Calcio e videogiochi: un legame radicato nel tempo

Negli ultimi anni il fenomeno degli eSport ha dimostrato quanto sia forte il legame tra il mondo dei videogiochi e quello dello sport, soprattutto se consideriamo il formarsi di squadre e leghe professionistiche, come la Overwatch League o il tesseramento di molti pro player da parte delle squadre di calcio, com’è successo in Italia con Mattia “Lonewolf92” Guarracino tesserato dalla Sampdoria.
In realtà, questi due mondi avevano già molte cose in comune, già a partire dalla metà degli anni ‘80: stiamo parlando delle sponsorizzazioni di vari publisher e sviluppatori sulle maglie di molte squadre di calcio dal blasone nazionale e internazionale. In questo numero di EVOL faremo un excursus storico su questo tema.

Partiamo dagli inizi: dobbiamo la palma di pionieri del genere alla Commodore, allora tra i leader del settore videoludico. Dal 1988 fino al ‘92/’93, l’azienda fondata da Jack Tramiel è apparsa sulle maglie del Chelsea: i tempi dei petrodollari di Roman Abramovich e del tatticismo di Maurizio Sarri erano ancora lontani, visto che la squadra londinese retrocesse in Second Division (la attuale Championship) alla fine della stagione ‘87/’89, salvo poi ritornare in First Division (ora Premier League) dopo un anno per poi veleggiare in zone di metà classifica. Nella stagione ‘93/’94 vi fu una piccola sostituzione: da Commodore si passò ad Amiga, però senza cambiare risultati, visto che la squadra allora allenata da Glenn Hoddle finì la stagione al quattordicesimo posto, perdendo inoltre la finale di FA Cup contro il Manchester United.
Commodore nel frattempo finì anche sulle maglie del Bayern Monaco in Germania dal 1984 fino al 1989, ottenendo risultati decisamente migliori rispetto ai blues, visto che i bavaresi vinsero ben quattro scudetti, una coppa e una supercoppa di Germania. Risultati analoghi anche in Francia, visto che il Paris Saint Germain, dal 1991 al 1995, vinse due coppe di Francia, una coppa di lega e un campionato nazionale.

Passiamo a Sega, che cominciò a sponsorizzarsi in casa con il JEF United, squadra di Ichihara che dal 1992 al 1996 ottenne solamente dei risultati da mezza classifica. Ben più celebre, invece, l’operazione di marketing che portò Arsenal, Deportivo La Coruña, Saint-Etienne e Sampdoria ad avere il logo di Sega Dreamcast sulle maglie. Fu un’operazione che per molti decretò il flop dell’ultima console della casa giapponese, anche a causa del costoso accordo con i “gunners”. Alla fine, solamente la squadra allenata ai tempi da Arsene Wenger ottenne dei buoni risultati nel triennio che va dal 1999 al 2002, con un Charity Shield (oggi Community Shield), una FA Cup e un campionato vinto. La Sampdoria finì quinta in Serie B per le due stagioni (1999-2002), mentre la singola stagione (2001) della console Sega sulle maglie della squadra francese e spagnola non regalarono molte gioie, visto che il Deportivo arrivò secondo e staccato di sette punti dal Real Madrid e, il Saint-Etienne, addirittura retrocesse in Ligue 2.
Curiosamente, Sega aveva già avuto legami con il calcio nel nostro paese, con le indimenticabili pubblicità di Master System II, Game Gear e Mega Drive con protagonisti Walter Zenga, Gianluigi Lentini e l’attuale CT della nazionale italiana Roberto Mancini, allora stella della Sampdoria campione d’Italia nel 1991.

Dopo Sega è il turno di Nintendo: l’associazione più nota è quella con la Fiorentina dal 1997 fino al 1999, anni dove i viola finirono nella parte alta della classifica andando a un passo dallo scudetto nel 1998 (alla fine ottennero un terzo posto), sfumato per il grave  infortunio ai danni di Gabriel Omar Batistuta, capitano e stella della squadra. Ben prima invece, nella stagione 1992-1993 il Siviglia di Diego Armando Maradona, sponsorizzato dal Super Nintendo, concluse la stagione al dodicesimo posto. Invece, in madrepatria, l’azienda di Kyoto detiene il 16,6% della proprietà del Kyoto Sanga FC, squadra che vivacchia in seconda divisione e che ha avuto il suo piccolo momento di gloria nel 2002, con la vittoria della Coppa dell’Imperatore.

Storia travagliata, invece, per quanto riguarda Atari: se gli appassionati si ricorderanno della maglia del Lione dal 1999 al 2001 con i loghi dell’azienda, oltre che di Infogrames, e capace di vincere una coppa di lega francese, pochi sapranno che la compagnia fondata da Nolan Bushnell e Ted Dabney era coinvolta, sotto l’agglomerato di aziende della Warner Corporations, in una importante fetta dei New York Cosmos e della North American Soccer League. All’epoca il calcio statunitense era fortemente amatoriale, ma grazie alla mostruosa disponibilità economica derivante dal gruppo Warner, i Cosmos riuscirono ad acquistare Pelè, probabilmente il più forte calciatore di tutti i tempi. La compagine della grande mela riuscì a vincere ben tre campionati dal 1977 al 1980, non solo grazie all’apporto di “o rey”, ma anche con l’arrivo di vecchie glorie sulla via del ritiro, come Franz Beckenbauer o la leggenda della Lazio, Giorgio Chinaglia. Purtroppo la NASL, l’allora campionato di calcio nordamericano, cessò di esistere nel 1984, con squadre soffocate da debiti e con sponsor sull’orlo del fallimento: tra di esse vi era proprio Atari, reduce dal flop commerciale del tie-in di E.T. che, non solo causò il celebre crash dei videogiochi, ma anche il fallimento sia dei New York Cosmos, che della NASL stessa.

L’unica big che manca al riassunto è Sony: pur essendo conosciuta anche per il marketing rivoluzionario e al passo con i tempi, l’azienda giapponese ha solamente sfruttato il marchio PlayStation per sponsorizzare l’Auxerre, squadra francese che milita attualmente in Ligue 2 e che, dal 1999 al 2006 ha solamente vinto due coppe di Francia. Ben più nota invece, la sponsorizzazione dell’azienda madre sulle maglie della Juventus dal 1995 fino al 1998, anni dove la “vecchia signora” vinse due scudetti, due supercoppe italiane, una supercoppa UEFA, una coppa intercontinentale e la Champions League del 1996, vinta contro l’Ajax.

Concludiamo con un rapido excursus riguardanti altre compagnie: Capcom sulle maglie del Cerezo Osaka dal 1994 al 1996, Konami su quella dei Tokyo Verdy dal 1999 al 2001, la brevissima parentesi natalizia di Pro Evolution Soccer 2009 con la Lazio, il rivale FIFA con lo Swindon Town dal 2011 al 2014, Football Manager sponsor del Watford nella stagione 2012-2013, Ocean Software che sponsorizza Jurassic Park nelle maglie dell’FC Martigues nel 1993 e la partnership tra Eidos e il Manchester City dal 1999 al 2002.

E attualmente? Le uniche presenze videoludiche nel calcio attuale sono limitate solamente a due squadre: una è l’AFC Wimbledon, squadra di League One inglese (il corrispettivo della nostra Lega Pro, per intenderci) che, dal 2002 a oggi viene sponsorizzata da Football Manager, venendo pure usata nelle immagini dimostrative del popolare manageriale calcistico di Sports Interactive. L’altra squadra ad avere forti legami col settore videoludico sono i Seattle Sounders della Major League Soccer americana, sponsorizzati da Microsoft: nel 2009-2010 con il logo di Xbox Live e dall’anno successivo semplicemente dalla console di casa Redmond. I Sounders vantano nel loro palmares una vittoria della MLS nel 2016 e una U.S. Open Cup nel 2014.

La storia ci insegna che il calcio, ma anche molti altri sport (su tutti il wrestling, e cito due nomi: Xavier Woods e Kenny Omega, quest’ultimo addirittura nei panni di Cody in un trailer per Street Fighter V) hanno un legame fortissimo con i videogiochi, e il recente interessamento del CIO per gli eSport ha radice ben più profonde del semplice interesse economico.




Un’estate al nerd

La spiaggia, strade assolate, vento che sferza in faccia durante un giro in motorino, arrivare al mare, distendersi e dimenticare ogni cosa: la scuola, il lavoro, inverni e autunni di pensieri, responsabilità e preoccupazioni. L’estate è questo, ed è serate nei chioschi, chitarre davanti a un falò, baciarsi distesi sulla battigia e andare a dormire soltanto al palesarsi dell’alba. Per alcuni è i giochi all’aperto quando si è piccoli,  per altri le passeggiate in bicicletta, per altri le birre, le prime limonate… ha il sapore di ogni età, l’estate, e c’è sempre spazio per ogni cosa, e c’è il tempo per farla, quella cosa, nella calma placida di ogni ora libera e vacanziera.
In questo abbondare di tempo libero, volete non si trovi spazio per i videogiochi? Perché fra una pausa e l’altra del dolce far niente, tra una partita a pallone e una gara di tuffi, il tempo per una partitina in formato handheld o per un giro di joypad nella propria stanza si è sempre trovato. O, se si era in giro, non si lesinava una visita alla sala giochi, per chi abbia vissuto quell’epoca d’oro di luccicanti coin-op.

Per l’estate vogliamo regalarvi uno spazio amarcord, un momento dedicato ai ricordi estivi, piccoli racconti che testimoniano un altro frammento della nostra passione per i videogiochi. Passione che non ha tempo, né stagioni deputate, che se ne infischia del caldo boia e delle ore che passano fino a che si è fatta notte fonda, istanza del cuore che ti dice: gioca, tanto tornerà un altro inverno, gioca e non pensare ai mille petali di rose.

E quei giorni noi siamo qui a ricordarli, noi che abbiamo una redazione che spazia dai 17 ai 40 anni. Vogliamo raccontarveli tutti, questi decenni di differenza, queste estati che, pur segnando un arco lungo quasi un quarto di secolo, ci hanno riunito qui, sotto l’emblema di una bussola, uniti da un’unica passione. Dunque sedetevi con noi in riva al mare, prendete una bevanda gassata, mettete le cuffie e lasciatevi trascinare indietro nel tempo questi brevi racconti fatti di pixel e parole, righe che raccontano di estati al sapore di nerd.




Genitori consapevoli per un’esperienza di gioco migliore

Per molti genitori, i videogiochi online, o il videogioco in generale, possono rappresentare un mondo sconosciuto e/o pericoloso per il proprio figlio, che potrebbe addirittura danneggiarlo mentalmente. A volte il gioco è solo una parte di un problema ben più grande, altre volte il problema si trova all’interno del gioco stesso e, quando accade qualcosa di effettivamente spiacevole, non c’è scusa che tenga, la soluzione universale sembra essere quella di allontanare il ragazzo dalla “fonte”, in modo che il fatto non si possa più ripetere e invitare gli altri a fare altrettanto.
Qualcosa di analogo è accaduta recentemente all’interno di Roblox, un multiplayer online creato ad hoc per bambini o ragazzi molto giovani, che conta 64 milioni di giocatori e dove la fantasia degli utenti fa da padrona indiscussa. Il problema arriva quando si fa uso improprio della libertà data per creare situazioni totalmente contrastanti con l’ambiente di gioco, in questo caso un ambiente volto a far socializzare e divertirsi: l’avatar di una bambina di sette anni è stato “stuprato” da altri tre giocatori che avevano creato degli strumenti a forma di pene. Chiaramente la scena non era esplicita, ma sfruttando e usando impropriamente determinate azioni che è possibile fare è stato possibile arrivare a una rappresentazione fortemente allusiva, che ha comunque cambiato in negativo l’esperienza di gioco della vittima. La madre è venuta a conoscenza dell’accaduto e ha raccontato tutto su un post su Facebook, dicendo di essersi sentita traumatizzata e violata, invogliando altri genitori a disinstallare il gioco dai device dei loro figli, per impedire che potesse accadere lo stesso anche a loro. Ovviamente i colpevoli sono stati segnalati agli sviluppatori e bannati in modo permanente.
Per molti la reazione della madre potrà risultare naturale ma, pur risultando comprensibilissima l’istintiva reazione di un genitore, quella di invogliare i giocatori ad abbandonare la piattaforma è la soluzione migliore?

Voler allontanare un pubblico sensibile da ambienti dove avvengono fatti del genere è un atto di difesa istintiva, ma mette in atto un’ulteriore, piccola ingiustizia nei confronti di chi ne ha già subita una. Di certo a subirne le conseguenze dovrebbe essere chi causa il problema, senza negare il divertimento videoludico a chi segue le regole e la netiquette.
Gli sviluppatori di Roblox hanno allora creato una guida per i genitori, in modo che entrambe le parti possano collaborare per dare agli utenti finali, cioè i ragazzi, quello che tutti vogliono: un’esperienza di gioco divertente e priva di pericoli.
Le soluzioni prospettabili sono due: la prima è di difficile attuazione, e consiste nel controllare qualsiasi cosa venga creata dagli utenti e assicurarsi che sia qualcosa di innocente e che non possa essere usata in modo improprio; ma i moderatori non potrebbero mai gestire agevolmente 64 milioni di utenti, né rilevarne violazioni come quella sopra raccontata. La seconda opzione è quella del dialogo, cioè creare un rapporto di collaborazione e sicurezza tra giocatori, genitori e moderatori per allontanare il prima possibile tutti quegli elementi che rovinano l’esperienza di gioco: se il ragazzo trova qualcuno del genere deve parlarne subito con la famiglia o, meglio ancora, direttamente con lo staff del gioco, il tutto in modo genuino e senza vergogna.
La nostra è un’epoca dove questi aspetti sono difficili da gestire, ci si sta affacciando adesso al medium videoludico in maniera più approfondita e non è facile interpretare i problemi e individuare le forme di protezione più efficace. Un’etica del giocatore è ancora in divenire, le regole si costruiscono giorno per giorno, i pericoli non sono pochi, soprattutto per i minori. Ma il gioco ha anche fini formativi, i vantaggi apportati dal videogame sono stati anche studiati dalla scienza: scappare non è la soluzione.
Quindi, cari genitori, se mai dovesse succedere ai vostri figli qualcosa come quanto raccontato sopra, non disinstallate, non sequestrate: informatevi sul da farsi, cercate delle guide, contattate gli sviluppatori e collaborate affinché si possano approntare rimedi e vi sia il minor impatto possibile sulla futura esperienza da giocatori dei vostri ragazzi, che hanno diritto di continuare a vivere esperienze virtuali. Se li indirizzerete anche verso le migliori esperienze videoludiche, se passerete loro un messaggio di equilibrio riguardo quanto e come fruire del mezzo, contribuirete alla loro crescita, e creerete allo stesso tempo un ambiante di gioco migliore per tutti.
Giocare dovrebbe essere anche un momento di edificazione umana, atto a farci dimenticare tutto il male intorno a noi: quel di cui potremmo essere vittime nel mondo virtuale, è grave, ma, sfruttando una safe-zone che è quella davanti al monitor, può insegnarci a essere più guardinghi nella realtà di tutti i giorni. E queste esperienze, questi insegnamenti, sono quelli che più di ogni altra cosa dobbiamo imparare a difendere.




Mamme e videogiochi possono andare d’accordo

Sin da piccolissima, casa mia è stata letteralmente piena di strumenti “tecnologici”: computer, telefoni fax, i primi cellulari, stampanti, tutti oggetti che avrei imparato a usare crescendo; ma da quando ho ricordi, erano quattro gli apparecchi che sapevo più o meno usare: la tv, il videoregistratore (sfruttato prevalentemente per guardare e riguardare i VHS dei film Disney), la prima PlayStation e il Game Boy, questi ultimi appartenenti a mio fratello. Non era raro che mentre uno di noi due giocava, sopratutto alla console di casa Sony, nostra madre ci guardasse, un po’ per capire per cosa avesse speso quelle 50 mila lire, un po’ per aspettare il suo turno.
Ebbene sì, sono tra i pochi fortunati cresciuti tra la fine degli anni ’90 e i primi del 2000 ad avere una mamma “gamer”,o che almeno, lo è stata un po’ da giovane. Avendo vissuto a pieno il periodo della nascita delle console, aveva in casa un’Amiga 600 e un Commodore 64 con giochi come Impossible MissionArkanoidPac-ManTetris Donkey Kong, che usava insieme ai fratelli più piccoli. Forse per sentirsi di nuovo ragazza, o forse per vedere personalmente come fossero cambiati i videogiochi nell’arco di 10-20 anni, ogni tanto accorreva in nostro aiuto quando non riuscivamo a superare un determinato livello in Crash Bandicoot, e la cosa la faceva divertire molto, tanto da aver trovato in quella serie i suoi videogiochi preferiti.

Passano gli anni, in casa arrivano una PlayStation 2  e un Game Boy Advance SP, la prima console che ho chiesto personalmente, che potevo considerare mia e che fu una delle ragioni che mi portò ad amare Nintendo. Trascorrevo intere giornate a giocare a Pokémon Smeraldo e Rosso Fuoco, che però non suscitarono interesse in mia madre,  troppo occupata a capire giochi come GTA Vice City e San AndreasNon era certo la prima volta che vedeva giochi violenti, avendo comprato in precedenza Tekken 3 Mortal Kombat 4, sempre a mio fratello, sempre sotto la sua supervisione, ma la vastità di cose che era possibile fare, il linguaggio scurrile e la grafica (ai tempi) fotorealistica sono sicuramente fattori che possono sì intrigare un bambino (personalmente li vedevo come qualcosa di totalmente nuovo e fu per questo che mi avvicinai a titoli del genere), ma anche allertare una mamma, specie se li associa all’influenza che questi possono avere sui figli di 6 e 11 anni. Insomma, non era proprio contentissima di quegli acquisti, nonostante le fosse chiaro che ci divertivamo come matti e mai avremmo voluto fare quelle cose nella vita reale. Non arrivò mai a sequestrarceli completamente, ma temeva che giocarci troppo potesse influenzarci in modo negativo, sopratutto me, che ero la piccola di casa e sopratutto femmina.
Ammetto di essere sempre stata un po’ maschiaccio dentro, nonostante mamma avesse provato di tutto per farmi essere più femminile (e tutt’ora ci prova), e quando ero piccola, la distinzione tra “cose da uomini” e “cose da donne” era sicuramente molto più marcata di adesso; e giocare ai videogiochi, secondo il pensiero comune, non sarebbe dovuto rientrare nei miei canoni, figurarsi farne una vera e propria passione. Forse è stato proprio questo che per un po’ ha messo mamma in allerta non facendole accettare totalmente la cosa, poiché per lei giocare era solo un passatempo come un altro, ma per me era molto di più. Ogni tanto mi chiedeva se non preferissi fare qualcos’altro, mi esortava a giocare di meno, mi diceva, un po’ per spaventarmi, che rischiavo di rimanere incollata alla tv senza capire più niente (cosa che ho scoperto essere possibile, ma impiegando il triplo delle ore che trascorrevo davanti allo schermo) o addirittura di poter diventare violenta. Ma tutt’altro, sono sempre stata tra le persone più miti sia a scuola che con gruppi di amici.
Lentamente ho ottenuto la mia “vittoria”: ora ho 20 anni, ormai da tempo non ho più bisogno di chiedere a mia madre se le sta bene che io compri un determinato videogioco (a meno che non abbia bisogno di soldi) e ho iniziato a portare questa passione su un altro livello, ricevendo anche supporto da parte sua. Sono stata arbitro di videogiochi Pokémon per circa un paio d’anni e dovevo recarmi molto lontana da casa per andare ai tornei, trascorrendo l’intera giornata fuori, ma non mi è mai stato impedito di andarci. Inoltre, scrivo da più di un anno per questa testata e vedere i miei contenuti pubblicati non può che riempirla d’orgoglio, a prescindere da quale sia il tema che tratto.
Grazie mamma, per darmi sempre la possibilità di fare ciò che amo di più.




Nuovi record per PUBG e Fortnite

Microsoft e PUBG Corp. hanno recentemente annunciato che PlayerUnknown’s Battlegrounds ha superato i 5 milioni di giocatori su Xbox One nei primi tre mesi di vendita. Nonostante questi numeri siano davvero impressionanti per un titolo in accesso anticipato, non sono sorprendenti considerando che oltre 3 milioni di persone hanno acquistato il titolo all’inizio di gennaio, mese di uscita del gioco su console, ma nonostante ciò il tasso di vendita è rimasto costante negli ultimi due mesi.
Una lode non da poco va sicuramente a PUBG Corp., la quale, nonostante i numerosi problemi che il gioco ha avuto all’uscita sulla console di casa Microsoft, ha continuato a supportare il titolo al massimo delle capacità, aggiornandolo costantemente con nuove patch. Infatti, con l’ultimo aggiornamento rilasciato dalla casa produttrice, il gioco ha quasi raggiunto il suo completamento.
Non è solo PUBG ad aver battuto dei record videoludici nell’ultimo periodo: infatti, come se non fosse già abbastanza avere più di 3 milioni di giocatori e aver battuto il record di spettatori nelle live Twitch, il noto Fortnite è adesso anche l’app più scaricata e gettonata dell’App Store. La versione iOS del gioco supporta ancora il cross-play, ovvero la possibilità di poter giocare con i possessori di PC e console, che alimenta ulteriormente la rapida crescità di popolarità di Fortnite. Il gameplay e la progressione del gioco possono essere salvati su tutte le piattaforme, aumentando la mobilità del gioco, tanto che la versione mobile non ha nulla da invidiare dalla versione console, tranne per un leggero downgrade grafico.
La risposta di PUBG pare sarà a breve, al punto che si attende il lancio su mobile per Android e iOS già da domani 20 marzo.




Come spiegare alla stampa i propri videogiochi secondo Ryan Schneider

Spesso davanti a una telecamera può capitare di essere imbarazzati o letteralmente pietrificati. A tal proposito, Gameindustry.biz ha chiesto al Chief Brand Officer di Insomniac Games, Ryan Schneider di rivelare qualche trucco del mestiere a tutti gli sviluppatori che si approcciano a un’intervista.

Schneider esordisce spiegando come le domande che attanagliano la maggior parte degli sviluppatori alle prime armi siano sempre le stesse, e non nasconde che anche lui spesso si trovi a combattere con le stesse preoccupazioni, nonostante la grande esperienza; ha ammesso infatti, di convivere con la pressione di dover trasmettere la passione di tutto lo studio per un progetto, quando si trova davanti a un microfono. Ecco quindi i suoi consigli partendo dal tema principale:

«Il concetto è questo: non importa se siamo nervosi ma il modo in cui incanaliamo la nostra apprensione in un’intervista difficile, a dispetto delle emozioni che proviamo»

La paura dell’ignoto

L’ansia nasce principalmente da una paura che lui chiama “paura dell’ignoto” che deriva dal non sentirsi sicuri nell’affrontare una situazione mai vissuta prima. Per questo motivo si deve riuscire a capire, prima dell’intervista, il tema su cui si baserà l’intera discussione; anche se i giornalisti non sono inclini a rivelare le proprie domande prima dell’intervista, spesso lasciano trasparire la loro visione sull’argomento. Infine, suggerisce di esprimersi diversamente se l’intervista sarà scritta o in video.

Fare pratica

Per Schneider ciò che rende perfetti è la pratica, quindi prima dell’intervista bisogna prepararsi, prendendo come esempio il suo studio; lui stesso prepara i colleghi ad affrontare un’intervista e, per farlo bene, prepara gli scenari peggiori, come una domanda riguardo lo studio e alla quale lo sviluppatore può per errore rispondere rivelando dati sensibili. Il suo metodo consiste anche nel chiedere ai colleghi che saranno intervistati cosa vogliono trasmettere, ovvero il messaggio principale, da lui chiamato “home base”, al quale bisogna sempre ritornare, soprattutto quando il giornalista svia il discorso usando le tecniche che lui chiama “deviare e schivare”; molto semplicemente, è molto utile usare alcune frasi che riportino al discorso principale. Il messaggio, nella maggior parte dei casi e in base alla sua esperienza, è l’elemento che contraddistingue il gioco. Consiglia di essere il più naturali possibili poiché, se ci si affida alle parole di un PR, spesso non si è molto amati dal pubblico per la freddezza delle dichiarazioni. Ritorna poi sul messaggio principale spiegando che per poterlo trasmettere senza problemi, bisogna essere trasparenti col giornalista mentre si scelgono i parametri dell’intervista, in modo da poterlo veicolare al meglio, o si può anche decidere di presentare i propri parametri in modo da rivelare qualcosa sul gioco solo quando lo si vuole e soddisfare il giornalista.

Le conclusioni

Infine, l’esempio ricade sul creative director di Insomniac, Bryan Inthiar, che incarna alla perfezione questi consigli, ovvero sicuro di se, fa suo il messaggio ed è se stesso mentre parla del gioco che sta sviluppando. Sostanzialmente, quando si affronta un’intervista, si deve sapere cosa si vuol dire e cosa non; serve tanta pratica prima di ottenere la giusta sicurezza nel far proprio il messaggio che si vuole trasmettere e far sì che questi suggerimenti funzionino.




La tutela degli abandonware online

Dopo il baratro nel quale sono sprofondati svariati giochi (vedi Grand Theft Auto Online per PS3 e Xbox 360), lo U.S. Copyright Office sta valutando se aggiornare o meno le disposizioni antielusione del DMCA (Digital Millennium Copyright Act), che impediscono al pubblico di utilizzare liberamente contenuti e dispositivi protetti dal DRM (Digital Rights Management), il cui significato letterale è “gestione dei diritti digitali”.
I file audio o video vengono codificati e criptati in modo da garantire una diffusione più controllata e renderne più difficile la duplicazione, consentendone l’utilizzo più adeguato possibile. Questi aggiornamenti avvengono ogni tre anni attraverso una consultazione pubblica, dove vengono prese in esame svariate richieste.
Una su tutte, riguarda l’abbandono dei giochi online datati e lasciati ormai al loro corso. Infatti, fino a ora, per preservare questi titoli per le generazioni future e per i giocatori nostalgici, l’Ufficio ha adottato norme specifiche, che permettono a biblioteche, archivi e musei di utilizzare emulatori e altri strumenti analoghi per rendere giocabili i vecchi classici. Tuttavia, queste norme sono molto restrittive e non possono essere applicate a giochi che richiedono una connessione a un server online e, di fatto, quando i server vengono chiusi, il gioco scompare per sempre.
Proprio per queste ragioni il MADE (Museum of Art and Digital Entertainment) ha recentemente chiesto allo U.S. Copyright Office di estendere le norme correnti e includere giochi che richiedono una connessione online. Ciò consentirebbe alle biblioteche, agli archivi e ai musei di gestire tali server e mantenere così in vita questa tipologia di giochi.

Questo problema è più che mai attuale, poiché centinaia di giochi multiplayer online sono già stati abbandonati. Difatti, si tratta di circa 319 titoli, molti dei quali sono i noti FIFAThe Sims. Purtroppo, proprio nell’ultima settimana, la Entertainment Software Association (ESA), che agisce per conto di membri di spicco, tra cui Electronic Arts, Nintendo e Ubisoft, si è opposta alla richiesta, affermando  che le modifiche proposte consentirebbero e faciliterebbero un uso illecito dei software in questione e che se questi, ormai datati, venissero supportati ancora al pieno delle loro possibilità, il mercato diventerebbe troppo statico, rallentando la vendita dei nuovi titoli.
Qual è, quindi, la strada giusta da percorrere? È difficile rispondere ma per quanto i nuovi titoli abbiano bisogno della massima attenzione e pubblicità per poter far andare avanti il mercato, non possiamo dimenticare i loro “antenati” dai quali, probabilmente, sono nati.




Sonorità videoludiche – La Chiptune

La rivoluzione parte dal basso: in molti casi questa frase rappresenta solamente un modo di dire, ma nel 1985 non devono averla pensata così sviluppatori del calibro di Rob Hubbard e Martin Galway o programmatori in erba come il tedesco Chris Hülsbeck. All’epoca questi tre uomini erano persone qualunque, ora invece sono compositori universalmente celebrati come i padrini della musica chiptune.

Ma cos’è la chiptune? Banalmente si potrebbe dire che è «un genere di musica creato usando i chip sonori di computer e console degli anni ‘80/primi anni ‘90», ma in realtà è qualcosa di più: la chiptune è sì un genere musicale che affonda le sue radici nel retrocomputing, ma è anche un movimento artistico che prende a pieni mani dalla filosofia fai-da-te tipica del punk.

Difatti, nella storia del genere, non è una novità leggere di gente che ha creato o che crea tutt’ora dei software musicali da zero: è l’esempio del succitato Chris Hülsbeck, che nel 1986 pubblicò su una rivista tedesca Soundmonitor, programma che aveva creato nel tempo libero. Oppure di Karsten Obarski, che nel 1987 creò il software Ultimate Soundtracker per Commodore Amiga, dando il via all’introduzione delle cacktro (ovvero le intro di giochi e programmi crackati) e successivamente alla cosiddetta demoscene, un vero e proprio genere artistico in tutto e per tutto che usava l’Amiga per creare opere degne del MOMA di New York.

Nonostante veri compositori del calibro di Koji KondoNobuo Uematsu Yuzo Koshiro, autori rispettivamente delle musiche di Super MarioFinal Fantasy e Streets of Rage, che vennero assunti da case come Nintendo e Sega per creare opere leggendarie, oggi portate sui palchi da tutto il mondo con progetti rock-opera come Video Game Music dell’americano Tommy Tallarico o da esibizioni orchestrali, la chiptune continua a restare un fenomeno soprattutto underground, anche se negli ultimi anni è stata spesso omaggiata da artisti del mainstream musicale come il canadese Deadmau5 (che proviene della demoscene!), 50 Cent o Kesha. La diffusione di internet è stata fondamentale per il genere, dando il via alla creazione di siti e forum come 8bitcollective o micromusic.net e case discografiche che danno spazio agli artisti della scena, come la Bleepstreet Records, o che si occupano di celebrare le grandi colonne sonore videoludiche del passato: è il caso della Data Discs Records di Londra, che si occupa della stampa in vinile di musiche tratte da Streets of Rage, Shenmue, Super Hang-On, Outrun e molti altri.

Ai giorni nostri, la creazione e l’esplosione degli indie game ha suggellato un matrimonio pressoché perfetto con la musica chiptune: non è più una novità trovare una colonna sonora realizzata con un Game Boy in giochi come VVVVVV e Super Hexagon di Terry Cavanagh, con due meravigliose OST realizzate rispettivamente dallo svedese Magnus “SoulEye” Pålsson e dalla nordirlandese Chipzel, oppure su hit come Shovel Knight, dove domina la splendida colonna sonora realizzata dall’americano Jake Kaufman, già autore delle musiche della serie Shantae e di un’altra hit indie come Crypt of the Necrodancer. Per non parlare dell’ottimo lavoro di band come Amanaguchi, autori delle musiche del celebratissimo beat ‘em up a scorrimento orizzontale basato sulla serie a fumetti di Scott Pilgrim.

E l’Italia? Nel nostro paese la scena è molto giovane, ma ben attiva, in primis nell’area milanese dove troviamo due nomi grossi come Arottenbit e Kenobit, autori di infuocate esibizioni live a base di Game Boy e creatori di eventi come le serate di Milano Chiptune Underground, serate dall’attitudine punk che piano piano vanno diffondendosi in tutto il resto dello stivale. Ma occhio ad altri artisti come 0r4, Pablito El Drito o Luke McQueen, quest’ultimo mago della sintesi FM del Mega Drive, e autore delle musiche di Xydonia, shoot ‘em up a scorrimento orizzontale 100% made in Italy realizzato da Breaking Bytes.

La chiptune avrà magari poca storia dalla sua, essendo un genere musicale molto giovane: d’altronde, sono passati più di trent’anni dagli sperimenti sonori su Commodore 64 dei vari Galway, Hubbard e dei fratelli Follin, ma le attende un futuro radioso grazie alla scena indie, alle netlabel presenti su internet e ai servizi di streaming musicale come Bandcamp e in generale a chi va a concerti dei musicisti della scena, che sia un locale underground oppure una fiera del fumetto come Lucca Comics (nell’edizione di quest’anno si è proprio esibito Kenobit nello stage di Red Bull!). Per quanto sia un genere musicale che affonda le radici nella nostalgia dei bei tempi andati a base di pane e NES, la chiptune è molto di più: è ricerca, è sperimentazione, è voglia di spaccare il mondo.




A marzo a Milano gli Italian Video Game Awards

Si terrà il 14 marzo 2018 al Teatro Vetra di Milano la cerimonia di consegna degli Italian Video Game Awards, già Premio Drago D’Oro. L’evento promosso da AESVI lo scorso anno ha goduto di ospiti del calibro di Fumito Ueda e Hajime Tabata, e continuerà a porre l’accento sul valore culturale e artistico del medium videogioco e a ospitare personalità internazionali del mondo videoludico.
Anche la Giuria del premio verrà rinnovata. Dopo il biennio guidato da Luca Tremolada de Il Sole 24Ore, il timone passerà per le edizioni 2018 e 2019 al giornalista del Corriere della Sera Federico Cella. I componenti della Giuria che affiancheranno il nuovo Presidente saranno, insieme al Presidente uscente, i giornalisti Jaime D’Alessandro – La Repubblica, Dario Marchetti – RaiNews, Pier Paolo Greco – Multiplayer.it, Francesco Fossetti, Everyeye.it, Stefano Silvestri – Eurogamer.it, Mario Petillo – SpazioGames.it, Lorenzo Fantoni – giornalista e giurato tecnico, Emilio Cozzi – giornalista e giurato tecnico. A completare la squadra ci saranno il conduttore televisivo, radiofonico e blogger Matteo Bordone e il Professore dell’Università degli Studi di Milano Dario Maggiorini. I 12 giurati definiranno le categorie degli Italian Video Game Awards 2018, le nomination e i vincitori nei prossimi mesi in vista della serata finale.
Per quanto riguarda le produzioni “made in Italy”, invece, è aperta la raccolta delle candidature dei titoli realizzati in Italia e pubblicati tra l’1 gennaio e il 31 dicembre 2017. I videogiochi candidati entro il 31 dicembre 2017 verranno valutati dalla Giuria e potranno ricevere una nomination per le categorie di premiazione relative ai giochi italiani: Best Italian Game e Best Italian Debut Game. La Giuria potrà anche decidere di assegnare un premio speciale: Special Italian Award. I vincitori di queste categorie e di quelle generali verranno annunciati nel corso della cerimonia di premiazione il 14 marzo 2018.
Maggiori informazioni sono disponibili sul sito ufficiale dell’evento.

Di seguito la puntata di GameCompass dedicata al Drago D’Oro 2017 (con intervista ad Hajime Tabata) e la playlist con tutte le interviste speciali ai principali ospiti della manifestazione.




Videogame nello Stivale: breve storia dei videogiochi in Italia

Quando si parla di videogiochi, l’Italia è tra i paesi industrializzati meno gettonati. Software house poco presenti – e soprattutto una cultura non al passo col resto del mondo– ci hanno un po’ penalizzati, anche a livello di mercato. Solo adesso vediamo un po’ la luce con SH come Milestone e Kunos e nuove realtà emergenti come Caracal Games, 34BigThings, MixedBag, Storm in a Teacup e altre che stanno cercando di dare un po’ di lustro al nostro paese. Nonostante ciò, la storia che riguarda i videogiochi del Bel Paese ha origini più antiche di quanto si possa pensare.

Il principio

Nonostante i cabinati fossero già comuni a partire dagli anni settanta, è dal decennio successivo che il nostro paese comincia realmente a muovere i primi passi all’interno di un mercato in ascesa costante. Paesi come Stati Uniti e Giappone erano pionieri di una tecnologia digitale che in Italia attecchiva con difficoltà, ma questo non impedì a società lungimiranti di fare i loro primi tentativi, sia nella produzione di hardware che di software. Già nel 1981, la Zaccaria costruì il suo primo cabinato, il Quasar. Non solo era una novità in sé ma risultò anche innovativo per via dell’introduzione del co-op: infatti due giocatori potevano condividere il singolo schermo entrando nella stessa partita. Questa peculiarità lo spinse al punto di essere uno dei cabinati più apprezzati negli Stati Uniti.
Furono realizzati altri cabinati, che non ebbero la stessa fortuna fino a quando, con l’avanzare della tecnologia delle console casalinghe, cominciarono a sparire del tutto. L’ingresso in campo dell’Atari VCR 2600 spinse alcune aziende, tra cui la GIG, a investire su questo nuovo tipo di videogiochi. Uno dei primi tentativi fu Leonardo, una console progettata sulla base della Bandai Arcadia che, come la console giapponese, faticò a trovare mercato. Nel frattempo però, oltre alla costruzione di intere macchine da gioco divenne fondamentale entrare nel mercato videoludico con dei software proprietari. Essendo la patria del calcio, uno dei primi videogiochi italiani ad avere un discreto successo fu I Play 3D Soccer per Amiga e Commodore 64, sviluppato da Simulmondo. Se oggi possiamo giocare a FIFA o a Pro Evolution Soccer lo dobbiamo anche a questo, in quanto fu uno dei primi giochi di calcio con visuale tridimensionale dall’interno del rettangolo di gioco. Questa software house italiana si dedicò successivamente alla produzione di avventure grafiche, fra cui quelle su Dylan Dog, che ebbero un discreto successo.
Nonostante la crisi di mercato di metà anni ottanta, questo settore cominciava a prendere sempre più piede tanto che, in quegli anni, cominciarono ad apparire anche le prime riviste dedicate come Video Giochi di Jackson o Zzap edita da Hobby/Xenia.
Negli anni novanta è sempre il calcio a portarci avanti, e Italy ’90 Soccer di Bardari Bros, sfruttando le notti magiche dei Mondiali, seppe ritagliarsi il suo spazio arrivando sulle console più popolari dell’epoca. Oltre a questo, ampio respiro ebbero anche Over the Net e Warm Up, che resero Bardari la società italiana più affermata.

La crescita degli anni novanta

Se sui software gli italiani cominciavano a prendere spazio, sull’hardware le difficoltà cominciavano a diventare eccessive: l’8-bit era ormai obsoleto e nuove e più potenti macchine – tra cui il PC che entrava nelle case – portarono le società italiane a rinunciare alla produzione di proprie console per via dei costi divenuti ormai proibitivi. Ciò nonostante, molte software house cominciarono a muovere i primi passi cercando di sfruttare un mercato che cresceva in modo esponenziale e che non dava segni di resa. Tra i giochi più conosciuti in questi anni vi è sicuramente Lupo alberto, basato sul fumetto creato da Silver nel 1973. Fu un titolo di grande successo, sviluppato da Idea Software con personale del calibro di Antonio Farina e Simone Balestra che di lì a poco avrebbero fondato Graffiti/Milestone, nel 1994. Proprio la Milestone diventa una delle software house più affermate non solo in Italia ma anche nel resto del mondo, specializzandosi nei titoli motoristi con o senza licenza.
Un’altra figura di spicco in quegli anni è Christian Cantamessa che, dopo aver contributo alla creazione di The Big Red Adventure per Dynabyte, divenne – ed è tutt’ora – Lead Designer di Rockstar Games per lo sviluppo di Red Dead Redemption e Level Designer per GTA: San Andreas.
La metà degli anni novanta vede l’entrata in campo di nuove e più potenti console come Sony Playstation che, con l’utilizzo di supporti ottici, consentiva l’utilizzo di una maggiore quantità di dati. Questo diede modo ad alcune software house come Trecision e PixelsStorm di sviluppare titoli più complessi, come Puma Street Soccer, un gioco di calcio da strada con una fisica per certi versi innovativa ma che non diede modo al titolo di riscuotere il successo sperato. Altre software house, come LightShock Software, si dedicarono allo sviluppo di picchiaduro come Pray for Death, che prendeva molto da Killer Instinct ma riuscì ad avere una propria identità, diventando un titolo abbastanza controverso per via della musica di sottofondo utilizzata (Techno ndr) e una trama che consisteva nella creazione di un torneo indetto da Lucifero in persona e personaggi che spaziavano da cloni di Bruce Lee a vichinghi e dominatrici. Non siamo al livello di Tempesta d’ossa o va all’inferno, ma ci andiamo vicino.
Tra quegli anni e il nuovo secolo nascono e muoiono infinite SH ma, se c’è un elemento che ha cambiato radicalmente la fama delle società italiane, è sicuramente il Nintendo GameBoy Advance, per il quale lo sviluppo di titoli italiani ebbe notevole fortuna. Questo spinse alla creazione – tanto da diventarne pionieri – e allo sviluppo di giochi per handheld che ebbero notevole successo anche fuori dai confini italici.

Un mondo nuovo

Nel nuovo secolo è sempre Milestone a fare la voce grossa, collaborando con colossi del calibro di Electronic Arts: Superbike 2000 e Superbike 2001, sfruttando la licenza della SuperBike, riscossero un ottimo successo internazionale sia di critica che di pubblico, considerati ancora tutt’oggi, tra i migliori giochi sulle due ruote di sempre.
Il 2000 è un anno importante anche per l’entrata in scena del primo studio Ubisoft in Italia, Ubisoft Milano, che contribuì a dare i natali a Paperino: Operazione Papero. Lo studio milanese ha aumentato di anno in anno la sua sfera d’influenza, passando dallo sviluppo e la conversione di titoli per le console portatili fino allo sviluppo di interi titoli come l’acclamatissimo – e recentissimo – Mario+Rabbits: Kingdom Battle. La sua mano è presente anche nei recenti Assassin’s Creed, Rogue e Liberation, in Ghost Recon: Wildlands e Just Dance 4, titoli dall’ottimo successo e che sicuramente danno lustro al nostro paese.
I primi anni del 2000 sono contraddistinti dall’avvento di nuove console come PlayStation 2 e Xbox. Queste console permisero uno sviluppo tecnologico non indifferente e una delle software house che prese la palla al balzo fu proprio l’italiana Idoru che, assieme a Double Jungle, contribuì a sviluppare titoli su licenza di campionati di Basket o Pallavolo ritagliandosi una notevole fetta di mercato.
In questi anni anche diversi publisher vengono fuori, come Halifax o 505 Games. In stretta collaborazione con Konami, Sega, Square-Enix, o l’italiana Kunos Simulazioni, permettono la distribuzione nel nostro paese di titoli dal calibro di Pro Evolution Soccer, Assetto Corsa o Payday 2.

Ci siamo anche noi

E dunque arriviamo a oggi. Chi si ritaglia ampio spazio nel settore è sicuramente Milestone che, sfruttando licenze come quella del Moto Mondiale, conquista ogni anno grandi consensi da parte di critica e pubblico nonostante tecnicamente non proprio al passo coi tempi. I motoristici sono il suo pane e titoli come i vari WRC, MXGP e un titolo come Ride, che con la nomea di Gran Turismo delle moto” ha avuto un grandissimo successo, e ulteriormente migliorato col secondo capitolo, hanno contribuito a far sì che Milestone sia una delle software house più apprezzate a livello globale.
Chi ha mosso i primi passi in questi anni – e molto bene anche – è Kunos Simulazioni che dopo aver sviluppato simulatori di guida come NetCar Pro e Ferrari Virtual Academy, ha portato – e sta ancora portando avanti –  il progetto Assetto Corsa, apprezzatissimo simulatore di guida non solo dalla critica e dal pubblico ma anche da case costruttrici come Ferrari, Lamborghini o Porsche. L’utilizzo del laser scan e migliori tecnologie per la raccolta dati delle vetture hanno reso Assetto Corsa, il più preciso simulatore di guida sul mercato. L’avvento del titolo su console, seppur con qualche problema, ha portato questa piccola software house, con sede nel Circuito di Vallelunga, a rivaleggiare con i pezzi grossi nel settore, come Turn10 e Polyphony Digital, facendosi ben valere.
È una delle maggiori realtà italiane e anche questo sta contribuendo alla crescita di piccoli team di venir fuori, fra cui, oltre a quelli citati all’inizio, c’è anche Ovosonico che ha appena sfornato il suo piccolo capolavoro Last day of June.
Il futuro sembra quanto più roseo e dopo un lungo e tortuoso percorso, siamo riusciti finalmente a ritagliarci il nostro spazio nell’immenso universo dei videogiochi.