Debris

Debris. Un’avventura visionaria negli abissi dell’ artico: in seguito alla caduta di un meteorite, una equipe di 3 sommozzatori, Chris, Sonya e Ryan (il nostro personaggio principale), viene ingaggiata dall’agenzia ALTA per girare una clip del detrito spaziale (da qui il nome del gioco); a causa di una fonte energetica ancora sconosciuta che scuoterà i ghiacciai, i poveri sventurati si ritroveranno ben presto separati e intrappolati in un inferno di roccia e ghiaccio… e non saranno soli.

Ecco, avete presente quei trailer che alzano l’asticella delle vostre aspettative alle stelle con video e immagini mozzafiato, che vi spingono a comprare il biglietto… e poi vi ritrovate seduti al cinema a vedere quello che di fatto è un b-movie?
Ecco, con Debris non ci andiamo lontano.

How to play

Debris, prodotto e sviluppato da Moonray Studios, è un gioco semplice e dai comandi molto intuitivi, tanto da permetterci di ottenere il pieno controllo del nostro personaggio in brevissimo tempo. Per la nostra sopravvivenza dovremo avvalerci di un timer energetico che, in buona sostanza, non dovremo mai far arrivare allo 0, poiché sarà quello che ci terrà in vita e ci darà la possibilità di utilizzare un fucile subacqueo a impulsi per illuminare zone troppo buie sparando dei “flare” o di eliminare diversi pericoli cambiando modalità di fuoco. Ad aiutarci nella nostra impresa ci sarà una seppia meccanica che fungerà da faro nel profondo buio abissale in cui ci ritroviamo e che, raccogliendo diverse risorse dalle rocce minerali sui fondali, le condividerà con noi tramite una sincronizzazione, permettendoci in questo modo di ricaricare in parte anche il nostro timer energetico. La seppia non vive di vita propria, ma viene pilotata in remoto dalla nostra compagna di sventure Sonya, che ci guiderà illuminandoci il cammino, a parte quando decide di andarsene per conto suo. Ovviamente lo scopo del gioco è quello di ritrovare i propri compagni e scoprire quali segreti si celino dietro questi misteriosi avvenimenti.

Bella l’idea della modalità co-op, che ci permetterà di godere dell’avventura in maniera più coinvolgente, purtroppo però questo può avvenire solamente tra amici – il che, è difficile – che dovranno quindi possedere il gioco su Steam, rendendo di fatto più oneroso e difficile il gioco in cooperativa.

A cosa è servito regolare le impostazioni grafiche?

Come vi dicevo, l’aspettativa altissima data dai trailer illude parecchio il giocatore, anche per le immagini che vedremo nella preview delle impostazioni grafiche, decisamente ingannevoli rispetto a quello che realmente vedremo in game.
Le ambientazioni, che dapprima saranno abbastanza suggestive da tenervi con il fiato sospeso ma che, purtroppo, dopo i primi minuti si riveleranno estremamente monotone – a parte qualche piccola novità decorativa di tanto in tanto – molto probabilmente hanno giocato un ruolo fondamentale sulla sensazione di ripetitività che Debris infonde nel giocatore già dopo pochi minuti di gameplay. Aggirarsi continuamente tra cunicoli stretti dalle pareti di ghiaccio per poi sfociare in enormi spazi bui forse non incentiverà future sessioni di gioco. I modelli poligonali dell’intero environment, senza escludere flora e fauna sottomarina, sono resi decisamente male, contornati come se non bastasse anche da texture molto approssimative e spesso confusionarie.

Colonna sonora: il goal della bandiera?

Se c’è una cosa che il team Moonray Studios ha fatto bene, è il comparto audioAzzeccatissimo e molto suggestivo, con suoni profondi e stimolanti che tengono alta la tensione durante il gioco. Suoni che si fondono perfettamente con il tipo di gameplay proposto, tra esplorazione e sopravvivenza.

Tirando le somme

Debris è in vendita sulla piattaforma Steam per 19,99 €. Un prezzo forse eccessivo per quello che il gioco in realtà offre. Non c’è abbastanza carne al fuoco e l’equilibrio globale del titolo è claudicante. Da un gioco ambientato in delle grotte sottomarine è vero che ci si può aspettare un susseguirsi di labirinti e cunicoli, ma è altrettanto vero, però, che quando ci si appoggia a trame intricate bisogna ricordarsi di catturare l’attenzione del giocatore anche con altri mezzi, e un miglior comparto grafico avrebbe sicuramente giovato a un gioco che poteva essere impiegato meglio.




North

Avete mai pensato di lasciarvi tutto alle spalle, fare fagotto e andare via a cercar fortuna in un altro paese? Per quanto questo possa essere più o meno distante, ciò implicherebbe comunque l’abbandono della vecchia vita e con lei anche degli affetti più cari. Questo è ciò che succede in North, titolo in cui il protagonista si lascerà alle spalle la sorella in un viaggio verso nord, appunto, e si ritroverà dopo un lungo percorso inghiottito da una grande città ricca di strane architetture e popolata da gente dalle sembianze aliene, che parla un linguaggio incomprensibile. Un viaggio distopico-emozionale, metaforicamente ricco, che vuole far rivivere ai giocatori il dramma vissuto da chi decide di staccarsi dalla propria terra per andare a cercar fortuna altrove. Intento in cui Sometimes You, piccola etichetta indipendente, riesce molto bene. Infatti North, pur essendo una brevissima avventura riesce a restituire al giocatore qualche “strana” emozione.

Smarrimento

Questa è la sensazione che prevarrà sul giocatore. Lo smarrimento che proveremo una volta immersi in questa grande città “aliena”, che ci circonda con grandi architetture e soprattutto buia, a volte anche troppo, considerato che non si ha la possibilità di modificare la luminosità del gioco né altri parametri. In North non avremo alcun ausilio, dimenticate: mappe, inventario o tutto quello a cui siete abituati, l’unica vostra guida, saranno il vostro senso dell’orientamento e la vostra perspicacia. Non ci sarà neanche un quest-log: l’unico modo per sapere in che modo proseguire nel viaggio infatti, sarà quello di raccogliere più informazioni possibile e, successivamente, spedire delle lettere alla sorella lontana, tramite delle piccole caselle postali sparpagliate in tutta la città.

Minimale al punto giusto

Avviato North, potremmo sentire l’impulso irrefrenabile di spegnere la console e dire «No, Maria, io esco!»; ma in realtà, una volta superata la prima fase di adattamento, quando inizieremo a capire la vera importanza del messaggio che il team di sviluppo di North vuole consegnare al giocatore, sarà inevitabile volerlo finire tutto d’un fiato. Graficamente il gioco sembra essere stato sviluppato con tecnologia a 128bit, ma la vera “cura” è stata concentrata su quelli che sono i retroscena di North, l’emozionalità, la storia e quindi anche il modo cui vengono trattati argomenti attuali e sensibili come quello dell’immigrazione. Tutto guarnito musicalmente da un fantastico synth-dark-pop (non so come meglio definirlo) che perfettamente si accosta a quello che è il gioco nella sua, diciamo, “semplicità”.

In Conlusione

North è certamente una piccola, grande avventura. Come questa possiamo trovarne a decine e decine tra le varie piattaforme, avventure più o meno longeve, da What remains of Edith Finch, passando per Virginia e The town of light, o meglio ancora il viaggio di Kholat. Impossibile definirlo un gioco tout court, difficile definirlo solo un walking simulator, anche se probabilmente è il genere che gli si addice di più. Di certo è un esperienza sicuramente positiva, che seppur breve, non ci farà pentire dell’acquisto per la sua forte intensità.




The Town of Light

Da LKA, studio tutto italiano, arriva The Town Of Light, walking simulator rilasciato originariamente su PC e recentemente approdato su Playstation 4 e Xbox One. Italiano lo studio,  italiana la storia: Town of Light è infatti ambientato nell’Ospedale Psichiatrico di Volterra, luogo realmente esistito e situato nell’omonimo comune pisano, ed è basato su fatti realmente accaduti al suo interno. Il titolo è stato curato nei minimi dettagli: la struttura (a oggi abbandonata a se stessa) è stata ricreata con cura maniacale e gli oggetti che compongono la scenografia – gli attrezzi medici, le bottiglie di soluzioni mediche, il design delle stanze e dei corridoi, delle porte, delle sedie e dell’architettura generale – possono definirsi storicamente precisissimi. Alcuni medici psichiatrici e lo stesso comune di Volterra hanno contribuito alla creazione del gioco per curarlo in ogni minimo dettaglio, e le lodi da parte di critici e del Comune stesso dopo la sua uscita non sono certamente venute meno; è un titolo che tratta di argomenti molto forti, quali le barbariche cure tipiche dei primi ospedali psichiatrici, il coinvolgimento in tutto questo delle personalità religiose con i loro pesanti giudizi, l’abbandono delle pazienti a loro stesse, la mancanza di personale, o la presenza di personale non adatto in strutture pre-legge Basaglia, il distacco dalla società e la famiglia, l’alienazione da tutto e da tutti. The Town of Light è un titolo per i più curiosi, seppur con una certa sensibilità (e stomaco forte); un’avventura – se così la si può chiamare – che ci ricorderà quanto l’indifferenza sia letale e come la sufficienza nell’identificare certe problematiche, ai tempi, abbia rovinato centinaia e centinaia di vite.

Chi è Renée?

Per apprezzare la storia e il contesto del gioco è opportuno avere una buona infarinatura della storia politica e sociale dell’Italia a cavallo fra gli anni ’30 e gli anni ’40: il regime fascista, la presenza oppressiva della comunità cristiana, la seconda guerra mondiale, la posizione sociale della donna, le continue lotte per le sue opinioni e la sua libertà, il pesante giudizio degli abitanti delle piccole realtà cittadine italiane: The Town of Light profuma come uno stanzino a casa di vostra nonna al cui interno sono presenti fotografie, oggetti e ricordi dell’epoca. Sfortunatamente tutto questo rappresenta solo una corteccia del gioco; il racconto vede al centro la triste storia di una ragazza problematica che, per via di alcuni suoi comportamenti ritenuti troppo “ribelli” per l’epoca, viene strappata a una società nella quale viveva con disagio a causa della sua “luce” per essere riformata nell’ospedale psichiatrico di Volterra. La vita all’interno  del manicomio non è per nulla bella, fra cure sperimentali, gente catatonica e si rivela un vero inferno, e la nostra Renée, dubbiosa per la sua sanità mentale, vive una realtà che non vuole vivere, ma che in fondo pensa di meritare. La nostra storia è ambientata nel 2016, anno in cui la protagonista decide di tornare nella casa di cura, ormai abbandonata, per trovare qualcosa che aveva dimenticato. The Town of Light sembra voler porsi come un walk simulator a tema horror ma in realtà l’elemento orrorifico è trasmesso solo dai toni decadenti e oscuri della location: non è presente alcun effetto jumpscare né alcun “mostro dei ricordi” dal quale fuggire. Non vi è alcun vero elemento ludico, il gameplay non prevede alcun puzzle solving: è più appropriato parlare di The Town of Light come di una vera e propria esperienza che mira a recuperare i momenti all’interno della casa di cura, eventi che risveglieranno ogni volta qualcosa che ci guiderà da un indizio a un altro, fino a tessere l’intera trama. Questa esperienza pone l’accento sulla ricerca dell’identità, perduta una volta strappata dalla società per via di comportamenti inusuali che, in case di cura come questa, venivano facilmente identificati come malattie da curare; si cessava di esistere, e il pensiero “diverso” doveva essere sostituito con quello “giusto” a forza di pratiche terribili e sedativi potentissimi.

Il comparto grafico del gioco è veramente soddisfacente: il motore grafico Unity compie bene il lavoro di restituire texture di qualità, effetti ombra ben definiti e anche le cutscene che ricreano l’ospedale ai tempi dell’attività. La generale tonalità cupa, per quanto attinente con l’atmosfera decadente del titolo, suona a volte scontata e a volte po’ fuori luogo in un titolo del genere: l’intento del gioco è probabilmente quello di far riflettere il giocatore, far provare quel dolore che hanno provato le pazienti, metterlo a disagio, e in questo intento The Town of Light riesce benissimo. Il problema è che il mezzo non sempre risulta appropriato: nei momenti in cui si è più immersi nella memoria del personaggio si fa ricorso a un’effettistica di genere abbastanza telefonata, che farebbe anche pensare a un jumpscare che non arriverà mai (per fortuna); vengono proposte delle illustrazioni bellissime dal tema forte e convincente, ma con un art-style moderno un po’ fuori dal canone grafico 3D del gioco, per non parlare dei disegni presenti nel diario di Renée, per nulla coerenti con la sua calligrafia e la sua personalità, un po’ a riproporre il solito trito assioma “problematico = artista” (insomma, spiegatemi cosa ci fa un oni, proprio della cultura giapponese, in un diario di una ragazza italiana degli anni ’30).

Il titolo, dicevamo, presenta pochi elementi di puro gameplay, limitandosi l’interazione del giocatore a ricreare qualche evento segnante o a rispondere a qualche domanda: ne emerge la natura cinematografica di The Town of Light, e il suo intento di raccontare una storia è chiaro ed efficiente, ma andando avanti non risulta chiaro su cosa ci si stia concentrando: sulla storia di Renée? Sulla storia di qualche altro personaggio del gioco? Sulla documentazione delle pratiche degli ospedali psichiatrici tramite cutscene o illustrazioni? Sulla denuncia alla società e al mondo cristiano che demonizzavano certi comportamenti poco consoni al “vivere civile” dell’epoca? Il connubio fra storytelling e gameplay non è perfetto e a volte questo sembra confondere le idee appositamente, quasi fosse una scelta a effetto. L’aspetto cinematografico prevale su quello videoludico, dicevamo: non che il gioco in sé non sia valido, è comunque stimolante andare personalmente alla scoperta degli indizi della memoria di Renée e, se si fosse optato per un film, la meticolosità con la quale l’ospedale psichiatrico è stato ricostruito sarebbe venuta a mancare, ma The Town of Light è un titolo intento a raccontare più che a divertire, a lasciare qualcosa nell’utente anziché risultare una semplice esperienza passeggera.

La colonna sonora comprende principalmente pezzi composti con un bel pianoforte calmo ma anche malinconico, e altri pezzi più ambient, con comparto effettistico degno di Aphex Twin, e che ricordano in un certo senso Limbo. In un gioco del genere una colonna sonora di questo tipo, ben composta e ben temperata per gli ambienti che man mano andremo a visitare, è la benvenuta ma sfortunatamente qui i difetti sopracitati smorzano l’efficacia della soundtrack, ed è un vero peccato. C’è da aggiungere, infine, che il doppiaggio del personaggio principale risulta un po’ sforzato, quasi finto, aggiungendo un altro elemento fuori posto del gioco. La storia in sé dura poco, è possibile finire il gioco in poche ore; tuttavia il sistema di domande che manda avanti certe parti nel gioco può sbloccare dei capitoli alternativi, la trama varierà anche se di poco ma sfortunatamente The Town of Light è un titolo abbastanza angosciante e sbloccare ciò che resta nel gioco dopo una prima sessione, anche riprendendo da un determinato capitolo selezionabile, può risultare pesante e tedioso, poiché il gioco necessita lentezza per fruire al meglio della splendida trama. In pratica la longevità, e dunque rigiocare il gioco o sbloccare i capitoli e gli achievement mancanti, può variare in relazione allo stomaco del giocatore. Il gioco non necessita di grandi requisiti minimi sul piano tecnico, anche se tuttavia computer con minora capacità di calcolo dovranno godere di un’esperienza di gioco un po’ mozzata anche alla qualità più bassa, e dunque incontreranno texture di qualità inferiore e framerate sempre basso e che non arriverà mai ai 60 FPS di cui il gioco è capace.

Che cosa ci resta?

The Town of Light è un titolo forse uscito al momento sbagliato, troppo presto oppure troppo tardi, un titolo che forse sarebbe dovuto rimanere in sviluppo per qualche tempo in più per consegnare ai giocatori un’esperienza un po’ più completa e decisa. Non fraintendeteci:The Town of Light è un titolo che si pone in maniera diversa dagli altri, il cui intento – quello di far riflettere e mettere insieme i pezzi di una storia – è ben presente e funziona, ma rimane sempre qualcosa fuori posto: un gameplay scarno misto a uno storytelling bello ma spesso pretenzioso fanno di questo titolo un’esperienza per pochi, il che non è un bene perché The Town of Light è un gioco che ha molto da dire e renderlo un walking simulator come molti è un danno per la sua godibilità. È sicuramente difficile creare un gioco nel vero senso della parola con gli elementi di trama presi in considerazione dallo studio fiorentino, anche perché tocca temi sensibili di storie realmente accadute, però una componente di puzzle solving più marcata sarebbe stata ben gradita e forse una prospettiva diversa e più chiara della storia forse sarebbe stata più affascinante; il carattere introspettivo di The Town of Light è interessante ma confusionario e la minima distrazione vi farà perdere il filo del discorso.
The Town of Light è, come già ribadito, uno di quei titoli che è più un’esperienza che un gioco e questo è sicuramente il suo punto forte: l’immersione nel personaggio e nell’Ospedale Psichiatrico di Volterra è certamente ciò che distingue questo titolo e le sue tematiche particolari lo connotano in uno scenario ormai saturo. Nonostante qualche imperfezione, se siete dei giocatori dallo stomaco forte, questo è un titolo che merita attenzione e che va goduto così com’è. The Town of Light sorprenderà certamente i giocatori più curiosi, lo studio LKA ha consegnato un buon prodotto, valido e con tanto potenziale tematico ma per il prossimo si spera possa puntare maggiormente sulla creatività del gameplay, dare al tutto un aspetto più convincente e che si fonda bene con lo storytelling.




GameCompass Summerplay #8

È appena uscito «Life is Strange: Before The Storm»: quale miglior occasione per parlare del primo Life is Strange?
I nostri Gero Micciché, Simone Bruno e Vincenzo Zambuto parleranno di varie curiosità riguardo Maxine e Chloe ma anche di avventure grafiche in generale, con uno speciale sulle avventure grafiche e una top 5 delle migliori fra quelle basate sul Butterfly Effect. Sempre su Teleacras, canale 88 del digitale terrestre.