La dipendenza da videogioco è o no un disturbo?
Per la prima volta in assoluto l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha riconosciuto come una malattia il “disturbo da videogioco”. In scia con la notizia di qualche giorno fa in cui si parlava di come giochi quali Fortnite o simili possano avere effetti negativi sulla psiche dei bambini o dei più giovani in generale, si sono trasformate in concreto con la creazione, nel Regno Unito, dei primi centri di disintossicazione per i soggetti in questione. L’OMS ha anche riconosciuto il “dipendenza da videogioco” come una condizione a se stante, come lo possono essere anche l’alcolismo o la dipendenza dalle droghe.
L’Organizzazione ha anche affermato che il disturbo da videogioco, non è correlato solamente al quantitativo di ore spese nell’attività in questione, bensì è strettamente connesso all’impatto che può avere sulla psiche dell’individuo e di come questo fattore possa influenzare il modo di interagire con la vita reale:
- Stato mentale alterato sul videogioco.
- Maggiore priorità data al videogioco rispetto a tutti gli altri impegni o attività possibili nella vita reale.
- Perseveranza nel videogioco nonostante esperienze negative.
I giochi “utili” a bambini e adulti
Non dobbiamo dimenticare che importanti scienziati hanno condotto studi accurati riguardo i videogiochi, dimostrando con dati concreti che alcuni videogiochi possono anche essere un ottimo beneficio per la salute e, oltre a sviluppare i sensi cognitivi, possono stimolare la reattività e la capacità di problem solving e multitasking dell’individuo. La dipendenza da videogioco è un argomento molto sensibile: secondo la visione dell’OMS infatti, potremmo anche affermare che un individuo che gioca solamente per un’ora alla settimana, ma non riesce a staccare la spina prima di terminare la sua ora di gioco, quella è dipendenza. Mentre, invece, potrebbero esserci persone che giocano per 40 ore e riescono a “smettere” quando vogliono senza crearsi alcun problema. Non è il tempo che influisce sul disturbo da videogioco, ma la propensione all’alienamento dalla vita reale del soggetto, che è proprio quello su cui fonda i suoi criteri l’OMS.
E’ giusto sottolineare che al momento, l’inserimento del disturbo come condizione, è in ancora una proposta da parte dell’organizzazione mondiale della salute, e che i dati verranno elaborati con l’anno nuovo.
Ovviamente la nuova proposta per la normativa dell’OMS ha fatto infuriare molti esponenti dell’industry videoludica per non aver neanche esposto il problema o la volontà di fare un passo del genere in maniera preventiva ma in ogni caso, tutto ciò esula dai doveri dell’organizzazione nei confronti dell’industry.
Una diagnosi universale
In buona sostanza, il “disturbo da videogioco” è diventato una condizione mentale sempre più riconosciuta tra i professionisti medici di tutto il mondo. In quanto tali, i programmi di trattamento sono stati istituiti senza supervisione internazionale: la decisione dell’OMS di formalizzarlo poi come condizione, è stata fatta con l’intenzione di aggiungere coesione e coerenza a come il disturbo è definito e trattato in maniera universale, in modo che la patologia possa essere riconosciuta da tutti allo stesso modo e che tutti possano avere i mezzi cognitivi necessari per poterla diagnosticare facilmente. L’OMS ha offerto una definizione abbastanza inflessibile di “disturbo da videogioco” come modello di comportamento: un susseguirsi di comportamenti malsani, che vedono l’individuo perdere il controllo sulle proprie abitudini di gioco, anche al costo di rischiare il proprio benessere personale, condizione questa, che può portare a una “compromissione significativa in ambito personale, familiare, sociale, educativo, lavorativo o di altre importanti sfere”.
Vale la pena ribadire che mentre “disturbo da videogioco” è stato aggiunto all’ultima versione dell’ICD-11 (International Classification of Diseases), al momento è e rimane solo una bozza. In quanto tale, è soggetto a modifiche nel corso del processo di consultazione aperta, che durerà per circa un anno, prima che l’Assemblea Generale dell’OMS lo approvi a maggio 2019. Anche in questo caso, l’ICD-11, non sarà adottato ufficialmente fino al 1° gennaio 2022 e potrebbero ancora essere necessari molti anni prima che gli altri paesi implementino tali cambiamenti nel loro sistema sanitario.