«Le tecnologie che hanno dato forma alla nostra cultura sono sempre state sviluppate dalla guerra». Così scrive Ed Halter in From Sun Tzu to Xbox per spiegare come negli anni ’50 i primi super computer venivano utilizzati per i calcoli dei dati balistici per il lancio dei missili. Questi, prima dell’avvento dei computer, venivano fatti a mano e sembra abbastanza assurdo come una cosa così utile come un computer, sognato per ere ed ere dagli uomini, possa essere usato per generare conflitti. L’esercito americano contribuì ancora alla creazione dell’Electronic Numerical Integrator and Computer (ENIAC) che servì per gestire i calcoli per la detonazione della bomba ad idrogeno ma ancora i computer e l’elettronica in generale non erano ancora a disposizione di tutti. Negli anni ’70, ma più concretamente negli anni ’80, ci fu il boom delle arcade e l’arrivo dell’Atari 2600 nelle case degli americani. L’elettronica, anche se per scopi ludici, cominciava a essere alla portata di tutti e l’esercito, alla ricerca di nuovi metodi di addestramento e reclutamento, cominciò a cercare in questi software un qualcosa da poter sfruttare a loro vantaggio. Nel 1980 Battlezone di Atari uscì nelle sale giochi: diversamente dal tema sci-fi già visto in Space Invaders o in Galaxian, quest’ultimo più un simulatore che ci metteva alla guida di un carro armato. L’ambiente circostante era reso in 3D grazie ad un particolare uso della grafica vettoriale, molto innovativo per i tempi, e il tutto era visibile solamente attraverso il periscopio presente nel cabinato, il che rendeva l’immersione ancora più realistica. L’esercito americano ci vide bene e allora decise di trasformare il popolare cabinato in uno strumento di addestramento per le reclute; il simulatore di battaglia su carro armato fu trasformato in The Bradley Trainer, una versione rivisitata del popolare cabinato con dei controlli più realistici e più complessi, adatti dunque alla simulazione di battaglia, dei cambiamenti nel gameplay quali l’aggiunta di alcuni bersagli ed una rotazione più realistica attraverso un volante. The Bradley Trainer non fu mai rilasciato al pubblico e si dice siano esistiti solamente due esemplari di questo gioco: uno è andato perduto, l’altro è oggi parte della collezione privata di Scott Evans che, racconta, lo trovò fra i rifiuti nel retro della Midway Games.
Nel 1993, con la fine della guerra del Golfo, il governo americano fece dei drastici tagli al budget dell’esercito: i Marine temevano di perdere le risorse necessarie per allenare le proprie reclute. L’esercito vide in Doom, il popolarissimo first person shooter della ID Software che impazzava fra i giovani, una possibilità per simulare il combattimento e offrire un campo virtuale sulla quale esercitarsi; George Romero, creatore di Doom, aveva rivelato inoltre in un’intervista che i giocatori, qualora fossero stati in possesso delle abilità necessarie, erano liberi di modificare il gioco a loro piacimento. La Marine Corps Modeling and Simulation Management Office (MCMSMO) chiese e ottenne una copia commerciale di Doom e da lì sviluppò la mod che finì col diventare Marine Doom. In termini grafici la mod non era molto diversa dall’originale ma il centro del gioco stava nella collaborazione fra i giocatori, collegati in lan nella stessa stanza, e dunque nel raggiungimento dell’obbiettivo comune, come l’irruzione in un forte nemico o il salvataggio di degli ostaggi in un ambasciata straniera. La collaborazione era imperativa: infatti, prima di cominciare una missione, era importante stabilire chi fosse il caposquadra, i fucilieri e il mitragliere; in questo modo non si insegnavano solamente le tattiche e la cooperazione durante la battaglia ma anche come agire in base al proprio ruolo all’interno della squadra. La mod fu installata in ogni computer dei Marine in modo da estendere l’addestramento al di fuori dal campo di battaglia ma anche per svagare durante le ore libere; Marine Doom, anche se non fu usato come mezzo di reclutamento e propaganda, fu un ottimo mezzo per l’addestramento bellico e una mod ben riuscita tanto che, in seguito, questa fu adattata per Doom 2 e rilasciata al pubblico per l’aggiornamento 1.9.
L’attacco alle Twin Towers del 2001, una delle tragedie umane che più scossero il mondo, portò l’esercito americano a una nuova corsa alle armi e una nuova campagna di reclutamento. Poco dopo l’attacco, l’esercito cominciò una nuova campagna per il reclutamento nelle forze armate americane ma non sembrava andare benissimo. Le nuove campagne erano invasive e i giovani non volevano essere per niente risucchiati al loro interno. L’esercito a quel punto, per promuovere la vita all’interno dell’esercito produsse America’s Army: questo videogioco fu rilasciato gratuitamente il 4 Luglio 2002, anniversario dell’indipendenza americana, sia come download su internet sia come copia fisica (bastava andare in un centro di reclutamento nelle proprie città per ottenere il disco gratuitamente) e ben presto si costruì attorno una larga fanbase. America’s Army non era infatti il solito gioco sparatutto in cui i giocatori si incontravano e si giocava squadra contro squadra senza degli schemi ben precisi: in questo titolo, prima di potersi gettare nella mischia, era necessario seguire il campo di addestramento per ottenere le basi del combattimento per far sì di non girare a vuoto sulla mappa ed essere sempre d’aiuto ai propri compagni. Finito l’addestramento base era ancora necessario seguire dei corsi specifici per ottenere una specializzazione nel campo di battaglia, delle vere e proprie lezioni senza le quali non si poteva scendere in campo: i giocatori potevano specializzarsi nell’uso di delle armi specifiche, come i fucili d’assalto, le mitragliatrici o i fucili di precisione, oppure potevano specializzarsi nelle tecniche di primo soccorso ed essere comunque un pilastro portante della squadra. Così come in Marine Doom, era importantissimo capire i ruoli nel campo di battaglia e realizzare che ogni elemento è indispensabile per la squadra. Inoltre, differentemente dagli altri titoli FPS, l’obiettivo principale della missione che non era sempre l’eliminazione della squadra avversaria ma anche altri come il salvataggio degli ostaggi o la liberazione di dei civili o l’espugnazione di un forte nemico, anche ottenendo più punti facendo meno vittime possibili. I giocatori negli FPS spesso, specialmente in mancanza di comunicazione, sono dei cani sciolti e così come si gioca senza tattica si gioca anche senza conseguenze; durante un momento difficile, come quando si sta per perdere, i giocatori perdono la pazienza e tal volte, i più sciocchi, fanno vittime anche all’interno della propria squadra. Anche se non si muore effettivamente nel gioco, America’s Army punisce il giocatore di fronte l’ammutinamento o in presenza di comportamenti poco ortodossi: è possibile finire in carcere, che risponderebbe alla sospensione temporanea dell’account, o persino la cancellazione se questi comportamenti sono ripetuti più e più volte. America’s Army è stato accolto positivamente da critica e giocatori tanto che la serie dura a tutt’oggi; l’ultimo titolo della saga è America’s Army: Proving Grounds uscito originariamente su PC e da poco arrivato anche su PS4, confermando così l’amore dei fan verso questa serie videoludica spesso sottovalutata. Tuttavia non mancano le critiche da parte di gente contraria a mettere giovani sotto i 18 anni di fronte a uno strumento di reclutamento come America’s Army, teorici dei media e persino il gruppo dei veterani per la pace che non solo vedono l’esercito americano “arrivato alla frutta” in quanto propaganda bellica ma anche di come questo titolo fallisca ad evidenziare cosa sia veramente importante all’interno di un esercito; per quanto le armi possano essere affascinanti e il combattimento, dietro uno schermo, divertente ci si dimentica che un esercito debba portare l’ordine e la pace ed un videogioco, seppur senza conseguenze, ha sempre come fulcro la competizione fra i giocatori.
Con America’s Army l’esercito poteva vantarsi di preparare i giocatori per il campo di battaglia e la vita militare ma lo stesso non si poteva dire per alcune situazioni: l’esercito, così come i veterani per la pace ci ricordano, dev’essere un corpo che deve portare ordine e sempre pronto a servire il più debole ed ascoltare i civili. Con l’arrivo della guerra in Iraq i soldati dovevano essere pronti a trattare con i civili in quanto le differenze culturali sono parecchie e bisognava dare un’immagine del esercito più positiva possibile. Gli eserciti non sono estranei a queste prassi: sin dalla seconda guerra mondiale, l’esercito ha sempre messo su dei brevi corsi intensivi per la lingua e lezioni di cultura e di comportamentismo per mettere i soldati in condizione di comunicare con i civili o mandare segnali di soccorso. Cambiano i mezzi ma non la sostanza: Tactical Iraqi, incluso nella piattaforma per militari DARWARS, includeva delle lezioni di lingua araba (con le sfumature irachene) utili per i soldati e, una volta finiti i corsi, si potevano mettere in atto non solo le capacità linguistiche ma anche i comportamenti da adottare in presenza di civili e dunque rendere la comunicazione più rispettosa e pacifica possibile. Si veniva messi difronte a diverse situazioni in 3D, conversazioni con gente di tutte l’età ed estrazione sociale e perciò bisognava comportarsi di conseguenza: ad esempio, in presenza di adulti bisognava sempre togliersi occhiali e cappello prima di parlare (non farlo sarebbe stato poco rispettoso) e mai fare il gesto del pollice in su, in Medio-Oriente considerato un segno di mancanza di rispetto e maleducazione. Con i più piccoli era invece necessario abbassarsi e ci si poteva permettersi giusto un po’ più scherzosi, e così via.
Gli Stati Uniti non furono gli unici a utilizzare i videogiochi come mezzo di propaganda: in Siria infatti è stato sviluppato Under Siege, un titolo ambientato nella seconda intifada e in cui si può combattere a fianco dell’esercito della liberazione palestinese e dunque contro le forze armate israelite. Similarmente, in Iran è stato sviluppato Special Operation 85, dove si vestono i panni dell’agente segreto Bahram Nasseri per liberare due ingegneri nucleari imprigionati in Israele. Caso invece molto simile ad America’s Army è invece Glorious Mission, titolo che promuove la vita e l’arruolamento nell’esercito della liberazione popolare cinese. Quest’ultimo titolo può vantarsi di avere una vastissima utenza di 300 milioni di giocatori, un numero che surclassa i 13 milioni di America’s Army, e che, come la controparte americana, ha generato altre controversie. Secondo i media russi i nemici presenti nel gioco somigliano molto a dei soldati americani; di tutta risposta un rappresentante del Ministero della Difesa cinese ha risposto che lo sviluppo del gioco non è una propaganda di odio verso nessun paese e che i media dovrebbero astenersi da ogni qualsiasi assurda speculazione.
Il mercato è pieno di titoli di combattimento simulato. A detta di alcuni veterani dell’Iraq, Call of Duty: Black Ops 2 e Modern Warfare sono i giochi che meglio restituiscono l’esperienza della guerriglia in quanto, nelle battaglie, è possibile attuare sia degli approcci sia furtivi che approcci di impatto; gli stessi istruttori consigliano di giocare a questi titoli per estendere l’addestramento e provare nuove tattiche di battaglia. Tuttavia, sempre a detta degli stessi veterani, può dubitarsi dell’efficacia di questi come mezzi di reclutamento in quanto i giocatori non saranno mai veramente preparati per i traumi della guerra: l’istinto di sopravvivenza, la violenza o perdere i propri compagni sono cose che non si imparano di fronte ad un computer. Inoltre non ci sono mai delle vere conseguenze a delle azioni sbagliate: sparare ad un civile, fallire una missione non comporta nessun problema se non perdere punteggio nella graduatoria del gioco. Un soldato, riguardo agli FPS, pare abbia detto: «Nei videogiochi, quando perdi un avatar ricominci. Nella vita reale, quando qualcuno muore l’hai perso per sempre. Da sopravvissuto lo devi seppellire, e dopo devi anche chiamare sua moglie.». Questi meccanismi logorano non solo i familiari delle vittime nei combattimenti a fuoco ma chi sopravvive dovrà fare i conti con queste esperienze per sempre.
La realtà virtuale arriva in soccorso persino per risolvere questi problemi: SimCoach ci mette di fronte a un avatar 3D che aiuterà a superare lo stress post traumatico e la depressione solita nei veterani di ritorno a casa; il programma si pone come un luogo sicuro, un posto dove si può parlare in totale tranquillità dei propri problemi una volta tornati a casa. SimCoach offre all’utente delle risposte basate sulle esperienze di altri veterani e familiari che hanno vissuto e sopportato queste terribili esperienze e, digitando in un corretto inglese, il coach potrà aiutarci a superare i nostri problemi personali e sociali. Software come questo ci ricordano che è molto meglio impugnare i controller che le armi vere e proprie e che se proprio si vuol far la guerra è meglio farla dal divano di casa nostra.