorci di un certo spessore, in cui si ha davvero l’impressione di viaggiare in un luogo trascendentale. Ma questi bei momenti, in cui si può assistere a ottimi giochi di luce e direzione artistica ispirata, sono anche – e per la maggior parte – di un anonimato disarmante. Molto di quanto mostrato sa di già visto, e anche le creature realizzate ad hoc per il titolo non sono certo memorabili. Questo nonostante alcuni riferimenti cristiani palesi e soprattutto l’intento di portare il tutto verso il concetto di lussuria, anche se a volte in maniera quasi volgare e posticcia.
Gli aspetti strettamente tecnici presentano elementi senza infamia e senza lode, dove le ultime patch hanno messo la pezza su alcuni problemi – ormai classici – da day one: il framerate risulta abbastanza stabile e i vari filtri funzionano discretamente bene. È un titolo che non colpisce per pura potenza tecnica, e quel che è presente non viene nemmeno risaltato da un impianto luci di livello; la maggior parte delle volte faremo veramente fatica a vedere cosa succede. Tutto è buio… anche con una torcia in mano. Manca una vera e propria rifinitura anche dopo alcune patch riparatorie, visibile soprattutto nella gestione dei geo data e nella fisica.
Anche l’audio non spicca particolarmente, vantando un discreto doppiaggio inglese (sottotitolato in italiano) e un’adeguata campionatura di suoni “classici” da horror.

In conclusione

Dove si posiziona dunque Agony? Come potete aver capito, non è un titolo affatto eccelso, ma non si tratta nemmeno di quell’ “agonia” di cui si è spesso parlato riferendosi al titolo. È un lavoro che merita senza dubbio il Purgatorio, in attesa di una versione (Agony Unrated) che probabilmente non arriverà mai. Alla fine della fiera dunque, Agony  è un classico menù scozzese: poca roba e nulla di veramente interessante, prendere o lasciare. Vi farà arrabbiare? Probabile. Vi chiederete cosa succede? Sicuramente. Vi lascerà qualcosa? Difficile, ma non «lasciate ogne speranza, voi ch’intrate».

Processore: Intel Core I7 4930K
Scheda video: Nvidia Gigabyte GTX760 4GB
Scheda Madre: MSi X79A
RAM: Corsair Vengeance 16GB
Sistema Operativo: Windows 10.




Etna Comics 2018

Dunque, Etna Comics. La fiera del fumetto più grande della Trinacria, quella che un po’ tutti gli appassionati (siciliani e non) di anime, manga, comics, videogame, film e serie tv aspettano ogni anno per… fare cosa? È una domanda che mi viene posta spesso da parenti o da chiunque non abbia mai partecipato a eventi del genere, e paradossalmente ogni anno diventa sempre più difficile rispondere. Da eventi di nicchia quali erano, queste fiere diventano, anno dopo anno, un fenomeno di massa, dove si fa di tutto, ma allo stesso tempo niente. Quest’anno, tra l’altro, è stato nuovamente battuto il record di presenze: più di 80.000 persone sono state registrate tra gli ingressi al centro fieristico Le Ciminiere dal 31 maggio al 3 giugno. Ma sul tema torneremo più tardi.


Parliamo piuttosto di ciò che ho visto in questa ottava edizione. La struttura della fiera, pur presentando zone leggermente diverse dall’anno scorso, è rimasta pressoché invariata: 11 aree distinte per tematica, all’interno delle quali sono stati organizzati svariati tipi di attività, contornati da persone più o meno famose, spettacoli, e intrattenimento di ogni genere.

Una delle aree, la YouTube Alley, è stata letteralmente inondata da migliaia di persone, grazie agli ospiti che hanno tenuto le loro conferenze all’interno: YouTube Fa Cagare, Tia Taylor, Playerinside, Federic95Ita, Nocoldiz, Link4Universe e molti altri. Tra questi, sono riuscita a fare un paio di domande ai Playerinside e Nocoldiz, una volta concluse le loro rispettive conferenze.
Iniziamo dalla coppia catanese:

«Cosa vi aspettate da questo E3?»

Midna:

«In sostanza ci aspettiamo delle conferme di ciò che è stato annunciato: date di uscita, per esempio di Kingdom Hearts 3, e qualcosa di più su ciò che è stato già visto almeno in parte nei mesi precedenti.»

Raiden:

«Sarà un E3 di transizione in cui vedremo tantissime conferme e magari qualche piccola novità, oppure anche una o due bombe.»

Subito dopo è stato il turno di Paolo, in arte Nocoldiz, diventato famoso sulla piattaforma grazie alle sue YouTube Poop.

«Perché secondo te molti pooper italiani hanno abbandonato YouTube?»
«Una delle cause principali che ha spinto molti pooper ad abbandonare è il freebooting [la pratica di rubare i video da canali YouTube per caricarli altrove senza autorizzazione, NdR], perché dopo che hai lavorato tantissimo e vedi una pagina Facebook rubarti il video, facendo centinaia di migliaia di visual sul tuo lavoro senza neanche citarti, te la prendi così tanto da indurti ad abbandonare tutto. Ho conosciuto veramente tante persone che l’hanno fatto.»

Un must di Etna Comics – potrebbe essere forse definito il suo cuore pulsante – è sicuramente il padiglione F1, tappa fondamentale per qualsiasi tipo di visitatore della fiera, grazie alla moltitudine di stand presenti in ogni angolo e di diverso tipo: in parole povere, è quella parte della fiera dove si tirano fuori i soldi (e dove ho girato per più tempo); si va dall’Area Comics al piano terra che ospitava le grandi case editrici come Panini e Star Comics e gli autori indipendenti, tra fumettisti e scrittori, scuole del fumetto fino ad artisti più conosciuti, come J.M. De Matteis (co-autore di Justice League Internationalfra le altre cose,  nonché autore di alcuni notissimi Spider-Man come L’ultima caccia di Kraven e Il bambino dentro), Hiromi Matsushita e Kazuko Tadano (coppia che ha contribuito alla creazione dell’anime di Sailor Moon).
Salendo al secondo piano, una folta schiera di stand dedicati ai vari gadget han fatto da padrona indiscussa, tra veterani della manifestazione e new entry all’interno della fiera siciliana provenienti da tutta Italia.
Il terzo piano, per quanto di dimensioni minori, ha ospitato attività molto diverse fra loro: dalle dimostrazioni sulle arti marziali al karaoke, dall’escape room ai mini cosplay contest, con un tema diverso a seconda del giorno.
Totalmente diverso rispetto dagli altri anni invece è stato il padiglione C1, che è rimasto sempre prevalentemente dedicato ai videogiochi, ma anche all’Area Altrimondi. All’entrata si viene accolti da dei magnifici pezzi scenografici tratti dalla saga di Harry Potter, con tanto di shop vero e proprio all’interno della bottega di Ollivander; c’è stato anche spazio per ospitare delle piccole zone a tema Ghostbuster, Star Wars e S.H.I.E.L.D. .


Il secondo piano, come già detto, è stato dedicato al gaming, che sia retro, su console o PC: tra vari venditori di giochi nuovi, usati, recenti e non, ho trovato Marco Alfieri, sviluppatore indipendente e creatore di Call of Salveenee e Ruspa League.

«Cosa pensi della scena videoludica Indie italiana?»
«Penso che sia estremamente buona e ci sono dei titoli veramente formidabili, tra cui Remothered e Doom & Destiny, uno dei giochi più venduti sugli store Android e IOS. Ci sono giochi demenziali come Grezzo 2, Super Botte e Bamba II Turbo e poi ovviamente il mio. Abbiamo un sacco di titoli indipendenti, anche meno conosciuti, come Red Rope e Circle of Sumo. Purtroppo abbiamo delle leggi che impediscono di farli a modo. Fai conto che per sbloccare i fondi europei abbiamo dovuto aspettare fino allo scorso anno, quando nei bandi audiovisivi sono stati inclusi i videogiochi.»

In mezzo alle vecchie console polverose e ai televisori a tubo catodico sono riuscita a incontrare MrPoldoAkbar che, nonostante faccia tutt’altro che occuparsi di gaming sul suo canale YouTube, in via eccezionale è stato parte dello staff dell’area retrogaming.

«Il tuo canale YouTube non parla di retrogaming, come è nata questa connessione?»
«Non c’è una vera e propria connessione diretta con il mio canale YouTube: mi trovo in quest’area come vero appassionato di retrogaming anche se non è il format del mio canale, perché comunque possiedo molti oggetti retrò a casa e sono molto attivo in questo ambito. La mia situazione era sempre quella del bambino che aveva la console vecchia. Quando è uscita la PS1 io ero là a giocare col mio Game Boy Advance, quando tutti avevano la PS3 io ho finalmente ottenuto la mia prima PS1, diciamo che mi dilettavo nelle cose vecchie che costavano di meno.»

Anche in questa edizione, la zona all’aperto non è stata risparmiata, ospitando i sempre presenti Progetto Eden, Umbrella Italian Division e Brotherhood of Trinacria, oltre a numerosi punti di ristoro, per non parlare dell’Area Palco, dove si sono svolti gli spettacoli de iSoldiSpicci, Immanuel Casto, Pietro Ubaldi, Miwa, l’immancabile Cosplay Contest e tantissimi altri.
Sempre all’esterno (o quasi), il padiglione Etna ha incluso dentro il suo enorme tendone una moltitudine di postazioni per giochi da tavolo e un piccolissimo corner completamente dedicato a Nintendo Switch, dove ho trascorso ore intere a parlare con chiunque venisse a provare Breath of the Wild e con i promoter stessi, ed è questo uno degli aspetti che amo di più delle fiere: il dialogo libero, e come questo possa instaurarsi facilmente anche tra sconosciuti, perché sotto sotto sai che se quella persona si trova lì è proprio come te, o curiosa, e puoi insegnargli parte di quello che sai, o è appassionata, e può divenire occasione per scambiarsi opinioni o parlare della propria esperienza, in questo caso con la saga di Zelda.


E qui mi ricollego al tema iniziale: è possibile che questa occasione di dialogo venga in qualche modo “macchiata” rendendo le fiere del fumetto qualcosa che può interessare “un po’ a tutti”? Non più solo amanti della cultura pop, ma anche persone che hanno pagato il biglietto solo ed esclusivamente per vedere un determinato ospite, che sostanzialmente con la fiera c’entra poco, come gli stessi Soldi Spicci, Immanuel Casto, Andrea Agresti, Matteo Viviani, Raul Cremona. È come se così facendo, questa fiera, ma anche molte altre che stanno seguendo questa strada, stiano perdendo la propria identità di settore, facendosi sempre più generalista. Resta il divertimento, resta la gran varietà di cose da fare (che, anzi, aumenta) ma forse l’imbastardimento andrebbe dosato: va bene l’apertura, va bene che il mondo nerd e la cultura pop non siano più esclusivo appannaggio di iperappassionati, ma anche l’innesto di novità va fatto mantenendo degli equilibri.  Rischia altrimenti di venire a mancare, di anno in anno, la magia presente nei primi anni, quando questi eventi erano solo un luogo d’incontro per appassionati. E, ripeto, non si vuole questo, non è la critica settaria ed esclusiva di chi vuole un ambiente selezionato e ristretto: ma l’eccessiva apertura rischia di deformare eventi che hanno iniziato avendo un focus ben preciso, e questo comporta negli anni il rischio della perdita d’identità, rischiando di scivolare nell’accozzaglia, o, peggio, di privilegiare il “popolare”, quello che fa numero, a scapito della cultura pop genuina, quella che vede nei fumetti, nei videogame, in certa letteratura, in un certo cinema e serie tv, in manga, anime e quant’altro, il proprio sedimento, quello che ha nutrito un po’ tutti noi che abbiamo amato certi eventi per quel che raccoglievano, e non per i singoli nomi di richiamo.

A ogni modo, anche quest’anno il bilancio può dirsi positivo. Al prossimo Etna Comics!

(Si ringrazia Giovanni Cucuzza per le foto all’aperto)




Sunset Overdrive presto su PC?

In Corea, Sunset Overdrive è stato inserito nella Game Rating Board coreana, ovvero il sito che raccoglie le schede di tutti i giochi presenti sul mercato. Sembrerebbe cosa normale, dato che stiamo parlando di un  free roaming del 2014, ma la scheda conteneva un particolare che non è certo passato inosservato; si tratta infatti della versione PC. Che sia in arrivo sul mercato?
Meglio però ripassare visto che il titolo è uscito 4 anni fa, vi lasciamo al trailer della versione Xbox.




Valve cerca personale: buone notizie per i gamer?

Valve non è un’azienda che ha certo bisogno di presentazione, conosciuta dai più per il suo store digitale Steam, il più utilizzato dai PC-gamer, e che si è affermata sul mercato videoludico grazie a titoli come Counter Strike: Global Offensive e Half-Life.
Negli ultimi giorni è comparso un nuovo sito, riconducibile a Valve, creato per assumere nuovo personale in molte posizioni all’interno dell’azienda, che vanno da un ruolo amministrativo e/o di gestione al game design. Nel dettaglio, sono stati aggiunti due progetti per i quali si cerca personale: parliamo di un gioco di carte collezionabili chiamato Artifact, che sarebbe ispirato a Dota 2, e un nuovo gioco di avventura incentrato sulla narrazione In the Valley of Gods.
Le intenzioni di Valve sembrano non fermarsi alla produzione di quanto sopra citato ma anche a “nuovi giochi in lavorazione top secret”. È il momento perfetto per fare speculazione: è in arrivo un nuovo Half-Life?




Game Jam: The Movie

Uno dei concetti alla base della game theory, e del gioco sin dai primordi, è quello di sfida: che ci sia o meno dello storytelling dietro un’attività ludica, è la volontà di superamento dell’ostacolo a muovere l’engagement. La motivazione generata dalla gara e da una meta da raggiungere incrementa il potenziale creativo e l’ingegno, ed è per questo che oggi metodi come la gamification trovano considerevole spazio anche in ambienti business, per assolvere a finalità che con il puro entertainment non hanno nulla a che fare.
Un altro concetto non meno importante alla base del gioco è quello di cooperazione: seppur meno irrinunciabile rispetto al primo (giocare in single player è un’attività nata ben prima dei solitari con le carte), l’attività in co-op è alla base delle attività ludiche di gruppo, degli sport di squadra e di buona parte del gaming moderno, e oggi ne sono studiati i benefici in termini di team building soprattutto nei contesti aziendali.
Non deve stupire, quindi, se uno dei momenti di maggior creatività nella produzione videoludica odierna sia rintracciabile nelle Game Jam. Nate come forma specialistica degli hackaton (dall’unione dei termini “hack” e “maraton”, maratone dedicate in cui vari sviluppatori univano le forze per trovare soluzioni comuni e innovative, come fu il primo caso di hackaton che unì vari sviluppatori in ambiente OpenBSD), le Game Jam sono sessioni collettive di professionisti o appassionati dotati di  capacità tecniche e creative che, richiamando il concetto musicale di jam session, si trovano a mettere insieme le proprie competenze per creare un videogame in un lasso determinato di tempo.
Negli anni, queste manifestazioni che hanno raccolto team di sviluppo in ogni dove sono cresciute al punto da richiamare migliaia di partecipanti, aspiranti developer con idee alla base o semplicemente gente che voleva mettersi alla prova. Nelle Game Jam si sono alternati grandi fallimenti e idee geniali, sviluppatori che riuscivano a concretizzare idee straordinarie in un tempo brevissimo e altri che invece non riuscivano a finire il progetto iniziato. Spesso i team hanno già una coesione di base, ma non è raro trovare gente che unisca le forze in vista di una singola jam senza aver mai lavorato assieme, solo perché ci sono le giuste competenze da unire e provare può valerne la pena.

Le game jam hanno prodotto veri e propri obbrobri accanto a giochi interessanti fino a titoli che poi sono approdati sui principali store mondiali: non si può non pensare a SuperHot, la cui idea vide luce durante la 7 Day First Person Shooter Game Jam (7DFPS) prima di approdare su Greenlight e diventare il gioco straordinario che è oggi, vantando anche una versione VR su tutte le principali piattaforme di gioco.
Le Game Jam sono state anche culla di idee bizzarre come Surgeon Simulatorcreato durante la Global Game Jam 2013, o Goat Simulator, ideato invece durante una jam interna di Coffee Stain Studios, che avevano appena finito lo sviluppo di Sanctum 2: lo avrebbero mai detto che simulare la vita di una capra gli avrebbe fruttato 12 milioni di dollari contro gli appena 2 entrati con ogni capitolo di Sanctum? Non è strano che quindi appuntamenti come la Global Game Jam, Indie Game Jam, Ludum Dare e Nordic Game Jam siano diventati importanti banchi di prova per sviluppatori indipendenti, ma anche momenti  interessanti per i grossi publisher.

Piccoli universi con una vita limitata, nei quali si concentrano ogni volta storie, idee, creatività e sinergie che vale la pena raccontare.
A farlo sono stati Scott Conditt e Jeremy Tremp, registi, e anche produttori con la loro CineForge Media, di Game Jam: The Movie, documentario che narra in meno di un’ora il lavoro di 12 team in gara per un premio durante i due giorni di una Game Jam.
Uscito nel marzo 2018, il documentario distribuito da Devolver Digital Films è diviso in due parti: la prima si concentra sulla vera e propria Game Jam, con interviste agli sviluppatori e un focus sul loro lavoro. Emerge quel senso della sfida che mette in moto la creatività durante queste manifestazioni, l’ansia di non farcela, la paura di non finire in tempo. Ma è anche il momento in cui il brainstorming produce il massimo, dove le varie competenze si fondono e dove, dall’intersezione di concetti di game design a concept di visual art e intelligenti soluzioni  di coding, arrivano le idee dalle quali nascono i giochi. I team si mettono a nudo e non nascondono timori e a volte un senso di inadeguatezza, ma esce fuori inevitabilmente anche il narcisismo di ognuno, il compiacimento riguardo un’idea di base che sembra azzeccata e su cui è possibile fare del proprio meglio, la volontà di puntare sulle proprie abilità migliori, chi in quella di creare efficaci ambienti in VR chi invece nell’abilità nel sound design.
La seconda parte segue invece i soli team vincitori della Game Jam, i due che si sono meritati il passaggio all’IndieCade. Si tratta di un percorso interessante per chi non abbia mai visto come funziona la long road di un videogame verso la pubblicazione, emerge l’importanza di aver un buon publisher perché il gioco emerga dal mare magnum degli indie game quotidianamente rilasciati sul mercato e quindi è messo in luce il peso di un buon pitch con chi dovrebbe comprare l’idea: gli sviluppatori, tutti giovanissimi e spesso non forti di grandi doti comunicative o di marketing, hanno l’occasione di esporre i propri lavori ad aziende del calibro Sony e Oculus, e devono  farlo in soli 5 minuti. 300 secondi, una media che si ripete ovunque, di certo non solo all’IndieCade, chi frequenta questi eventi lo sa bene. I grossi publisher sono in cerca di prodotti di loro interesse, ma sanno che ne troveranno ogni volta 1 su 500, bene che vada: vale la regola della prima pagina che attuava Aldo Busi quando selezionava i romanzi per Mondadori, se la prima pagina non funzionava il testo veniva scartato. Il metodo non era forse efficace, ma di certo risulta  e risultava efficiente e, piaccia o meno, è così che funziona il mercato, al punto che l’incaricato di Cartoon Network spiega che incontrare gli sviluppatori è importante al pari del gioco: su un prodotto, del resto, il publisher vuole sempre avere una voce in capitolo, e avere a che fare con lavoratori affidabili, elastici e disponibili a effettuare variazioni per la miglior riuscita del prodotto sul mercato diventa fondamentale. Probabilmente per questo il team di Terrasect è riuscito poi a pubblicare il proprio Wizards: 1984, prodotto VR ancora presente sugli store mobile: il gioco era inizialmente concepito in maniera diversa, sono state necessarie varie modifiche sostanziali perché il publisher accettasse di distribuirlo.
In entrambe le fasi, il Virgilio d’eccezione è Jess Conditt, sorella di uno dei registi e Senior Editor di Engadget, che ha il compito di spiegare i retroscena dell’indie development e di chiarire alcuni aspetti che altrimenti risulterebbero meno intellegibili ai non addetti ai lavori.

Un documentario breve ma di certo interesse nel suo raccontare un percorso che oggi riguarda tutti gli sviluppatori non affermati, e che in questi anni è diventato rilevante nell’industry, dato il crescente peso degli indie game sul mercato videoludico.
E che non dà spazio soltanto ai vincitori: alcuni lavori che trovano voce solo nella prima parte del film andrebbero tenuti d’occhio e con loro alcuni giovanissimi developer che dimostrano di avere un a buona base di idee. Del resto, la storia del settore ci ricorda che anche quando i risultati non sono immediati, in certi casi si può intravedere già del talento su cui investire.
A tal proposito, mi pare utile ricordare in chiusura quel che fecero Edmund McMillen e Tyler Glaiel alla Global Game Jam Creators del 2009. I creatori di Super Meat Boy all’epoca si limitarono a creare un idle clicker dal titolo AVGM (Abusive Video Game Manipulation), gioco che oggi può essere recuperato nella The Basement Collection che raccoglie i lavori del primo McMillen e il cui gameplay consiste soltanto nel premere un interruttore per spegnere e accendere la luce in una stanza vuota, con l’obiettivo di ottenere ogni volta nuovi oggetti dopo un certo numero di click. Il gioco è semplicissimo ma, come ha spiegato lo stesso McMillen, nasceva da un esigenza di risposta a un certo tipo di prodotti quelli che creano nel giocatore l’esigenza della ripetizione di determinati comportamenti, che si traducono in tempo investito per ottenere degli item digitali, in una “manipolazione della volontà” che induce, infine, a spendere denaro per risparmiare quel tempo e ottenere gli stessi vantaggi.
Vi ricorda qualcosa? McMillen analizzava questo fenomeno già quasi un decennio fa, e ha definito infatti AVGM come «a commentary on the formula that’s used in most massively multiplayer RPGs and a lot of online games that are on Facebook and stuff like that like Pet Society and Farmville – especially Farmville – where you are basically rewarded with digital items for time spent and clicks».
Una realizzazione semplice di un’idea intelligente e reazionaria, insomma, ideale per i tempi brevi di una Game Jam, e non è un caso, infatti, che gli oggetti che appaiono su schermo siano sempre raccapriccianti.

E un simile esempio di creatività, libera, riottosa e provocatoria, ci pare già abbastanza per poter auspicare che il mondo delle Game Jam continui a crescere e proliferare, portando sempre più autori indipendenti all’attenzione dei moderni videogiocatori.




Dune II: tre regole per un buon videogame su licenza

«Creare videogiochi è un lavoro difficile. Molto di ciò che facciamo richiede un salto nel buio. Dobbiamo immaginare il gameplay, la tecnologia con cui il videogioco prenderà vita. Immaginare gli scenari e i suoni che meglio trasmetteranno il gioco nella sua interezza al videogiocatore»

Così esordisce Tomas Rawlings, Design Director per Auroch Digital su Gameindustry.biz. Durante il corso dell’intervista afferma che vi sono diversi punti critici in cui è facile sbagliare durante la creazione di un videogioco ma, una volta che si è riusciti nell’intento, il risultato appaga tutti gli sforzi e crea una sorta di “magia”. Ma come si riconosce questa magia? Ce ne si accorge quando si è completamente assorti nel videogioco tanto da dimenticare il mondo esterno, cioè quando il gioco diventa il proprio mondo.
Racconta di quando era giovane e di quando scoprì il videogioco Dune, tratto dal romanzo fantascientifico di Frank Herbert, così come l’omonimo film di David Lynch. Allora decise di dedicarsi 20 minuti a questo gioco, giusto per conoscerlo, ma dopo che lo provò passò l’intera nottata e parte della successiva giornata a giocarci; ma perché questo preambolo? Per spiegare meglio la sua idea di immersione nel gioco e per rafforzare il concetto decide di raccontare il gioco.

Dune

Dune è un gioco incentrato su una risorsa limitata, chiamata Melange, che permette viaggi a velocità superiori della luce, ma molto rara e costosa, quasi un’allegoria del petrolio nel mondo moderno. La Melange si può trovare solo in un pianeta chiamato Dune, caratterizzato anche da enormi vermi che rendono un azzardo la raccolta di questa risorsa. Il controllo del pianeta è dato a turno a varie casate che dividono le quote della risorsa come meglio credono, preoccupati solo che questa spezia sia in circolo, ma non a come ci si arrivi.
Rawlings spiega, che questo gioco può essere considerato uno dei primi strategici in tempo reale, avendo al suo interno molte innovazioni che oggi sono alla base degli strategici che vanno per la maggiore, tra cui League of Legends, Dota 2, Clash Royale. Queste innovazioni spaziano dal controllo diretto delle risorse all’albero della tecnologia.

Le tre regole

Andiamo però alla parte saliente dell’articolo, le tre regole cardine che un buon gioco deve rispettare: Rawlings parte dalla regola che può sembrare la più banale e facile da seguire in cui semplicemente, un gioco deve essere un buon gioco, deve essere ben strutturato e, come terza regola, riesca a coinvolgere il giocatore facendolo diventare parte del gioco stesso, vivendo l’esperienza da una prospettiva personale. Tutto ciò scaturisce da un’IP originale, equilibrata e con ben integrate nuove meccaniche di gioco.