Dopo tante ma veramente tante ore di gioco, allontanarsi dal Sistema Alcione in maniera semi-definitiva lascia un velo di nostalgia. The Outer Worlds è dunque un’esperienza riuscita sotto tanti punti vista, una scommessa quella di Obsidian non solo vinta, ma anche capace di dimostrare come lo studio è ancora in grado di dire la sua nel genere.
Come una Matrioska
Tra circa trecento anni, l’essere umano ha già colonizzato numerosi mondi, tra cui il sistema solare di Alcione, centro su cui ruoteranno le innumerevoli vicende del titolo. The Outer Worlds non perde certo tempo: sin da subito il tono della narrazione è scandito da un umorismo raro di questi tempi, a partire dal dottor Phineas, vero mattatore del titolo. Ma è tutta l’atmosfera a mostrare segni di ilarità, già dalle descrizioni delle “classi” capaci di strappar già qualche risata. La scelta se intraprendere una carriere da ascensorista, cassiere o giardiniere, oltre a garantire un bonus passivo è in grado di mostrare le reali potenzialità del gioco dal punto di vista narrativo. È vero, si ride e si scherza, ma quando c’è da fare sul serio è il black humor a prendere il sopravvento. Il Sistema di Alcione è governato da una serie di Corporazioni differenziate da una diversa visione del rapporto tra l’uomo e il lavoro. Ma è il Consiglio che detta legge, mettendo l’efficienza sul lavoro al primo posto delle priorità. Capiterà spesso di aver a che fare con il “personale” del Consiglio ed è qui che The Outer Words spalanca le porte del suo essere, amalgamando perfettamente narrazione e un umorismo sempre sul pezzo, in grado di accentuare la follia e disumanizzazione della maggior parte dei coloni di Alcione. Il lavoro è al primo posto, anche rispetto all’amor proprio; ne consegue un’alienazione totale di molti NPC, alcuni capaci di comunicare solo attraverso slogan pubblicitari. Ovviamente non tutti i cittadini vedono di buon occhio una simile situazione: il nostro risveglio dalla situazione di stasi criogenica a opera del dottor Phineas ci catapulta in una lotta di classe e corporazioni con, sullo sfondo, qualcosa di cui nessuno deve essere a conoscenza.
Il nostro viaggio comincia qui, accompagnati da ADA, l’intelligenza artificiale dell’Inaffidabile (la nostra nave) e un gruppo di comprimari che via via ci accompagneranno tra i pianeti del sistema stellare. La solida scrittura di Obsidian si nota anche grazie ai nostri compagni, tutti con un proprio background capace di ricordare a grandi linee la profondità di Mass Effect: da Parvati al Vicario Max, ogni personaggio possiede una propria etica e qualche scheletro nell’armadio che, qualora volessimo, potremo aiutare a tirar fuori risolvendo situazioni spinose. Ma non pensate per forza a storie struggenti e strappalacrime: la forza del titolo è quella di non prendersi mai sul serio se non serve e molto spesso, l’ilarità di certe situazioni vi strapperà di sicuro un sorriso o perché no, una sana risata.
La struttura in ogni caso ricalca quella di Fallout: New Vegas, con un mondo costituito dalle varie fazioni a cui potremmo aderire o meno in base agli incarichi svolti. Anche in questo caso il tutto funziona abbastanza bene, cercando di trovare sempre il bilanciamento perfetto tra simpatia e vantaggi usufruibili da tutte le corporazioni e non. Tutto è molto “grigio”: nessuno è depositario della verità, nessuno è considerabile realmente buono; tutto dipende dal vostro punto di vista e dalla vostra visione del mondo. The Outer Worlds è per l’appunto un test politico e sociale dove gli utenti si troveranno faccia faccia con scelte esistenti nel mondo reale, dirette grazie ai dialoghi ma, soprattutto, un po’ come il nuovo Prey, con scelte invisibili, dettate dalla vostra condotta etica in quel di Alcione. È bene dunque ricordare che nulla è lasciato al caso: tutto ha delle conseguenze, e non basta aspettare le fasi finali per accorgersene.
La forma segue la funzione
Inutile girarci intorno: il feeling più immediato con cui fare dei paragoni è indubbiamente la serie Fallout, di cui Obsidian sviluppò uno spin-off, denominato New Vegas. Questo gioco, datato 2010, pur rimanendo familiare dopo l’uscita del reboot Bethesda, presentava diverse migliorie, tra cui l’introduzione di una serie di fazioni pronte a darsi battaglia per il controllo della Diga di Hoover, l’unica rimasta in funzione dopo l’olocausto nucleare. Rispetto a Fallout 3, New Vegas mostrava un mondo estremamente vario, ricco e maturo, sia nella costruzione degli ambienti che nella caratterizzazione narrativa di mondo e personaggi.
Tutta quell’esperienza, con l’aggiunta del lavoro svolto con Pillars of Eternity, trova compimento in The Outer Worlds: ogni elemento strutturale di gameplay è ampiamente riconoscibile, in cui non si è cercato di innovare ma piuttosto di portare qualcosa che funzionasse a dovere, esaltato dal contesto narrativo. Se di questo abbiamo già discusso, è il modus operandi a là Fallout che colpisce. Perché diciamoci la verità: funziona molto meglio dell’originale.
Lo stampo principale è ovviamente quello di un RPG, in cui trovare, riciclare e potenziare le risorse a nostra disposizione non è che la punta dell’iceberg della produzione. Già dalla buona possibilità di personalizzazione del nostro alter ego, con l’attivazione di bonus passivi e attivi, a colpire è la consapevolezza e padronanza del genere da parte di Obsidian, in cui tutto sembra esser nel posto giusto, con una funzione specifica di ogni dettaglio, senza inutili frivolezze stilistiche. Chi ha giocato degli RPG si sentirà a casa e chi non ha mai affrontato il genere sarà comunque ben accolto. Dove Obsidian ha cercato di far qualcosa di diverso è nella gestione di bonus e malus passivi: nel corso delle battaglia, nel caso in cui tutto non sia esattamente filato liscio, si svilupperà una debolezza (Fobia), quasi fosse un trauma, verso una particolare tipologia di arma, danno o nemico. Questa è un’introduzione interessante in quanto porta una variazione nell’accumulo d’esperienza: non tutto ciò’ che affrontiamo porta necessariamente a un miglioramento…
Altro fulcro dell’opera non poteva che essere la fase shooting, che purtroppo non riesce mai restituire dei reali feedback “maschi”. È chiaro che non ci si aspetti un lavoro targato id Software da questo punto di vista, e in effetti siamo ben lontani da quel tipo di feeling, eppure, nel suo essere discreto si lascia ben giocare. Con qualche miglioramento investendo i nostri punti esperienza, lo shooting andrà via via divenendo più concreto ma senza mai appagare a pieno: le numerose bocche da fuoco, suddivise per tipologia, potenza e tipo di danno inflitto (oltre che contornate da una descrizione spesso esilarante) mostreranno pochissime differenze se non nel rateo di fuoco. In ogni caso, basta poco per trovare il set di quattro armi adatte a noi, senza contare quelle corpo a corpo, forse ancor più deludenti di quelle da fuoco. Nonostante risultino spesso efficaci, difficilmente restituiscono il giusto peso o il giusto impatto, dando la sensazione di colpire molto spesso l’aria. Evidentemente la posizione delle hitbox è leggermente a là René Ferretti, inficiando sulle sensazioni fornite dagli scontri. Forse è proprio la gestione della fisica a spegnere un po’ gli entusiasmi. Ma a venirci in aiuto – per così dire – vi è la cosiddetta Dilatazione Tattica del Tempo, un sorta di bullet time che trova – incredibilmente – anche contesto narrativo. Questo espediente aiuta molto gli scontri a fuoco, in maniera del tutto similare allo S.P.A.V. di Fallout anche se meno rifinito.
Qualora non vogliate andarvene in giro da soli per il Sistema di Alcione, in pieno stile Mass Effect, potrete essere scortati da due dei sei compagni che potranno accompagnarvi nel corso dell’avventura. C’è subito da dire che la loro I.A. non è per nulla male: qualora non dessimo ordini diretti sapranno attaccare o trovare riparo in maniera del tutto autonoma (il più delle volte) cercando di aggirare il nemico in caso di possibilità. Gli scontri dunque, soprattutto con grossi gruppi di nemici, diventano un “cerca e distruggi”, soprattutto una volta che i nostri compagni scateneranno tutto il loro potere attraverso un colpo speciale (unico per ognuno dei compagni) e con un equipaggiamento di un certo livello. Come buon RPG insegna, se dotati della giusta pazienza e attenzione, diventare delle macchine di morte inarrestabili può essere un obbiettivo facilmente perseguibile, contando anche di numerosi potenziamenti applicabili alle nostre armi.
Chiaramente non di solo fuoco si vive: tutte le caratteristiche presenti risultano utili, adattandosi a qualsiasi tipo di giocatore. Questo perché essenzialissime il lavoro di Obsidian è incentrato prima di tutto sulla libertà d’approccio, dallo stealth (anche se necessita di qualche rifinitura), alla retorica, probabilmente vero Deus ex Machina del titolo. Come detto, la narrazione e la scrittura svolgono un ruolo chiave e sviluppare caratteristiche in grado di valorizzare la nostra “parlantina” è un buon modo per risolvere questioni senza nemmeno sfoderare le nostre armi. In poche parole, è possibile terminare The Outer Worlds senza nemmeno sparare un colpo.
Quasi come da tradizione
Dove The Outer Worlds mostra un po’ il fianco è nel comparto tecnico, appena discreto considerato il contesto attuale. Nessun modello poligonale risulta veramente dettagliato e nemmeno texture e shader riescono a salvare la situazione, risultando spesso “sporche” e a bassa risoluzione. Tutta via, complice un buona direzione artistica, il colpo d’occhio generale risulta più che piacevole: ogni pianeta del sistema possiede una propria identità, contornato da flora e fauna unici anche se, da questo punto di vista si poteva fare sicuramente di più. Il design degli avamposti, creature, navi stellari, richiama la classica fantascienza degli anni cinquanta e sessanta fatta di ingenua semplicità ma in qualche modo plausibile pur essendo ambientata a qualche secolo di distanza. Purtroppo la versione PC è affetta da qualche problema di frame rate, pop-up delle texture ma nulla di paragonabile alla produzioni Bethesda (purtroppo punto di riferimento negativo del genere).
La soundtrack, composta da brani richiamanti l’epoca descritta poc’anzi, accompagna tutte le fasi proposte dal titolo, facendosi a tratti goliardica come tragicamente seria o disturbante quando è richiesto. Il doppiaggio, rigorosamente in inglese con sottotitoli, è uno dei punti di forza del titolo, riuscendo a restituire con forza personaggi sopra le righe ma mai fuori luogo, tutti perfettamente in parte. I toni delle affermazioni, il sarcasmo o una semplice battuta tagliente sono davvero ben resi, restituendo personaggi verosimili.
In conclusione
A conti fatti, The Outer Worlds è un’opera di tutto rispetto, capace di intrattenere come pochi. Obsidian ha vinto la sua scommessa, portando un titolo complesso in cui spiccano narrazione e contesto, contornati da un gameplay magari non innovativo ma ricco di sostanza. A patto di qualche piccolo inciampo dunque, l’ultima opera dello studio californiano è una delle migliori di questo 2019, ponendo un’ottima base su cui –probabilmente – verranno sviluppati dei sequel.